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Linee guida per una politica industriale torinese .1 Premessa

POTENZIALE ECONOMICO E INDUSTRIALE

3 Linee guida per una politica industriale torinese .1 Premessa

Sulla base delle caratteristiche dei singoli SLCV è ora possibile individuare il nucleo della competitività del sistema produttivo locale e le sue possibili linee di evoluzione. In altri termini, ci si propone di pervenire a un'interpretazione sintetica del sistema manifatturiero torinese e all'individuazione di alcune linee guida per possibili interventi strategici.

Concretamente sembrano emergere quattro grandi nodi tematici: a) vantaggi e politiche legate alla logistica esterna di impresa; b) vantaggi e politiche legate alla formazione; c) vantaggi e politiche legate alla commercializzazione; d) vantaggi e politiche legate all’innovazione. La prospettiva è quella di identificare, come base per le possibili linee di evoluzione della manifattura torinese, quelle relazioni che per i SLCV più competitivi già costituiscono un supporto efficace per la competitività. Non si tratta, in altri termini, di identificare ricette che siano già state sperimentate e giudicate efficaci in altri contesti, ma, piuttosto, di capire quali elementi della realtà torinese possano rappresentare un fondamento per nuovi indirizzi strategici.

Per ciascuna di queste quattro categorie, pertanto, si tratta di identificare quali interventi siano particolarmente urgenti e come questi si rapportino alla situazione esistente.

3.2 La logistica esterna di impresa

Le nuove strategie localizzative della Fiat hanno modificato radicalmente il senso e il ruolo della vicinanza fisica dei fornitori al cliente principale in due principali direzioni. La prima importante conseguenza riguarda la logistica delle imprese coinvolte: da un lato, infatti, la necessità di essere vicini agli impianti di assemblaggio agisce come forza centrifuga, favorendo la rilocalizzazione dei primi fornitori là dove Fiat produce; dall'altro lato, la necessità di fornire al produttore finale prodotti sempre più complessi accresce l'importanza dei rapporti, fortemente radicati, con la sua fornitura, che nell'area torinese conserva capacità specializzate non facilmente riproducibili. In secondo luogo, il senso della vicinanza fra produttori di componenti e produttore finale si modifica, prescindendo sempre più dai flussi materiali della produzione, per identificarsi in misura crescente con la vicinanza ai suoi centri decisionali e alle funzioni superiori, come il design e la progettazione. In altri termini, il ruolo della prossimità geografica tra Fiat, primi fornitori e subfornitura si è modificato, ma non

ha cessato di influenzare le scelte strategiche delle imprese.

D'altro canto, per quanto riguarda il sistema locale nel suo complesso, è possibile individuare tre indirizzi possibili.

1. Razionalizzare l'espansione nel settore sud occidentale dell’area metropolitana: si tratta di un'area tradizionalmente interessata dall'espansione dei fornitori Fiat, i quali possono trovare in questa zona tanto il tessuto di piccole e medie imprese meccaniche di cui necessitano, quanto la fondamentale prossimità agli stabilimenti Fiat.

2. Gestire l'espansione di sistemi produttivi che non necessitano di una radicale riorganizzazione: si tratta o di sistemi di nicchia (Aerospazio, Penne a sera, Sistemi anti-intrusione) oppure di sistemi che non dipendono dalla prossimità geografica ad un cliente principale (Macchine utensili). Sebbene si tratti di sistemi caratterizzati da una dinamica intensa, le esigenze a medio termine sono orientate verso l'espansione in loco, piuttosto che verso grandi progetti strategici di rilocalizzazione.

3. La città di Torino e le attività produttive. Per quanto riguarda la localizzazione di attività produttive nel comune di Torino, si possono registrare due situazioni antitetiche. La prima riguarda il comparto delle Arti grafiche: si tratta di attività che, soprattutto nel caso di piccole medie imprese, sono ancora localizzate nell’area centrale o semi centrale del capoluogo. Al fine di facilitare la logistica di queste attività, una rilocalizzazione del sistema nella prima cintura potrebbe rivelarsi strategica per restituire competitività al sistema stesso. D'altra parte, per quanto riguarda il SLCV

Design e progettazione, oltre ad alcune esigenze relative a singole imprese (per esempio la

concentrazione e/o rilocalizzazione del gruppo I.De.A), emerge la possibilità di favorire la concentrazione delle imprese legate alla creatività all'interno del comune. Questa iniziativa può condurre a due vantaggi principali: in primo luogo, si otterrebbero ovvi vantaggi di immagine, facendo di Torino una capitale mondiale del design; in secondo luogo, le relazioni professionali e informali tra gli attori di questo sistema troverebbero un ambiente idoneo e stimolante per la creazione di un'atmosfera innovativa.

3.3 La formazione professionale

Per quanto riguarda la formazione, la realtà riflette una dicotomia importante: da un lato, si registra la centralità e il radicamento di alcune professionalità che garantiscono un vantaggio competitivo per le imprese localizzate nel Torinese (lavorazioni meccaniche, competenze elettroniche e informatiche); dall'altro lato, la formazione del personale avviene in larga misura attingendo alle risorse (tempo e denaro) delle imprese medesime, che devono adattare le conoscenze dei neo assunti alla propria attività.

Si tratta, pertanto, di adattare le politiche riguardanti la formazione professionale alle specifiche condizioni del sistema manifatturiero torinese. Questo principio si traduce, da un lato, in una riqualificazione della formazione istituzionale. Una possibile via è costituita dalla integrazione della formazione scolastica e teorica con stage in imprese specializzate: questo principio vale tanto per le competenze tradizionali, come le lavorazioni meccaniche, quanto per quelle considerate più innovative, come la progettazione con sistemi CAD. Dall'altro lato, un'esigenza vitale per il sistema torinese è quella di favorire la conservazione e la riproduzione di conoscenze tradizionali: si pensi al monopolio torinese nel design automobilistico, cresciuto attorno ad un gruppo di designer ‘storici’ formatisi con Michelotti nell'immediato dopoguerra, oppure alle generazioni di operai specializzati, la cui capacità di ‘pensare’ il prodotto è stata una componente fondamentale della competitività del sistema manifatturiero torinese. Si tratta, per la precisione, di riconoscere come, per potersi dispiegare, l'innovazione tecnologica debba incontrare necessariamente capacità e conoscenze radicate nel territorio da decenni. Il rinnovamento di queste capacità e conoscenze è un nodo centrale ed estremamente delicato per la competitività futura dell'intera manifattura torinese.

3.4 Commercializzazione e innovazione

Date le caratteristiche consolidate del sistema manifatturiero torinese, commercializzazione e innovazione devono essere considerate come strettamente congiunte e dipendenti l'una dall'altra. Si pensi, per esempio, al caso delle imprese della subfornitura meccanica: da un lato, una

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fondamentale esigenza è l'accesso a innovazioni di processo e di materiali; dall'altro lato, questo accesso all’innovazione acquisisce senso solamente dopo che si è verificata una diversificazione del prodotto e, quindi, che siano stati rinvenuti nuovi mercati.

Per quanto riguarda le capacità di commercializzazione, i SLCV che mostrano una spiccata vocazione alla internazionalizzazione sono quelli delle Macchine utensili (in circa metà delle imprese maggiori l'esportazione rappresenta oltre 50 per cento del fatturato) e del Design, in cui le principali imprese torinesi detengono, di fatto, una sorta di monopolio mondiale. Considerazioni analoghe valgono per i sistemi di ‘nicchia’, come i Sistemi anti-intrusione e le Penne a sfera, in cui i produttori torinesi di maggiori dimensioni riescono a consolidare posizioni di prestigio in un mercato internazionale stranamente concorrenziale.

Per quanto riguarda le capacità di innovazione, possiamo osservare due modalità prevalenti:

da un lato, si ha l'innovazione organizzativa, che si realizza mediante l’interazione con centri di ricerca, Università, Politecnico, poli tecnologici. Questo tipo di relazioni riguarda, tuttavia, soltanto un numero ristretto di imprese leader, appartenenti in particolare al SLCV della Veicolistica, in cui il principale strumento del processo innovativo è dato dal coinvolgimento dei primi fornitori nella coprogettazione;

dall'altro lato, soprattutto nelle piccole e medie imprese, l'innovazione avviene in maniera più

informale, interamente gestita all'interno sulla base di un'esperienza decennale e di una adeguata

conoscenza del proprio mercato.

Per quanto riguarda le politiche relative alla commercializzazione e all’innovazione, l'elemento fondamentale è la specializzazione delle politiche medesime.

Nel caso della commercializzazione, politiche generiche sarebbero destinate a fallire per le caratteristiche stesse della manifattura torinese: per la maggior parte, infatti, si tratta di imprese operanti in mercati ristretti ed estremamente specialistici, dei quali l'impresa stessa già possiede la miglior conoscenza disponibile. Ne consegue che né queste imprese estremamente specializzate potrebbero trarre giovamento da politiche generiche, né un organismo pubblico potrebbe acquisire le competenze necessarie per giovare a queste imprese.

Il sostegno alla commercializzazione, pertanto, dovrebbe orientarsi in due direzioni specifiche. a. Si tratta, anzitutto, di sostenere l'internazionalizzazione di quelle imprese che già possiedono una propria specifica identità produttiva (un prodotto di eccellenza), ma che appaiono incapaci di affermarsi sui mercati internazionali. E' il caso dei produttori di componenti automobilistici, per i quali l'internazionalizzazione non dipende quasi mai da strategie e capacità interne all'impresa, ma dalla intermediazione di una terza parte (vedi le esportazioni rivolte a impianti Fiat localizzati all'estero, oppure derivanti dalla appartenenza del fornitore a gruppi multinazionali). Trovare una terza via alla internazionalizzazione costituisce una necessità, nel momento in cui le strategie della Fiat sembrano essere sempre meno legate al sistema manifatturiero torinese e in cui i comportamenti delle multinazionali localizzate nel sistema locale rispondono ad altre logiche, differenti da quelle dello sviluppo locale.

b. In secondo luogo, si tratta di sostenere l'humus di lavorazioni meccaniche ed elettroniche che costituiscono la maggiore ricchezza del sistema manifatturiero torinese. Una prima misura dovrebbe essere l'acquisizione di commesse internazionali di sub-fornitura. Attualmente, la maggiore difficoltà è data dall'impossibilità per piccole medie imprese della subfornitura di accedere a commesse estere: innanzitutto, queste imprese non possono sostenere l'onere di un ufficio commerciale, né possono offrire agli eventuali clienti garanzie sufficienti. Il ruolo di un organismo per la commercializzazione

dovrebbe essere quello di ricercare commesse internazionali e di presentarsi come garante per la rete di piccole e medie imprese che sarebbero coinvolte nella produzione. Una seconda misura è rappresentata dai servizi di assistenza allo sviluppo del prodotto. Si tratta della parte più innovativa della politica di sostegno alla commercializzazione, orientata a facilitare la diversificazione della produzione torinese e, pertanto, la nascita di nuove nicchie internazionalmente competitive. Praticamente, si tratterebbe di identificare progetti e nuove linee di prodotto meritevoli di essere sviluppate (in questa fase, la collaborazione con i designer industriali è fondamentale), di valutarne la fattibilità e la commerciabilità, di selezionare (ancora una volta nell'humus industriale torinese) gli attori più idonei a realizzare la produzione. Il problema è quello di ampliare la gamma di prodotti competitivi del sistema locale torinese, sviluppando nel contempo le capacità imprenditoriali delle piccole e medie imprese.

Per quanto riguarda l'innovazione, la situazione è quanto mai delicata. Da un lato, l'innovazione ha il compito di adeguare i processi industriali e i prodotti torinesi alle grandi evoluzioni del mercato internazionale. Dall'altro lato, si tratta di radicare il cambiamento e l'evoluzione della manifattura torinese nel suo passato, nelle conoscenze accumulate nel corso di una storia secolare.

L'armonizzazione di questi due fini prefigura due possibili direzioni.

a. La ricerca sui materiali. Sebbene nel sistema torinese si conservi la capacità di lavorare qualsiasi materiale (dagli acciai speciali alle plastiche dell'ultima generazione), l'innovazione in questi materiali non nasce quasi mai all'interno del sistema: si tratta di una capacità ad adattarsi all'innovazione, piuttosto che a generarla. Le politiche di sostegno dovrebbero orientarsi in due direzioni: per prima cosa, si dovrebbe favorire l'accesso da parte delle piccole e medie imprese alla conoscenza esistente, attingendo a osservatori internazionali sulle tecnologie, banche dati, fiere; in secondo luogo, si tratterebbe di favorire la ricerca locale sui materiali alternativi. In entrambi i casi, l'applicazione dei risultati della ricerca alla produzione dovrebbe essere il più possibile immediata, continuativa e diffusa: non va dimenticato, infatti, che le capacità manifatturiere proprie del sistema locale, il ‘saper fare’ torinese, sono il frutto di un'antica e strettissima collaborazione tra lo studio di progettazione e l'officina.

b. L’innovazione elettronica. Il problema dell'elettronica è strettamente connesso alla crisi della Olivetti e alla dialettica fra Torino e Ivrea. Si tratta, anzitutto, di contenere le competenze e le capacità ‘liberate’, se non messe in fuga, dalla crisi dell’Olivetti. In secondo luogo, più praticamente, è urgente un preciso sistema di incentivi per la ricerca elettronica e informatica. Per ragioni legate all'evoluzione dei mercati internazionali, questa non potrà orientarsi verso la ricerca di base, né verso la componentistica elettronica, dove la posizione dei grandi competitori internazionali sembra ormai inattaccabile, ma indirizzarsi verso uno o più campi della ricerca applicata in cui le condizioni di milieu prefigurano possibilità di successo.

4 Note a margine: Torino tra fordismo e post-fordismo. Lo sviluppo locale nell’economia internazionalizzata

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4.1 Premessa

I cambiamenti che hanno caratterizzato l’economia e la società torinese negli ultimi venti anni possono essere interpretati sotto molteplici punti di vista: deindustrializzazione, post-industrialismo, declino demografico, post-Fordismo.

Tutti questi concetti valgono ad esprimere la situazione di radicale incertezza tanto degli studiosi quanto dei politici, degli attori, cioè, che dovrebbero descrivere, comprendere e governare i processi che stanno trasformando la società torinese. Questi termini, così rigorosamente definiti in negativo da suffissi privativi (de-, post-), rendono perfettamente la percezione di quanti – lavoratori, disoccupati, studiosi, amministratori – osservano Torino: abbandono di una condizione di certezze (produttive, sociali, politiche, finanziarie) che sembrano essersi sgretolate di fronte alle mutate strategie localizzative della maggiore impresa torinese, transizione dall’esito incerto verso assetti instabili e nuovi rischi: disoccupazione e lavoro precario, immigrazione clandestina e razzismo. Spesso le soluzioni proposte oscillano tra due estremi inconciliabili:

da un lato, viene spesso sostenuto il mantenimento artificiale degli equilibri tradizionali propri della manifattura torinese. La recente vicenda degli aiuti al settore auto è, a questo titolo, esemplare: sebbene costituiscano un rimedio temporaneo e, per certi aspetti, abbiano addirittura ostacolato il processo di rinnovamento della manifattura torinese, i contributi per la rottamazione sono spesso stati salutati come la panacea che avrebbe ripristinato gli equilibri originari;

dall’altro lato, si è sovente auspicata la recisione dei rapporti con la forte tradizione manifatturiera torinese, in favore di un’improbabile terziarizzazione dell’economia locale e specializzazione in fantomatici “servizi avanzati”. E’ il caso del vigente Piano Regolatore Generale che non prevede più la presenza di attività manifatturiere all’interno del Comune di Torino: proprio quest’irrealistico tentativo di mutare radicalmente la struttura sociale, produttiva e urbanistica della città è all’origine della decisione dell’attuale amministrazione comunale di porre mano ad alcune fondamentali varianti di piano.

Ciò che ha ispirato la redazione di questa sezione è una lettura delle trasformazioni torinesi alla luce del dibattito sulla transizione dei sistemi produttivi fordisti verso un’organizzazione sociale e produttiva che viene comunemente indicata come post-fordismo. Tuttavia, se il vantaggio di questa prospettiva è proprio quello di concentrare l’attenzione sulle dinamiche e trasformazioni della manifattura, a ben vedere, la dialettica Fordismo versus post-fordismo non appare del tutto soddisfacente, innanzi tutto perché il post-fordismo viene definito in negativo, come mero venir meno delle caratteristiche dell’epoca precedente.

4.2 Fordismo e post-fordismo

In realtà, il concetto di fordismo è meno univoco di quanto si potrebbe supporre. Una volta perso il suo carattere totalizzante, la sfida è, appunto, valutare quanto questo concetto possa coniugare un’interpretazione universale dell’organizzazione produttiva con la comprensione delle specificità

locali di ogni fordismo, essenziali per comprendere le possibili evoluzioni dei diversi sistemi

manifatturieri.

E’ noto che i due concetti più diffusamente utilizzati per cogliere i caratteri del fordismo e della stessa transizione in corso sono quelli di regime di accumulazione e modo di regolazione. Il primo

indica l’insieme delle relazioni produttive e commerciali che consentono la continua produttività del capitale investito. Per modo di regolazione si vuole invece indicare l’insieme delle relazioni sociali e politiche che consentono la sostenibilità sociale di uno specifico modo di regolazione, evitando gli eccessi delle crisi sociali.

Nel caso del fordismo, il regime di accumulazione è dato da una serie di peculiarità: divisione del ciclo di produzione in lavorazioni elementari e ripetitive;

verticalizzazione di queste lavorazioni in una gerarchia rigida e la loro concentrazione in un unico luogo di lavoro

standardizzazione dei prodotti per uno o pochi mercati di massa.

Il modo di regolazione è costituito dall’organizzazione dello stato sociale (welfare state) che, garantendo il soddisfacimento dei bisogni essenziali, storna le minacce di conflitto sociale dal regime di accumulazione fordista. In questo contesto, il passaggio al post-fordismo è interpretato come un radicale cambiamento nelle relazioni produttive (regime di accumulazione) che rende inadeguate le relazioni sociali e politiche esistenti (modo di regolazione).

Accettando una visione semplificata del dibattito sviluppatosi negli ultimi quindici anni, è possibile sostenere che l’affermazione di un nuovo regime di accumulazione è generalmente identificato nelle seguenti fenomenologie:

formazione di reti transnazionali di imprese e conseguente radicamento dei nodi; crescita spettacolare dei flussi finanziari internazionali;

tendenziale specializzazione delle economie nazionali e regionali

maggior ruolo delle piccole e medie imprese (PMI) nella produzione e nell’innovazione; specializzazione di queste PMI in particolari segmenti del ciclo di produzione;

diversificazione dei prodotti per soddisfare mercati sempre più personalizzati, o addirittura nicchie di mercato.

Analogamente viene spesso sostenuto che anche il modo di regolazione deve adattarsi al nuovo regime di accumulazione: questa trasformazione è correntemente interpretata come un abbandono delle istituzioni proprie del welfare state, per abbracciare la concezione di uno Stato “snello” che, in qualche maniera, istituzionalizzi la riduzione delle protezioni sociali ed economiche per fare della flessibilità il principio organizzativo dell’intera società.

4.3 Radicamento e reti sociali

Il limite principale di questa interpretazione della dialettica fordismo/post-fordismo è la sua visione sottosocializzata del mondo economico e produttivo. Infatti, le relazioni sociali e politiche sono intese come funzionali al mantenimento di relazioni produttive che sono definite, a priori, dall’evoluzione propria del capitalismo, senza tenere sufficientemente conto delle peculiarità delle società e dei luoghi che esprimono tale organizzazione produttiva.

L’ipotesi che ha implicitamente attraversato queste pagine è che il successo di un sistema manifatturiero è fortemente dipendente da un fitto intreccio di relazioni, commerciali e personali, nelle quali la co-localizzazione sul medesimo territorio svolge un ruolo fondamentale per sfruttarne appieno le potenzialità.

Queste relazioni fortemente locali, comunque le si chiami (economie esterne, fattori discreti di localizzazione ecc.), comprendono tutti i campi della vita sociale, economica e politica: relazioni di

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fornitura, rapporti produttore-utilizzatore, formazione della forza-lavoro, rapporti con le istituzioni, continuità con la tradizione manifatturiera, ruolo delle conoscenze personali.

Il processo attraverso cui le relazioni locali si trasformano in conoscenze e informazioni è fondamentalmente quello dell’apprendimento: esse danno infatti origine a routines e interdipendenze le quali consentono ai diversi attori localizzati nel medesimo territorio di imparare a organizzare le proprie risorse e le proprie strategie in maniera tale da essere competitivi sui mercati internazionali. E’ per questo motivo che è risultato centrale il concetto di sistema locale manifatturiero. Infatti:

il termine sistema fa riferimento alla centralità delle relazioni, formali e informali, che connettono le diverse componenti superando le tradizionali dicotomie tra economico e sociale;

il riferimento al locale specifica che queste relazioni assumono un particolare significato in quanto profondamente radicate nei luoghi;

la specificazione manifatturiero indica la prospettiva da cui si è inteso osservare un sistema locale, il Torinese in particolare.

Questo schema di lettura non è ovviamente meccanicistico, nel senso che: non tutte le relazioni sono attive in ogni tempo e in ogni luogo;

non tutte si riflettono positivamente sull’organizzazione produttiva (esistono ovviamente relazioni locali che inibiscono la competitività delle imprese);

la trasformazione di tali relazioni in conoscenza e informazione può non essere automatica e, pertanto, richiedere l’intervento di istituzioni idonee;

la riproduzione e la trasformazione delle relazioni utili non è, anch’essa, un fatto meccanicistico: effetti di circolo virtuoso tra relazioni produttive e relazioni sociali non sono rari, ma, allo stesso tempo, non garantiscono la prosperità del sistema locale.

In questo senso, l’obiettivo è quello di interpretare il sistema manifatturiero torinese alla luce delle relazioni locali che vengono trasformate in vantaggio competitivo, così come di quelle che inibiscono il funzionamento della struttura produttiva. Ne consegue che il riferimento alla dialettica fordismo/post-fordismo deve essere riletto alla luce di questa prospettiva sul radicamento locale dei