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PRINCIPI TEORICI ED ELEMENTI FONDANTI DEL PROGETTO

Nel documento Ricomincio da me (pagine 55-58)

Ricomincio da me L’identità delle scuole di seconda oc

PRINCIPI TEORICI ED ELEMENTI FONDANTI DEL PROGETTO

La dispersione scolastica non è un fenomeno univoco, ma una condizione frutto di più cause che riguardano il dentro e il fuori della scuola. Spesso infatti il luogo in cui si verifi ca la dispersione ne è anche generatore, e nello stesso tempo il disagio dello stare a scuola si misura con problemi specifi ci di apprendimento, assunzione di comportamenti problematici e diffi coltà di relazione, tensioni emotive di origine familiare, impossibilità a vivere esperienze socializzanti con i pari.

L’impostazione del lavoro educativo di prevenzione poggia su alcuni principi nati più dalla sperimentazione di relazioni diffi cili (con ragazzi diffi cili, in situazioni diffi -cili, circondati da regole diffi cili da rispettare o per meglio dire estranee ai bisogni che i ragazzi diffi cili esprimono) piuttosto che dallo studio di teorie sull’adolescenza e la devianza, sulla didattica alternativa e le professioni d’aiuto, sulle dinamiche di gruppo e i metodi cooperativi.

Tali principi sui quali il progetto si fonda riguardano: il rapporto diretto con i ragazzi, la mediazione dei rapporti tra ragazzi, i rapporti tra fi gure adulte educative concorrenti e non confl ittuali che dialogano per ottenere il miglior risultato possibile in un’ottica di sistema e non soltanto di collaborazione.

Ci siamo orientati innanzitutto partendo dall’osservare per conoscere, che conti-nua a rimanere una pratica assolutamente necessaria.

Anche se è in qualche modo possibile strutturare una categoria di ragazzi a rischio o già in situazione di dispersione, sappiamo che l’unicità invocata dalle varie riforme, in nome di una personalizzazione o individualizzazione dei percorsi e delle relazio-ni educative, è l’elemento basilare perché l’adolescente si senta riconosciuto nei suoi specifi ci bisogni e intraprenda un percorso di crescita e di ricerca d’identità spesso troppo negata da una scuola con proposte “da banco”, proprio come le medicine che vanno bene per tutti, con eff etti generici e limitati.

Il metodo dell’osservazione partecipata ci è sembrato dunque il più adatto per ac-quisire gli elementi di conoscenza del ragazzo e per farci conoscere dai ragazzi in una negoziazione di distanze che consentano a tutti di avere una posizione chiara e defi nita nel gruppo. Volevamo partire defi nendo il ruolo di ciascuno per promuovere nel quo-tidiano quel processo di identità, cui si accennava (Chi sono?, Perché sono qui?, Chi sono gli altri?, A che cosa mi servono? A che cosa servo io?), innescato dalla crescita.

Volevamo garantire ai ragazzi, e anche a noi, una salvaguardia dal pressappochi-smo, perché l’agire -spinto tipicamente dall’ansia del fare dell’adulto- non preceda mai il conoscere. E perché il conoscere sia anche possedere gli strumenti adatti per un intervento fruttuoso.

Un altro elemento che ha accompagnato tutta l’esperienza del Sam riguarda la capacità di scindere i problemi legati all’apprendimento dai problemi legati alla relazio-ne. Scindere signifi ca saperli distinguere per non confonderli, non certo per trattarli separatamente pensando che l’uno non condizioni l’altro!

Abbiamo quindi indagato gli studi riguardanti l’intelligenza emotiva e le strategie di apprendimento inserite in un contesto che, sempre in modo sistemico, sostenga il percorso di costruzione identitaria dei ragazzi, generando cambiamenti in più direzio-ni (rapporto con gli adulti, rapporto con i pari, rapporto con lo studio). Una delle ca-renze che abbiamo incontrato con frequenza nel percorso “accidentato” raccontatoci dai ragazzi, è l’esiguo, se non inesistente, spazio di ascolto. È come se i ragazzi dices-sero: sì gli insegnanti lavoravano per noi, ma senza chiederci che cosa ne pensavamo, se ci piaceva, se stavamo bene, se avevamo delle idee o altre idee.

L’aspetto dell’eterogeneità ha rappresentato un altro fondamento metodologico.

La struttura del progetto ha retto grazie alla presenza di eterogeneità intesa come la costituzione di una partnership che veda la concorrenza del pubblico e del privato con la valorizzazione del contributo di tutti verso un unico fi ne, ciascuno con la pro-pria specifi cità, storia, gusti, competenze, vincoli e gradi di libertà. Vengono messi a disposizione dei ragazzi delle opportunità:

Scuola: il piano didattico.

Servizi: il piano socio-educativo.

Associazioni: il piano delle relazioni extrascolastiche.

Enti privati: competenze organizzative manageriali e contributo scientifi co.

Un principio importante che cerchiamo di tenere sempre presente riguarda il be-nessere per tutti: si lavora per i ragazzi, ma si lavora anche per gli insegnati. Abbiamo adottato il principio di reciprocità che si concretizza nello star bene con se stessi per stare bene con gli altri, in quanto anche gli insegnanti possono venirsi a trovare in una situazione di disagio e non sempre esiste uno spazio per esprimere un malessere che può però avere eff etti negativi sulla relazione sia con i ragazzi e sia con i colleghi.

Ma il vero elemento innovativo di Sam è rappresentato dalla presenza dei volonta-ri delle associazioni. Tale presenza è motivata da più ragioni, volonta-risponde a più esigenze e consente di raggiungere più risultati.

La storia della città di Torino è caratterizzata da una forte sensibilità sociale che ha generato una cultura di attenzione per le persone in diffi coltà che si concretizza nell’impegno in organizzazioni di volontariato.

Anche il Progetto Sam è nato su una spinta di impegno volontario, raccogliendo man mano intorno a sé un numero sempre più elevato di persone che intendevano sia contribuire al progetto di aiuto per i ragazzi in diffi coltà scolastiche e sia coinvolgere i giovani in un’esperienza educativa che andasse oltre l’animazione per il tempo libero.

Crescere generazioni attente ai bisogni di chi è in diffi coltà è uno dei principi di quelle che si chiamano Città educative. Il Sam ha rappresentato, senz’altro fi no ad un certo punto “involontariamente”, una delle occasione per praticare questo principio.

La fi gura del giovane volontario è apparsa molto presto come necessaria per ten-tare una strada di conciliazione con i ragazzi in rottura con il mondo degli adulti (prevenzione secondaria).

Oggi li chiamiamo peer educator, oppure fratelli maggiori, rifacendoci alla teoria della peer education. Sappiamo che avevamo bisogno di loro per trovare un anello di congiunzione tra i ragazzi in diffi coltà, o già in dispersione, e gli insegnanti per provare a stare bene a scuola.

Ai ragazzi che patiscono il passaggio dalle elementari alle medie (per la parte di prevenzione primaria) si voleva off rire un’opportunità di organizzare la propria vita scolastica con l’aiuto di giovani volontari per fare quello che la scuola da sola non potrebbe mai fare: aiuto per i compiti, affi ancamento di modelli che contrastano il rischio di esperienze negative nell’ambiente di vita quotidiana e off rono la possibilità di vivere i luoghi della città, il quartiere come esperienza positiva. I ragazzi hanno bisogni di qualcuno da imitare e se l’insegnante può essere un ottimo modello adulto, il giovane ha il vantaggio di assomigliare loro per linguaggio, gusti, cultura (compe-tenze musicali, abbigliamento eccetera). Una vicinanza che rinfranca perché non è la distanza percepita come incolmabile tra sé e “i grandi”.

Esistono infi ne due altri elementi rilevanti che tengono vivo il Sam perché lo rin-novano costantemente: i giovani volontari crescono, concludono gli studi, trovano un lavoro, esauriscono l’interesse di vivere questa esperienza di fi gura intermedia e quindi i giovani delle associazioni di volontariato cambiano.

L’altro elemento riguarda il modo d’interpretare il ruolo del peer educator, che dipende dal singolo giovane. La rigidità delle funzioni codifi cate è qui sostituita dalle linee guida su ciò che si può fare, quando, dove e che lasciano quindi la libertà di “gio-care” le proprie abilità, attitudini, empatie, passioni per coinvolgere i ragazzi.

Abbiamo sempre detto “ragazzi” trascurando il fatto che invece sono molte (anche se non la maggioranza) le ragazze inserite nei percorsi del Sam. Per tale ragione ab-biamo sempre tenuto in grande considerazione la diff erenza di genere tra i volontari, perché si evitasse sia la femminilizzazione delle fi gure educative, sia per avere un ventaglio di proposte di attività e di comportamenti adatte a tutti.

La presenza di molti ragazzi stranieri ha, da qualche anno, incominciato a farci av-vertire la necessità d’inserire un altro elemento di “varietà”, e cioè fi gure di mediazione linguistica e culturale, esperienza per ora introdotta nel progetto solo in via sperimen-tale e limitata. Ci sarà tempo e modo. Come dire, il Sam non si esaurisce qui!

Storia di Ida D.

La ragazza vive con i suoi quattro fratelli e la mamma. I due fratelli minori frequentano ancora la scuola dell’obbligo, i due maggiori e la mamma lavorano. Il papà non vive con la famiglia, e non vede i suoi fi gli da circa dieci anni. Il cambiamento più signifi cativo verifi -catosi all’interno del nucleo familiare durante il passato anno scolastico, è stata la scoperta che il fratello diciassettenne della ragazza sarebbe presto diventato padre. La notizia ha infl uito pesantemente sugli equilibri emotivi, nonché economici della famiglia.

Ida ha terminato il ciclo elementare senza presentare problemi, che si sono invece verifi ca-ti una volta iniziata la scuola media.

Qui la ragazza ha ripetuto una volta la classe seconda e dopo essere stata bocciata in terza ha deciso di abbandonare l’istituto per iscriversi presso il CTP Gabelli.

Dal suo racconto libero si evince che la ragazza non è mai, fi n dai primi giorni, riuscita ad integrarsi all’interno del gruppo classe. Questo anche a causa del comportamento degli insegnanti nei suoi confronti che non favorivano il suo inserimento, trattando le sue diffi -coltà con superfi cialità.

Al CTP Ida ha trovato un’accoglienza che non si aspettava, un ambiente che ha saputo starle vicino nei momenti di fragilità e stimolare i suoi interessi nell’ambito scolastico.

Il rapporto con i professori l’ha defi nito di “ottimo supporto”, così come il rapporto coi compagni con i quali è riuscita a condividere esperienze passate simili, pur essendo tra individui apparentemente molto diversi da lei per età e cultura.

Nel documento Ricomincio da me (pagine 55-58)