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Modifica della formulazione del criterio direttivo: per un rilancio della vocazione risocializzativa delle misure alternative.

con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse;

1. Modifica della formulazione del criterio direttivo: per un rilancio della vocazione risocializzativa delle misure alternative.

progressività. – 2.1. Mutilazioni e rettifiche non evitabili.

1. Modifica della formulazione del criterio direttivo: per un rilancio della vocazione risocializzativa delle misure alternative.

La formulazione del criterio, come indicata, pare volta, tuttora, a suggerire un impiego delle misure alternative in chiave meramente deflativa (… “al fine di facilitare il ricorso ad esse”). Risulta preferibile sganciarsi dalla loro acquisita funzione marcatamente sostitutiva della pena detentiva e accentuarne la proiezione risocializzativa, in adempimento del precetto costituzionale (art. 27 comma 3 Cost.), autentica matrice delle alternative penitenziarie.

Si propone perciò la seguente diversa formulazione: “revisione dei presupposti di applicazione delle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento ai limiti di pena al fine di definire un percorso trattamentale progressivo che favorisca il recupero sociale del condannato.”.

La proposta di riformulazione del criterio muove in raccordo con la progettata (parziale) riforma dell’assetto sanzionatorio di cui alla l. n. 67 del 2014 (Delega in materia di pene detentive non carcerarie e delega per la riforma della disciplina sanzionatoria) nonché con gli istituti di deflazione anche processuale sia già attuati (messa alla prova dell’imputato adulto; non punibilità per speciale tenuità del fatto) sia contemplati dalla presente legge delega (condotte riparatorie: artt. 162-ter e 649-bis c.p.) e tiene presente gli ulteriori criteri direttivi sub c, d, e.

In particolare e anzitutto, le modifiche attese sul piano sanzionatorio preludono a una riduzione dell’area applicativa della pena carceraria: in questo senso valgono l’arricchimento della tipologia sanzionatoria mediante le nuove fattispecie della reclusione e dell’arresto domiciliari (quali pene principali) nonché sia la sostituzione ex

lege con arresto e reclusione domiciliari per reati per i quali è prevista la pena

(rispettivamente dell’arresto e della reclusione) non superiore al massimo a tre anni; sia la sostituzione facoltativa con la pena della reclusione domiciliare per delitti per i quali è prevista la pena della reclusione tra i tre e i cinque anni. Se si è correttamente interpretato, il richiamo all’art. 278 c.p.p. comporta l’operatività dei criteri, ivi stabiliti, ai fini della determinazione della pena prevista, solamente quale parametro e agli effetti

della sostituzione; al riguardo, così come a fini cautelari, conta la pena edittalmente

stabilita, assunta a indice della gravità del reato (fatto), con esclusione dal suo computo di aumenti e diminuzioni per le circostanze non espressamente previste. Tuttavia la

pena concretamente irrogabile dovrà comunque essere determinata anche in relazione al peso di recidiva nonché a quello di continuazione e di tutte le circostanze aggravanti e attenuanti anche non contemplate dalla norma di rinvio (e giudizio di comparazione

ex art. 69 c.p.) che fossero accertate: la sostituzione può investire, pertanto, pene inflitte

di entità superiore ai limiti edittalmente previsti (tre/cinque anni) coprendo un’area di decarcerizzazione non modesta.

La manovra riformatrice intacca, sia pure in modo non dirompente, il monopolio della pena carceraria attuando un primo passo verso l’anticipazione della istanza deflativa in sede edittale e nella disponibilità del giudice di cognizione. Le modifiche da apportare sul fronte delle alternative possono, perciò, essere più propriamente orientate alla valorizzazione della loro funzionalità risocializzativa anche in considerazione dalla differente tipologia dei loro potenziali fruitori. E’ presumibile che destinatari della segregazione carceraria saranno perlopiù soggetti per i quali la pena detentiva è considerata inevitabile (autori di reati di gravità o capacità a delinquere elevate, condannati a pene di non breve durata): da rilevare, infatti, che le nuove sanzioni domiciliari sono impedite in assoluto per i casi ex artt. 102,103,105 e 108 c.p. e sono di possibile esclusione/sostituzione giudiziale per indisponibilità di un domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato o per incompatibilità comportamentale del condannato stesso (violazione delle prescrizioni o commissione di ulteriore reato).

In secondo luogo, gli strumenti di deflazione processuale già in campo (e quelli che si intendono innestare: estinzione del reato per condotte riparatorie, ma per certi versi anche ampliamento dell’area dei reati perseguibili a querela) paiono in grado di impedire che l’accertamento processuale della responsabilità approdi ineluttabilmente alla applicazione della pena carceraria. Anche con riguardo al sistema del processo è dato, quindi, registrare una parziale anticipazione della istanza deflativa che consiglia di ripensare le misure alternative penitenziarie in chiave prevalentemente risocializzativa: nell’innovare la loro disciplina si dovrebbe, perciò, superare la logica emergenziale che ha connotato non solo gli ultimi interventi legislativi, logica che le ha costrette nella augusta visuale di strumenti di vanificazione della pena inflitta (con conseguente mortificazione della effettività della pena e non ingiustificate reazioni negative della opinione pubblica). E’ utile rilevare che l’efficacia dei nuovi istituti di deflazione processuale si gioca sulla convenienza della loro praticabilità la quale può, appunto, essere indotta dalla circostanza che all’orizzonte si prospetta una esecuzione penale di riconquistata effettività sanzionatoria. Da un altro punto di vista, si può ipotizzare che, pure la revisione della disciplina delle cautele processuali con riduzione di operatività della custodia in carcere ( v. d.d.l. n. 1232 approvato in via definitiva dal Senato il 9 aprile 2015), varrà a ridimensionare il fenomeno del sovraffollamento penitenziario di fonte processuale (imputati in attesa di sentenza definitiva), esito auspicato e idoneo a sorreggere una rinnovata attenzione alla componente nobile (recupero sociale) delle misure alternative destinate ai condannati.

Quanto, infine, ai criteri direttivi preordinati alla riforma dell’ordinamento penitenziario, se l’eliminazione di automatismi e preclusioni (lett. c) vale a realizzare una più appropriata flessibilità applicativa delle alternative, quelli che,

ADONELLA PRESUTTI

rispettivamente, propongono una maggiore valorizzazione del lavoro (lett. e) e attività di giustizia riparativa (lett. d) inducono a ritenere che si vorrà potenziata l’attitudine del trattamento (intramurario e alternativo) al reinserimento sociale e favorita la responsabilizzazione del condannato, entrambe condizioni imprescindibili per rimuovere una esecuzione penale oscillante tra banalizzazione delle opportunità risocializzative e neutralizzazione della criminalità. Da questo punto di vista, meritevole di interesse è anche il criterio che fa leva su un più ampio ricorso al volontariato (lett. f): salvo che si traduca nella assegnazione di compiti divenuti ingombranti per i titolari, l’intervento della comunità esterna (v. già i contatti con il mondo esterno ex art. 15 ord. penit.) può costituire veicolo per modelli educativi certamente più positivi di quelli mediati dalla istituzione carceraria.

Nello scenario schiuso dal recente legislatore, in sostanza, si rivela inevitabile abbandonare la linea direttiva, fin qui coltivata, di strumentalizzare le misure alternative al fine improprio di ridurre la tensione detentiva impiegandole, appunto, quali strumenti intesi a favorire l’uscita dal carcere; ove quanto preannunciato dovesse trovare concreta realizzazione, il medesimo fine sarebbe più coerentemente perseguito evitando l’ingresso in carcere di condannati per i quali tale forma di detenzione risulta risposta sanzionatoria sproporzionata rispetto alla gravità del reato e alla capacità a delinquere.

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