• Non ci sono risultati.

3. LE PRIMAVERE ARABE E LE RISPOSTE INTERNAZIONALI NEI PAESI IN

3.1 La Tunisia

3.1.3 Prove tecniche di futuro

Il 14 gennaio 2011 Ben Alì fuggì, dopo alcune settimane di rivolte, alla volta dell'Arabia Saudita. La Corte costituzionale tunisina incaricò Fuʾād al-Mubazaʿdella presidenza della Repubblica, il quale a sua volta investì il primo ministro Muhammad al-Ġannūshī del compito di formare un governo di unità nazionale. Ma la popolazione continuò a scendere in piazza protestando contro la scelta delle componenti del governo, giudicate compromesse con il passato regime. Il 20 gennaio presidente, primo ministro e tutti gli altri membri del governo abbandonarono l'ex partito di Ben Alì, l‟RCD, che sarebbe poi stato ufficialmente sciolto il 9 marzo. Ciò non bastò però ai tunisini che continuano a protestare contro la permanenza di esponenti del vecchio establishment al potere, tanto che Muhammad al-Ġannūshī annunciò un rimpasto di governo da cui escludere coloro che avessero ricoperto incarichi durante il vecchio regime e il 27 febbraio si dimise. L'incarico venne assunto da al-Bāji Qāʾid as-Sabsī. Nei primi giorni di marzo il presidente annunciò la data delle elezioni per la nuova Assemblea Costituente, inizialmente fissata per il 24 luglio 2011, ma poi posticipata al 23 ottobre, con il compito di redigere una nuova Costituzione.

Fu poi annunciato un provvedimento secondo il quale sarebbe stato escluso dalle elezioni dell‟Assemblea Costituente chiunque avesse avuto incarichi ufficiali negli ultimi dieci anni27.

Dopo vent'anni di regime autoritario, l'improvvisa liberalizzazione della sfera politica ha delineato un panorama politico molteplice e frammentato: sono stati ufficialmente registrati e ammessi alla competizione elettorale 81 partiti dagli svariati orientamenti ideologici; in tutto sono state presentate, sia da partiti sia da indipendenti, 1500 liste di

26

O. Piot, op. cit..

27

Primavera Araba: Test Tunisia- background, Ispi dossier, 9 luglio 2012, http://ispinews.ispionline.it/?page_id=2233.

candidati; in totale si sono presentati oltre 11 mila candidati a fronte di 218 seggi disponibili28.

Il 23 ottobre le elezioni si sono svolte regolarmente, con un sistema proporzionale e paritario, una rigorosa regolamentazione dei costi della campagna elettorale, dei sondaggi e della propaganda politica29. Nonostante la popolazione, alla sua prima votazione realmente pluralistica, abbia dovuto affrontare le difficoltà di procedure elettorali praticamente ignote, è stata registrata un affluenza alle urne del 90% degli aventi diritto. Tutto il Paese ha votato, compresi gli strati della società rurali e poco istruiti e i giovani che, non avendo conosciuto altro che l‟autocrazia, si supponeva si sarebbero astenuti in quanto indifferenti alla politica30.

Come già abbiamo accennato nel primo capitolo, il partito An-Nahda ancora guidato dal leader Rāshid al-Ġannūshī (tornato in patria dopo un lungo esilio nel Regno Unito) è uscito vincitore dalla competizione elettorale. Sebbene fosse il favorito già nei sondaggi, tale successo è andato oltre ogni aspettativa con circa il 41% dei consensi tradotti in 90 deputati su 218. Tale esito ha rappresentato per l‟Islam politico, che sembra mantenere una posizione equilibratrice tra le istanze radicalmente islamiste e quelle laiche del paese31, una preziosa occasione per dimostrare al mondo la propria affidabilità nel perseguire le libertà e affermare i processi democratici. Questo di An-Nahda potrebbe rappresentare un precedente in grado di mutare la tradizionale percezione dell'Islam politico all'estero. Al contrario se An-Nahda fallisse, si aprirebbero nuovi scenari di instabilità politica dagli esiti imprevedibili. Intanto il partito ha promesso la promozione dei diritti di partecipazione e del pluralismo politico e nella liberalizzazione economica dove particolare attenzione intende dare alle relazioni commerciali con l'Unione Europea32.

Non mi soffermerò qui su un‟analisi delle motivazioni che hanno portato "La Rinascita" alla vittoria, ma mi limiterò a citare l'importanza che ha avuto la capillare rete di servizi sociali offerti a tutti i livelli da associazioni religiose affiliate al partito. Sfruttando la propria massiccia presenza in vari strati della società, il movimento islamico ha saputo consolidare il proprio peso politico. Ha avuto però grande rilevanza anche il sostegno economico proveniente dai contatti con l'Islam internazionale, come dimostrato dagli ingenti finanziamenti provenienti dall'estero e in particolare dall'Arabia Saudita e dal

28

Ibidem.

29

S. Halimi, Tunisia, la vertigine di poter scegliere, in "Le Monde Diplomatique", ottobre 2011, http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Ottobre-2011/pagina.php?cosa=1110lm01.03.html.

30

G. Isgrò, Tunisia: analisi post elettorale, in "Ce.S.I", 28 ottobre 2011, http://www.cesi- italia.org/dettaglio.php?id_news=791.

31

G. Guarini, op. cit..

32

Qatar33, su cui An-Nahda ha potuto contare per la propria campagna elettorale34.

Il governo di Ben Alì godeva di solidi rapporti con paesi occidentali ma, come per l'Egitto, sembra che anche per le rivolte in Tunisia abbiano avuto un ruolo importante attivisti e ONG caratterizzati da rapporti diretti e indiretti con l'Occidente e gli Stati Uniti.35

Il perché si sia voluto destabilizzare governi considerati dall'Occidente tutto sommato affidabili e ad essi legati è ancora in gran parte da indagare ma una spiegazione plausibile potrebbe venire dal fatto che appoggiando le rivendicazioni popolari e quindi la caduta dei regimi, gli Stati Uniti abbiano potuto rilanciare la propria immagine, mostrandosi sensibili alle istanze democratiche delle popolazioni. Inoltre un ulteriore motivazione potrebbe risiedere nel fatto che i fenomeni di destabilizzazione nella regione avrebbero potuto avere l'effetto di compromettere la penetrazione di nuovi attori globali emergenti. Per cui la posizione assunta dagli Stati Uniti potrebbe rientrare in un‟ottica di ostruzione dell'accesso alle più importanti aree strategiche del globo a nuovi competitori internazionali, in particolare la Cina, già molto presente nel continente africano e quindi forte di un‟influenza da arginare.36

Quanto affermato nel precedente capitolo riguardo alla possibilità che anche la Casa Bianca, come altre potenze occidentali, possa essere stata in parte colta di sorpresa dalle rivoluzioni, sarebbe però confermato dal fatto che alle prime avvisaglie delle rivolte tunisine, le reazioni internazionali sono state decisamente miopi:

La Francia è rimasta fedele a Ben Ali fino all'ultimo e le altre capitali occidentali, tra cui Washington - afferma el-Alaoui - hanno sostenuto i rivoltosi a denti stretti. Come a dire che l‟Occidente non dimostra alcun entusiasmo per la democrazia nel mondo arabo, nonostante a volte usi una fervida retorica. Il movimento tunisino potrebbe essere l‟occasione per cambiare atteggiamento, soprattutto da parte di Parigi, nel mondo arabo, che percepisce la collusione con le dittature come un altro modo di perpetuare colonizzazione e imperialismo37.

In Europa le democrazie di mercato si sono rese complici dell'annientamento delle libertà

33

In particolare il Qatar vanta forti legami con An-Nahda: ospita infatti Yusuf Al-Qaradawi, esponente di spicco dei Fratelli musulmani e mentore di Rāshid al-Ġannūshī che conduce per altro una trasmissione nell‟emittente Al Jazeera. Inoltre l‟emiro del Qatar si è incontrato frequentemente con gli esponenti del partito tunisino al governo, ricevendo addirittura l‟invito a partecipare alla cerimonia di apertura dell‟Assemblea Costituente. G. Sgrena, La maschera dell‟islamismo, in “Il Manifesto”, 15 novembre 2011, http://blog.ilmanifesto.it/islamismo/2011/11/15/un-nuovo-imperialismo-del-qatar/; How Saudi Arabia and Qatar won the election in Tunisia!, in “Roads to Iraq”, 12 novembre 2011, http://www.roadstoiraq.com/2011/11/12/how-saudi-arabia-and-qatar-won-the-election-in-tunisia/.

34

Ibidem.

35

G. Guarini, op. cit..

36

G. Guarini, op. cit..

37

H. Ben Abdallah el-Alaoui, I lumi della Tunisia, in "Le Monde Diplomatique", febbraio 2011, http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Febbraio-2011/pagina.php?cosa=1102lm01.02.html.

politiche nei paesi vicini, considerando la solidità di regimi eufemisticamente detti "moderati" un bastione di stabilità nella "polveriera mediorientale" e un baluardo contro il radicalismo islamico. Finché Europa e Stati Uniti hanno potuto realizzare ottimi affari nel quadro della liberalizzazione progressiva delle economie arabe e finché le classi dirigenti hanno potuto accumulare ricchezze da spendere alimentando l'industria del lusso nei mercati europei, molti attori internazionali sono stati ciechi nel sottovalutare le questioni economiche e sociali38. Ne è un esempio il fatto che mentre l‟Unione Europea, guardando al miracolo macro-economico tunisino, si compiaceva per le attenzioni rivolte al Paese, poteva altresì constatare quanto questo fosse lontano dal soddisfare quella clausola democratica che doveva in teoria essere alla base alla politica europea di vicinato:

Per lungo tempo l‟UE ha infatti preferito privilegiare lo sviluppo degli interessi comuni, rispetto al complesso delle riforme politiche che dovrebbero costituire valori condivisi, nella speranza che il decollo economico ed il processo sociale potessero costituire le basi necessarie all‟avvio del processo di democratizzazione39.

Ecco perché da parte della comunità internazionale sono subito sorte, accanto a un‟offerta di solidarietà, grandi preoccupazioni nascoste sotto una politica attendista, mentre le più alte istituzioni finanziarie internazionali hanno ripreso subito a rivolgere le proprie attenzioni alla Tunisia e all'Egitto40.

Inizialmente i mass-media europei avevano guardato alla Primavera araba attraverso la lente degli interessi dei relativi Paesi di appartenenza e delle conseguenze che vi avrebbero potuto provocare le rivolte. L‟Italia ad esempio, nei primi mesi del 2011, era concentrata sul problema dell'immigrazione. Il grande aumento degli sbarchi delle persone in fuga dal Nord Africa, fece sì che molti quotidiani gridassero all‟invasione. I media si focalizzavano quasi esclusivamente sul problema dei profughi in senso quantitativo senza occuparsi di fornire all‟opinione pubblica un quadro chiaro di che cosa stesse accadendo nei Paesi di provenienza, facendo sì che trapelasse spesso un‟immagine negativa di queste persone. Inizialmente fu dedicata un esile copertura mediatica alle rivolte tunisine, cosa che ha procurato numerose critiche alle democrazie occidentali, soprattutto a Obama e al presidente francese Sarkozy.

La Francia, in un primo momento, aveva addirittura annunciato, per bocca del ministro degli esteri Michèle Ailiot-Marie, di tenere in considerazione la possibilità che le forze di polizia francesi collaborassero con quelle tunisine per trasmettere il proprio know-how e

38

G. Corm, op. cit..

39

F. Tamburini e M. Vernassa, op. cit., p.332.

40

renderle in grado di pacificare la situazione41. Per settimane Parigi aveva espresso in più modi la stima per il governo tunisino: il ministro della cultura Frédéric Mitterand affermò che non si poteva parlare di una «dittatura inequivocabile», mentre il ministro dell'agricoltura Bruno Le Marie sostenne che Ben Ali avesse fatto molto per il proprio paese. Espressioni di sostegno a Ben Ali quindi, salvo poi ritrattare quello stesso venerdì della fuga del dittatore verso l‟Arabia Saudita. In quel giorno, improvvisamente, le democrazie occidentali si strinsero tutte attorno al popolo tunisino, elogiato per il suo coraggio e sostenuto nelle proprie aspirazioni democratiche. Il 24 gennaio 2011 Sarkozy ammise pubblicamente l'errore compiuto affermando che Francia e Tunisia erano talmente vicine da rendere complicato quel passo indietro indispensabile per vedere con più chiarezza il quadro d‟insieme:

Dietro l'emancipazione delle donne, il cammino nell'educazione e nella formazione, il dinamismo economico, l'emergere di una classe media, - affermò il presidente francese - era presente una disperazione una sofferenza, un senso di soffocamento. Dobbiamo riconoscere di averli sottostimati42.

Alla dipartita di Ben Ali, abbiamo detto, seguirono ancora scontri di piazza dovuti da un lato all'insofferenza per governi provvisori guidati da esponenti del vecchio regime, dall'altro per il proseguire di rivendicazioni sociali. Con l'incendiarsi delle proteste era stata resa evidente la falsità della reputazione dell‟economia tunisina: per la sua buona salute veniva celebrata dal proprio governo e altrettanto positivamente accolta dalle istituzioni finanziarie internazionali in virtù degli indicatori macroeconomici positivi che presentava. Alla posizione macro-economica relativamente solida non era stata associata la preoccupazione per la domanda, altamente sottovalutata, di maggiori diritti, libertà civili e democrazia, finché la stagnazione e gli elevati tassi di disoccupazione hanno alimentato le proteste43

Infatti, come ha sottolineato Belkaïd, dopo la fuga del dittatore è esploso un numero incredibile di rivendicazioni44. È emerso che una parte rilevante della popolazione faticava a trovare un alloggio come dimostrato dal moltiplicarsi a partire alla metà di febbraio 2011 di costruzioni abusive su proprietà abbandonate. La Banca Centrale tunisina ha stimato che

41

World responds to Tunisia uprising, in “A Jazeera”, 15 gennaio 2011, http://www.aljazeera.com/news/africa/2011/01/2011114224727460658.html.

42

A. Chrisafis, Sarkozy admits France made mistakes over Tunisia, in "The Guardian”, 24 gennaio 2011, http://www.guardian.co.uk/world/2011/jan/24/nicolas-sarkozy-tunisia-protests.

43

P. Briggi, Le difficoltà economiche di Egitto e Tunisia dopo la primavera araba, in "Meridiani Relazioni Internazionali", 23 febraio 2012, http://www.meridianionline.org/2012/02/23/egitto-tunisia-primavera-araba- difficolta-economiche/.

44

A. Belkaïd, Tunisia, aspettative sociali e paura del caos, in "Le Monde Diplomatique", marzo 2011, http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Marzo-2011/pagina.php?cosa=1103lm14.01.html.

per soddisfare la domanda più urgente sarebbero state necessarie centodiecimila case popolari (e da tali stime sono escluse le aspirazioni dei giovani che in quanto disoccupati non hanno altra possibilità che vivere a casa con i genitori). Le rivendicazioni hanno riguardato poi il miglioramento delle condizioni di lavoro, l'aumento dei salari e la richiesta di rimozione di classi dirigenti ritenute compromesse con il precedente regime. Tali mobilitazioni che dal primo al 15 febbraio sono state non meno di un centinaio, hanno riguardato anche imprese considerate sicure, come Tunis Air.

Ogni volta, le autorità invitano alla pazienza e al senso di responsabilità, pur riconoscendo che si tratta di uno dei punti prioritari della transizione. In questo campo, il governo procede su un terreno minato: la contestazione sociale rimette direttamente in discussione l‟insieme del modello economico45.

Infatti la mobilitazione non ha risparmiato le imprese interamente orientate all‟esportazione. Le proteste che vertevano sulla richiesta di immediati aumenti salariali riguardavano molti settori in cui gli operai percepivano retribuzioni fino a venti volte inferiori a quelli praticati in Europa, ad esempio il tessile, la componentistica per le automobili, l‟elettronica, l‟aeronautica, i call center o le società di subappalto amministrativo di imprese europee.

La domanda sociale è stata tanto forte che l'Unione Generale Tunisina del Lavoro (UGTT) si è presentata come uno dei principali attori della transizione, come era prevedibile in un Paese in cui le imprese esportatrici avevano potuto godere di una carenza di regole sociali, tanto rilevante da farne una zona di non diritto, e della difficoltà da parte dei sindacati di agire, visto i divieti verso qualsiasi tipo di agitazione (soprattutto nei settori considerati vitali).

Considerando che molte delle società estere erano attratte proprio dalla esigua presenza di pretese sociali, forse le inferiori tra i paesi della sponda sud del mediterraneo, tali cambiamenti potrebbero contribuire a dissuadere alcuni investimenti esteri46.

A seguito della Rivoluzione dei gelsomini il FMI aveva rilevato una contrazione dell'economia del paese dell'1,8% e un crollo del Pil a causa della battuta d‟arresto subita da alcuni comparti, come il turismo, danneggiati dal clima di instabilità politica. Le riserve di valuta estera erano scese di due miliardi di dollari (salvo poi ricevere un‟iniezione di 8,6 miliardi di dollari tramite aiuti provenienti dai Paesi arabi)47 e gli investimenti diretti esteri

45

Ibidem.

46

A. Belkaïd, Tunisia, aspettative sociali e paura del caos…, op. cit..

47

A novembre 2011 l‟emiro del Qatar Hamad Bin Khalifa al-Thani acconsentì al versamento di una cifra che si aggirava intorno agli otto milioni di dollari per aiutare la convertibilità del Dinaro tunisino. S. Ayari,

(IDE) sono crollati. Molte fabbriche straniere hanno chiuso i battenti tagliando approssimativamente quarantamila posti di lavoro. Ad esempio - come ci informa Briggi - la compagnia giapponese Yakazi (produttrice di cavi) ha dovuto ritirarsi da una delle regioni più povere del Paese dove costituiva una delle maggiori fonti di lavoro. Nonostante tutto, alcune aziende straniere si stanno mostrando interessate a rientrare nel mercato tunisino, come nel caso dell'ENI che ha promesso di investire seicento milioni di dollari nel 201248. Nella regione del Maghreb, infatti, Tunisi rappresenta da tempo un partner importante per l‟ENI, in quanto paese di transito di importanti forniture dirette all‟Italia. Da qui transita il gasdotto Transmed, che trasporta gas naturale proveniente dall‟Algeria e permette il collegamento fra la val Padana e la riserva di gas naturale (una delle più grandi al mondo) del deserto algerino. Inoltre la compagnia italiana e l‟algerina Sonatrach hanno costituito una società per il potenziamento della capacità di trasporto della Trans Tunisian

Pipelines Company (TTPC). L‟ENI aveva da tempo avviato sul territorio tunisino anche

molteplici attività di sviluppo, produzione e esplorazione di idrocarburi. L‟allargamento al Maghreb della collaborazione per le forniture di gas naturale e petrolio fanno parte della strategia di diversificazione delle fonti energetiche da cui l‟Italia (ma come sappiamo anche il resto d‟Europa) non può prescindere.

«Quando il vento della Primavera Araba ha iniziato a soffiare a Tunisi, portando Ben Ali ad abbandonare il potere, l‟Eni ha reputato vantaggioso concentrarsi in misura maggiore sulla Tunisia in modo da evitare che gli accordi commerciali sottoscritti in passato decadessero.[…] Quindi ecco che la promessa di destinare cospicue somme di dollari sotto forma di investimenti si trasforma in un buon biglietto da visita per incentivare il nuovo governo a continuare la partnership con ENI49. Secondo il FMI, le prospettive di medio termine sarebbero potenzialmente favorevoli per la Tunisia, stimando una possibilità di crescita del PIL tale da toccare il 7% entro il 2016 nel caso in cui i finanziamenti esterni (stimati in 5 miliardi di dollari per i prossimi anni) vengano utilizzati correttamente50.

Secondo Belkaïd non c'è dubbio sul fatto che il rovesciamento di un ordinamento fondato su benefici di tipo mafioso libererà energie e iniziative individuali, ma la condizione necessaria resta però la ricerca delle risorse finanziarie necessarie a uno sviluppo equo. La Banca Centrale tunisina ha stimato che il paese necessitasse di 20/30 miliardi di dollari per

Qatari Emir to Help Tunisia in Dinar Convertibility, in “Tunisialive”, 11 novembre 2011, http://www.tunisia-live.net/2011/11/11/qatari-emir-to-help-tunisia-in-dinar-convertibility/.

48

P. Briggi, Le difficoltà economiche di Egitto e Tunisia dopo la primavera araba…, op. cit..

49

P. Briggi, Il ripiegamento strategico dell‟ENI in Tunisia, in “Meridiani Relazioni Internazionali”, 1 marzo 2012, http://www.meridianionline.org/2012/03/01/eni-tunisia/.

50

intervenire sulle condizioni di vita della popolazione e rompere l'isolamento di intere regioni grazie a un programma di investimenti51. Ma l'assenza di un vero aiuto internazionale potrebbe impedire che venga trovata una via di mezzo al dirigismo da un lato e al capitalismo sfrenato dall'altro.

Al G8 di Deauville, tenutosi a maggio 2011, è stato deciso di stanziare circa 40 miliardi di dollari in favore di Egitto e Tunisia, di questi 10 miliardi sarebbero stati stanziati dai Paesi G8, 20 dalle istituzioni finanziarie multilaterali (anche se tali stanziamenti includono prestiti programmati già prima della rivoluzione) e altri 10 dai Paesi del Golfo. Inoltre era previsto che l‟Unione Europea (con circa quattrocento milioni di euro a sostegno della transizione) ed altri governi contribuissero individualmente, la Turchia ad esempio, che si era detta pronta ad aprire una linea di credito di circa 500 milioni di dollari, e gli Stati Uniti, pronti a investire un centinaio di dollari52.

La Banca Europea per gli Investimenti (BEI), la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, il FMI e la Banca Mondiale costituiscono i principali pilastri del credito, ma, soprattutto le ultime due istituzioni, hanno incoraggiato i due paesi ad una ulteriore apertura liberista dei mercati. Eppure queste ricette non potrebbero che condurre a uno scenario già visto, in cui i benefici di tali politiche andrebbero a vantaggio dei capitali internazionali e delle multinazionali occidentali insediate in tale area, desiderose di agevolazioni e maggiore libertà di azione. «Così - afferma Belkaïd - con il loro tipico cinismo, le istituzioni finanziarie internazionali pretendono da queste nascenti democrazie l‟equivalente di ciò che esigevano dalle dittature fino a non molto tempo fa»53

.

Come sappiamo, già negli anni Novanta il FMI aveva chiesto riforme economiche più avanzate con l‟obbiettivo di agevolare gli investitori stranieri attraverso una riduzione