I.3. Forme antiche e tipi moderni: la documentazione scultorea
I.3.1.1. Oltre i limiti del metodo tipologico
Secondo il metodo tipologico, divenuto fondamentale negli studi di ritrattistica romana, i ritratti sono repliche di uno stesso archetipo, definito tipo. Un soggetto può essere rappresentato con ritratti riconducibili a uno o a più tipi. Per la definizione di questi ultimi, gli studiosi si basano soprattutto sull’analisi dell’acconciatura, dal momento che essa costituisce la componente mutevole dei ritratti di uno stesso personaggio, nei quali i tratti fisionomici restano invece sostanzialmente invariati.
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Sulla base di tali premesse, nel caso in cui un ritratto corrisponda a un determinato tipo, ciò consente di attribuirlo con certezza al soggetto per il quale il tipo è stato creato, anche in assenza di iscrizioni che ne consentano una sicura identificazione1. Ritengo che il metodo tipologico, consentendo di risalire ai modelli alla base dei ritratti, costituisca il punto di partenza per la comprensione della formazione di un ritratto. Tuttavia, bisogna riconoscere che tale metodo ha dei limiti. Non si può infatti ignorare il fatto che le forme antiche non sempre trovano perfetta corrispondenza nei tipi, che sono stati individuati dagli studiosi moderni.
Ciò dipende dal fatto che i ritratti sono il risultato del lavoro di diversi artefici, che vivevano in contesti spaziali e temporali differenti ed eseguivano le proprie opere per committenti e contesti di destinazione altrettanto vari. A mio avviso, tali fattori dovrebbero essere sempre tenuti in considerazione quando si studia un ritratto, abbandonando la pretesa che una forma antica debba necessariamente corrispondere a un tipo moderno. Inoltre, non bisognerebbe mai dimenticare che le immagini giunte fino a noi costituiscono solo una frazione di quelle esistenti nell’Antichità; pertanto non si può escludere l’esistenza di più tipi rispetto a quelli finora individuati.
Alla luce di tali considerazioni, credo che il metodo tipologico vada utilizzato con cautela. Più precisamente, non condivido la linea seguita da alcuni studiosi che tendono a escludere dal corpus di rappresentazioni di un soggetto tutte quelle immagini che si differenziano dai tipi ritrattistici individuati2. Mi sembra, infatti, che una tale applicazione del metodo tipologico, che si focalizza solo sul prodotto finale trascurando le circostanze nelle quali e per le quali esso venne realizzato (si vedano i fattori ricordati sopra), sia limitante per le nostre conoscenze.
Diversamente, ritengo che l’unico modo per cercare di comprendere i ritratti antichi, superando i limiti del metodo tipologico, sia osservare ciascuna
1 Per il metodo tipologico, si veda da ultimo Fittschen 2015.
2 «The question of how many elements of the portrait type must, at a minimum, be present in a copy in order to adjoin it with the type is a matter of discretion. A few elements suffice to show that the sculptor was not entirely free, but rather had a model available. However, where such elements cannot be identified, a portrait should not be classified among the copies of a particular type, and not even among imperial portraits in general, because there are other possible explainations for a superficial similarity to an emperor’s portrait. [...] According to widely held assumptions, emperors’ portraits found in the provinces of the Roman Empire - that is, outside of Rome and Italy - deviate more widely from or are entirely independent of the official portrait types. This hypothesis sounds plausible at first, but cannot actually be proven... For portraits from the provinces that deviate particularly widely, the question arises, however, of whether the identifications as Roman emperors that are generally considered certain are in fact correct. In individual cases, there is evidence that these identifications are wrong; in other cases, the question has not yet been resolved or cannot be resolved at all because there is no confirming inscription» (Fittschen 2015, 63-64).
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rappresentazione nella propria interezza, non limitandosi alla disposizione delle ciocche della capigliatura, che, come detto, può essere soggetta a variazioni o addirittura mancare. In questi casi, il riconoscimento di un soggetto potrà infatti basarsi sulla presenza dei suoi tratti fisionomici. Inoltre, nei casi più fortunati, l’attribuzione dei ritratti incerti potrà essere confermata anche dai contesti di provenienza.
Così facendo, si potrà avere un quadro più completo delle immagini di un soggetto, non escludendo quelle forme antiche che non trovano corrispondenza nei tipi individuati dagli studiosi.
Infine, si desidera sottolineare come focalizzare l’attenzione sulle divergenze tra i ritratti di uno stesso personaggio sia importante non tanto per definire l’esistenza di un nuovo tipo ritrattistico, di una sua variante o di un “pezzo unico”, per una classificazione tipologica fine a stessa, quanto piuttosto per cercare di comprendere la storia di un’immagine: capire cioè come questa venne recepita nei vari contesti in cui si diffuse.
Dopo questa necessaria premessa, di seguito saranno trattati i tipi ritrattistici di Antinoo con le loro varianti. Di fatti, come già precedentemente accennato, la definizione dei tipi ritrattistici del favorito di Adriano rappresenta ancora oggi una “questione in sospeso”. In letteratura i ritratti di Antinoo vengono generalmente classificati secondo tre principali tipi, individuati nella documentazione scultorea: Haupttypus, tipo egittizzante e tipo Mondragone3; tuttavia alcuni studiosi sostengono che tutti i ritratti del bitinio siano in realtà riconducibili a un unico tipo, l’Haupttypus4. Un chiarimento è pertanto necessario e indispensabile per la comprensione della formazione delle immagini di Antinoo.