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PERCENTUALE OCCORRENZE RISPETTO ALLE OCCORRENZE TOTALI DI OGNI VERBO

O, niciodată n-am văzut pe Dumnezeu mai mare!?

4. Modi, tempi e persone dei verb

4.2. Il tempo – misura

4.3.2. La persona – interpretazione

Notiamo innanzitutto che la prima persona singolare (da qui in poi abbreviata in 1 p.s.), per quanto riguarda il verbo a vedea, è quella con le percentuali più alte ma che manca del tutto nel sottocorpus La cumpăna apelor. La 1 p.s. è decisamente predominante

in Poemele luminii (28%), Pașii profetului (13%), Lauda somnului (24%) e nelle postume degli anni ‘40 (22%) e degli anni ‘50 e ‘60 (9%). Ricompare qui, dunque, il pattern già visto altrove che vede una sorta di affinità stilistica (almeno per quanto riguarda l’utilizzo dei verbi legati alla vista e in particolare a vedea) tra Poemele luminii, Lauda somnului e le postume scritte negli anni ‘40.

Sempre per quanto riguarda il verbo a vedea, si osserva che la seconda persona singolare (2 p. s.) è presente – anche se in percentuali minori rispetto alla 1 p.s. – in tutti i sottocorpora (fatta eccezione per le postume prive di data). La percentuale di frequenza della 2 p.s. supera quella della 1 p.s. in În marea trecere (6% contro 3%), La curțile dorului (7% contro 3%), Nebănuitele trepte (15% contro 4%) e nelle postume degli anni ‘40 e ‘50 (13% contro 7%). L’opposizione principale, infatti, è proprio quella tra 1 p.s. e 2 p.s.: difficilmente sembrano avere livelli percentuali simili, ogni ciclo poetico è caratterizzato dalla predominanza dell’una o dell’altra persona. Dopo i primi due cicli di poesie antume, nelle quali la 2 p.s. era comunque presente ma in percentuali minime (rispettivamente 2% e 3%), si osserva facilmente che il “tu” diventa sempre più presente, si ha una “pluralizzazione” dello sguardo via via più significativa e intensa.

La 3 p.s. compare già in Poemele luminii (4%), poi di nuovo in Lauda somnului (3%) per poi essere una presenza costante da Nebănuitele trepte in poi in percentuali che variano tra il 2% e il 4%, fatta eccezione per le postume degli anni ‘40, dove la troviamo all’11%, dimostrando ancora una volta la connessione tra Poemele luminii, Lauda somnului e le poesie postume scritte negli anni ‘40.

La quarta persona plurale (4 p.p.) compare in Poemele luminii (4%) per poi sparire fino a La curțile dorului (3%) e di nuovo mancare fino alle postume degli anni ‘40 e ‘50 (2%) e quelle degli anni ‘50 e ‘60 (1%). La quinta persona plurale (5 p.p.) è presente esclusivamente nelle postume degli anni ‘50-’60 (4%), mentre la sesta persona plurale (6 p.p.) compare soltanto in În marea trecere. Abbiamo poi i dati relativi alla terza persona singolare utilizzata in maniera impersonale (3 p.imp.), che compare in În marea trecere (3%) e nelle postume degli anni ‘50 e ‘60 (2,5%).

Passando invece al verbo a privi notiamo che le percentuali sono un po’ diverse (e, se vogliamo, che i dati sono meno significativi, in quanto il verbo a privi è più raro rispetto ad a vedea): non ci sono persone verbali che compaiano in modo costante in tutti i cicli (come era stato per la 2 p.s. riferita ad a vedea). La 1 p.s. compare in percentuale

predominante soltanto in Poemele luminii (6,5%) e in Pașii profetului (13%) per poi comparire con percentuali decisamente più basse in În marea trecere (3%), La curțile dorului (3%), nelle postume degli anni ‘40 (3%) e in quelle degli anni ‘50 e ‘60 (2,5%). La 2 p.s. compare già in Poemele luminii (2%) e poi in Pașii profetului (3%), La cumpăna apelor (9%, è la percentuale di 2 p.s. più alta di tutte per quanto riguarda a privi, e, si noti, è l’unica persona che compare associata a questo verbo!) e nelle postume degli anni ‘50 e ‘60 (0,63%).

Si nota che anche la 3 p.s. compare esattamente negli stessi corpora in cui compariva la 1 p.s. e in percentuali grosso modo equivalenti: 2% in Poemele luminii, 13% in Pașii profetului, 3% in În marea trecere, 7% in La curțile dorului, 3% nelle postume degli anni ‘40 e 1% in quelle degli anni ‘50 e ‘60.

La 4 p.p. compare per la prima volta in Lauda somnului (dove è anche l’unica persona verbale associata al verbo a privi) con la percentuale del 3% e ricompare poi ancora in La curțile dorului (di nuovo al 3%), nelle postume degli anni ‘40 e ‘50 (2,12% dove è nuovamente l’unica persona verbale associata al verbo) e in quelle degli anni ‘50 e ‘60 (0,63%). Non compare mai la 5 p.p., mentre la 6 p.p. compare soltanto nelle postume degli anni ‘50 e ‘60 (1%).

Osservando i grafici e i loro andamenti notiamo come a mero livello visivo la 2 p.s. nella figura 19 (quindi con riferimento al verbo a vedea) sia rappresentata maggiormente nelle postume e che le percentuali più alte della 1 p.s., tranne nel caso delle postume degli anni ‘40, siano presenti soprattutto all’inizio della carriera poetica di Lucian Blaga, in epoca giovanile. Tutto ciò ci porta facilmente a concludere che, in particolare nel volume di debutto, la visione dell’io poetico fosse particolarmente centrata sul sé. Si nota anche che a partire da Pașii profetului il “tu”, e quindi una sorta di visione identitaria più ampia, si fa sempre più presente, attirando il focus su di sé.

Tornando a Sketch Engine e avvalendoci dell’utile strumento delle concordanze, che ci permettono di osservare le parole all’interno del testo e, in questo caso, ci permettono di osservare in un’unica schermata tutte le occorrenze di a vedea o a privi comprese del testo poetico che le precede e le segue, scopriamo che in Poemele lumini la 2 p.s. di a vedea è di fatto il vezi appartenente alla categoria H, quella dello sguardo che non è un vero sguardo, ma un semplice intercalare. Compare anche, in Noapte (“Notte”), una 2 p.s. riferita ad a privi che, come vediamo, è uno specchiarsi negli occhi dell’io

poetico, e che quindi ha un bagaglio semantico piuttosto particolare: Sub ocrotirea limpede a zării/ biruitoare mă privești/ și-n ochii mei te oglindești [...]282. Anche in Pașii

profetului notiamo che la 2 p.s. di a vedea è esclusivamente appartenente alla categoria H (compare in Teologul), dunque, nei primi due cicli antumi, mentre in În marea trecere comincia ad apparire una 2 p. s. non “di servizio” nella poesia Pluguri ([...] prietene care încă n-ai văzut/ câmp și soare jucând subt peri înfloriți [...])283. La tendenza continua in

Lauda somnului, dove inizia davvero a comparire “l’altro”, un altro “concreto”, e i vezi rientranti nella categoria H scompaiono per poi ricomparire qualche volta nelle postume, affiancati però sempre da 2 p.s. “effettive”. Che nelle postume si trovi anche qualche occorrenza di vezi utilizzato come intercalare discorsivo, però, non deve essere una sorpresa, in quanto i corpora postumi, come si è già notato più volte, hanno dimensioni considerevoli rispetto ai volumi di poesie antume.

Di fatto è nel corpus di poesie scritte tra gli anni ‘50 e ‘60 che notiamo un andamento davvero interessante: sono presenti alcuni vezi appartenenti alla categoria H – uno, ad es., in Ulise (“Ulisse”. Vezi, orice amintire-i/ doar urma unor răni [...])284 e un altro in Arheologie (“Archeologia”. [...] un sarcofag antic, vezi tu, e mult mai plin/ de tâlcuri, de istorie, când e deșert [...])285, e sono presenti 2 p.s. ordinarie, ma, soprattutto,

compare un utilizzo particolare della 2 p.s. Il “tu”, infatti, nelle ultime postume, viene utilizzato quale interlocutore generico: l’io poetico non si rivolge a nessuno in particolare, ma parla a un “tu” collettivo, generico, che serve quasi a enunciare fatti che – per il poeta – sono incontrovertibili, oppure realtà di fatto. Ne abbiamo un esempio in Umbra lui Dumnezeu (“L’ombra di Dio”): Umbra lui Dumnezeu e tot ce vezi,/ ce-n spațiu se desparte și s-adună [...]286, ma anche in Dumbrava africană (“La giungla africana”. [...]

Incendiu când se iscă-n așezare,/ îi vezi zorind, cu cranii subsuoară [...])287, in Frumsețea

(“La bellezza”. [...] Orice frumsețe e ca o urnă/ de-a căreia coapsă privirea se prinde.

282 Opere, vol. I, p. 58. “[...] Protetta dal sereno ampio del cielo,/vincitrice mi guardi/e, splendida, negli

occhi miei ti specchi [...]” (Baffi, p. 91).

283 v. p. 99.

284 Opere, vol. II, p. 90. “[...] Vedi, ogni nostro ricordo/è solo traccia di qualche ferita [...]” (Baffi, p. 266). 285 Opere, vol. II, p. 263. [(…) un antico sarcofago, vedi, e ben più ricco/ di senso, di storia, quando è

vuoto].

286 Opere, vol. II, p. 128. [L’ombra di Dio è tutto quel che vedi/ separarsi e riunirsi nello spazio (…)]. 287 Opere, vol. II, p. 213. [Quando scoppia l’incendio al villaggio/ li vedi affrettarsi con i crani sottobraccio

Vezi forma, mirat. Și suferi, gândind/ la cenușa pe care-o cuprinde)288 e un ottimo

esempio, infine, in Ceramică (“Ceramica”):

Ulcioare-nchipuind s-adape, au forme fetele parcă-ntr-adins alcătuite să ne scape.

Sunt ca din flăcări, ca din ape. Ulcioare vii, de neînvins.

Le vezi cu gândul, prin pleoape.

O amăgire e că le-ai cuprins, Oricât cu fapta te-ai deprins289.

In questi esempi sembra che l’io poetico stia di fatto parlando a sé stesso, di sé stesso, utilizzando la seconda persona singolare. Non è presente alcun interlocutore a condividere i pensieri e le sensazioni citate, che sembrano appunto percezioni personali. Non sorprende che questo tipo di “interlocutore generico” compaia tanto (e solo) nelle ultime postume. In parte ciò ha certamente a che vedere con la mole dei sottocorpora postumi, ma, soprattutto, con il fatto che, rispetto ai lavori giovanili, la prospettiva poetica e personale è totalmente cambiata. Questa seconda persona generica è una sorta di proiezione del sé nell’altro, o dell’altro nel sé. Secondo il filosofo francese Paul Ricoeur, nella sua monumentale opera “Sé come un altro”, afferma che “dire sé non significa dire io. […] Il sé è implicato come riflessivo in quelle operazioni la cui analisi precede il ritorno verso sé stesso”290. Il sé, dunque, può arrivare a comprendersi solo in modo

riflesso o riflessivo dopo aver preso accuratamente le distanze da sé stesso ed essersi osservato da fuori. Solo in seguito a questo lungo percorso di scoperta di sé stessi è possibile, secondo il filosofo, rispondere alla domanda “chi sono?”. In estrema sintesi, è alla fine di questo percorso di fuoriuscita da sé in direzione dell’altro che si può davvero tornare a sé stessi, al “sé come un altro”. Non è mai possibile avere un sé senza un altro che gli sia speculare, in quanto l’altro è radicato all’interno del sé. Esiste una “totalità del sé, che vive di sé e di altro, che si trova e si disperde, che si scopre e si modella incessantemente a partire dall’altro, nell’altro, in quanto altro”291.

288 Opere, vol. II, p. 200. [Ogni bellezza è come un’urna/ al cui manico si aggrappa lo sguardo. Ammirato,

ne vedi la forma. E soffri, pensando/ alla cenere che contiene].

289 Opere, vol. II, p. 180. [Come brocche piene d’acqua,/ hanno forme, le ragazze che sembrano, in realtà/

pensate per sfuggirci./ Sono come di fiamma, come d’acqua./ Le vedi nel pensiero, dietro le palpebre./ È illusione averle cinte,/ seppur le speranze dall’abitudine siano vinte].

290 Paul Ricoeur, Sé come un altro, Jaca Book, Milano, 1993, p. 94. 291 Ibidem, p. 68.

Alla base di questo pensiero c’è la distinzione tra identità-idem (che è quella statica, una totalità chiusa e compatta) e l’identità-ipse, che è, al contrario, aperta e accogliente nei confronti della pluralità delle esperienze e delle evoluzioni che il sé compie nel tempo292. Applicando al percorso poetico di Lucian Blaga quanto appena letto,

si potrà ipotizzare che, di fatto, la maturità sia artistica che personale abbia permesso al poeta di compiere il suddetto percorso, di accogliere l’altro all’interno del sé, di pluralizzare il proprio sguardo e la propria identità. Senza elementi estranei, insomma, sarebbe impossibile giungere a una piena consapevolezza della propria stessa identità. Ricordiamo anche, però, che in poesia l’altro non è che di fatto una proiezione del proprio pensiero, un introiettare l’altro così come assunto dal sé unicamente attraverso la propria esperienza (che è anche l’unica possibile). Chiudiamo dunque con due eloquenti citazioni da Il visibile e l’invisibile di Maurice Merleau-Ponty: “Il mondo è ciò che io percepisco”293 e “Orbene […] la cosa stessa è sempre, per me, la cosa che io vedo”294