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La regolazione amministrativa dei fenomeni migratori in Italia

2.4 La legge “Turco-Napolitano”

Ma il primo vero intervento altamente comprensivo in materia di immigrazione in Italia fu senza dubbio costituito dalla Legge Turco Napolitano (Zincone, 2011, op.cit. pp.266-268), legge 40 del 1998 da cui deriva il Testo Unico in materia di Immigrazione (TUI) adottato con decreto legislativo 286 del 1998.

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Tale norma può essere considerata la prima riforma in materia di immigrazione che non sia stata concepita in condizioni di emergenza, infatti intendeva trattare la materia come un fenomeno permanente e regolarla con un atto comprensivo. Si trattava di un testo che puntava a ricercare un equilibrio tra l’interesse statale al controllo dei flussi e l’interesse individuale alla protezione delle libertà (Savino, 2012, op.cit. p.222).

Il nuovo Ministro degli Affari Sociali Livia Turco e il nuovo Ministro dell’Interno Giorgio Napolitano usarono il disegno di legge Contri come il proprio punto di partenza, facendo affidamento in larga parte sul medesimo team di esperti e funzionari che avevano partecipato in passato alla stesura di tale disegno di legge.

Il tipo di network generato dal decreto legislativo 286/1998 continuava ad essere includente e molto vicino all’issue network, caratterizzato quindi da un’estrema frammentazione di interessi e competenze e con legami al suo interno poco forti, coinvolgente un numero molto ampio e instabile di membri, con significativi conflitti sui valori (Lanzalaco, Prontera, 2012, op.cit.).

Gli attori coinvolti a livello nazionale erano, per quanto riguarda gli attori istituzionali politici, i decisori politici, quali il Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica, i Ministri interessati, le Commissioni Parlamentari, il Comitato per i minori stranieri istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tali attori svolgevano la funzione di promotori e registi all’interno del network.

Sempre tra gli attori istituzionali politici vi erano il CNEL, la Conferenza Stato Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, la Conferenza Stato Città e Autonomie Locali e la Commissione per le Politiche di Integrazione. Tali attori svolgevano la funzione di promotori.

Tra gli attori istituzionali non politici, sempre a livello nazionale, vi erano le forze di pubblica sicurezza, con funzione di implementatori, l’autorità giudiziaria, con funzione di implementazione e promozione, l’INPS e il Servizio Sanitario Nazionale, con funzione di implementazione e le istituzioni scolastiche, con funzione di promozione e implementazione.

Infine tra gli attori non istituzionali, a livello nazionale, vi erano gli enti e le associazioni nazionali per l’integrazione e l’assistenza agli immigrati, con funzione di promozione e filtro di interessi e le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, svolgenti le funzioni di promozione e filtro degli interessi.

Per quanto riguarda il livello regionale gli attori istituzionali politici coinvolti erano le Regioni, i Consigli Territoriali per l’Immigrazione, le Commissioni territoriali per l’impiego, tutti con la funzione di promozione e implementazione.

Gli attori non istituzionali erano invece le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori a livello regionale, con la funzione di filtro e promotori.

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A livello locale gli attori istituzionali politici coinvolti erano le Province, i Comuni e altri enti locali, con la funzione di promozione e implementazione.

Gli attori istituzionali non politici erano invece le forze di pubblica sicurezza, con la funzione di implementazione, l’autorità giudiziaria, con la funzione di implementazione e promozione, le aziende sanitarie e ospedaliere, con la funzione di implementazione e le istituzioni scolastiche locali e le università, con funzione di implementazione e promozione.

Per quanto riguarda infine gli attori non istituzionali a livello locale vi erano le associazioni di stranieri, le organizzazioni di volontariato, gli enti privati, con funzioni di filtro, implementazione e promozione.

Passando ad esaminare in concreto gli strumenti di policy introdotti dal decreto 286/1998, in primo luogo il TUI disponeva chiaramente, all’articolo 3, un primo importante strumento, stabilendo che il Presidente del Consiglio dei Ministri dopo aver sentito i Ministri interessati, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni, e le Province autonome di Trento e di Bolzano, la Conferenza Stato-Città e autonomie locali, gli enti e le associazioni nazionali maggiormente attivi nell’assistenza e nell’integrazione degli immigrati e le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale, predisponesse ogni tre anni un documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato. Tale documento programmatico avrebbe dovuto essere approvato dal Governo e trasmesso al Parlamento, infine avrebbe dovuto essere emanato con decreto del Presidente della Repubblica.

Sempre nello stesso articolo, il TUI disponeva una programmazione annuale degli ingressi per motivi di lavoro autonomo e subordinato, da realizzarsi mediante decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri interessati e le Commissioni parlamentari competenti.

Inoltre tale testo per la prima volta considerava i migranti legali non solo in quanto lavoratori ma anche come individui e potenziali cittadini, riconoscendo loro pressoché il medesimo trattamento in materia di diritti sociali.

In particolare all’articolo 41 il TUI prevedeva l’estensione dell’accesso alle prestazioni sociali, anche economiche, infatti specificava che gli stranieri che fossero titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno e i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno venivano equiparati ai cittadini italiani per quanto riguarda la fruizione delle provvidenze e delle prestazioni sociali, anche economiche.

Ancora, il TUI consentiva definitivamente l’accesso, per i migranti irregolari, all’istruzione pubblica e alla sanità pubblica, rispettivamente negli articoli 38 comma 1 e 35 comma 3.

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Queste misure molto orientate alla solidarietà furono il risultato di una costante pressione della coalizione di sostegno pro-immigrati, la cui gran parte era di orientamento Cattolico.

Infine, cosa particolarmente importante, il TUI ha recepito, all’articolo 19, l’obbligo di non

refoulment contenuto all’interno della Convenzione di Ginevra del 1951 sui diritti dei rifugiati.

Nonostante tutte queste aperture il TUI introduceva anche nuove misure repressive, in gran parte motivate dalla necessità di rispondere agli obblighi internazionali determinati dall’ingresso nell’area Schengen e alle pressioni da parte degli altri Stati Membri dell’UE (Zincone, 2011, op.cit. p.267).

Tra le misure più significative in tal senso possiamo citare, all’articolo 14, l’istituzione dei CPTA (Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza), e l’introduzione della possibilità di trattenere i migranti privi di documenti in speciali centri di detenzione temporanea fino a 30 giorni, allo scopo di identificarli e possibilmente rimpatriarli.

Infine venivano introdotte varie forme di espulsione, tra cui quella amministrativa all’articolo 13, quella a titolo di sanzione sostitutiva della detenzione all’articolo 16 e quella a titolo di misura di sicurezza all’articolo 15.

Importanti strumenti di policy vennero introdotti dal decreto 286/1998. Ad esempio l’introduzione di un piano generale degli interventi per il potenziamento e il perfezionamento delle misure di controllo di frontiera, adottato dal Ministero dell’Interno e dal Ministero degli Affari Esteri e la previsione di servizi di accoglienza presso i valichi di frontiera, al fine di fornire informazioni e assistenza agli stranieri, contenute nell’articolo 11.

In secondo luogo vennero introdotte sanzioni e pene detentive per chi favorisse l’ingresso illegale di stranieri nel territorio dello stato, in violazione del TUI, all’articolo 12.

Altro strumento di policy significativo introdotto dal decreto all’articolo 18 fu il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, il quale consentiva l’accesso ai servizi assistenziali e allo studio, nonché l’iscrizione nelle liste di collocamento e lo svolgimento di lavoro subordinato, fatti salvi i requisiti minimi di età. L’onere finanziario previsto per l’attuazione dell’articolo fu valutato in lire 5 miliardi per l’anno 1997 e in lire 10 miliardi annui a decorrere dall’anno 1998.

All’articolo 21 fu poi previsto uno strumento di policy particolarmente interessante ma che non ha mai trovato attuazione, ovvero un’anagrafe annuale informatizzata delle offerte e delle richieste di lavoro subordinato dei lavoratori stranieri, collegata con l’archivio INPS e le questure.

Ancora, all’articolo 22 furono introdotte sanzioni pecuniarie e pene detentive per il datore di lavoro che occupasse alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, o con permesso di soggiorno revocato o annullato.

Agli articoli 30 e 36 furono introdotti rispettivamente il permesso di soggiorno per motivi familiari, per l’attuazione del quale fu autorizzata una spesa di lire 150 milioni annui, e per cure

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mediche, mentre all’articolo 42 fu istituito, presso il CNEL, un organismo nazionale di coordinamento per le misure di integrazione sociale degli stranieri e presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie.

All’articolo 44 poi fu introdotta l’azione civile contro la discriminazione, che avrebbe potuto essere attuata quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione avesse prodotto una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Ancora, all’articolo 45 fu istituito il Fondo Nazionale per le Politiche Migratorie, la cui dotazione fu stabilita in lire 12.500 milioni per l’anno 1997, in lire 58.000 milioni per l’anno 1998 e in lire 68.000 milioni per l’anno 1999.

Infine all’articolo 46 fu istituita la Commissione per le Politiche di integrazione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il compito di predisporre per il Governo un rapporto annuale sullo stato di attuazione delle politiche per l’integrazione degli immigrati, formulare proposte di interventi di adeguamento di tali politiche, fornire risposte ai quesiti posti dal Governo in merito a tali politiche.

Tale Commissione avrebbe potuto avvalersi della collaborazione di tutte le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, degli enti pubblici, delle Regioni e degli enti locali.

All’articolo 48, riguardante la copertura finanziaria, si specificava che all’onere derivante dall’attuazione del Testo Unico derivante dal decreto e della Legge 40 del 1998, valutato in lire 42.500 milioni per il 1997 e in lire 124.000 milioni per ciascuno degli anni 1998 e 1999 era previsto che si provvedesse in questo modo: quanto a lire 22.500 milioni per l’anno 1997 e a lire 104.000 milioni per ciascuno degli anni 1998 e 1999, mediante riduzione dello stanziamento iscritto ai fini del bilancio triennale 1997-1999 al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 1997, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a lire 22.500 milioni per l’anno 1997 e a lire 29.000 milioni per ciascuno degli anni 1998 e 1999, l’accantonamento relativo al Ministero del tesoro; quanto a lire 50.000 milioni per ciascuno degli anni 1998 e 1999 l’accantonamento relativo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; quanto a lire 20.000 milioni per ciascuno degli anni 1998 e 1999, l’accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione; quanto a lire 5.000 milioni per ciascuno degli anni 1998 e 1999, l’accantonamento relativo al Ministero dell’Interno.

Dunque si trattava di una vera e propria disciplina eclatante dal punto di vista dell’ampiezza della sua azione regolativa.

Nell’ultima parte del 1999 la struttura formale del policy making in materia di immigrazione fu colpita da cambiamenti significativi (Zincone 2011, op.cit. p.268), e nello specifico da una riforma generale riguardante l’introduzione di un approccio basato sullo spoil system nella pubblica

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amministrazione, dal trasferimento di responsabilità dal livello centrale a quello locale della pubblica amministrazione, da nuove leggi elettorali e da un incremento del potere del Governo nei confronti del Parlamento.

L’introduzione di questo moderato sistema basato sullo spoil system ridusse il ruolo dei funzionari pubblici nel policy making, sebbene meno di quanto ci si potesse aspettare, in quanto i nuovi Ministri appena nominati, almeno in settori forti e tradizionali quali quelli dell’Interno e degli Affari Esteri tendevano a fare affidamento sullo staff già insediato piuttosto che impiegarne uno nuovo.

Questa generale ristrutturazione della pubblica amministrazione mise in moto un processo di riorganizzazione funzionale e diede avvio a molti cambiamenti.

Nel 1999 il Ministro degli Affari Esteri ad esempio colse questa opportunità per rimpiazzare il Dipartimento Generale per l’Emigrazione e gli Affari Sociali con un nuovo Dipartimento per le Politiche e gli Italiani all’Estero.

Nel 2001 poi le responsabilità in materia di immigrazione e immigrati, prima condivise tra il Ministro dell’Interno e le due Divisioni Generali per la Polizia e i Diritti Civili furono assemblate nel Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione.

Inoltre la riforma della pubblica amministrazione, al momento della sua implementazione nel 2001, fuse vari ministeri. Il Ministero per il Lavoro e la Sicurezza Sociale incorporò il Dipartimento per gli Affari Sociali e divenne il Ministero per il Welfare, ereditando la speciale Divisione sull’Immigrazione.

A quel punto l’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni, appartenente al partito della Lega Nord, decise di consentire un passaggio di responsabilità dal Ministero del Welfare a quello dell’Interno anche in materie precedentemente inserite negli Affari Sociali.

Dunque durante il terzo governo Berlusconi il Ministro dell’Interno fu incaricato di presiedere non solo alle materie inerenti la lotta all’ingresso clandestino e al crimine, ma anche a quelle inerenti l’integrazione.

È importante ricordare che dai primi anni ’90 varie riforme elettorali tentarono di produrre maggioranze di governo più stabili e di garantire più potere all’esecutivo. Ma ciononostante, sebbene la durata media dei governi italiani iniziò ad allungarsi, il numero dei partiti non diminuì.

Dunque la proliferazione di partiti forzava le parti a formare cartelli elettorali molto eterogenei, con un conseguente crescente conflitto ideologico al loro interno (Zincone, 2011, op.cit.,p.269).

Questo fu ancora più evidente in concomitanza con l’approvazione della cosiddetta legge “Bossi- Fini”, legge 189 del 2002 intitolata “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo”.

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2.5 La legge “Bossi-Fini”

Per quanto riguarda le modifiche apportate dalla legge 189/2002 al tipo di network e agli attori che ne facevano parte, la situazione rimase pressoché immutata, trattandosi sempre di un network molto vicino all’issue network, caratterizzato da un grande numero di attori molto differenti tra loro. L’unica novità fu costituita dall’ingresso di un nuovo attore, ovvero la Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere, con funzione di promozione e regia delle attività di polizia di frontiera e di contrasto dell’immigrazione clandestina, nonché delle attività demandate alle autorità di pubblica sicurezza in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri.

Tale norma introdusse però misure più restrittive in materia di politiche dell’immigrazione. In primo luogo subordinò l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato allo svolgimento dell’attività lavorativa, introducendo come importante strumento di policy il “Contratto di Soggiorno-Lavoro” all’articolo 6.

Tale contratto avrebbe dovuto essere stipulato tra un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia e un prestatore di lavoro cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione Europea o apolide. Il datore di lavoro avrebbe dovuto impegnarsi con tale contratto a garantire alloggio e a pagare le spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel paese di provenienza.

Il contratto sarebbe stato sottoscritto presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione della provincia di residenza o di sede legale del datore di lavoro o nel luogo in cui avrebbe avuto luogo la prestazione lavorativa. Un altro importante strumento di policy fu l’istituzione infatti, all’articolo 18, del suddetto Sportello Unico per l’immigrazione presso le prefetture, responsabile dell’intero procedimento relativo all’assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato e indeterminato. Nello stesso articolo venne incrementata la sanzione prevista per i datori di lavoro che impiegassero lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno o con permesso di soggiorno scaduto, revocato o annullato.

All’articolo 19 poi la legge abolì il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro e ridusse il periodo di disoccupazione tollerato da dodici a sei mesi all’articolo 18.

Ancora, richiese più frequenti rinnovi dei permessi di soggiorno e ridusse la durata del permesso di soggiorno per lavoro temporaneo prevista all’articolo 5, all’interno del quale introdusse anche pene detentive per chi alterasse visti di ingresso o reingresso, permessi di soggiorno, contratti di soggiorno o carte di soggiorno o documenti che potessero determinare il rilascio di questi.

Inoltre tale testo introdusse anche due norme particolarmente repressive, la cui legalità fu aspramente dibattuta (Zincone, 2011, op.cit. pp.271-272). La prima delle due, contenuta nell’articolo 13, stabiliva che i migranti privi di documenti potessero essere forzatamente condotti

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alla frontiera ed espulsi, mentre la seconda, contenuta nell’articolo 14, stabiliva che se i migranti irregolari fossero stati fermati una seconda volta senza un permesso di soggiorno, avrebbero potuto essere sottoposti ad arresto obbligatorio.

Tali norme furono poi censurate dalla Corte Costituzionale con le sentenze 222 e 223 del 2004. La legge 189 del 2002 inoltre introdusse all’articolo 33 un’altra sanatoria riguardante i lavoratori domestici e impiegati nel settore dell’assistenza domestica, la quale fu il risultato della pressione esercitata da famiglie e piccoli imprenditori. Un’ulteriore sanatoria sarebbe seguita con il decreto legge 195 del 2002, la quale si estendeva a tutti i lavoratori immigrati, anche questa fortemente risultante dall’attività di pressione esercitata dai datori di lavoro.

L’effetto cumulativo delle due sanatorie produsse la più vasta regolarizzazione mai avvenuta in Europa da sempre, quantificabile in 634,728 regolarizzazioni (Zincone, 2011, op.cit., p.271).

Altro strumento importante fu quello previsto nell’articolo 30, il quale introdusse misure di potenziamento delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari, tramite nuove assunzioni di personale in connessione alle esigenze di servizio straordinarie richieste dall’attuazione delle misure previste dal decreto.

All’articolo 32 furono istituite le Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato presso le prefetture, oltre alla trasformazione della Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato già esistente in Commissione Nazionale per il diritto d’asilo. Inoltre allo stesso articolo fu istituito lo SPRAR e fu determinato il suo finanziamento per il tramite del Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Fu anche istituito il Servizio Centrale dello SPRAR, il quale fu affidato con apposita convenzione all’ANCI, e che avrebbe svolto compiti di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali aderenti allo SPRAR.

Fu previsto che le spese di funzionamento e di gestione del servizio centrale fossero finanziate nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, istituito presso il Ministero dell’interno e la cui dotazione era costituita da: le risorse iscritte nell’unità previsionale “Immigrati, profughi e rifugiati”, capitolo 2359, dello stato di previsione del Ministero dell’Interno per l’anno 2002, già destinate agli interventi relativi al sistema SPRAR e corrispondenti a 5,16 milioni di euro; le assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati, ivi comprese quelle già attribuite all’Italia per gli anni 2000, 2001 e 2002 e in via di accreditamento al Fondo di rotazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze; i contributi e le donazioni eventualmente disposti da privati, enti o organizzazioni, anche internazionali, e da altri organismi dell’Unione Europea.

All’articolo 38 fu infine specificato come dall’applicazione degli articoli 2, 5, 17, 18, 19, 20, 25 e 34 non dovessero derivare oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, mentre all’onere

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derivante dall’attuazione dell’articolo 30, comma 1, valutato in euro 1.515.758 per l’anno 2002, e in euro 3.031.517 per l’anno 2003, si provvedesse mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero degli Affari esteri.

Invece all’onere derivante dall’attuazione degli articoli 1, 12 comma 1 lettera c), 13 e 32, valutato in 25.91 milioni di euro per l’anno 2002, 130.65 milioni di euro per l’anno 2003, 125.62 milioni di euro per l’anno 2004 e 117.75 milioni di euro a decorrere dal 2005, fu previsto che si provvedesse mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.

Ma facendo un passo indietro, a partire dai primi anni ’90 una serie di riforme diede un ruolo decisamente più rilevante alle autorità locali in materia di politiche dell’immigrazione. Questo processo di riforma assunse particolare consistenza a partire dal 1999.

Dopo la prima legge di bilancio del governo Berlusconi del 2001, il Fondo Nazionale per le Politiche Migratorie e altri fondi sociali vennero fusi in un unico e generale Fondo Sociale e venne