3. LE PRIMAVERE ARABE E LE RISPOSTE INTERNAZIONALI NEI PAESI IN
3.4 Lo Yemen
3.4.2 Un cambiamento per tornare al passato
Con il dilagare delle manifestazioni il regime iniziò a rispondere con la forza che però, nonostante iniziasse a produrre vittime e feriti, non riuscì a fermare le mobilitazioni che anzi iniziarono a insediarsi nelle piazze di tutto il paese con veri e propri campi organizzati79.
I partiti di opposizione si unirono allora alle mobilitazioni, ma solo in un secondo tempo, con il fine di inquadrare i giovani rivoluzionari. Le proteste erano ormai composte da un
cocktail di elementi con le tendenze più diverse e solo l‟obiettivo comune di rovesciare
Ṣāleḥ: militanti ḥūtī, indipendentisti del sud, membri dei partiti all‟opposizione e della
75
Ibidem.
76
L. Bonnefoye e M. Poirier, Yemen, un‟inedita sollevazione popolare, in “Le Monde Diplomatique”, giugno
2011, http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Giugno-
2011/pagina.php?cosa=1106lm08.01.html.
77
Ibidem.
78
Year of ribellion, op. cit., p. 22.
79
società civile, capi tribù, islamisti e liberali chiedevano la caduta del regime davanti all‟Università di Sana‟a dopo che le forze governative avevano occupato con i propri sostenitori Piazza Tahrir80. Tale luogo fu ribattezzato piazza Taġīr (del cambiamento) e i manifestanti vi crearono un‟atmosfera festosa, con canti, spettacoli teatrali, poesie e danze, in cui per la prima volta uomini e donne interagivano in una rappresentazione pubblica81. Il 18 marzo la repressione delle forze di sicurezza causò la morte di 52 dimostranti pacifici nella “Piazza del cambiamento” a Sana‟a, avvenimento che procurò al regime numerose defezioni e un crescente isolamento82. Oltre a importanti esponenti del partito al potere (il Congresso Popolare Generale) e del governo, ʻAlī Muḥsin comandante della prima Divisione corazzata (gruppo d‟elite dell‟apparato militare yemenita), considerato da sempre il pugno di ferro del regime, parente del presidente e famoso per le sue posizioni vicine all‟integralismo islamico, passò dalla parte dei manifestanti promettendo loro protezione83.
Una simile adesione ha svelato nella sua interezza le crepe interne al regime, conferendo una nuova dimensione a un‟insurrezione che avrebbe potuto, non solo essere schiacciata, ma anche procedere a una militarizzazione84.
Il presidente sciolse allora il governo e impose trenta giorni di stato d‟emergenza, provvedendo a una sospensione della Costituzione e un inasprimento della censura sui media, ampliando i poteri delle forze di sicurezza in merito alle modalità di arresto e detenzione e bandendo inoltre le manifestazioni di protesta85. Fra aprile e maggio, duri scontri armati avevano visto opporsi alle forze governative uno dei più potenti gruppi tribali del paese, gli Ḥāšid, guidato da Sadeq al-Ahmar (appartenente al clan tribale più importante); le forze governative avevano bruciato e raso al suolo un campo di protesta a Ta‟izz (uccidendo dozzine di persone) e militanti islamici avevano preso il controllo di parte di Zinjibar, nel sud, muovendo attacchi che avevano costretto molti cittadini a fuggire86. Il Consiglio di Cooperazione del Golfo, guidato dall‟Arabia Saudita, si era allora fatto carico di mediare tra Ṣāleḥ e le opposizioni, ma per ben tre volte il presidente
80
L. Bonnefoye e M. Poirier, op. cit..
81
H. al- Fattāh, Yemen la rivoluzione sorvegliata…, op. cit..
82
Ibidem.
83
Lo Yemen non è una dittatura militare ma è governato da una struttura «competitiva di reti familiari, clan e tribù che si rispecchiano costantemente negli apparati di sicurezza e nelle forze armate. In virtù di questa struttura del potere, la competizione politica ed economica delle élite si riflette immediatamente all‟interno dell‟esercito». Ibidem
84
Ibidem.
85
A year of rebellion…, op. cit., pp. 22-23.
86
Gli Stati Uniti, impegnati da anni in Yemen nella lotta contro il terrorismo di al-Qaida, sorvolarono e attaccarono la zona con i propri droni, con l‟unico effetto di esacerbare la rabbia della popolazione contro Ṣāleḥ. Ibidem.
yemenita si rifiutò di firmare un accordo cui aveva acconsentito in precedenza87.
Il 4 giugno un attacco al palazzo presidenziale ferì gravemente il presidente, che fu subito trasferito nella capitale saudita affinché ricevesse cure mediche. Il potere fu provvisoriamente affidato al vice presidente Abd Rabbu Mansour Hadi.
Ad agosto fu formato un Consiglio Nazionale per le Forze rivoluzionarie, ma ben presto al suo interno si manifestarono le forti divisioni che caratterizzavano un‟opposizione tanto differenziata.
Ad ogni modo si pensava che ormai Ṣāleḥ avrebbe prolungato indefinitamente il proprio soggiorno a Ryad, invece il 23 settembre il presidente, con sorpresa di molti, fece ritorno nel Paese e riassunse le redini del potere, suscitando immediate mobilitazioni anti governative. Il 21 ottobre però, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con la Risoluzione 2014 si espresse per una rapida soluzione della crisi chiedendo che Ṣāleḥ rispettasse l‟accordo precedentemente proposto dal GCC88
. Finalmente il 23 novembre il presidente yemenita acconsentì (anche se in realtà non ebbe una reale possibilità di scelta)89 a firmare l‟accordo. Il potere fu trasferito al vice presidente e si provvide alla formazione di un Governo di riconciliazione nazionale in cui il partito al potere a i partiti di opposizione90 erano entrambi rappresentati. Furono inoltre indette nuove elezioni presidenziali da tenersi dopo 90 giorni91.
Nello Yemen, le tribù sono così potenti che in alcune regioni le forze di sicurezza governative sono percepite quasi come forze straniere. In queste aree la tribù svolge tutte le funzioni dello Stato e si può dire che tale caratteristica sia un «dilemma politico cronico […] che è stato incoraggiato dal potente vicino saudita»92
.
Come afferma Fattāh, lo Yemen è per l‟Arabia Saudita come il Messico per gli Stati Uniti. Ryad ha intessuto una fitta rete di rapporti con i gruppi tribali più influenti (fra cui gli Ahmar) così da evitare il più possibile minacce di matrice yemenita nel proprio territorio. «Quasi tutti i capi tribali che contano nello nel Paese sono sul libro paga dei sauditi, la cui rete clientelare è consolidata».
Anche Washington, dall‟11 settembre 2001, collabora con Sanʼa per la lotta al terrorismo
87
A year of rebellion…, op. cit., pp. 22-23
88
Tale accordo prevedeva che Ṣāleḥ lasciasse le redini del potere al vice presidente. In cambio avrebbe ricevuto l‟immunità dai crimini perpetrati durante i mesi delle proteste (per i quali rimandiamo ai numerosi rapporti di Amnesty International). In questo modo, la situazione sarebbe potuta tornare alla normalità senza effettivi cambiamenti dal punto di vista della classe dirigenziale e dell‟élite al potere.
89
Ṣāleḥ aveva già troppe volte irritato Riyad rifiutando ripetutamente la firma dell‟accordo, per cui a fine maggio l‟Arabia Saudita aveva mobilitato gli Al-Ahmar. Sadeq al-Amar vantava milizie che costituivano un vero e proprio esercito dotato di mezzi pesanti e artiglieria. J. Charmelot, Dal re saudita parte la controrivoluzione a suon di dollari…, op. cit..
90
Riuniti nel blocco delle opposizioni Joint Meeting Party, che sembrava avere l‟appoggio degli Ahmar.
91
A Year of Ribellion…, op. cit., p. 25.
92
di matrice islamica. Per lo Yemen la lotta ad al-Qaida era un pretesto per ottenere sostegno politico e finanziario da Stati Uniti e Arabia Saudita, per gli la Casa Bianca invece, era l‟accesso al diritto di sorvolare i cieli yemeniti con i propri droni. Quando gli scontri si diffusero in tutto il Paese, il coordinatore antiterrorismo del dipartimento di stato americano Daniel Benjamin aveva manifestato il timore che un eventuale crollo del potere di Ṣāleḥ potesse lasciare un vuoto politico di cui al-Qaida e i jihadisti somali di al-šabāb avrebbero potuto approfittare93.
Dopo nove mesi di proteste e circa 900 vittime, Ṣāleḥ aderì all‟intesa mediata dal Consiglio di Cooperazione del Golfo e sostenuta da Stati Uniti e Nazioni Unite. L‟intesa offriva al presidente, in cambio della propria uscita di scena, l‟immunità totale per sé e per la sua famiglia (approvata dal parlamento yemenita alla fine di gennaio 2012), l‟amnistia sui casi politici per i propri collaboratori e il mantenimento della carica presidenziale onoraria. Abdrabuh Mansur Hadi, succeduto a Ṣāleḥ, non rappresentava alcuna rottura con il passato né un primo passo verso la democratizzazione del Paese.
Anche i vertici militari non subirono alcun cambiamento, così che la famiglia di Ṣāleḥ continuò a ricoprire posizioni importanti nell‟establishment del regime: il figlio Ahmed Alì, che nei giorni delle proteste aveva guidato la repressione, rimaneva comandante della Guardia Presidenziale, i nipoti Yahya, Tariq e Ammar rispettivamente direttore dell‟unità antiterrorismo, capo delle forze speciali e direttore aggiunto della Commissione per la Sicurezza Nazionale94
.
Non avevano aderito alla firma del piano del Consiglio di Cooperazione del Golfo i ribelli zayditi del Nord che fanno capo al clan degli Ḥūtī, sciiti accusati di essere finanziati ed armati dall‟Iran e protagonisti all‟inizio del 2012 di alcuni scontri con i salafiti sunniti fedeli alle forze repubblicane, e il movimento secessionista del Sud.
Le profonde fratture interne che l‟unificazione nazionale non era mai riuscita a sanare avevano trovato nuovo vigore grazie alla crisi politica della prima metà del 2011.
Ecco perché l‟Arabia Saudita e Stati Uniti avevano avuto interesse a «un‟uscita controllata di Ṣāleḥ» che non conducesse lo Yemen a un salto nel buio. Anche una volta fissate le elezioni per il 21 febbraio 2012, in cui l‟unico candidato sarebbe stato Hadi, l‟Arabia Saudita era impegnata ad evitare eventuali ricadute d‟instabilità95
Il governo ha continuato per tutto il 2012 a collaborare con Washington per cercare di fermare i guerriglieri islamici di al-Qaida, che hanno nel frattempo assunto il controllo di
93
Ibidem.
94
M. Serra, Lo Yemen dopo Saleh tra incertezze e divisioni, in “ Ce.S.I”,. 9 febbraio 2012, http://www.cesi- italia.org/dettaglio.php?id_news=820.
95
alcuni governatorati (secondo il quotidiano saudita al-Watan avrebbero addirittura dotato alcune provincie di acqua ed elettricità). Gli Stati Uniti vorrebbero per questo intensificare le operazioni nel Paese e incrementare le attività dei droni. Essi inoltre, con l‟ Arabia Saudita, si sarebbero detti pronti a sostenere ulteriormente lo Yemen, i primi attraverso sostegni economici, la seconda attraverso donazioni petrolifere.
Nonostante il voto per al-Hadi sia considerato da molti come una speranza per il paese, per tanti altri yemeniti si tratta solo di un ricambio e non di una vera e propria transizione, vista l‟elezione a candidato unico, definita antidemocratica, e la volontà dell‟ex rais Ṣāleḥ di continuare a governare il paese sotto traccia.96
Le vicende dello Yemen, viste alla luce di altre “primavere arabe” lasciano piuttosto perplessi: la stessa coalizione che ha ideato un passaggio morbido di potere tra esponenti della medesima élite di potere, sta, nel momento della scrittura di questo lavoro, armando ribelli e valutando l‟ipotesi di un intervento armato in Siria affinché i diritti della popolazione civile siano rispettati e un processo democratico avviato.
A tal proposito può essere interessante notare che il 6 aprile, in un comunicato dove si presentava un rapporto di denuncia sulle molteplici violazioni dei diritti umani e sulla brutale repressione del dissenso perpetuati da tempo del regime yemenita, Amnesty International faceva appello alla comunità internazionale, dopo aver constatato che a quella data Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Russia, Stati Uniti d'America, Turchia e Ucraina continuavano ad essere fornitori di armi dello Yemen97.
96
N. Perazzo, Yemen: un “cambiamento” per tornare al passato?, in “Eurasia”, 17 maggio 2012http://www.eurasia-rivista.org/yemen-un-cambiamento-per-tornare-al-passato/15783/.
97
Amnesty International diffonde un rapporto sulla repressione delle proteste nello Yemen, in “Amnesty International”, 6 aprile 2011, http://www.amnesty.it/yemen-rapporto-sulla-repressione-delle-proteste.