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Chi ha paura di Rachilde?

II. III Rachilde e i discorsi dominanti della Parigi fin de siècle

II.III.I Rachilde e il discorso culturale sull'isteria tra degenerazione e fuga

II.III.I.I La maledizione dell'isteria

Secondo gli studi medici sull'ereditarietà di stampo darwiniano, Marguerite era destinata a rivivere i disturbi mentali della madre senza alcuna possibilità di scampo. Per di più, come abbiamo visto, Rachilde era nata con un piccolo difetto fisico per cui fin da bambina i suoi genitori si accorsero che ella aveva una gamba più lunga dell'altra. Questo dislivello del bacino comportava per la giovane un'andatura leggermente claudicante e, secondo la sua famiglia, tale disturbo le avrebbe impedito di condurre una vita normale e di trovare un marito. Inoltre, secondo gli studi sulla fisiognomica in voga durante la seconda metà dell'Ottocento, presi in considerazione nel capitolo precedente, ogni imperfezione fisica costituiva per lo studioso di medicina, psichiatria o criminologia, le cosiddette "stigmata of degeneration," vale a dire una serie di inequivocabili segni in grado di rivelare il grado di follia o di criminalità di chi ne fosse dotato. Jean-Martin Charcot, il direttore della clinica parigina La Sapêtrière, aveva dedicato alcuni studi a “le pied bot hystérique,”41 sospettando una connessione tra la zoppia e l'isteria, evocata dal fatto che le

contrazioni nervose di questo disturbo mentale ricordassero i sintomi della zoppaggine. Degno esemplare e oggetto degli studi pseudoscientifici sulla degenerazione, Rachilde sembrava incarnare i segni più evidenti del declino della razza: come nelle fotografie pubblicate dei libri di Lombroso o di Charcot, sul corpo della scrittrice sembrava già delineato, già scritto, un destino di malattia mentale e di emarginazione sociale.

L'infanzia della scrittrice fu dunque dominata da tristi presagi e da un senso generale di malattia e predestinazione alla follia: “Je n'ai jamais rien trouvé à louer dans cette fonction d'un

39 Cfr. Hawthorne, Rachilde and French Woman's Authorship, p. 202.

40 Pierre Pommarède, "Le Sol et le sang de Rachilde," Bulletin de la Société Historique et Archeologique du Périgord,

120.4, 1993, p. 816.

cerveau sans cesse obsédé d'images," ella ricorda in Dans le puits, “et j'en fus fatiguée, malade, jusqu'à vouloir mourir.”42 Fu nonostante i cupi pregiudizi della società il cui Rachilde era cresciuta

che ella trovò il modo di volgere a proprio vantaggio la sua forte sensibilità e la lieve zoppia che la affliggeva, eseguendo una svolta che le consentì di costruire proprio intorno alla sua disponibilità alla nevrosi e a questo piccolo handicap alcuni tra i fulcri della sua poetica.

Il tentativo rachildiano di fare della sua debolezza un punto di forza consente di inserire la poetica di questa scrittrice nelle dinamiche definite da Foucault “discorso dominante” e “discorso inverso,” alle quali abbiamo accennato anche nel paragrafo precedente: il discorso della scrittrice incarna perfettamente quel tentativo, messo in atto da pare delle minoranze, di costruire una discorso proprio e una serie di provocazioni all'interno di un discorso dominante, mettendo in piedi un discorso altro, detto “inverso,” alimentato di una serie di contraddizioni e compromessi con il discorso dominante, che tende a schiacciare il discorso nuovo all'interno del vecchio vocabolario. Vedremo in seguito come la scrittrice riuscirà anche a muoversi al di là dei limiti descritti da Foucault.

Di fronte alla diagnosi di isteria che la società abbatteva sul futuro della scrittrice, Rachilde rispose con una tale accettazione del proprio ruolo di isterica, da fare di questo la sua stessa bandiera e un vero e proprio biglietto da visita: ella approfittò di tale diagnosi per assumere atteggiamenti discordanti rispetto al sentire comune e pubblicò una serie di romanzi tanto scandalosi e inquietanti quanto solo una diagnosi di isteria avrebbe potuto consentire. Di fronte al senso di degenerazione che sembrava emanare dalla sua famiglia e che pareva dovesse macchiare il suo stesso futuro delle tinte più fosche, ella replicò con un'autodiagnosi di isteria e perversione sessuale. Rachilde seppe di fare dei limiti imposti sulla sua persona di donna borghese di fine Ottocento il punto di partenza per andare al di là di essi, rimanendo senz'altro intrappolata nelle strettoie che lei stessa e la sua riduzione a personaggio aveva contribuito ad imporle, ma allo stesso tempo portando a termine una amarissima denuncia delle pressioni che la cultura dei suoi anni imponeva sugli individui e spingendosi molto al di là delle rigide dicotomie di cui la società del suo tempo andava nutrendosi.

Emblema della donna isterica, Rachilde non si limita a rappresentare la malattia mentale femminile, ma soprattutto, attraverso gli strumenti dell'inversione e del paradosso, ella si cimenta nell'evidenziare i limiti che la diagnosi di isteria impone sulla figura umana, sia maschile che femminile. Giocando sulla facilità e sugli automatismi con i quali la cultura impone una serie di ruoli sociali agli individui, ella si diverte a far saltare le solide dicotomie legate a una netta distinzione dei generi sessuali, mostrando la misura in cui etichette come l'isteria o la perversione

non debbano essere macchinalmente associate ad un genere sessuale o all'altro, ma possano piuttosto essere condivise dai più differenti soggetti a seconda del temperamento, degli orientamenti sessuali, delle abitudini e delle esperienze personali. Evidenziando la fluidità con cui i disturbi della mente sono in grado di affliggere tanto gli uomini quanto le donne, Rachilde, la scrittrice dallo pseudonimo androgino, che, come vedremo successivamente in maniera più approfondita, nel suo corpo di donna si vantava di ospitare uno spirito maschile, scardina le supposizioni tradizionali che associavano gli atteggiamenti isterici unicamente alla femminilità e la perversione solamente al maschile. Ella dimostra così, attraverso le sue trame sconcertanti, quanto instabili siano le demarcazioni di genere e quanto tutte le associazioni tra le caratteristiche considerate “essenziali” dell'uomo e della donna siano in fondo legate a un semplice pregiudizio culturale.

Al di là della fortissima portata provocatoria e del tessuto di denuncia emanati dall'intera opera rachildiana, l'isteria sembra comunque costituire parte integrante della produzione artistica di questa scrittrice. La tendenza alla follia, che Marguerite aveva senza dubbio in parte ereditato dalla sua eccentrica madre, nella figlia viene però incanalata ed isolata nella figura spettrale di Rachilde e nella sua produzione onirica, sconnessa dalla realtà e orientata a vette di ideali totalmente sganciate dal mondo delle reali relazioni interpersonali. È come se il fantomatico personaggio di Rachilde e le sue opere allucinate e inquietanti avessero rappresentato per la giovane Marguerite quello che le storie poi inserite in Studies on Hysteria costituirono per Bertha Pappenheim: anche Marguerite, come "Anna O.," grazie alla sua fervida attività di storytelling, riuscì a scongiurare la caduta nella follia, epilogo al quale fu invece consegnata sua madre. Quest'ultima, invece di coltivare il proprio talento di violinista, dopo il matrimonio che seguì la sua esibizione a corte, si ripiegò su sé stessa consegnandosi alla dimensione autoreferenziale del sogno. In Le Parc du mystère Rachilde ricorda come il dottor Antoine Ritti, direttore del manicomio di Charenton, che ebbe in cura sua madre Gabrielle per alcuni anni, sempre con scarsissimi risultati, rivolse invece alla figlia importanti parole di rassicurazione:

Il aimait à causer avec moi, un ignorant, parce qu'il aimait ma littérature outancière qui lui paraissait, selon ses propres expressions: comme le miroir 'concave' du cerveu de ma mère, miroir 'convèxe' où se reflétait tout en plaies et bosses:

– Votre mère exagère, me disait-il jovialement, et vous exagérez dans l'autre sens. Ce qui vous préservera de mes cabanons c'est que vous pouvez écrire.43

Fu dunque la scrittura a salvaguardare Rachilde dalla caduta nella follia che invece afflisse irreparabilmente sua madre: quella di Marguerite è senza dubbio una scrittura terapeutica, in grado

di trasformare i sintomi dell'isteria in una produzione artistica autonoma e consapevole, e in cui prendono forma anche una serie di ulteriori sublimazioni: la moda dello spiritismo diventa nei testi rachildiani un'autorizzazione a prendere in mano una vera e propria carriera di scrittrice e le superstizioni locali si fanno occasioni privilegiate per esplorare nuove possibilità e rifuggire i limiti degli orizzonti borghesi.