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MONDO DI PROSA E MONDO DI POESIA: LA SCOPERTA DI MARX DI PASOLINI
All'interno dell'opera di Pasolini il passaggio dalla poesia lirica dei primi anni casarsesi alla poesia dell'impegno segue una traiettoria complessa, che intreccia questioni linguistiche e letterarie, come lo studio dei dialetti e la riflessione sul rapporto tra sistemi espressivi e società, e temi più strettamente biografici, come la scoperta dell'antifascismo, l'esperienza della Resistenza e, successivamente, la partecipazione alle attività politiche e culturali nelle fila del Pci, di cui lo scrittore è stato prima militante e poi dirigente locale. Gran parte di queste esperienze politiche ha trovato spazio nei versi e nella prosa pasoliniani, sia in forma autobiografica che mediante una rielaborazione letteraria, attraverso personaggi e situazioni reali o di finzione, inseriti in una cornice narrativa. Tra i testi più significativi debbono essere ricordati la poesia del 1947, El testament al
Coran, che dà voce a un giovane comunista friulano ucciso in seguito a una rappresaglia nazista nei
mesi dell'occupazione; Romans, romanzo incompiuto scritto alla fine degli anni Quaranta in cui è protagonista Don Paolo, giovane prete simpatizzante di sinistra, la cui figura porta a sintesi la forte tensione religiosa del Pasolini di quegli anni con il sentito bisogno di riscatto dei subalterni; sebbene pubblicato solo più tardi, nel 1962, risale a questo stesso periodo Il sogno di una cosa, in cui sono narrati alcuni momenti delle lotte contadine all'indomani dell'approvazione del Lodo De Gasperi.
La scoperta di Marx del 1949(1), pubblicata in chiusura dell'Usignolo della Chiesa Cattolica
(1958), si colloca nella fase più avanzata di questa meditazione politico-biografica in forma letteraria. Nasce dall'irruzione della storia nel mondo privato di Poesie a Casarsa e dalla consapevolezza che la Liberazione, la democrazia e la nascita dei partiti popolari di massa stanno trasformando radicalmente l'universo contadino friulano in cui nei primi anni Quaranta Pasolini aveva trovato la materia espressiva per la propria poesia. In questa nuova fase i suoi abitanti da portatori di un sentimento antecedente alla storia e in qualche modo religioso, divengono gli attori di un nuovo corso, di una lotta che modifica radicalmente lo sguardo lirico del poeta. Se infatti negli anni dell'esordio la loro parola era prima servita ad estendere la sua soggettività al di fuori dell'orizzonte sociale e politico ancora dominato dal fascismo, introducendolo in una realtà sospesa, immota, sensuale, carica di eros e di vita, in questa nuova fase essa conduce a una dimensione processuale, a un “mondo di prosa” in cui la spontaneità aspira a diventare coscienza e gli antichi sentimenti poetici si tramutano in istanza politica.
La figura di Marx evocata nel titolo, così come i riferimenti alla situazione storica dell'Italia e del Friuli post resistenziali non sono tuttavia esplicitamente presenti nel testo, che è anzi dominato dai temi della nascita e dalla figura della madre, due elementi molto presenti in Poesie a Casarsa e negli altri componimenti dell'Usignolo della Chiesa Cattolica. La presenza di Marx può essere inferita da qualche verso solo nella misura in cui il titolo e l'esergo, quest’ultimo ricavato da un passo di Gor'kij, rivestono una funzione di topic che indirizza l'interpretazione in un senso politico senza tuttavia eliminare del tutto il significato privato ed esistenziale del componimento. Oltre che un riferimento ideologico, il nome di Marx svolge la funzione di simbolo, quasi di stemma araldico che con il volto del pensatore più rappresentativo del movimento operaio indica le inquietudini del poeta che, con questa sua seconda nascita, vive il trascendimento del suo vitalismo nella nuova dimensione storica, nell'ethos dei subalterni, nel loro sentire che diventa valore comunitario, stimolo di rivendicazione, base per il conflitto di classe.
Ci pare per questo rischioso, come talvolta è stato fatto, considerare La scoperta di Marx come un'anticipazione delle Ceneri di Gramsci, sebbene la loro uscita in raccolta sia avvenuta in tempi molto ravvicinati, secondo una successione che non rispetta il reale ordine redazionale(2). Per quanto tematicamente molto simili, i due poemetti seguono in realtà un percorso diverso, se non addirittura opposto. La scoperta di Marx presenta le preoccupazioni e le difficoltà di avvicinamento al pensiero marxista nel momento in cui il mondo religioso del poeta viene attraversato dall'onda
politica nata dalla Resistenza. Le ceneri, al contrario, segnano il mancato superamento di questa condizione pre-storica e dunque l'impossibilità di una piena adesione al marxismo, a cui invece lo scrittore aveva aspirato(3). Come infatti si osserva attraverso la citazione da Gor'kij (“Io so che gli intellettuali nella gioventù sentono realmente l'inclinazione fisica verso il popolo e credono che questo sia amore. Ma questo non è amore: è meccanica inclinazione verso la massa”(4)) e dai versi finali del poemetto, in cui viene evocata la razionalità della storia (“La nostra storia! Morsa / di puro amore, forza / razionale e divina”(5)), in Pasolini è forte il tentativo di individuare il punto di conciliazione tra lo sforzo intellettuale e politico dell'impegno e la tensione passionale e fisica che lo lega al Friuli contadino e più in generale al mondo dei subalterni.
La necessità di distinguere La scoperta di Marx dalle Ceneri deriva inoltre dalla diversa influenza esercitata da Gramsci che, proprio in quegli anni, con la pubblicazione dei suoi scritti, veniva eletto dal Pci e dai suoi intellettuali più prossimi a pensatore di riferimento(6). In particolare, si percepisce un forte elemento di continuità con le note carcerarie sulla catarsi, a cui il pensatore sardo conferisce un significato che supera il campo letterario e indica la trasformazione dell'elemento passionale in quello intellettuale, della spontaneità nel progetto collettivo, del materialismo nella razionalità etico-politica(7). Nell'ottica della catarsi gramsciana la scoperta pasoliniana di Marx e del marxismo(8) non riguarderebbe semplicemente la scoperta dell'autore del Capitale, ma la scoperta di un movimento della storia, fondato su una razionalità che sintetizza in un processo dialettico il sentire dei subalterni e il comprendere degli intellettuali, l'inclinazione verso la massa, cioè il presunto “amore” da Pasolini vissuto in modo narcisistico, e l'ethos collettivo portatore di una nuova idea di civiltà, di un nuovo progetto politico, ovvero il comunismo, che all'altezza di quegli anni è per Pasolini l'unica forma politica “in grado di fornire una nuova cultura 'vera' […], una cultura che sia moralità, interpretazione intera dell'esistenza”(9).
Come si accennava, occorrerà attendere le Ceneri prima che Pasolini riveda in maniera molto più problematica i termini di questo slancio, riconoscibile tanto nella sua attività intellettuale e letteraria del periodo che nella sua militanza. In questa fase l'autore cerca ancora di trovare una combinazione il più possibile pacifica tra il marxismo – e dunque l'apertura al conflitto di classe insieme alla sua nuova responsabilità di fronte al mondo dei subalterni friulani – e la forte tensione passionale che lo lega a quella realtà, a quell'universo ancora religioso, scoperto attraverso la parola orale dei suoi contadini: una parola priva di scrittura, dunque priva di storia, di estensione temporale, ma intimamente legata ai suoi parlanti, ai loro modi di vivere e sentire il reale. La scoperta di Marx indica questo delicato momento di passaggio in cui l'autore si interroga su come conservare l'ideale casarsese nel presente(10).
“Fuori dal tempo è nato / il figlio, e dentro muore”(11) scrive Pasolini per sottolineare da un lato l'alterità delle sue radici, il legame mai interrotto con la dimensione materna della Casarsa giovanile, e dall'altro la corruttibilità del suo essere gravato dalla nuova condizione (“corpo che m'ingombra”(12)) una volta entrato nel corso del divenire, nel reale storicizzato. È per questo indicativo l'uso del tempo presente dal valore aspettuale durativo che descrive la precarietà della vita al tempo di Marx: nel tempo della storia l'autore “muore” nel senso che vive da mortale, è ormai fuori dal recinto protettivo di Casarsa, dalle sue rogge, i suoi confini che delimitavano il reale mitico e religioso dei suoi primi versi. La sua poesia ora si trova immersa nel dramma dei conflitti storici, nella finitudine della lotta politica.
Come sono caduto in un mondo di prosa s'eri una passeretta, un'allodola, e muto alla storia – una rosa – o madre giovinetta era il tuo cuore?(13)
Gli elementi di interesse di questi versi sono numerosi. Anzitutto il dialogo con la propria origine, con il “passato-madre”(14): la madre è una passeretta o un'allodola, la cui parola non rimanda a un'idea del mondo, non possiede la coscienza del reale, ma è puro canto, espressione irriflessa di natura, segno iconico che non rinvia ad altro se non alla propria stessa forma vocalica. Anche nell'ottava sezione, in cui sono presenti numerosi elementi di tipo meta-poetico, il riferimento non è al dialetto, ma all'alba del dialetto, alla sua origine vichiana di mimesi mediata dal corpo, dal sentire che scopre la realtà. È questa la lingua del mondo poetico pasoliniano degli esordi, così come l'autore lo ha mitizzato nei suoi scritti e nelle sue riflessioni retrospettive(15).
Non meno importante è a questo proposito il riferimento al “mondo di prosa” che introduce un'importante dicotomia con la poesia. Come si osserva anche in altri scritti, la prosa è l'universo della storia e dei conflitti politici. Essa descrive il corso del divenire secondo nessi, combinazioni, discontinuità, rapporti di causa ed effetto. Rispetto alla poesia, che esprime l'immagine delle cose del mondo, la prosa descrive la loro relazione capace di dare vita a una logica narrativa. È questo il motivo per cui al suo interno il canto dell'allodola è per Pasolini diventato muto, ha perso quell'unicità, che invece possedeva nel mondo della poesia, il luogo della singolarità, dell'intensità espressiva, dell'intemporalità.
In questi versi poesia e prosa non sono dunque solo due diverse categorie letterarie, ma – come esplicitamente verrà più tardi osservato nella Libertà stilistica – sono due forme contrapposte di esperienza che danno luogo ad altrettante forme letterarie e che descrivono un diverso rapporto con la storia. Tale distinzione risente vagamente anche della lettura di Croce, il quale escludeva dalla dimensione poetica la capacità di produrre concetti e rappresentazioni del mondo(16). In Pasolini tuttavia il dato sensibile ha un carattere transeunte, evenemenziale, vive nella precarietà del mondo privato dell'autore. Occorre pertanto limitare l'influenza crociana al solo riconoscimento dell’opposizione di prosa e poesia, fatta propria da Pasolini secondo un'inclinazione legata alla sua esperienza di scrittore. Essa nasce dalla presa di coscienza della mondanità della propria parola, divenuta strumento di intervento politico e civile o, in termini gramsciani, elemento di catarsi che trasfigura nel valore culturale, e dunque nel mondo di prosa, ciò che appartiene al dominio della necessità e della natura. Per usare una formula impiegata più tardi proprio ne La libertà stilistica, a partire da questa fase la sua lingua è “abbassata tutta al livello della prosa, ossia del razionale, del logico, dello storico”(17).
Il mondo di prosa pasoliniano è dunque il mondo adulto, dove il canto della realtà friulana trascolora, esaurisce la propria espressività e vincola l'essere poetante, conferendogli una nuova responsabilità politica:
Ma il peso di un'età che forza la coscienza e modella il dovere, Quando in me avrà vinto la resistenza del mio cuore leggero?
La parola al tempo di Marx, al tempo del marxismo, al tempo del opposizione di classe, spinge l'autore ad interrogarsi sull'inevitabile conflitto tra il dovere e il sentire, tra la prassi sul terreno dei rapporti sociali e il palpitare dei suoi sentimenti nell'edificio poetico eretto a Casarsa con i suoi primi componimenti. L'irruzione della storia proietta tuttavia l'autore oltre il suo mondo privato, oltre i margini provinciali in cui il fascismo aveva confinato, abbandonato e paradossalmente protetto la realtà del paese materno. Con Marx, assunto a simbolo di questa nuova fase politica e poetica, il tempo prende una direzione, guarda al futuro, trascende la vita nel politico, nello storico.
La lingua (di cui suona in te appena una nota, nell'alba del dialetto) e il tempo (a cui dona
la tua ingenua e immota pietà) son le pareti tra cui sono entrato sedizioso e invasato,
con i tuoi occhi mansueti.(18)
In questa strofa è centrale il rapporto di solidarietà tra tempo e lingua. Quest'ultima non è più rifugio espressivo o spazio extrastorico come nei primi anni casarsesi, ora è una barriera, una parete contrapposta alla parete del tempo che delimita lo spazio poetico dell'autore. E per quanto in lui sopravviva lo sguardo antico della propria madre, il suo io è ora il luogo dell'autocoscienza, spazio agitato dai violenti movimenti soggettivi di rivolta non del tutto governati, come di chi cerca di fare coincidere il proprio sé pre-storico, corporeo, sensuale e fisico, con il sé che si è oggettivato nel valore del divenire storico: “Non sono soggetto ma oggetto/ madre!” scrive poco più avanti.
Con La scoperta di Marx, afferma Santato, Pasolini “esprime l'impatto problematico con l'ideologia «adulta»” e “compie un passo certamente importante verso il superamento di quell'autosufficienza narcissica che faceva dell'Io il Soggetto assoluto”(19). L'apertura all'altro, alla storia, alle classi popolari continuerà tuttavia a mantenere dei residui del suo antico io. Il componimento si chiude infatti con una forma di accettazione della storia, in cui retrospettivamente possiamo riconoscere un velo di ironia:
La nostra storia! morsa di puro amore, forza razionale e divina.(20)
In questi versi si ritrovano alcuni dei temi su cui l'autore tornerà a cimentarsi negli anni seguenti in maniera radicalmente nuova e inattesa. Mostrano ancora una volta il tentativo di elevare l'io poetico nel divenire intersoggettivo che le classi subalterne intendono orientare e dirigere. Il tempo della poesia subisce insomma il ritmo del tempo della storia, del suo scandire e, come lo stesso Pasolini avrà modo di verificare, delle sue amare illusioni.
Nell'arco di breve tempo, dallo sforzo di combinare il “razionale” e il “divino” sorge il lacerante “scandalo della coscienza” delle Ceneri, in cui la storia è accettata, ma allo stesso tempo rifiutata, rigettata. Non è a questo proposito del tutto trascurabile il fatto che la redazione della Scoperta di
Marx avvenga in prossimità degli eventi che sconvolgono radicalmente la vita dell'autore. La nuova
nascita nel grembo della storia finisce infatti per sovrapporsi alla conclusione della sua esperienza casarsese, in seguito allo scandalo di Ramuscello, il licenziamento dalla scuola media di Valvasone e la radiazione dal Pci, proprio nei mesi in cui la sua militanza diveniva più intensa e apprezzata. Tra il novembre del 1949, quando esplode lo scandalo, e il gennaio 1950, tutto improvvisamente precipita. Pasolini è costretto ancora una volta a ripensare il proprio rapporto con la lotta politica. Nella lettera che invia a Ferdinando Mautino, ex capo partigiano, figura di primo piano del Pci friulano, nonché tra i dirigenti che hanno deciso la sua espulsione, è presente un brevissimo passaggio in cui Rinaldo Rinaldi ha individuato uno dei principali motivi che ricorrono nella riflessione di Pasolini sul marxismo. Nelle ultime righe, poco prima di congedarsi, scrive: “Vi auguro di lavorare con chiarezza e passione; io ho cercato di farlo”(21). Da un lato pone dunque la chiarezza, che nel corso degli anni Cinquanta e in particolare nelle Ceneri di Gramsci assume la forma dell'ideologia, della luce (“con te in luce”) nel mondo di prosa; dall'altro inserisce la passione, che riguarda la tensione verso l'altro, l'attaccamento al dato corporeo, alle “buie viscere”(22), a quel mondo di natura e poesia scoperto in gioventù a Casarsa. A partire da questo momento, queste due realtà non troveranno più una coesistenza pacifica. Il movimento catartico tentato con La scoperta di Marx fallisce (“io ho cercato di farlo”).
Gramsci a sua volta diviene il termine di conflitto e di interrogazione. Nelle Ceneri l'interlocutore non è più la madre, ma lo stesso pensatore sardo, la cui figura non ha funzione di stemma, di
blasone politico dietro cui nascondere le proprie inquietudini, come era accaduto con Marx. A lui confessa i propri tormenti di poeta che vive su di sé la lacerazione tra le proprie aspirazioni poetiche e la propria appartenenza politica: “attratto da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione / la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza”(23). Sarebbe però sbagliato affermare che da questo momento la passione vinca sull'ideologia. Tra loro si stabilisce un difficile equilibrio, che certamente privilegia il primo termine, ma che non può far a meno del secondo. Si direbbe del resto che lo spirito di contraddizione tra queste due polarità derivi paradossalmente proprio dalla lettura dello stesso Gramsci:
la filosofia della prassi […] è la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi di azione.(24)
In Pasolini la tensione verso la catarsi gramsciana, e dunque l'elevazione del passionale nell'etico-politico tentata con la Scoperta di Marx, lascia il posto alla serrata critica che, come si osserva nelle
Ceneri, non risparmia nemmeno gli stessi fondamenti marxisti da cui trae origine e dunque diventa
“scandalo della coscienza”, “scandalo del contraddirmi”(25). Da termine di mediazione tra il Pasolini degli esordi casarsesi e il Pasolini militante della fine degli anni Quaranta, il marxismo svolge una funzione del tutto nuova, una funzione critica e di smascheramento esercitata in maniera spregiudicata e disillusa tanto quanto imprevista nella redazione della Scoperta di Marx.
Paolo Desogus
Note.
(1) Il titolo della prima versione, che secondo quanto riporta Naldini era più estesa di quella poi pubblicata nell'Usignolo, era Alla ricerca di mia madre, dal vago sapore proustiano. Cfr. Pier Paolo Pasolini, Lettere. 1940-1954, a cura di N. Naldini, Einaudi, Torino 1986, p. CXII. Vedi inoltre la lettera a Giacinto Spagnoletti del gennaio 1950 in Ivi, pp. 376-377. Una versione invece ridotta, senza l'esergo e mancante delle sezioni VI e X, è comparsa con il titolo Canzonette su «Itinerari», l, 3-4, luglio-agosto 1953.
(2) Sebbene raccolga esclusivamente componimenti realizzati negli anni Quaranta, L'usignolo della Chiesa Cattolica esce infatti molto tardi, nel 1958, fatto che, come ricorda anche Fernando Bandini, ha portato a leggere La scoperta di Marx quasi come se si trattasse di un'opera successiva alle Ceneri di Gramsci, pubblicate l'anno prima (cfr. “Il 'sogno di una cosa' chiamata poesia”, in Pier Paolo Pasolini, Tutte le poesie, vol. I, a cura di W. Siti, Mondadori, Milano 2003, pp. XXII-XXIII).
(3) Come lo stesso Pasolini afferma in un breve commento all'Usignolo: “Gli istinti (posso chiamarli così) religiosi che erano in me mi portarono al comunismo. Sbagliai, caddi. La contraddizione non poteva che venire alla luce. Non potevo essere a metà religioso; e io che ho sempre scontato (con maniera quasi da nevrotico, malgrado la mia natura serena e sana) ogni minima mancanza, figurarsi se non dovevo scontare una simile contraddizione, una simile vocazione impantanata nel compromesso” (Pier Paolo Pasolini, [Nota all'Usignolo della Chiesa Cattolica], in Id., Saggi sulla letteratura e sull'arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milano 1999, p. 367).
(4) Pier Paolo Pasolini, L'usignolo della Chiesa Cattolica, Longanesi, Milano 1958 ora in Id., Tutte le poesie, cit., p. 497.
(5) Ivi, p. 503.
(6) Secondo quanto riportato da Pasolini, la lettura di Gramsci risalirebbe al 1947, l'anno di pubblicazione della prima edizione delle Lettere dal carcere. (Pier Paolo. Pasolini, Dibattito al Teatro Gobetti [Torino, 29 novembre 1968], in Id., Teatro, a cura di. W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milano 2001, p. 329. Nella lunga intervista rilasciata a Jean Duflot la scoperta del pensatore sardo viene invece collocata nel biennio 1948-49, durante il quale fanno la loro comparsa i primi due volumi dei Quaderni del carcere nell'edizione