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Modifiche alla formulazione del criterio direttivo

rendono molto difficile, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati, l'individualizzazione del

1. Modifiche alla formulazione del criterio direttivo

Nessuna osservazione.

2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio. Generalità.

Il sostantivo (eliminazione) non pare lasciare dubbi di sorta: il criterio di delega impone l’abbandono del “doppio binario” introdotto anche in àmbito penitenziario attraverso il d.l. n. 306 del 1992 e progressivamente implementato, dapprima per effetto della l. 23 dicembre 2002, n. 279 e, successivamente, tramite la l. 23 aprile 2009 n. 38.

Del resto, i numeri evidenziano chiaramente che alla data del 31 dicembre 2014 solo il 12% dei detenuti definitivi stava scontando pene residue superiori ai dieci anni di reclusione, a fronte di un 31,2% di condannati ad eguali pene inflitte.

E’ quindi da ritenere che l’onda lunga delle condanne per fatti di criminalità organizzata sia lentamente scemata, sì da rendere plausibile ed opportuna una rimeditazione politico-sistematica dell’art. 4-bis ord. penit.

Sul punto, anche la Corte costituzionale, nella celebre sent. n. 306 del 1993 (§ 11 del considerato in diritto) precisava quanto segue:

«Non si può non rilevare come la soluzione adottata, di inibire l'accesso alle misure alternative alla detenzione ai condannati per determinati gravi reati, abbia comportato una rilevante compressione delle finalità rieducative della pena. Ed infatti la tipizzazione per titoli di reato non appare consona ai princìpi di proporzione e di individualizzazione della pena che caratterizzano il trattamento penitenziario, mentre appare preoccupante la tendenza alla configurazione normativa di "tipi di autore", per i quali la rieducazione non sarebbe possibile o potrebbe non essere perseguita»

2.1. Gli interventi possibili.

Qualora non si realizzassero le condizioni per l’abrogazione dell’art. 4-bis ord. penit., se ne renderebbe comunque opportuna una drastica limitazione dell’àmbito di

operatività, eliminando il presupposto della collaborazione di giustizia e introducendo il criterio della prova positiva della permanenza dei rapporti tra il detenuto e l’organizzazione

In tale prospettiva, il vigente comma 1 potrebbe prevedere che:

«1. L'assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, non possono essere concessi ai condannati per i delitti di cui agli articoli 270, 270-bis, 416-bis e 416-ter del codice penale, nonché per i delitti ai quali sia stata applicata la circostanza aggravante di cui all'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni, nei casi in cui sia fornita la prova della sussistenza di elementi concreti e specifici, fondati su circostanze di fatto espressamente indicate, che dimostrino in maniera certa l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva».

Analogamente, al vigente comma 1-ter, le parole: «purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva» potrebbero essere sostituite dalle seguenti: «purché non sia fornita la prova della sussistenza di elementi concreti e specifici fondati su circostanze di fatto espressamente indicate, che dimostrino in maniera certa l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva».

Infine, il vigente comma 3-bis dell’art. 4-bis ord. penit., nonché l’art. 58-ter ord. penit. dovrebbero, a parere di chi scrive, essere abrogati.

In prospettiva correlata, appare necessaria la soppressione di ogni preclusione, fondata sul titolo del reato in esecuzione, che pregiudichi l’individualizzazione del trattamento rieducativo (artt. 30-quater, 47-ter commi 01 e 9-bis, 58-quater comma 7-bis ord. penit.).

Con riferimento, infine, all’ergastolo ostativo, si ritiene che le sopra citate proposte di riforma dell’art. 4-bis sortirebbero effetti positivi anche in ordine alle posizioni penitenziarie degli ergastolani. In ogni caso si potrebbe “affrancare” la liberazione condizionale dalle preclusioni contenute nell’art. 4-bis ord. penit.

PATRIZIO GONNELLA

Contributo di

Patrizio Gonnella Associazione Antigone

SOMMARIO 1. Modifiche alla formulazione del criterio direttivo. 2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio

1. Modifiche alla formulazione del criterio direttivo

Alla lettera c), sostituire le parole ”revisione della disciplina di preclusione dei” con le seguenti: “l’accesso alle misure alternative, nonché eliminazione della preclusione dei”;

Si specifica che la delega copre anche la revisione dei criteri di accesso alle misure alternative previste dalle norme vigenti e si chiarisce altresì che per i condannati all’ergastolo debba essere eliminata la preclusione dei benefici penitenziari.

2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio.

Contributo di

Stefano Grillo

Magistrato di sorveglianza

SOMMARIO 1. Modifiche alla formulazione del criterio direttivo. 2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio.

1. Modifiche alla formulazione del criterio direttivo.

Nessuna osservazione

2 . Suggerimenti per l’attuazione del criterio.

Avendo innanzitutto riguardo ai condannati recidivi, meritano di essere eliminate le residue (e poco coerenti dal punto di vista sistematico) norme limitative di cui agli artt. 30 quater e 58 quater comma 7 bis o.p.

Parimenti suscettibile di superamento sembra la preclusione triennale dei benefici penitenziari per il caso di condanna per evasione, in quanto ipotesi già sostanzialmente svuotata di contenuto dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale (v. Cass., sent. 22368/2009 e sent. 41956/2009; Corte Cost., sent. n. 189/2010), nonché disomogenea rispetto alla disciplina degli effetti preclusivi della condanna per evasione prevista dall’art. 47 ter comma 9 o.p. come modificato con l. n. 94/2013.

La materia delle preclusioni per i reati di particolare gravità, di cui all’art. 4 bis o.p., implica scelte di pura politica legislativa. Peraltro, le criticità che caratterizzano alcune situazioni, quale quella dell’ergastolo c.d. ostativo, suggeriscono la necessità di rivedere profondamente l’attuale impianto normativo, con particolare riferimento ai commi 1 e 1 bis della norma citata, il cui punto critico sembra essere rappresentato dalla previsione della collaborazione con la giustizia come condizione imprescindibile per l’ammissione ai benefici penitenziari. Potrebbe lasciarsi alla collaborazione una funzione meramente premiale e sostituirsi all’ostatività assoluta legata a determinati titoli di reato la previsione di quote pena specifiche (in associazione, ovviamente, con la comprovata assenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva).

Ancora, sarebbe ragionevole eliminare, per gli autori di reati di cui all’art. 4 bis commi 1 ter e 1 quater o.p., il divieto di ammissione alla detenzione domiciliare generica (ex art. 47 ter comma 1 bis o.p.), che mal si concilia con l’ammissibilità, non solo dell’affidamento in prova al servizio sociale, ma anche della semilibertà c.d. residuale (ex art. 50 comma 2 o.p.).

Potrebbe eliminarsi anche la preclusione biennale dei premessi premiali, in ragione della mera assunzione della qualità di imputato per qualsiasi delitto doloso commesso nel corso dell’esecuzione, prevista dall’art. 30 ter comma 5 o.p., che poco

STEFANO GRILLO

ragionevolmente prescinde dall’esistenza di un accertamento di responsabilità penale e sottrae al Magistrato di sorveglianza qualsiasi possibilità di valutazione della gravità del fatto e del livello di rieducazione del condannato.

Contributo di

Anna Maria Marin Avvocato

Camera Penale Veneziana

SOMMARIO 1. Modifiche alla formulazione del criterio direttivo. 2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio

1. Modifiche alla formulazione del criterio direttivo.

Nessuna osservazione

2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio.

La disciplina voluta dal legislatore con l’introduzione e successiva manipolazione additiva tanto dell’art. 4 bis o.p., quanto dell’art. 58 quater o.p., contrasta con il principio di individualizzazione del trattamento penitenziario con le modalità previste dagli artt. 13 ss. o.p.. Gli interventi demolitivi e chiarificatori della Corte Costituzionale, capaci giocoforza solo di arginare parzialmente l’applicazione testuale del regime delle preclusioni, tuttavia costituiscono un insuperabile riferimento per il superamento dell’ennesimo “doppio binario” del ns. ordinamento.

La previsione dell’art. 13 bis o.p., non ha consentito una risposta alla condivisibile esigenza di trattamento psicologico mirato per i condannati per reati sessuali in danno di minori, in considerazione delle note persistenti lacune strutturali applicative.

La realtà fenomenica della recidiva diffusa tra categorie di autori di reato (un esempio tra tutti: i tossicodipendenti) di per sé non ontologicamente ed in maniera generalizzata soggetti connotati da un surplus di pericolosità sociale cui ricollegarsi divieti e preclusioni dei benefici penitenziari, di per sé dovrebbe indurre ad un’eliminazione tout court di criteri impeditivi diversi dalla risposta soggettiva al trattamento effettivamente individualizzato.

Volendo mantenere una visione più pragmatica e realistica, i meccanismi dell’art. 58 quater ord. penit. sembrano prestarsi come banco di prova apparentemente di più facile accesso per una riforma che tenga nella debita considerazione la fenomenologia in relazione all’art. 13 o.p.. Non può ignorarsi, infatti, che spesso i condannati incorsi nella violazione dell’art. 385 c.p. (è il caso del detenuto domiciliare che si allontani da casa per acquistare le sigarette), ovvero nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa per violazioni di poco momento alle prescrizioni (è il caso dell’occasionale ricaduta nel consumo di sostanze stupefacenti), in virtù solamente di tali condotte non sembrano meritevoli di un giudizio categorico di inadeguata adesione al trattamento rieducativo e risocializzante (piuttosto, si tratta spesso di circostanze indicative di fragilità e disadattamento sociale). Se è vero che la

ANNA MARIA MARIN

discrezionalità è ampia nella valutazione circa la sussistenza dei presupposti per la revoca della misura alternativa, viceversa il divieto perentorio di concessione di benefici per un lungo arco temporale – dai 3 ai 5 anni – di fatto impedisce quasi sine die una rivalutazione degli sviluppi del trattamento praticato e dei risultati raggiunti.

Quali possibili soluzioni?

- Riduzione ad un periodo di mesi sei del divieto ex art. 58 quater co. 3 ord.penit - Riduzione ad un periodi di anni uno del divieto ex art. 58 quater co. 7 ord.penit.

Contributo di

Fabrizio Siracusano

Professore associato di Diritto penitenziario, Università degli studi di Catania

SOMMARIO: 1. Modifica della formulazione del criterio direttivo. –– 2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio: la riformulazione dell’art. 4-bis ord. penit. - 2.1. La collaborazione investigativa ex art. 58-ter ord. penit. - 2.2. Le altre “ingiustificate” preclusioni.

1. Modifica della formulazione del criterio direttivo.

Il punto relativo agli automatismi e alle preclusioni che ostacolano l’accesso ai benefici penitenziarie incidenti sul trattamento rieducativo è sicuramente fra i più delicati dell’intero disegno di legge delega: tende, infatti, a bandire dal sistema quelle tipizzazioni che «non appaiono consone ai principi di proporzione e di individualizzazione della pena che caratterizzano il trattamento penitenziario»1.

Benché l’intenzione di intervenire in modo deciso in tale settore sia sicuramente da condividere, in quanto è volto a riallineare l’asse normativo alle coordinate costituzionali della finalità rieducativa della pena2, la formulazione del criterio

direttivo desta qualche perplessità.

Il disegno di legge alla lett. c) dell’art. 26 pone un duplice obiettivo: innanzitutto la totale eliminazione degli automatismi e delle preclusioni, saldati alla recidiva e al tipo di autore del reato; dall’altro la mera “revisione” della disciplina preclusiva per i condannati all’ergastolo. La scelta prospettata appare eccessivamente ambiziosa e, forse, politically incorrect per quanto concerne il “primo” modulo d’intervento; ingiustificatamente cauta – e, per certi versi, ambigua - in relazione alla sola “revisione” dei divieti di accesso ai benefici oggi imposti all’ergastolano.

Il primo settore d’intervento si caratterizza per due aspetti: l’estrema dilatazione del perimetro degli “automatismi e preclusioni” da eliminare; la selezione dell’ambito soggettivo dei destinatari di questo maquillage.

Quanto all’“eliminazione di automatismi e preclusioni” l’attuale formulazione del punto della delega non sembrerebbe lasciare spazio a soluzioni alternative: imporrebbe la soppressione sia dei meccanismi assolutamente “impeditivi” l’accesso ai

1 Così Corte cost., n. 306 del 1993. Peraltro, in questa medesima direzione andavano le indicazioni

offerte dalla Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza (cfr., in tal senso, Sovraffollamento carceri: una proposta per affrontare l’emergenza. Relazione della Commissione, in

Quaderni del C.S.M., 2013, n. 160, 12 s.), nonché le Conclusioni della Commissione di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, istituita presso il Ministero della Giustizia

(cfr. Documento conclusivo, Relazione di sintesi, XI s.).

2 Cfr., sul punto, le riflessioni di G. GIOSTRA, Sovraffollamento carceri: una proposta per affrontare

FABRIZIO SIRACUSANO

benefici penitenziari per i recidivi e gli autori di particolari fattispecie di reato; sia di quelli che, invece, si limitano a invocare presupposti di accesso più stringenti e che, di fatto, ne “rendono molto difficile” la fruizione. Il mantenimento di questa formulazione avrebbe un impatto dirompente. Il legislatore delegato, infatti, dovrebbe intervenire sopprimendo integralmente l’art. 4-bis ord. penit.: non solo eliminando, quindi, le ingiustificate preclusioni assolute ivi contenute; ma anche neutralizzando le più alte soglie dei presupposti necessari per l’accesso ai benefici penitenziari per gli autori di reati di particolare gravità e pericolosità. È evidente, però, che prospettare una totale soppressione dell’art. 4-bis ord. penit. – e, quindi, una totale cancellazione sia degli ostacoli insormontabili sia dei limiti più rigorosi in ragione della gravità e pericolosità del reato per cui è stata pronunciata condanna– comporterebbe non pochi contraccolpi politico-sociali e culturali. Esiste, d’altronde un perimetro entro il quale il richiamo a modelli presuntivi che impongono limiti più severi per accedere a forme “alternative” di restrizione della libertà personale può non apparire ingiustificato e mantiene una certa coerenza costituzionale. Ci riferiamo a quelle fattispecie in ordine alle quali la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato, intervenendo nell’opera di erosione dell’art. 275 comma 3 c.p.p., che per le peculiarità criminologiche che le contraddistinguono è possibile l’adozione di modelli presuntivi di pericolosità e, quindi, di forte limitazione all’accesso a un qualche beneficio: la partecipazione all’associazione mafiosa, concepita come il livello più alto di offensività e di allarme sociale, è l’unica ipotesi che ne può giustificare l’adozione. Qui si tratta, allora, di rimodulare questi congegni “presuntivi” - si pensi all’assenza di collaborazione investigativa prestata ai sensi dell’art. 58-ter ord. penit. - da “assoluti” a “relativi”, sì da impedire che questi continuino a operare quali sbarramenti insuperabili verso l’individualizzazione del trattamento rieducativo.

Il perimetro dell’intervento da delegare andrebbe, così, riconsiderato muovendo proprio dalle indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale: lasciando spazio alla possibilità di adottare formule più restrittive di accesso ai benefici penitenziari – diversificando, quindi, rispetto ai requisiti tradizionali – in relazione ai reati che destano un maggiore allarme sociale. Si, pertanto, alla eliminazione degli automatismi e delle preclusioni che impediscono in modo assoluto l’accesso; no all’esclusione della possibilità che il legislatore possa individuare moduli differenziati più restrittivi in ragione di una presunta maggiore pericolosità del condannato desumibile dal titolo di reato.

L’estensione della delega appare, quindi, eccessiva; troppo ambiziosa anche rispetto alle svolte oggi impresse dai Giudici costituzionali. Più opportuna, pertanto, appare un’opera di alleggerimento del punto attraverso l’esclusione, all’interno della lett. c) del disegno di legge delega, dell’inciso “o rendono molto difficile” riducendo il compito del legislatore delegato alla sola “eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono l’individualizzazione del trattamento rieducativo”. Delimitato il contesto “ablativo” si potrebbero indicare, già all’interno del criterio direttivo, alcune fattispecie – individuabili sulla scorta delle indicazioni fornite della Corte

costituzionale con i suoi dicta sull’art. 275 comma 3 c.p.p.3 – relativamente alle quali

possono congegnarsi presupposti di accesso ai benefici più rigorosi rispetto a quelli tradizionali; ciò in base a una presunta – ancorché da verificare in concreto in base all’accertata sussistenza di attuali collegamenti criminali - maggiore pericolosità del condannato4.

Se da un lato questo criterio direttivo della delega – così come attualmente formulato - appare eccessivamente dilatato quanto alla dimensione dell’intervento “erosivo”, dall’altro non condivisibile sembra il ridotto circuito soggettivo sagomato “solo” sugli autori di determinate categorie di reati e sui recidivi. Così congegnata la delega non consentirebbe interventi volti all’eliminazione di altre sacche d’ingiustificata sottrazione delle quaestiones concernenti l’individualizzazione del trattamento rieducativo all’autonomia decisionale del giudice di sorveglianza. Il perimetro soggettivo indicato dalla lett. c), infatti, lascerebbe immune il divieto di concessione di qualsiasi beneficio penitenziario al condannato che, ad esempio, ha subito la revoca della detenzione domiciliare: pur consistendo in una preclusione assolutamente impeditiva, tale divieto – sganciato dal requisito della recidiva o del “tipo di autore” – non formerebbe oggetto di rivisitazione da parte del legislatore delegato. Anche qui, pertanto, si appalesa necessaria una riconsiderazione della delega in chiave ablativa attraverso l’espunzione – ingiustificatamente limitativa – del riferimento ai soli “recidivi” e “autori di determinate categorie di reati”. L’eliminazione dovrebbe coinvolgere “tutti” gli automatismi e preclusioni assolutamente “impeditivi”, indipendentemente dalle ragioni - sotto il profilo della tipizzazione soggettiva - che a oggi li rendono possibili.

Muovendo da queste premesse appare evidente come l’obiettivo della delega in ordine alla mera “revisione della disciplina di preclusioni dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo“ finisca con l’assumere carattere specificativo e, tra l’altro, inutilmente riduttivo. Incontestabile è, infatti, la necessità di sopprimere il c.d. “ergastolo ostativo”: com’è stato ripetutamente affermato dai Giudici di Strasburgo, l’azzeramento di ogni prospettiva di liberazione anticipata integra gli estremi di un trattamento inumano ex art. 3 CEDU5. L’intento, però, sarebbe adeguatamente

perseguito – senza ulteriori “ritocchi” - attraverso l’eliminazione degli automatismi e delle preclusioni “assolutamente” impeditivi; una volta epurato il sistema da ogni insuperabile ostacolo all’accesso ai modelli trattamentali rieducativi, la ricaduta degli effetti anche nel circuito degli ergastolani sarebbe automatica. Il richiamo all’esigenza di una “revisione” evoca, invece, la necessità di mantenere un divario fra l’ergastolano e il detenuto “comune”: un divario che, però, non è giustificabile se non saldato alla

3 Cfr., fra le diverse pronunce che hanno concorso all’erosione del modello presuntivo cautelare ex

art. 275 comma 3 c.p.p., Corte cost. n. 164 del 2011.

4 V. Corte cost. n. 139 del 2010, dove si afferma che le presunzioni sono «arbitrarie e irrazionali» tutte

le volte «in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa». Solo per i delitti di mafia, in considerazione delle peculiari caratteristiche criminologiche del fenomeno, è possibile contare su di una consistente “base statistica” che rende plausibile un ricorso a congegni presuntivi.

FABRIZIO SIRACUSANO

commissione di una particolare fattispecie di reato che “presuntivamente” possa giustificare un particolare irrigidimento del sistema di accesso ai benefici penitenziari; senza che questo, comunque, si traduca in assolute preclusioni e irragionevoli automatismi.

Questa, pertanto, la formulazione proposta del criterio direttivo c) dell’art. 26: “eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono l’individualizzazione del trattamento rieducativo. Possibilità di individuare presupposti più rigorosi di accesso ai benefici penitenziari solo per gli autori di determinate categorie di reati (mafia e terrorismo)”.

2. Suggerimenti per l’attuazione del criterio: la riformulazione dell’art. 4-bis ord.

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