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Modifica della formulazione del criterio 1

rendono molto difficile, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati, l'individualizzazione del

1. Modifica della formulazione del criterio 1

c) eliminazione di automatismi che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati l'individualizzazione del trattamento rieducativo, anche a seguito di revoca di benefici penitenziari, secondo i

principi di ragionevolezza, uguaglianza e finalizzazione rieducativa della pena; rimozione di generalizzati sbarramenti preclusivi all’accesso ai benefici al fine di conformare l’esecuzione penale all’evoluzione della personalità del condannato ed alla concreta pericolosità sociale, riservando percorsi differenziati ai soli condannati per reati di matrice mafiosa e terroristica in presenza di perduranti collegamenti con le organizzazioni criminali di riferimento; revisione

della disciplina di preclusione dei benefìci penitenziari per i condannati alla pena dell'ergastolo per reati di matrice mafiosa e terroristica individuando nella prova positiva della

dissociazione il superamento della presunzione relativa di pericolosità;

2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio

L’attuazione delle delega dovrebbe rispondere all’esigenza di una completa revisione del sistema del ‘doppio binario’ introdotto con il d.l. 306/92, con riferimento particolare all'art. 4 bis o.p., nell’ottica di una riaffermazione del principio di individualizzazione del trattamento la cui piena applicazione deve rimanere affidata, nel merito, alla magistratura di sorveglianza.

Pur senza l’abolizione del tutto dell’art. 4 bis o.p. (nodo centrale di tutto il sistema delle preclusioni) la delega dovrebbe comportarne una rivisitazione secondo linee razionali che ne recuperino la coerenza e la compatibilità con il diritto penitenziario della rieducazione, ispirate a criteri di ragionevolezza ed uguaglianza (che ad esempio escluda dal catalogo dei reati alcune ipotesi, via via introdotte nel corso degli anni, che non hanno più alcuna ragione d’esservi).

L’eliminazione di automatismi e preclusioni impone altresì una sostanziale abrogazione dell’art. 58 quater o.p. (divieto di concessione di benefici in caso di revoca di benefici precedentemente concessi o di commissione di alcuni reati), così come la definitiva abolizione della preclusione alla detenzione domiciliare per i condannati per i reati di cui all’art. 4 bis o.p. (art. 47 ter co. 1 bis o.p.), che già possono usufruire del ben più ampio beneficio dell’affidamento in prova.

In materia di ergastolo la delega dovrebbe essere esercitata con l’eliminazione delle ipotesi di c.d. ergastolo “ostativo”, anche attraverso l’affrancamento della liberazione condizionale dalle preclusioni penitenziarie nonché l’espunzione (anche per i condannati a pene temporanee) dall’ordinamento penitenziario della ‘collaborazione’ quale requisito per l’accesso ai benefici (art. 58 ter o.p.) imponendo viceversa quale unica condizione di ammissibilità, oltre al fattore temporale, la prova positiva della dissociazione.

CLAUDIA CESARI

Contributo di

Claudia Cesari

Professore ordinario di Procedura penale Università di Macerata

SOMMARIO: 1. Modifica della formulazione del criterio direttivo –– 2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio.

1. Modifica della formulazione del criterio direttivo.

Nessuna osservazione.

2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio.

Il criterio direttivo, ampiamente condivisibile nella logica di fondo che lo ispi- ra, potrebbe essere applicato rimuovendo dal sistema le clausole che irrigidiscono il ricorso alle misure alternative, impedendolo in forza di astratte presunzioni di perico- losità del condannato, fondate sui suoi precedenti o sulla tipologia di illecito di cui si è reso responsabile. Un terreno elettivo sul quale questa operazione di “ecologia norma- tiva” è agevolmente applicabile è quello dell’art. 58 quater ord.penit., che costituisce una delle norme cardine del disegno legislativo che ha progressivamente messo il si- stema di esecuzione delle sanzioni criminali sul binario dello sforzo repressivo a disca- pito delle logiche di recupero e risocializzazione sulle quali si fonda invece la finalità della pena nel dettato costituzionale.

Si segnala, in questa prospettiva, il comma 7bis dell’art. 58 quater ord.penit., frutto

dell’interpolazione operata dalla l. 251/05 e chiaramente emblematico della filosofia restrittiva che ne caratterizza l’impianto complessivo. La previsione contempla, infatti, lo speciale divieto di concedere più di una volta l’affidamento in prova ex art. 47 ord. penit., la detenzione domiciliare e la semilibertà al condannato cui sia stata applicata la recidiva reiterata ai sensi dell’art. 99 comma 4 c.p., come riformato dal medesimo provvedimento legislativo. Il c.d. recidivo “reiterato”, in tal modo, viene considerato portatore di un elevato tasso di pericolosità presunta, anche a prescindere dalla gravità dei reati che abbia commesso, incontrando nella fruizione dei benefici penitenziari bar- riere insormontabili ed insensibili all’evoluzione personale promossa dal trattamento e connaturata alla funzione rieducativa della pena. Si tratta, peraltro, di uno sbarramento della cui ragionevolezza e compatibilità con l’art. 27 Cost. si può assai fondatamente dubitare, giacché la preclusione opera in maniera indiscriminata nei confronti dei con- dannati con simili caratteristiche, anche a distanza di tempo dalla condanna, indipen- dentemente dalla condotta tenuta in fase di esecuzione e persino con riferimento a reati non gravi, risultando di fatto più rigida persino di quelle contemplate dall’art. 4-bis ord.penit., che sono almeno limitate a reati gravissimi e sono passibili, a determinate condizioni, di superamento. La clausola, del resto, appare oggi obsoleta, alla luce del

mutato quadro normativo, nel quale già si registra, almeno in parte, il superamento del disegno repressivo della l. 251/05, proprio con riferimento alla figura dei condannati recidivi reiterati. Con il d.l. 1 luglio 2013 n. 78, conv. l. 9 agosto 2013 n. 94, infatti, il le- gislatore ha già ridimensionato nel sistema il peso di limiti e preclusioni collegati alla recidiva ex art. 99 co. 4° c.p., eliminandoli dalla trama normativa di più di un istituto (si vedano gli artt. 656 co. 9° lett. c c.p.p., 47-ter co. 1.1 e 1-bis, 50-bis). In questa prospetti- va, a dire il vero, l’art. 2 lett. d d.l. 78/13 conteneva un’esplicita clausola soppressiva proprio dell’art. 58 quater co. 7°-bis ord.penit. Nella legge di conversione, tuttavia, il legislatore ha ripristinato la clausola, che ha ripreso così il suo posto in un sistema, pe- rò, profondamente mutato, nel quale la recidiva reiterata ha perso molto del suo rilievo come indicatore presuntivo di pericolosità e risultano, perciò, solo aggravati i profili di irragionevolezza di preclusioni superstiti. La direttiva in esame potrebbe ora offrire l’occasione per il recupero di questa opzione abrogativa, che risulterebbe agevole, do- verosa e perfettamente coerente con la fisionomia che il sistema ha già assunto di re- cente e nel quale logiche preclusive irrazionali ed evocative di un sistema penale del “tipo d’autore” stanno via via svanendo.

Alla logica di “sfrondamento” del sistema da istituti irragionevolmente preclusivi per tipologia di reato o d’autore risponderebbe anche l’abrogazione dell’art. 58 quater comma 4 ord.penit. Il disposto esclude i condannati per sequestro di persona a scopo di terrorismo o di estorsione che abbiano cagionato la morte del sequestrato da tutti i benefici indicati nell’articolo 4-bis comma 1 ord.penit., prima dell’espiazione effettiva (quindi, a prescindere dall’effetto della riduzione di pena) di almeno due terzi della pena irrogata o, nel caso dell’ergastolo, di almeno ventisei anni. Indifferente ai possibili cambiamenti nella personalità di un condannato, benché nel contesto di un periodo detentivo particolarmente lungo, come quello riferibile alle fattispecie contemplate, il disposto reca una preclusione rigida, nega ogni logica trattamentale ed è animato da una filosofia retributiva che autorizza a metterne seriamente in dubbio la legittimità costituzionale. Alla luce del criterio in esame, si tratta di clausola che andrebbe sempli- cemente espunta dal sistema.

Stesso destino dovrebbe riservarsi, alla luce del criterio in esame, ai commi da 5 a 7 dell’art. 58 quater ord.penit., ove sono contemplate due specifiche fattispecie preclusive, che fanno scattare ope legis, per i condannati per uno dei delitti di cui all’art. 4-bis com- mi 1, 1 ter e 1 quater ord.penit., il divieto di concessione dei benefici penitenziari, non- ché la revoca di quelli in precedenza loro concessi. Anche in questo caso si è di fronte a conseguenze preclusive automatiche, di durata fissa e predeterminata, indipendenti da qualsivoglia concreto giudizio di pericolosità ed insensibili agli eventuali progressi trattamentali. Caratteristiche, queste, che vanno a correlarsi, di nuovo, all’individuazione di una categoria predeterminata di condannati, per i quali una pre- sunzione di pericolosità (id est, di inidoneità temporanea alla fruizione di benefici) ope- ra, in presenza degli indicatori stabiliti dalla norma, anche quando attuali collegamenti con la criminalità organizzata siano stati esclusi. Peraltro, le figure di condannati cui ricondurre le preclusioni sono collegate all’art. 4 bis ord.penit., sicché, dovendo anche tale norma essere presumibilmente soggetta a radicale rivisitazione in forza del criterio

CLAUDIA CESARI

direttivo in esame, va da sé che la clausola qui ricordata perderebbe di senso nel nuovo assetto ed andrebbe superata nel sistema ridisegnato in base alla delega.

Contributo di

Angela Della Bella Ricercatrice di diritto penale Università degli Studi di Milano

SOMMARIO: 1. Modifica della formulazione del criterio direttivo –– 2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio.

1. Modifica della formulazione del criterio direttivo

Nessuna osservazione.

2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio. Il parziale smantellamento delle preclusioni a carico dei recidivi con il d.l. 78/2013.

Come noto, con la l. 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. ex Cirielli) si è introdotta nell’ordinamento – sia sul piano del diritto penale, sia, soprattutto, su quello del diritto penitenziario – una disciplina di rigore a carico dei recidivi reiterati sulla base di una presunzione assoluta di pericolosità sociale di coloro che sono stati condannati per la terza volta per un delitto non colposo.

Nonostante la dottrina abbia persuasivamente messo in discussione la ragionevolezza di siffatta presunzione e la sua compatibilità con i principi costituzionali che regolano l’esecuzione della pena e nonostante che ricerche empiriche, anche internazionali, abbiano dimostrato come l’esecuzione intra-muraria non rappresenti affatto una cura adeguata al problema del recidivismo, il nostro sistema ha sino ad ora mantenuto la disciplina di rigore

Con il d.l. 78/2013, per la prima volta, il legislatore ha fatto un passo indietro, smantellando, seppur parzialmente, questo sistema di preclusioni Come si legge nella Relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del decreto legge, tale scelta è stata dettata dalla constatazione della scarsa significatività, in termini di difesa

sociale, della presunzione assoluta di pericolosità a carico di questa categoria di condannati: una

novità che la dottrina ha salutato con grande favore, nella speranza che fosse espressione di un’inversione di tendenza, in grado di ricomporre la frattura con i principi costituzionali e presumibilmente anche di produrre qualche effetto sul piano pratico, stante il numero non indifferente dei condannati plurirecidivi che sono detenuti nei nostri istituti penitenziari.

In particolare, con il d.l. 78 si è:

- soppresso il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione delle condanne a pena detenti- va di cui all’art. 656, co. 5, c.p.p., che era stabilito appunto nei confronti dei recidivi rei- terati;

ANGELA DELLA BELLA

- abrogato l’art. 50 bis o.p., che limitava fortemente l’accesso alla semilibertà per i recidi- vi reiterati, prevedendo che la misura, a prescindere dall’entità della pena inflitta, po- tesse essere concessa solo dopo l’espiazione dei due terzi della pena, ed addirittura dei tre quarti, nel caso in cui la condanna riguardasse uno dei reati di cui all’art. 4 bis. A seguito dell’abrogazione di questa disposizione, i recidivi reiterati possono accedere alla semilibertà alle stesse condizioni degli altri condannati;

- abrogato il co. 1.1 dell’art. 47 ter o.p., che limitava l’accesso dei recidivi reiterati alla

detenzione domiciliare ‘tradizionale’ (ossia quella disciplinata nel co. 1 dell’art. 47 ter e ri-

servata alla donna incinta o con prole inferiore ad anni 10 o al padre esercente la pote- stà, nel caso in cui la madre sia impossibilitata a dare assistenza ai figli; alla persona in condizioni di salute particolarmente gravi; alla persona di età superiore a sessanta an- ni, se parzialmente inabile; al minore di 21 anni per ragioni di studio o lavoro), preve- dendone la fruibilità solo qualora la pena detentiva loro inflitta non fosse superiore ai tre anni (anziché quattro, come gli altri condannati). A seguito dell’abrogazione di que- sta disposizione, i recidivi reiterati possono accedere alla detenzione domiciliare tradi- zionale alle stesse condizioni degli altri condannati;

- modificato il co. 1 bis dell’art. 47 ter o.p., che precludeva ai recidivi reiterati l’accesso alla detenzione domiciliare infra-biennale (ossia quella indirizzata ai condannati con pena inferiore a due anni, nei casi in cui, non sussistendo i presupposti per l’affidamento in prova, si ritenga idonea a prevenire il pericolo di commissione di reati). A seguito dell’abrogazione di questa disposizione, i recidivi reiterati possono accedere alla de- tenzione domiciliare infra-biennale alle stesse condizioni degli altri condannati;

2.1. Le preclusioni residue e le motivazioni della proposta

Il processo di eliminazione delle preclusioni a carico del recidivo reiterato, intrapreso con il d.l. 78/2013, non è stato però portato a conclusione, con l’effetto che l’attuale disciplina si connota per un evidente profilo di irragionevolezza. Residuano infatti alcune preclusioni, della cui costituzionalità è dato fortemente dubitare.

1) Il primo e forse più evidente profilo di irragionevolezza si incontra nella disciplina della detenzione domiciliare: in questo ambito, per effetto delle modifiche prima segnalate, si è fortemente ridimensionata la disciplina di sfavore per il recidivo reiterato, che ora può aspirare alla concessione della misura alternativa in una condizione di quasi totali parità rispetto agli altri.

Da questo processo di eliminazione delle preclusioni è rimasta però inspiegabilmente esclusa la detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni, di cui all’art. 47

ter, co. 01, che è ancora del tutto inaccessibile al recidivo reiterato. La mancata

abolizione della preclusione contenuta nel co. 01 non trova a nostro avviso alcuna ragionevole spiegazione, se non quella di una dimenticanza del legislatore ed è oggi esposta ad una probabile censura di incostituzionalità, per violazione dell’art. 3 Cost.

2) La mancanza di coerenza del sistema si manifesta poi, in secondo luogo, nella conservazione dell’art. 30 quater o.p., norma che prevede una disciplina di rigore per il recidivo reiterato, consentendo l’accesso al beneficio dei permessi premio solo dopo l’espiazione di un periodo di pena molto più consistente rispetto a quello previsto nell’art. 30 ter per gli altri condannati.

La disposizione (soppressa con il d.l. 146/2013, ma poi reintrodotta in sede di conversione) presenta diversi profili di incostituzionalità. Innanzitutto – come già evidenziato in passato dalla dottrina – in relazione al principio della rieducazione del condannato: i permessi premio rappresentano, infatti, un prezioso strumento nell’ottica del reinserimento progressivo del condannato nella società, costituendo una prima e circoscritta occasione di responsabilizzazione del condannato. Il limitato accesso a questo beneficio da parte dei recidivi reiterati, rendendo più difficoltoso il percorso di reinserimento sociale, sacrifica il finalismo rieducativo della pena a vantaggio di una neutralizzazione del condannato di breve periodo, e perciò ineluttabilmente miope.

A questo profilo di incostituzionalità deve aggiungersene poi uno ulteriore derivante dal contrasto con l’art. 3 Cost., per l’irragionevolezza della conservazione di questa disposizione a fronte dello smantellamento delle preclusioni relative a misure che presuppongono uno spazio di libertà ben più ampio (si pensi ad esempio all’abrogazione dell’art. 50 bis, in materia di semilibertà): è evidente l’irrazionalità di un sistema che preclude al recidivo reiterato l’accesso ai permessi premio, ma che gli consente invece l’accesso alla semilibertà alle stesse condizioni degli altri condannati.

3) Una terza disposizione su cui si ritiene necessario portare l’attenzione è l’art. 58 quater, co. 7 bis (anche esso soppresso, come il 30 quater, dal d.l. 146/2013, ma poi ripristinato in sede di conversione del decreto), che contiene il divieto di concessione di

benefici (ossia delle misure alternative dell’affidamento in prova, della detenzione

domiciliare e della semilibertà) per più di una volta ai condannati cui sia stata applicata la recidiva reiterata. È questa una norma gravata da forti dubbi di costituzionalità, poiché – nonostante le letture restrittive della giurisprudenza ed anche della Corte costituzionale – l’assolutezza del divieto in essa contenuto è tale da costituire una barriera insormontabile al percorso risocializzativo del condannato. Si pensi che, per effetto dell’applicazione di questo divieto, il recidivo reiterato subisce un trattamento ancor più rigoroso di quello riservato ai condannati per reati all’art. 4 bis o.p. dall’art. 58 quater, co. 5: nei confronti di questi ultimi infatti l’ordinamento vieta la fruizione dei benefici per un periodo di cinque anni, per i recidivi reiterati, invece, il divieto è assoluto e privo di limiti cronologici.

Eliminando tale preclusione si restituirebbe al tribunale di sorveglianza il potere di

valutare discrezionalmente l’opportunità di concedere una nuova misura alternativa al

recidivo reiterato.

4) Ancora è da considerare l’art. 176 co. 2 c.p. che prevede che “se si tratta di recidivo, nei casi preveduti dai capoversi dell'articolo 99, il condannato, per essere ammesso alla liberazione condizionale, deve avere scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre quarti della pena inflittagli”.

ANGELA DELLA BELLA

Come per l’art. 30 quater, anche in questo caso la norma contempla una diversa soglia di accesso alla misura per il recidivo reiterato con un intento meramente repressivo, che non pare realizzare effetti di prevenzione che vadano al di là della mera neutralizzazione per il tempo della più prolungata carcerazione.

Si osservi tra l’altro l’ulteriore incongruenza derivante dal fatto che l’art. 176 co. 2, a differenza degli artt. 30 quater, 47 ter co. 01 e 58 quater non fa riferimento alla recidiva “applicata”, prescindendo pertanto dal fatto che essa abbia avuto un’effettiva incidenza sulla determinazione della pena: da ciò la conclusione della giurisprudenza secondo cui le limitazioni di cui all’art. 176, co. 2, c.p. operano anche quando la recidiva, dichiarata dal giudice, sia stata oggetto del giudizio di bilanciamento con circostanze attenuanti e non abbia comportato un aumento di pena.

Considerando nell’insieme gli interventi normativi operati, in questo recente passato, sulla disciplina penitenziaria di rigore a carico del recidivo reiterato, il risultato lascia perplessi: ad una disciplina presumibilmente incostituzionale, ma dotata di una sua coerenza interna, si è ora sostituita una disciplina ‘a macchia di leopardo’. Quale è la ragione per la quale il recidivo reiterato, che può accedere alle varie forme di detenzione domiciliare alle stesse condizioni degli altri condannati, non può essere ammesso alla detenzione domiciliare per l’ultrasettantenne? E perché il venir meno della disciplina di sfavore, che ha interessato la detenzione domiciliare e la semilibertà, non ha invece toccato i permessi premio? Ed ancora, perché si è conservato a carico del recidivo reiterato il divieto di fruire per più di una volta delle misure alternative?

E’ evidente che il recidivo reiterato cui venga applicata una delle norme di sfavore che abbiamo più sopra elencate ha buon gioco oggi, ancora più che in passato, a sollevare una questione di incostituzionalità: ai dubbi, già prima esistenti, relativi al dubbio fondamento della presunzione di pericolosità (art. 3 Cost.) ed all’incompatibilità con il principio della rieducazione (art. 27, co. 3, Cost.), si affianca ora il dubbio di ragionevolezza (ancora art. 3 Cost.), derivante appunto dal suo solo parziale ‘smantellamento’.

La soluzione a nostro avviso non può che individuarsi nella totale eliminazione delle preclusioni a carico dei recidivi reiterati. Deve infatti considerarsi che la politica della differenziazione del trattamento di questa categoria di condannati, introdotta con la legge ex-Cirielli – che ha determinato una incarcerazione massiccia dei recidivi (come ben emerge dalle statistiche penitenziarie) – si fonda su due assunti che ci paiono fallaci.

Il primo è che i recidivi reiterati sono tutti socialmente pericolosi: alla base delle preclusioni vi è infatti una presunzione assoluta di pericolosità, che è però priva di fondamento empirico e che, proprio per la sua assolutezza, deve ritenersi irragionevole. Ciò del resto è stato già riconosciuto in sede governativa (cfr. la già citata Relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del decreto legge 78/2013), che ha parlato di una scarsa significatività, in termini di difesa sociale, della presunzione assoluta di pericolosità a carico di recidivi reiterati.

Il secondo è che solo il carcere può proteggere la società da questi soggetti. Come il primo, anche questo secondo assunto non è supportato da evidenze empiriche:

anzi, un numero sempre più cospicuo di ricerche nazionali ed internazionali dimostrano il contrario, e cioè che la pena detentiva eseguita in forma chiusa produce più recidiva rispetto ad una pena detentiva progressivamente aperta verso l’esterno o rispetto a forme totalmente alternative di esecuzione della pena.

All’esito di tale riflessione si ritiene pertanto opportuno eliminare dall’ordinamento gli automatismi indicati. Occorre a questo punto una precisazione,

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