La famiglia esercita un ruolo positivo soprattutto nella sfera della mediazione interpersonale e della creazione di spazi di conforto, con lo scopo di generare un ambiente favorevole al processo di transizione imprenditoriale e un clima di rispetto tra le parti coinvolte. Nel momento in cui, però, si verifica un frazionamento della proprietà imprenditoriale, il gruppo familiare troverà difficoltà a mantenere la coesione e gli equilibri interni. Questa situazione si verifica, in particolare, quando le dimensioni aziendali crescono ed entrano a far parte della compagine societaria sempre più soggetti, ognuno con aspettative ed esigenze diverse. In particolare, esiste un fenomeno rilevante
237 B. A. de la Torre, T. I. Jainaga & A. M. Garcia, “Outsiders and generational phase in family firms”, pag. 15 ss.
238 B. A. de la Torre, T. I. Jainaga & A. M. Garcia, “Outsiders and generational phase in family firms”, pag. 17.
nelle imprese familiari anche di piccola e media dimensione, rappresentato dalla “deriva
generazionale”. Si tratta, in sintesi, della tendenza all’aumento nel tempo di soci
familiari, che porta ad avere un allargamento eccessivo della base proprietaria, con effetti negativi sul governo dell’impresa239. Questo fenomeno è caratteristico di quelle imprese familiari allargate che si troveranno di fronte numerosi nuclei familiari da gestire; questo contribuisce a rendere più complesso anche il processo successorio240. La deriva generazionale delle famiglie proprietarie del capitale delle imprese è un fenomeno naturale imposto dallo scorrere del tempo e non eludibile, che può essere più o meno ampio a seconda del numero dei nuclei familiari che hanno dato origine all’impresa. Il rischio collegato al fenomeno in esame, non è tanto la distribuzione del surplus tra numerosi soggetti aventi diritto, ma piuttosto è legato alla presenza di quote partecipative, all’interno del capitale aziendale, sempre meno rilevanti, facenti capo a soggetti che potrebbero manifestare interessi completamente divergenti e per i quali si rendono necessari dei meccanismi di controllo241.
Si possono mettere in atto degli interventi per ridurre l’impatto del fenomeno242:
1. decidere di non coinvolgere le donne nei processi di successione aziendale; 2. associare l’esercizio del ruolo proprietario con l’esercizio di ruoli
imprenditoriali o manageriali.
Questi interventi hanno, però, il “difetto” di produrre comunque un qualche impatto sulla vita delle imprese.
La deriva generazionale è accompagnata da un altro fenomeno altrettanto importante e non trascurabile per le imprese familiari: il “raffreddamento” dei soci familiari. Con il passare delle generazioni, infatti, i legami tra i soggetti interni all’impresa si allentano e si affievoliscono e viene meno sempre di più l’identificazione con l’impresa familiare243. La ricerca condotta da Corbetta e Demattè244 suggerisce che il
239 F. Guidi, “Figli, Capitale in Azienda, lo sviluppo generazionale attraverso la consulenza”, Franco Angeli, Milano, 2005. Pag. 26.
240 C. Demattè, G. Corbetta, “I processi di transizione delle imprese familiari”, Milano, Mediocredito Lombardo, 1993. Pag. 109 ss.
241A. Dell’Atti, “Il Passaggio generazionale nelle Imprese Familiari”, Cacucci Editore, Bari, 2007. Pag. 167.
242 C. Demattè, G. Corbetta, “I processi di transizione delle imprese familiari”, Milano, Mediocredito Lombardo, 1993. Pag. 110.
243F. Guidi, “Figli, Capitale in Azienda, lo sviluppo generazionale attraverso la consulenza”, Franco Angeli, Milano, 2005. Pag. 26-27.
244 C. Demattè, G. Corbetta, “I processi di transizione delle imprese familiari”, Milano, Mediocredito Lombardo, 1993. Pag. 111.
raffreddamento dei soci nelle imprese familiari non giunge quasi mai alla creazione della figura dell’azionista, puro investitore. Gli autori suggeriscono che la scarsa diffusione, infatti, di questa figura potrebbe essere collegata ad aspetti psicologici che rendono difficile abbandonare la veste del “proprietario”, o in alcuni casi anche alla dimensione medio piccola delle imprese. A questo aspetto sono collegate due conseguenze:
1. il rischio elevato e concentrato che spinge a cercare vie per la diversificazione del patrimonio al di fuori dell’impresa;
2. la limitata trasparenza dei risultati che suscita il timore, per il nuovo investitore, di essere privato di una parte del valore aggiunto prodotto.
La ridotta dimensione delle imprese porta quindi i familiari non coinvolti nell’attività dell’impresa a privilegiare altri investimenti ritenuti più convenienti. In alcune imprese familiari radicate in piccoli paesi, qualche remora ad uscire dalla compagine proprietaria può venire dai legami storici o dalla gratificazione che è associata al far parte di una certa famiglia imprenditoriale.
Queste situazioni devono essere costantemente monitorate e tenute sotto controllo per evitare che l’impresa di famiglia perda completamente di significato e per garantire la continuità tanto auspicata dal fondatore245.
245 Si veda in merito l’approfondimento di G. Corbetta e C. Demattè, “I processi di transizione delle imprese familiari”, Milano, Mediocredito Lombardo, 1993. Pag. 111-113.
CAPITOLO TERZO
CASI AZIENDALI: Lanificio Europa S.n.c. & Lanificio Luigi Ricceri
Premessa
Lo scopo di questo capitolo è quello di evidenziare e portare alla luce tutto quello finora detto nei capitali precedenti attraverso due casi aziendali pratici a confronto. Ho avuto la possibilità di incontrare due grandi imprenditori, rispettivamente il Dottor Francesco Ricceri, responsabile del Lanificio Luigi Ricceri, e il Signor Luigi Guarducci per il Lanificio Europa s.n.c., con i quali ho affrontato una piacevolissima chiacchierata, rispettivamente nelle loro aziende, per capire come sono cambiati gli assetti organizzativi e di governance all’interno delle loro imprese familiari con le transizioni generazionali che si sono susseguite nel tempo, dalla nascita ad oggi.
I due imprenditori sono stati disponibili nell’aprirsi e nel raccontarsi, ognuno con la propria visione d’impresa certamente, e sono emersi due quadri per certi aspetti simili ma per molte cose diametralmente opposti. Quello che ovviamente li accomuna è il territorio. Entrambi sono nati, cresciuti e si sono sviluppati nel distretto pratese246 e hanno respirato fin da subito un’area di impresa all’interno delle famiglie. Questo gli ha permesso di accumulare esperienze fin da piccoli e di “rappresentare” in un certo senso anche loro l’impresa di famiglia.
246 L’area del Distretto tessile di Prato include 12 comuni in un’area a cavallo tra le province di Prato (comuni di Prato, Cantagallo, Carmignano, Montemurolo, Poggio a Caiano, Vaiano, Vernio), di Pistoia (comuni di Agliana, Montale, Quarrata) e di Firenze (comuni di Cadenzano e Campi Bisenzio) e interessa una superficie di 700 kmq e una popolazione che conta più di 300.000 abitanti.
La delimitazione geografica del distretto è quella adottata dalla Regione Toscana, con D.G.R. 21/02/2000 n. 69, sulla base dei parametri indicati dal D.M. del 21/04/93, riadattati in seguito alla L. 140/99, fondata sull’individuazione dei sistemi locali del lavoro definiti dall’Istat con i dati censuari del 1991.
Io avevo preparato delle domande da sottoporgli durante le interviste per capire le dinamiche evolutive e ho proceduto poi una volta rientrata alla sbobinatura dettagliata per fissare nero su bianco le loro storie e le loro testimonianze.
In seguito, nel capitolo, verranno presentate le due imprese familiari singolarmente con le loro peculiarità e la loro organizzazione; infine cercherò di mettere a confronto le due realtà per capire come all’interno anche di uno stesso distretto le imprese familiari possano cambiare notevolmente le une dalle altre.