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QUALE RAPPORTO CON LA SCUOLA ORDINARIA?

Nel documento Ricomincio da me (pagine 63-66)

Ricomincio da me L’identità delle scuole di seconda oc

QUALE RAPPORTO CON LA SCUOLA ORDINARIA?

Il Progetto Sam gode dell’opportunità di realizzare un reale lavoro di rete costante e continuo tra diverse istituzioni.

Chi promuove, chi fi nanzia e chi realizza è presente nel lavoro quotidiano e non soltanto nei momenti di verifi ca, dando così luogo a una condivisione che garantisce il fl uire delle informazioni e l’intervento all’insorgere di problemi.

Le diffi coltà ad incidere sulle istituzioni, per garantire un radicamento dei cam-biamenti maturati e sperimentati come positivi, costituiscono un punto di debolezza del progetto.

Prima di tutto è necessario che la scuola collabori riconoscendo il problema, in-dividui le diffi coltà da aff rontare e sia disponibile in qualche modo a modifi carsi.

Tutto ciò richiede una visione integrata del fenomeno dispersione che tenga conto di quanto esso incida sul reale successo formativo. In questa visione, la scuola assume un ruolo attivo e inserisce il Progetto Sam in un intervento sistemico più ampio che coinvolge i ragazzi a rischio durante tutto il percorso formativo.

In secondo luogo il territorio deve fare proprie e rendere visibili le opportunità formative alle quali indirizzare i ragazzi.

Infi ne va garantita la tempestività delle iniziative che aff rontano i reali bisogni che di volta in volta emergono e che il progetto PAS da solo non può soddisfare. Proprio

per rispondere a istanze di confronto sull’insuccesso formativo e di ricerca di nuovi strumenti, sono stati organizzati due corsi di formazione rivolti l’uno ad aff rontare il fenomeno allarmante del bullismo e l’altro a elaborare strategie didattiche fondate sul riconoscimento della incidenza degli aspetti emotivi e relazionali sull’apprendimento.

Costruire relazioni continue tra scuola, servizi, territorio, famiglie, porsi in un atteggiamento di ascolto nei confronti dei problemi dei ragazzi e di disponibilità a cercare percorsi di aiuto e sostegno è l’unica strada che noi riteniamo percorribile.

Il progetto PAS non propone di promuovere tutti, di non tener conto dei livelli di apprendimento, chiede però agli insegnanti alcune cose essenziali:

concordare con i volontari alcuni obiettivi realisticamente raggiungibili e te-ner conto anche del loro raggiungimento nella valutazione di fi ne anno;

non smettere di cercare e di percorrere nuove vie didattiche in grado di au-mentare le possibilità di apprendimento;

concedere tempo alle azioni concordate. Il tempo che si perde all’inizio, si recupera facilmente dopo, se i ragazzi si sentono sicuri;

avere fi ducia nella capacità dei ragazzi di capire e di accettare anche il falli-mento o il mofalli-mento di diffi coltà, e quindi la frustrazione, dando però loro l’idea che potranno riprendersi e che hanno in sé grandi possibilità. I ragazzi devono sentire, nei casi in cui è inevitabile fermarli, che comunque c’è un pro-getto su di loro, che una caduta non signifi ca che non si sarà più in grado di camminare, che “il bollo” non resterà per sempre a segnare la loro goff aggine.

È ormai pacifi co come il successo o l’insuccesso scolastico siano in stretta relazio-ne col sentimento di apparterelazio-nenza; ma l’apparterelazio-nenza, la disponibilità a identifi carsi e a spendersi nell’istituzione cambiano radicalmente di intensità a seconda che i sog-getti vivano diverse situazioni di tipo aff ettivo, sociale, intellettivo.

Il punto di partenza quindi potrebbe essere quello del riconoscimento dell’aspetto aff ettivo e relazionale del processo di crescita e di apprendimento, con un’attenzione particolare a tutti quei fenomeni che evidenziano un disagio, uno “star male” e diffi -coltà relazionali sia nel gruppo dei pari che con gli adulti.

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Un esempio di attività integrata di prevenzione tra insegnanti, operatori educativi, ricercatori:

il percorso “Ti ascolto”, per aff rontare il bullismo

Il gruppo dei docenti coinvolti nel progetto ha scelto delle ore di lezione da riservare per la realizzazione di questa attività, che nelle classi è stata gestita con la compresenza di un volontario, nel ruolo di conduttore, e di un insegnante, nel ruolo di osservatore.. Obiettivi del lavoro: osservare il fenomeno e sperimentare attività fi nalizzate alla prevenzione.

Alunni e insegnanti per alcuni mesi hanno focalizzato l’attenzione su questo problema. I ragazzi da oggetto della ricerca sono diventati soggetti attraverso un percorso di rifl essione e di responsabilizzazione (ciò a loro è piaciuto molto). Gli insegnanti, da parte loro, hanno in certo qual modo sospeso l’atteggiamento prescrittivo repressivo (il primo troppo astratto per il pensiero fortemente “concreto” dei preadolescenti, il secondo pericoloso perché da un lato delega e rimuove il problema, dall’altro stigmatizza i comportamenti) e hanno tentato di comprendere le motivazioni che stanno dietro le tensioni in atto: J. Dewey, all’inizio del secolo scorso, sosteneva che le lezioni fossero più effi caci in presenza di accadimenti reali.

In che modo si è operato?

Sensibilizzando i ragazzi attraverso fi lm e letture e lavorando sulla classe come gruppo. Un gruppo può diventare capace di pensare e di darsi obiettivi condivisi, può contenere il com-pagno e aiutare a sostenere le vittime ricomponendo una rete relazionale positiva cercando modalità diff erenti di gestione del confl itto tramite drammatizzazioni, discussioni con tec-niche particolari (circle-time, problem solving, brainstorming), esplicitazioni di bisogni e sen-timenti.

Gli insegnanti si sono messi all’interno di una rete di rapporti attraverso l’ascolto, cercando di capire le motivazioni che stanno dietro ai comportamenti in atto. Osservare e ascoltare vuol dire entrare nel vivo del problema e dare ai ragazzi la possibilità di sospensione dell’azione at-traverso la “verbalizzazione” delle proprie emozioni. Ne è risultata una maggiore attenzione da parte di tutti. Quasi tutti i ragazzi sono concordi nell’aff ermare che il dialogo aiuta a ragionare e a impedire che le tensioni degenerino in “violenza”. La via d’uscita sembra dunque essere quella della comunicazione, del dialogo, della comprensione di quello che sta succedendo.

Questo esperimento, non ancora giunto alla conclusione, ci sta facendo rifl ettere sul fatto che il percorso di prevenzione, nonostante sia complesso e accidentato, è necessario. In ogni scuola dovrebbero essere aperti spazi di ascolto con la collaborazione di altre agenzie operanti sul territorio. Il minore aggressivo o soff erente non può essere emarginato, ma ha bisogno di fi gure di riferimento in grado di aiutarlo a essere meno in balìa della sua insicu-rezza, della sua disperazione, del suo vuoto esistenziale.

Certo l’attività limitata a un breve periodo non è stata suffi ciente, ma è tuttavia importante lo spirito che ha animato l’esperimento basato sull’ascolto, sulla condivisione, sulla comuni-cazione, presupposti indispensabili sia a scopo preventivo-educativo sia per la rimotivazione all’apprendimento. È fondamentale nella scuola l’attenzione all’educazione emotiva che dia

al ragazzo una positiva e realistica immagine di sé e faciliti l’instaurarsi di gratifi canti rapporti con gli altri. Ciò costituisce un effi cace mezzo di formazione degli individui e quindi diventa strumento di prevenzione alla devianza.

La violenza tra i minori è indice di soff erenza e insicurezza cui educatori, operatori sociali e politici devono dare attenzione per progettare piani effi caci di prevenzione. Per far ciò oc-corrono risorse economiche, nuove competenze professionali, sinergie tra le ricche risorse che il territorio off re, oltre che la buona volontà degli operatori che seguono il sottile fi lo di Arianna nel labirinto.

Nel documento Ricomincio da me (pagine 63-66)