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L’epoca Meiji, dal punto di vista della storia del diritto, può essere divisa in tre principali periodi218:

il primo, che va dal 1868 al 1881, fu il momento di tradizione tra il diritto feudale e il diritto moderno; il secondo, che va dal 1882 al 1898, fu la fase di creazione dei codici moderni; il terzo, infine, che va dal 1899 al 1912, fu il periodo in cui il nuovo sistema giuridico fu attuato. È questo il periodo più rilevante per la formazione del diritto internazionale privato contemporaneo, non solo per quanto riguarda la formazione delle nuove norme di conflitto, ma anche per quanto riguarda la clausola dell’ordine pubblico e le regole ad applicazione necessaria, che, ovviamente, si riferivano al diritto sostanziale preesistente; inoltre, anche il diritto processuale di quel periodo è importantissimo per capire lo sviluppo del diritto internazionale privato dal punto di vista procedurale.

Nel 1853, a seguito dei contatti tra lo Shogun e gli Stati Uniti, per il tramite del Commodoro Perry, i porti giapponesi si aprirono al traffico commerciale navale219. Da quel momento la storia del

Giappone si caratterizzò per un’apertura definitiva nei confronti dei paesi stranieri e per le importantissime trasformazioni che portarono alla disgregazione dell’ordine feudale precedente e

218 石井, ut supra.

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ad una rivoluzione politica condotta “dall’alto”220: il 3 gennaio 1868 l’imperatore Mutsuhito

proclamò l’inizio dell’era Meiji, considerata, dal punto di vista storico e giuridico, l’inizio della “epoca moderna”. Sul finire del XIX secolo, infatti, l’intensificarsi degli scambi commerciali e la necessità di abolire i diritti extraterritoriali dei trattati ineguali fecero sorgere la necessità di dare uno slancio più incisivo alla modernizzazione del sistema legale giapponese221. Come vedremo nel

terzo capitolo, furono proprio queste circostanze a creare il contesto per l’emanazione della legge Hourei.

Il processo di unificazione del Giappone sotto il governo imperiale passò attraverso l’abolizione del bakufu e l’istituzione di un sistema centralizzato di prefetture e distretti, che sostituirono i feudi: nel 1869, infatti i daimyou si arresero alla casa imperiale e gli restituirono la giurisdizione su tutto il territorio. In questo periodo si volle portare il Paese al livello delle altre potenze mondiali, in modo da entrare a pieno titolo nella comunità politica internazionale dopo secoli di isolamento: gli obiettivi principali furono lo sviluppo dell’agricoltura e dell’industria e il potenziamento militare, attuati attraverso la centralizzazione del governo. L’accentramento fu visto come mezzo essenziale per la modernizzazione del Paese e per la creazione di uno Stato vero e proprio, dunque nel 1872 fu attuata una riforma giudiziaria e nel 1875 una riorganizzazione amministrativa, in cui i daimyou furono costretti a trasferirsi nella capitale e i loro vassalli furono sostituiti da ufficiali civili, e furono contestualmente emanate leggi sulla stampa e sulla diffamazione a mezzo stampa, con l’obiettivo di sopprimere i movimenti popolari. Negli anni successivi furono anche emanati numerosi provvedimenti per la regolamentazione dell’assetto amministrativo dello Stato e degli enti locali. Il primo tentativo di istituire un sistema coerente di leggi scritte avvenne nel settembre del 1868: si decise che solo il Consiglio Amministrativo Centrale (行政官 gyouseikan) potesse emanare decreti, mentre ai ministeri furono lasciati i proclami; fu emanata quella che viene considerata la prima costituzione scritta (in realtà chiamata 政体書 seitaisho, “Documento sul sistema di Governo”),

220 Il processo di trasformazione capitalistica fu guidato dalla preesistente classe dominante feudale, infatti, a differenza

di quanto avvenne in Europa, la borghesia mercantile era politicamente troppo debole per poter avviare un processo rivoluzionario. (GATTI, Francesco, ut supra).

221 YANAGIDA, Yukio; FOOTE, Daniel H.; STROKES JOHNSON, Edward, Jr.; RAMSEYER, J. Mark; SCOGIN,

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ispirata in parte ai principi costituzionali stranieri quali la separazione dei poteri e la rappresentanza popolare; nel 1971 furono emanati i Regolamenti Disciplinanti l’Organizzazione del Gran Consiglio di Stato, l’unico competente a emanare leggi nazionali. Tuttavia vi era ancora molta confusione a proposito della terminologia che doveva distinguere i vari atti normativi (proclami, decreti, ordini imperiali, regolamenti, regole speciali, leggi), che fino ad allora erano denominati in base al verbo utilizzato nel titolo. Nel 1875 fu previsto che solo la Camera Centrale, su ordine del Cancelliere, potesse emanare atti a valenza nazionale. Nel 1881 i Regolamenti Generali per i Dipartimenti posero fine alla prassi secondo cui i Dipartimenti potessero fare proclami al pubblico; i tipi di atti emanati dal governo centrale si distinsero in decreti, proclami, notifiche e avvisi.

L’11 febbraio 1889 entrarono in vigore la Costituzione, integrata da leggi costituzionali disciplinanti gli organi dello Stato, e la Legge sulla Casa Imperiale. Fu in questo periodo che si delineò per la prima volta la distinzione tra diritto pubblico e diritto privato e si tentò una prima codificazione delle norme di conflitto. In questa carta costituzionale l’Imperatore era sacro e inviolabile, quindi non soggetto ad alcun potere terreno; conteneva anche principi democratici quali la previsione di diritti civili, la separazione dei poteri, l’esistenza di un Parlamento rappresentativo del popolo, la responsabilità dei ministri. Gli organi dello Stato previsti dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali erano l’Imperatore, la Dieta Imperiale (divisa in due Camere), il Gabinetto (presieduto dal Primo Ministro) e il Consiglio Privato.

A partire dal 1873, furono introdotte da consiglieri stranieri, chiamati dal Governo, strutture giuridiche europee che portarono il Giappone verso un’apertura a modelli giuridici codificati. Dopo una prima fase di traduzione e studio, i codici napoleonici e prussiani costituirono la base per l’emanazione del Codice Civile e Commerciale, avvenute rispettivamente nel 1898 e 1899222. Già

nei secoli scorsi era conosciuta la differenza tra cause civili e cause penali, ma probabilmente si trattava di una distinzione processuale piuttosto che sostanziale223 e la dottrina giuridica non aveva

222 Già nel 1869 Mitsukuri Rinsho tradusse il codice penale e gli altri codici napoleonici. La sua opera tuttavia non

venne approvata dal governo. Peraltro in quegli anni, al fine di rendere in giapponese nozioni ed idee del diritto francese, nacque il primo vocabolario giuridico giapponese, tuttora in uso. Nel 1882 inoltre vennero divulgati, su traduzione dell’avvocato parigino Georges Bousquet e di Gustave Boissonade il codice penale e il codice di procedura penale francese e nel 1890 una nuova traduzione del codice civile, commerciale e di procedura civile francese.

223 HENDERSON, Dan Fenno. Conciliation and Japanese law: Tokugawa and modern. University of Washington Press,

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sviluppato una filosofia del diritto legata a principi giuridici astratti come avvenne in Europa; per questo motivo, nel recepire i modelli stranieri, fu necessario importare anche l’impostazione della dottrina e creare i relativi termini giuridici (ad esempio 権利 kenri “diritto soggettivo” e 民法 minpou “diritto privato”).

Inizialmente, il codice civile fu modellato sul Code Civil del 1804, di cui ricalcava tutta la disciplina, con alcune divergenze in materia di famiglia, successioni e proprietà, e fu stilato sotto la guida del giurista francese Gustave Boissonade. Ci vollero vent’anni prima che fosse possibile arrivare a un accordo definitivo sul testo, che fu pubblicato nel 1890224. Per ragioni politiche più che giuridiche,

il codice fu molto contestato225 e quasi subito passò alla storia con il nome di “vecchio codice civile”,

in contrapposizione con quello di matrice tedesca successivamente emanato.

Il nuovo Codice Civile, promulgato nel 1898, presentava un impianto sistematico tratto dal progetto del BGB226 e influenze provenienti da quello francese. La capacità giuridica era garantita

a tutte le persone fisiche dalla nascita e si estingueva con la morte, perciò la schiavitù non fu più permessa. Tuttavia esistevano limitazioni alla capacità giuridica per interdetti (incapaci naturali), inabilitati (sordi, muti, ciechi, semi-infermi di mente) minori e donne sposate (le quali avevano un regime giuridico simile a quello degli inabilitati). Le persone giuridiche, che già esistevano nel periodo Edo, continuarono ad essere considerate tali ed erano divise in senza scopo di lucro e non- profit. Per quanto riguarda i beni, furono divisi in mobili ed immobili e cadde la definizione del vecchio codice riguardante i beni immateriali come l’elettricità.

Erano previste la prescrizione (per un periodo di vent’anni e concepita come eccezione in senso stretto) e l’usucapione (fissata in vent’anni, indifferentemente se in buona o cattiva fede).

Rispetto al precedente codice, furono eliminati gli istituti dell’usufrutto, uso e abitazione e i diritti reali divennero solo tipici, quindi un numerus clausus (una limitazione non prevista dal vecchio codice). Per essere valida, l’alienazione dei diritti reali era soggetta a registrazione. Superficie,

224 HALEY, John Owen. Authority without power. Oxford University Press, 1995. 225 石井, ut supra.

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enfiteusi e servitù erano già conosciute nel periodo Edo e rimasero quindi anche nel nuovo codice, così come pegno e ipoteca.

Il possesso era protetto in caso di buona fede con la regola possesso vale titolo, mentre il diritto di proprietà era limitato dalla legge e dalle ordinanze. I modi di acquisto della proprietà a titolo originario erano quattro: possesso precedente, occupazione di tesoro, invenzione, accessione. Anche la comunione era disciplinata, in quanto già conosciuta nel diritto giapponese di epoca Edo. Le obbligazioni nel periodo Edo erano classificate secondo gli effetti prodotti e si dividevano in tre categorie: quelle azionabili nei giudizi civili, quelle azionabili nei giudizi speciali e quelle non azionabili in alcun giudizio. In realtà erano viste come faccende private e obbligazioni naturali, quindi erano trattate come questioni private da risolvere tramite la conciliazione. Le obbligazioni naturali avevano intero capitolo dedicato nel vecchio codice, ma furono completamente ignorate nel nuovo, a causa del mancato raggiungimento di un accordo dottrinale. Erano previsti termini di decadenza entro i quali far valere in giudizio l’inadempimento: nel 1873 la Legge sulle Limitazioni previde termini di sei mesi, un anno o cinque anni, poi aboliti nel nuovo codice. Un punto controverso fu l’oggetto delle obbligazioni, che nel vecchio codice potevano essere solo quelli suscettibili di valutazione economica, mentre nel nuovo codice potevano essere anche quelli privi di valore economico. Per quanto riguarda l’adempimento, non furono previste obbligazioni infungibili e fu previsto un rimedio giudiziale per l’adempimento coattivo. Le obbligazioni indivisibili e in generale quelle plurisoggettive, che nel periodo Edo prevedevano il litisconsorzio necessario, divennero obbligazioni solidali con litisconsorzio facoltativo. Le garanzie personali nel diritto classico erano di due tipi: la prima era limitata al solo caso in cui il debitore scomparisse, la seconda non aveva limitazioni. Nel vecchio codice furono previsti tre tipi di garanzia: volontaria, giudiziale e legale, ma questa distinzione scomparì nel nuovo codice. La cessione del credito fu limitata per impedirne gli abusi durante il periodo Edo, mentre successivamente l’unica restrizione prevista fu il consenso del debitore. L’estinzione delle obbligazioni era di cinque tipi: adempimento, novazione, remissione, confusione e compensazione, mentre nei principi generali e nelle obbligazioni contrattuali furono previste anche la revocazione, annullamento, impossibilità sopravvenuta e prescrizione.

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• la volontà delle parti prevaleva sull’interpretazione letterale;

• le clausole con doppi significati dovevano essere interpretate nel senso che rendeva valida la clausola;

• le parole e le frasi con doppi significati dovevano essere interpretate nel modo più consono alla volontà espressa nel contratto;

• le frasi ambigue andavano interpretate secondo gli usi locali del luogo in cui il contratto era stato stipulato;

• i dettagli non specificati ma impliciti negli usi dovevano essere considerati come inseriti nel contratto;

• le clausole andavano interpretate secondo il significato generale di tutto il contratto; • in caso di dubbio doveva prevalere l’interpretazione più favorevole al debitore;

• nel caso in cui il contratto non fosse stato scritto chiaramente, l’unica interpretazione possibile doveva essere quella presunta dalla volontà delle parti;

• le obbligazioni previste dal contratto non potevano escludere quelle implicite per la natura del contratto.

Vi erano poi quattro tipi di vizi del consenso: dolo, errore essenziale, violenza, simulazione. Per quanto riguarda i contratti a distanza, fu adottata la regola del perfezionamento al momento della spedizione della proposta. L’assunzione del rischio per impossibilità sopravvenuta ricadeva generalmente sul debitore, mentre per i diritti reali sul creditore.

Il contratto a favore di terzo era valido nel vecchio codice solo se suscettibile di valutazione economica, mentre nel nuovo codice era richiesto il consenso del terzo.

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della quale l’atto era revocabile.

Nel periodo Edo la compravendita si distingueva in permanente e condizionata ed era un contratto reale, mentre nel periodo Meiji divenne un contratto ad effetti obbligatori. Erano previste sia la garanzia per l’evizione che quella per vizi. La vendita con patto di riscatto, esistente da molto tempo in Giappone, fu limitata dal nuovo codice ai soli immobili. Il comodato, il deposito e il mutuo furono modellati sul diritto romano, perciò furono concepiti come contratti reali.

La negotiorum gestio era inserita nel vecchio codice all’interno dell’ingiusto arricchimento, perché era vista come un’interferenza illegittima negli affari altrui. Nel nuovo codice, invece, fu vista come parte della gestione d’affari e fu previsto che dovesse essere gestita secondo il migliore interesse altrui.

L’arricchimento senza causa, secondo il nuovo codice, era il profitto ingiustificato ricevuto in danno altrui, ed erano previsti quattro casi: obbligazione inesistente, restituzione anticipata, adempimento di obbligazione altrui e prestazione per causa illecita.

I fatti illeciti erano definiti come le violazioni di un diritto altrui, anche morale, per dolo o negligenza, da parte di una persona capace di intendere e volere, e prevedevano il risarcimento del danno (in caso di morte, ai parenti della vittima), salvo il caso di forza maggiore o necessità. Era prevista la responsabilità oggettiva del tutore. Inoltre, erano esplicitamente riconosciuti i diritti del feto. La famiglia comprendeva il coniuge, i parenti fino al sesto grado e gli affini fino al terzo grado. Le differenze tra le famiglie di samurai e quelle comuni andarono via via scomparendo fino al 1877, quando gli stipendi dei primi furono convertiti in pensioni.

Il matrimonio fu l’istituto che subì le maggiori trasformazioni rispetto al passato. Il matrimonio tra classi diverse fu liberalizzato nel 1871 e quello con gli stranieri nel 1873. L’età minima per contrarre matrimonio fu fissata in quindici anni per le donne e diciassette per gli uomini. La bigamia era illegittima sia a livello civile che penale.

Il divorzio richiedeva la forma di scrittura privata da parte del marito ancora nei primi anni della Restaurazione, ma nel 1873 alla donna fu concesso di instaurare un giudizio se accompagnata da

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un parente stretto, a meno che non vi fossero cause che richiedevano un giudizio più spedito, nel qual caso poteva adire la Corte anche da sola. L’adulterio era causa di divorzio solo se commesso dalla moglie.

In epoca Meiji i figli si dividevano in legittimi, naturali riconosciuti e naturali non riconosciuti (che non avevano diritti successori).

Le successioni potevano essere ab intestato o tramite testamento, anche se dalla fine del periodo Edo quest’ultima forma era meno comune. Erano previsti il testamento segreto, olografo e notarile, oltre a casi eccezionali.

Il diritto commerciale era disciplinato separatamente rispetto al codice civile: nel 1890 fu promulgato il c.d. vecchio codice commerciale e nel 1899 quello nuovo, poi emendato nel 1911. Le altre fonti, per le materie non regolate dal codice commerciale, erano le consuetudini e il nuovo codice civile (in via sussidiaria).

Le società, costituite per contratto, avevano personalità giuridica e lo scopo di condurre attività commerciali; erano divise in quattro tipi: ordinarie, a responsabilità limitata, per azioni e a responsabilità limitata per azioni.

I titoli di credito erano l’assegno (pagabile a vista), la cambiale e la cambiale tratta e potevano essere protestati.

Il diritto marittimo richiedeva la registrazione per la validità della vendita di navi e prevedeva l’esclusione di responsabilità per il proprietario per i danni causati dall’equipaggio e dal capitano. A differenza del vecchio codice, il nuovo non prevedeva l’obbligo di stipulare un contratto di trasporto delle merci e prevedeva una disciplina dettagliata per l’assicurazione e la ripartizione del rischio.

Il codice penale nacque dopo la consultazione di varie leggi straniere e la prima bozza fu stilata da Boissonade nel 1876. A causa delle opinioni contrastanti, tra cui quelle riguardanti lo status delle concubine, il testo definitivo fu promulgato solo nel 1880 ed entrò in vigore nel 1882. Ispirandosi al codice penale francese, il testo abbracciò i principi di legalità, di irretroattività e del favor rei. I reati

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furono divisi in tre tipi, ciascuno giudicato da una specifica Corte: delitti, contravvenzioni e violazioni amministrative; le pene previste erano invece di due tipi: principali e accessorie. Le pene principali per i delitti si dividevano in morte tramite impiccagione, reclusione, lavori forzati, deportazione227 con lavori forzati e deportazione con reclusione; quelle per le contravvenzioni

erano la reclusione e la multa; per le violazioni amministrative invece erano la detenzione228 e

l’ammenda. Le pene accessorie consistevano nella sospensione o revoca dei diritti civili, interdizione, sorveglianza, ammenda e confisca. Tra le circostanze di esclusione della pena erano previste cause di esclusione della colpevolezza per mancanza di suitas (forza maggiore, caso fortuito, coercizione), cause di giustificazione (legittima difesa, adempimento del dovere), e cause di non punibilità in senso stretto (incapacità di intendere e volere). Erano previste anche cause di non imputabilità (minori di dodici anni). Vigeva altresì il principio ignorantia legis non excusat. Accanto al codice furono emanate anche altre leggi penali, in materia di controllo degli esplosivi, bancarotta, reati militari, protezione dei parlamentari, violazione di ordinanze, documenti ufficiali e falsificazione di moneta.

Il diritto processuale civile incontrò due diverse fasi: nella prima, dal 1882 al 1891, fu disciplinato da un insieme di leggi diverse, nella seconda fu codificato in un unico corpus, il codice di procedura civile del 1891. Dopo un primo tentativo di ispirarsi al modello francese, il Governo provò a utilizzare il codice tedesco come fonte di ispirazione229, affidando la stesura della bozza al

consigliere prussiano Techow. Tuttavia, anche questa versione fu modificata sostanzialmente ad opera del Ministero della Giustizia.

Il testo definitivo fu promulgato nel 1890 ed entrò in vigore l’anno successivo. Nel Libro I, dedicato alle Corti, le norme sulla competenza furono eliminate e lasciate alla Legge sulle Corti, mentre rimasero quelle sul valore della causa. Fu previsto che il Giudice di Pace potesse esaminare le prove presso il suo domicilio privato. Non fu previsto l’obbligo di rappresentanza tecnica.

Nel Libro II, dedicato al processo di primo grado, si previde che l’azione non fosse condizionata

227 La deportazione era una pena simile all’esilio, da cui si distingueva per la previsione di misure restrittive della

libertà personale.

228 La detenzione, nel XIX secolo, era considerata una pena diversa dalla reclusione anche nel codice penale italiano

ed era prevista solo per i reati minori.

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al previo esperimento del tentativo di conciliazione. Aderendo al principio dispositivo di parte secondo cui iudex iuxta alligata et probata iudicare debet, fu escluso il potere di raccogliere prove ex officio. La rinuncia agli atti da parte dell’attore fu consentita senza il consenso del convenuto solo prima della discussione della causa.

Il Libro III prevedeva tre tipi di impugnazione: l’appello (con divieto dei nova), il giudizio di legittimità e il reclamo. Rilevanti erano anche il Libro V, che si occupava dell’esecuzione forzata, e il Libro VIII, che trattava l’arbitrato. Furono emanate inoltre anche delle leggi complementari, ad esempio in tema di bancarotta, conciliazione, divorzio.

Il diritto processuale penale fu regolato dapprima dal Codice del 1880 e successivamente da quello