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A STA tempo e modo

1. Il potere tellurico della negazione

Per ragioni di tempo e di spazio, concentreremo la nostra analisi sulla negazione sintattica, ossia quella che prevede l’utilizzo di un elemento dedicato alla funzione del negare (il non italiano, il nu romeno) tralasciando la negazione iconica, ovvero quel tipo di negazione che non viene espressa mediante l’utilizzo di un segno linguistico appositamente dedicato e nel quale il messaggio di negazione è veicolato tramite l’utilizzo del lessico come ad es. nella frase Raluca se îndoiește că va ploua (Raluca dubita che pioverà). Si specifica inoltre che il presente lavoro ha l’obiettivo di analizzare l’utilizzo che Blaga fa della negazione all’interno del suo corpus poetico, soprattutto in chiave diacronica e non di proporre un’analisi esaustiva e precisa della mera negazione sintattica espressa con il nu.

Cosa si intende per negazione sintattica? Secondo i curatori del volume The History of Negation in the Languages of Europe and the Mediterranean, “la negazione è una delle poche categorie grammaticali davvero universali: ogni lingua sembra avere uno strumento grammaticalizzato tramite il quale negare la verità di una proposizione dichiarativa ordinaria”319.

Il filosofo Martin Heidegger si interroga su quella specifica “operazione dell’intelletto”320 che è la negazione proponendo una riflessione sulla sua genesi: “C’è il niente soltanto perché c’è il non, ossia la negazione? O viceversa: c’è la negazione e il non, soltanto perché c’è il niente?”321. Il filosofo, in sostanza, contempla l’ipotesi che il ‘non’ espresso

318 Martin Heidegger, Che cos’è metafisica?, Milano, Adelphi, 2003, p. 41.

319 David Willis, Christopher Lucas, Anne Breitbarth, The History of negation in the Languages of Europe

and the Mediterranean. Volume I, Case Studies”, Oxford, Oxford University Press, 2013, p. 1, “Negation

is one of the few truly universal grammatical categories: every language seems to have some grammaticalized means to deny the truth of an ordinary declarative sentence”.

320 Heidegger, Che cos’è metafisica? cit. p. 44. 321 Ibidem, p. 44.

tramite la funzione linguistica sia un riflesso di quel nulla assoluto (“Il niente è la negazione pura e semplice di tutto l’essente”322) che è oggetto della sua speculazione

metafisica, al contempo ipotizzando l’idea che sia invece proprio l’esistenza della negazione all’interno del linguaggio la causa d’essere del nulla. Proprio in qualità del suo essere operazione dell'intelletto, la negazione, per sua stessa natura, appartiene esclusivamente all’essere umano per il quale, secondo il filosofo Paolo Virno, l’avvento del non è stato un trauma323:

Tanto sotto il profilo ontogenetico quanto sotto quello teoretico, l’irruzione del ‘non’ nella vita umana rappresenta un episodio traumatico, dato che attesta la scissione del pensiero verbale dalla presenza, ovvero la sua perturbante autonomia degli stati di cose di volta in volta percepiti324.

Già Platone, nel suo Sofista, faceva dire allo Straniero che “il fatto che si possa dire una cosa, e che questa cosa non sia vera, è sempre stato fonte di perplessità, in passato come adesso”325.

Virno passa poi a narrare come di fatto l’essere umano sia l’unica creatura al mondo in grado di negare, e come di fatto l’avvento della negazione nella storia dell’uomo abbia permesso all’essere umano di “ignorare” in un certo senso il messaggio recepito dai neuroni specchio (quei neuroni che permettono all’essere umano di riconoscere sé stesso nell’altro e nel suo comportamento) e negare la natura umana dei suoi stessi simili: “nel linguaggio mette radici il fallimento del reciproco riconoscimento tra conspecifici”326. “Soltanto l’animale che parla”, afferma Virno, “ha la capacità di non riconoscere un suo simile”327, e ancora “l’animale linguistico può non riconoscere un altro animale

linguistico come proprio simile. I casi estremi, dall’antropofagia ad Auschwitz, non fanno che attestare in modo virulento questa possibilità permanente”328.

In questo senso, dunque, la negazione è molto meno innocua di quel che potrebbe apparentemente sembrare e si trasforma in uno strumento dall’enorme potenziale, sia in

322 Ibid., p. 44.

323 Paolo Virno, Saggio sulla negazione. Per una antropologia linguistica, Torino, Bollati Boringhieri,

2013, p. 19.

324 Ibidem, p. 99.

325 Platone, Opere Complete, Vol II: Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico, Roma, Editori Laterza, 1994, p. 208. 326 Virno, Saggio, cit. p. 11.

327 Ibidem, p. 11. 328 Ibid., p. 15.

senso positivo che, soprattutto, in senso negativo. La negazione si rivela dunque essere potenziale portatrice di enormi quantità di contenuto semantico.

Virno, nel suo Trattato, ci parla del “potere tellurico della negazione”329 e del suo

essere una funzione legata esclusivamente all’attività verbale330. La peculiarità principale

della negazione è la possibilità (di fatto inevitabile) che pur negando un enunciato, si possa mantenere al suo interno proprio l’elemento che stiamo negando:

Non nego il nero indicando il bianco. Lo nego se, e solo se, dico ‘non nero’. Il tratto distintivo della negazione linguistica […] consiste nel riproporre con segno algebrico rovesciato un unico e medesimo contenuto semantico. Il ‘non’ è posto dinanzi a un sintagma predicativo (‘è gentile’, ‘è andato a Roma’, ‘mi ama’) che continua a esprimere lo stato di cose o il fatto di cui si parla in tutta la sua consistenza. Lo stato di cose o il fatto sono pur sempre designati, e così conservati come significati, nel momento stesso in cui vengono verbalmente soppressi (‘non è gentile’, ‘non è andato a Roma’, ‘non mi ama’)331.

La negazione, dunque, vista da questa prospettiva, sopprime e allo stesso tempo conserva il significato di un enunciato. Una frase affermativa e la sua controparte negativa, infatti, sono accomunate dalla presenza al loro interno dell’elemento che viene rispettivamente affermato e negato, o, nelle parole di Virno, “il fatto è pur sempre designato, e così conservato come significato, nel momento stesso in cui viene sconfessato e messo fuori gioco”332. L’affermazione “Il nero mi piace” e la negazione “Il

nero non mi piace” sono infatti accomunate dalla presenza di “nero”, che resta in entrambi i casi all’interno della frase e che stimola la mente del lettore a visualizzare il colore nero. Lo stesso dice Ludwig Wittgenstein in alcuni appunti poi pubblicati sotto il titolo The Big Typescript, in cui, parlando di un soggetto che sostiene di non provare dolore, afferma “[negando di provare dolore, ndA] descrivo la mia condizione attuale con l’allusione a qualcosa che non sta accadendo”333.

Secondo Sigmund Freud, proprio perché l’atto linguistico della negazione conserva il contenuto, si può parlare di una non accettazione cosciente del contenuto che il soggetto sceglie di negare:

329 Ibid., p. 10. 330 Ibid., p. 16. 331 Ibid., pp. 16-17. 332 Ibid., p. 36.

“Lei mi domanda chi possa essere questa persona del sogno. Non è mia madre”. Noi rettifichiamo: dunque è la madre. Ci prendiamo la libertà, nell’interpretazione, di trascurare la negazione e di cogliere il puro contenuto dell’associazione. È come se il paziente avesse detto: “Per la verità mi è venuta in mente mia madre per questa persona, ma non ho voglia di considerare valida questa associazione”334.

Il padre della psicanalisi, per il quale la negazione è una pulsione alla distruzione335, pensa, infatti, che la negazione sia un modo “indolore” di inserire all’interno del discorso un contenuto difficile da gestire e da ammettere:

Il contenuto rimosso di una rappresentazione o di un pensiero può dunque penetrare nella coscienza a condizione di lasciarsi negare. La negazione è un modo di prendere conoscenza del rimosso, in verità è già una revoca della rimozione, non certo però un’accettazione del rimosso […] Negare alcunché nel giudizio è come dire in sostanza: “Questa è una cosa che preferirei rimuovere”. La condanna è il sostituto intellettuale della rimozione, il suo “no” un contrassegno della stessa, un certificato d’origine, all’incirca come il “made in Germany”. Mediante il simbolo della negazione il pensiero si affranca dai limiti della rimozione e si arricchisce di contenuti che gli sono indispensabili per poter funzionare”336.

Ancora Virno, seguendo il fil rouge nato idealmente dal dialogo platonico tra lo Straniero e Teeteto, ci ricorda un tratto peculiare eppure spesso trascurato della negazione, e cioè il fatto che negare un enunciato non significa affermarne il contrario. La negazione, infatti, non afferma il contrario ma il diverso, l’héteron:

La negazione non rimanda mai al contrario del predicato cui si applica: neppure quando questo contrario realmente esiste. Essa rimanda piuttosto a una diversità il cui contenuto è indefinito, o soltanto potenziale: ‘non bello’ vuol dire unicamente ‘diverso da bello’ […] Il ‘non’ si comporta come un commutatore: trasferisce la negatività primaria della lingua, di cui esso è una espressione concentrata, ai discorsi sulla realtà extralinguistica. Detto altrimenti, la negazione proietta all’interno del rapporto tra proposizione e fatti ciò che contraddistingue piuttosto il rapporto tra segni”337.

Secondo Virno, dunque, questo héteron è di fatto una soglia dalla quale partire338, un invito alla riflessione e all’analisi dell’Altro, del diverso che si cela dietro al non: permettendoci di dire come non stanno le cose, il non ci paventa la possibilità di un nuovo percorso di ricerca.

334 Sigmund Freud, La teoria psicanalitica: raccolta di scritti 1911-1938, Torino, Bollati Boringhieri, 1979,

p. 377.

335 Ibidem, p. 381. 336 Ibid., pp. 377-378. 337 Virno, Trattato, cit. p. 38. 338 Ibidem, p. 113.

Tenendo in considerazione le riflessioni appena affrontate sull’utilizzo e il significato della negazione affronteremo ora il tema dalla prospettiva del commento all’opera poetica di Lucian Blaga.