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Suggerimenti per l’attuazione del criterio: generalità.

La semplificazione delle procedure di sorveglianza ha già trovato ampia realizzazione mediante l’intervento operato dal legislatore con il decreto legge n. 146/2013, convertito nella legge n. 10 del 2014, che ha operato sull’art. 678 del codice di procedura penale, norma generale che disciplina il procedimento di sorveglianza, riservando al comma 1 le materie per le quali si procede con la più garantita procedura di cui all’art. 666 del codice procedura penale, e dedicando il nuovo comma 1 bis alle materie di competenza del tribunale (riabilitazione e valutazione sull’esito dell’affidamento in prova al servizio sociale, anche in casi particolari) e del magistrato di sorveglianza (rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie, remissione del debito, esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata), per le quali ha esteso la più snella e semplificata procedura di cui all’art. 667 comma 4 del codice di procedura penale (ordinanza emessa senza formalità, comunicata al pubblico ministero e notificata all’interessato, i quali, unitamente al difensore, possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice, a pena di decadenza, entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell’ordinanza; in tal caso si procede a norma dell’art. 666 per la garanzia del necessario contraddittorio).

L’intervento ha interessato altresì l’art. 51 bis dell’ordinamento penitenziario, avente ad oggetto la sopravvenienza di nuovi titoli esecutivi nel corso dell’esecuzione di una misura alternative alla detenzione e ne ha sostituito integralmente il contenuto concentrando il potere/dovere d’informazione della sopravvenienza del nuovo titolo esecutivo al magistrato di sorveglianza -, nell’originaria formulazione ascritto al direttore dell’istituto penitenziario o al direttore del centro di servizio sociale, oggi denominato ufficio di esecuzione penale esterna - sul pubblico ministero; il magistrato di sorveglianza decide con ordinanza de plano sulla permanenza delle condizioni di legittimità e di merito che hanno giustificato l’adozione della misura disponendone la

prosecuzione o la cessazione; avverso l’ordinanza è proponibile reclamo ai sensi dell’art. 69 - bis.

Le procedure semplificate suddette hanno avuto un indubbio successo pratico, così come la procedura semplificata di cui all’art. 69 - bis della legge n. 354/1975 introdotta dal legislatore del 2002 per la definizione delle istanze di liberazione anticipata, in quanto, oltre a sgravare l’organo collegiale di un carico significativo, hanno consentito di definire celermente un numero di procedimenti notevolmente superiore rispetto al passato.

2.1. Il differimento obbligatorio dell’esecuzione della pena ex l’art. 146 comma 1 n. 1) e 2) c.p.

Sulla stessa scia sarebbe opportuno prevedere una procedura semplificata anche per la decisione sul differimento obbligatorio dell’esecuzione della pena disciplinato dall’art. 146 c.p., limitatamente alle ipotesi di cui ai numeri sub 1) e 2), quando cioè l’esecuzione della pena deve aver luogo nei confronti di donna incinta o nei confronti di madre di prole di età inferiore ad anni uno.

Accertata infatti la sussistenza di una delle condizioni predette, non residua alcuna discrezionalità nel giudizio, se non nella decisione in ordine all’applicazione del rinvio nelle forme della detenzione domiciliare ex art, 47 ter co. 1 ter O.P., (misura che il legislatore non ha ancorato ad alcun parametro e che, nella prassi giudiziaria, viene applicata sia per esigenze di prevenzione sia anche nell’interesse dello stesso condannato, che avrà la possibilità in questo modo di eseguire la pena con modalità meno afflittive ed eventualmente maturare il quantum di pena necessario per l’accesso, in seguito, ad altri benefici) ed il differimento dell’esecuzione della pena deve essere necessariamente disposto.

L’attuale procedura prevede il giudizio in via provvisoria da parte del Magistrato di Sorveglianza ex art. 684 comma 2 c.p.p. e la decisione definitiva da parte del Tribunale di Sorveglianza, da assumere in camera di consiglio ex art. 678 c.p.p.. Orbene, trattandosi di un giudizio meramente ricognitivo in ordine alla sussistenza delle condizioni previste dalla legge (stato di gravidanza, prole di età inferiore ad un anno), la fissazione di un’udienza davanti al Tribunale non è necessaria e comporta un inutile dispendio di tempo e di risorse.

Sarebbe dunque opportuna, anche in questo caso, l’adozione dello stesso procedimento individuato dal legislatore per la decisione sull’istanza di concessione della liberazione anticipata, procedimento disciplinato dall’art. 69 bis O.P., il quale prevede l’ordinanza emessa dal Magistrato di Sorveglianza, reclamabile davanti al Tribunale.

La soluzione proposta comporterebbe la conseguente modifica dell’art. 684 c.p.p., dal quale dovrebbero essere espunte le ipotesi di cui all’art. 146 n. 1) e 2) c.p., e dell’art. 69 bis O.P., da integrare con le ipotesi medesime.

MARIA GASPARI

2.3. La liberazione condizionale.

Un ulteriore intervento, opportuno nell’ottica della semplificazione delle procedure di sorveglianza, potrebbe riguardare la liberazione condizionale.

Il suddetto beneficio, al quale solo di recente la giurisprudenza di legittimità ha definitivamente riconosciuto la natura di misura alternativa alla detenzione, trova la sua disciplina nel codice penale (artt. 176 e 177) e nel codice di procedura penale (artt. 682); le preclusioni introdotte dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario sono applicate anche per la concessione della liberazione condizionale in forza delle disposizioni contenute nel D.L. n. 152/1992; per il resto, la legge di ordinamento penitenziario non si occupa della liberazione condizionale, tant’è che il beneficio della liberazione anticipata non è espressamente previsto per i condannati ammessi alla liberazione condizionale ed è stato ad essi riconosciuto solo in via giurisprudenziale (Cass. Pen . sez. I, n. 3852/2008 e n.17343/2009), né è disciplinato il procedimento per la prosecuzione o cessazione della misura, in caso di sopravvenienza di nuovo titolo, in relazione al quale si applica l’art. 51 bis O.P. solo in via analogica a seguito della sentenza Cass. Pen. Sez. I n. 39854/2012.

Ciò è probabilmente avvenuto in quanto, come già evidenziato, solo di recente è stata riconosciuta alla liberazione condizionale la natura di misura alternativa alla detenzione e, perciò, solo di recente sono emerse le lacune suddette.

A ben vedere, pertanto, nella materia di cui si tratta, non è tanto un problema di semplificazione della procedura, quanto un problema di regolamentazione della procedura che presenta, con specifico riferimento alla liberazione condizionale, un vuoto di disciplina, sia con riferimento alla suddetta sopravvenienza di un nuovo titolo esecutivo (ed il problema è particolarmente avvertito per i collaboratori di giustizia) sia con riferimento al giudizio sull’estinzione della pena, una volta decorso il tempo della pena inflitta, ovvero i cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, di competenza del tribunale di sorveglianza ai sensi dell’art. 236 disp. coord. c.p.p.

L’assenza di disciplina nella materia comporta incertezza nell’applicazione in concreto e soluzioni giurisprudenziali diverse e non sempre le più semplici.

Il vuoto suddetto potrebbe dunque essere colmato attraverso la espressa previsione nell’art. 51 bis o. p. (sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà) anche della misura in oggetto e mediante l’introduzione, tra le ipotesi di procedimento semplificato davanti al Tribunale di Sorveglianze contemplate nell’art. 678 co. 1 bis o.p., della valutazione sull’esito della liberazione condizionale.

Contributo di

Patrizio Gonnella 1 Associazione Antigone

SOMMARIO: 1. Modifica della formulazione del criterio di delega. – 2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio

1. Modifica della formulazione del criterio direttivo.

Alla lettera a), prima della parola “revoca”, inserire le seguenti: “concessione e alla”;

Si amplia l’eccezione alla semplificazione delle procedure, inserendo anche il riferimento alla concessione delle misure alternative alla detenzione.

2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio.

Nessuna osservazione.

STEFANO GRILLO

Contributo di

Stefano Grillo

Magistrato di Sorveglianza

SOMMARIO: 1. Modifica della formulazione del criterio direttivo. – 2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio.

1. Modifica della formulazione del criterio direttivo.

Merita di essere evidenziata, innanzitutto, la discrasia fra il contenuto della relazione accompagnatoria del d.d.l., Analisi tecnico – normativa, e il contenuto dell’art. 26 del d.d.l. stesso, la prima escludendo dalla “semplificazione” i procedimenti di applicazione e revoca delle misure alternative alla detenzione, laddove il testo dell’articolo esclude solo le ipotesi di revoca.

Non sembra ragionevole che l’attuale modello procedimentale sia considerato irrinunciabile per la revoca delle misure alternative e non anche per la loro concessione, costituendo quest’ultimo momento decisionale di pari e forse maggiore delicatezza e che involge con evidenza saperi diversi e specifiche professionalità, trattandosi di valutare la personalità del soggetto e il suo equilibrio psicologico e psichico, nonché le esigenze di cura e di recupero rispetto a problematiche di dipendenza ed anche a problemi di salute fisica.

L’immediatezza del contradditorio appare fondamentale per l’uno come per l’altro giudizio e costituisce caratteristica essenziale della giurisdizione rieducativa, oltre ad apparire indispensabile ogni qual volta s’imponga il ricorso a strumenti istruttori di tipo tecnico quali la perizia (medica, psichiatrica, criminologica).

La soluzione ipotizzata, di un maggior ricorso al rito camerale e a contraddittorio differito, muove inoltre nella direzione opposta a quella indicata dalla Corte EDU e dalla stessa Corte costituzionale in materia di pubblicità dell’udienza anche nella fase dell’esecuzione penale (v. Corte Cost., sent. n. 135/2014).

Se poi la semplificazione dovesse passare attraverso un trasferimento di competenze di prima istanza dal Tribunale al Magistrato di sorveglianza, non solo risulterebbero viepiù compromesse le esigenze sopra evidenziate, ma si correrebbe altresì il rischio di incentivare un atteggiamento di particolare prudenza da parte dell’organo monocratico, derivante anche dall’impoverimento degli elementi di giudizio, con il duplice indesiderato risultato di ridurre, anziché ampliare, il ricorso alle misure alternative e di riversare un ampio contenzioso sulla fase successiva (del contraddittorio differito).

Considerazioni non diverse valgono per le altre materie oggi trattate dal Tribunale e dal Magistrato di sorveglianza con il rito di cui all’art. 678 c.p.p. (che dovrebbe essere mantenuto, al pari delle attuali competenze): misure di sicurezza, differimenti dell’esecuzione della pena, accertamento della collaborazione con la giustizia, accertamento dello stato psichico ai fini dell’art. 148 c.p., impugnazioni di

competenza del Tribunale e reclami giurisdizionali al Magistrato ai sensi dell’art.35 bis o.p.

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