POLITICA E LETTERATURA
4. Ognuno riconosce i suoi
Se il risultato pratico delle lotte interne al campo della poesia è sostanzialmente nullo, queste lotte sono tuttavia molto importanti per chi vi partecipa e cerca di fare in modo che la massima del suo comportamento possa valere come norma universale. Oggi il conflitto più importante riguarda proprio il valore politico della lirica. Le poetiche che si definiscono di ricerca ne hanno messo in discussione la forza conoscitiva. Lo hanno fatto in nome di due diffidenze speculari che più volte sono affiorate nel Novecento e nel XXI secolo – il sospetto per l’io dell’individualismo moderno,
topos carsico della filosofia degli ultimi secoli da Marx a Deleuze, e il sospetto per l’assertività, per
la postura «io, autore, ti dico che» senza la quale non c’è lirica. Quest’ultimo ha un’origine letteraria prima che filosofica; sembra la ripetizione, all’altezza del XXI secolo, di un atteggiamento emerso con l’ironia romantica e poi con l’ironia distruttiva di Flaubert, il primo ad aver scritto testi fondati sulla virgolettatura di tutto, sulla frustrazione pubblica della pretesa che qualcuno possa dire qualcosa di non-falso o di non-stupido.
Tutto ciò ha una sua ragion d’essere profonda, coglie un tratto della nostra epoca e ha prodotto opere significative. E tuttavia c’è qualcosa di reticente, di difensivo in questa poetica, qualcosa che lascia fuori territori di cui la letteratura deve rendere conto se si vuole rappresentare il nostro tempo per intero. L’inflazione della soggettività, l’inflazione dell’assertività, la miopia dei nostri ego, la serialità della nostra esistenza di individui – di entità superficiali costrette a preferirsi, abbagliate dalle nostre piccole differenze, piene di opinioni su cose che non conoscono, impegnate in una guerra a bassa intensità di tutti contro tutti – non cancella il fatto che gli esseri umani siano anche, siano soprattutto questo. A ciò si aggiunge la forma specifica della modernità. Lo stato di cose che ha reso possibile l’individualismo moderno è ancora lì, e sarebbe incomprensibile se, nell’epoca più egocentrica della storia, la letteratura si rifiutasse di usare l’io col rischio di tagliar fuori dai testi una parte considerevole di ciò che esiste veramente. La poesia moderna non è egocentrica per caso: è egocentrica perché in una simile miopia parla una condizione epocale. Per questo uno dei suoi compiti rimane quello di acclimatare il pronome di prima persona singolare al nostro tempo, un tempo che moltiplica il narcisismo e disgrega l’io come organo di controllo e come epicentro. Alcune delle opere decisive degli ultimi decenni sono tali perché, in modo molto diversi fra loro, hanno saputo costruire modelli plausibili di prima persona, da De Angelis a Magrelli, da Anedda a Benedetti o a Bordini – per citare autori e autrici italiani che oggi, in questo convegno, sono assenti. Il compito della letteratura non è educare: è dire la verità. Educazione e verità sono attività opposte: la prima occulta le pulsioni che dobbiamo nascondere perché ci sia civiltà e società, la seconda le rivela. Per me è sempre vero, ma lo è soprattutto quando si parla della poesia moderna. In questa forma simbolica c’è qualcosa di profondamente antisociale – per due ragioni: perché il genere divide il singolo dal senso comune e perché favorisce la divisone del mondo in mondi. La «protesta della soggettività che risuona nella lirica» non si rivolge contro la società reificata, come dice Adorno; la protesta della poesia moderna, lirica e non-lirica, si rivolge contro la società in generale: contro le menzogne che ci diciamo per vivere insieme fra estranei ripetendo parole che non ci appartengono davvero, contro il disagio della civiltà. Detto in modo frontale e senza aloni: si rivolge contro la società alienata nella misura in cui ogni società, dal punto di vista dell’io, implica qualcosa di alieno: una limitazione della soggettività, un’uscita da sé. La poesia moderna è il luogo di un conflitto radicale fra la parte e il tutto: lascia parlare l’inappartenenza, il desiderio di non usare le parole della tribù. L’universale che la poesia moderna cerca di cogliere attraverso un’individuazione senza riserve(16) ha un valore utopico solo per chi accetta la metafisica e la metapolitica di Adorno, perché in sé la poesia moderna esprime solo la volontà della parte di ottenere un riconoscimento senza dover uscire da sé, senza mediare. D’altra parte la letteratura rimane un atto di comunicazione; i suoi gesti di rottura, come le scenate dei temperamenti melodrammatici, non vanno presi alla lettera. Alla fine la poesia rinuncia alle parole della tribù ma si rifugia nelle parole di un piccolo clan. La anima il desiderio di parlare a chi condivide certi presupposti, il desiderio di stare con chi ci assomiglia. Ciò che Montale scrive in uno dei suoi emistichi più belli e terribili è per la poesia moderna vero alla lettera: ognuno riconosce i suoi.
Guido Mazzoni
Note.
(1) Th. W. Adorno, Rede über Lyrik und Gesellschaft (1957), trad. it. Discorso su lirica e società, in Note per la letteratura, Torino, Einaudi, 1979, p. 57.
(2) W. Benjamin, Über einige Motive bei Baudelaire (1939), trad. it. Di alcuni motivi in Baudelaire, in Angelus novus, Torino, Einaudi, p. 89.
(3) A. Palazzeschi, E lasciatemi divertire! (Canzonetta), in Id., L’Incendiario (1910), ora in Id., Tutte le poesie, a cura e con un saggio di A. Dei, Milano, Mondadori, 2002, p. 238. Cito dall’edizione 1910 di L’Incendiario. Negli anni successivi la poesia verrà leggermente riscritta e si intitolerà Lasciatemi divertire. (4) G. Gozzano, La Signorina Felicita ovvero la Felicità, in Id. I colloqui (1911) ora in Id, Tutte le poesie, testo critico e note a cura di A. Rocca, Milano, Mondadori, 1980, p. 178.
(5) Z. Bauman, Legislators and Interpreters. On Modernity, Post-modernity, and Intellectuals (1987), trad. it. La decadenza degli intellettuali. Da legislatori a interpreti, Torino, Bollati Boringhieri, 1992.
(6) S. Mallarmé, Crise de vers (1886) e Sur l’Évolution littéraire (1891), in Id. Oeuvres complètes, p. 363 e pp. 866-67; W. Whitman, Notes Left Over, in Complete Prose Works (1892), in Complete Poetry and Collected Prose, a cura di J. Kaplan, New York, The Library of America, 1982, p. 1056.
(7) W. Wordsworth, Preface (1800, 1802) to W. Wordsworth, S. T. Coleridge, Lyrical Ballads, ed. by R. L. Brett e A. R. Jones, London, Methuen, 19652, p. 246.
(8) Per una trattazione più ampia rimando a G. Mazzoni, Sulla poesia moderna, Bologna, Il Mulino, 2005, capitoli I, II e III.
(9) Th. W. Adorno, Discorso su lirica e società, cit., p. 50.
(10) Th. W. Adorno, Minima moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben, trad. it. Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, Torino, Einaudi, 1954, 66 (Mélange), p. 114.
(11) Cfr. soprattutto Th. W. Adorno, Engagement (1962), trad. it. Impegno, in Id., Note per la letteratura 1961-68, Torino, Einaudi, 1979, pp. 89-110 e Id., Teoria estetica, Torino, Einaudi, 1977, pp. 410 ss.
(12) Th.W. Adorno, Discorso su lirica e società, cit., p. 47.
(13) A. Berardinelli, Effetti di deriva, in Il pubblico della poesia, a cura di A. Berardinelli e F. Cordelli, Lerici, Cosenza, 1975.
(14) Cfr. per esempio F. Fortini, Mandato degli scrittori e fine dell'antifascismo, in Verifica dei poteri (1965), e Id. Opus servile (1989), entrambi in Id., Saggi ed epigrammi, a cura di L. Lenzini, Milano, Mondadori, 2003, pp. 176 ss. e pp. 1641-52.
(15) Cfr. J. P. Vernant, Les Origines de la pensée grecque (1962), trad. it. Le origini del pensiero greco, Milano, SE, 2019, p. 52.
(16) «La creazione lirica spera di conseguire l’universale attraverso un’individuazione senza riserve». Th. W. Adorno, Discorso su lirica e società, cit., p. 47.
AUTORIZZARE LA SPERANZA.