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La transizione democratica e la posizione degli attori internazionali

3. LE PRIMAVERE ARABE E LE RISPOSTE INTERNAZIONALI NEI PAESI IN

3.2 L’Egitto

3.2.3 La transizione democratica e la posizione degli attori internazionali

Dopo alcune settimane di protesta anche la maggior parte dei governi occidentali iniziarono a chiedere con maggior forza le dimissioni del presidente Hosni Mubarak. Con grande disappunto di Obama, che aveva auspicato una fase di transizione, alla fine della quale il presidente avrebbe dovuto cedere le proprie redini del potere, non era ancora stato dato dal dittatore alcun cenno di cedimento28. L‟11 febbraio 2011 infine, dopo 18 giorni di rivolte, il vice-presidente Suleiman annunciò le dimissioni del presidente e la relativa decisione di affidare al Consiglio Supremo delle Forze Armate la guida del paese. Il

mushīr Mohammed Hussein Tantawi29, essendo a capo del Consiglio, tenne subito una riunione d‟emergenza in cui si decise che Mubarak si sarebbe dovuto totalmente ritirare dalla scena, motivo per cui l‟ex presidente volò in “esilio” a Sharm el-Sheikh. Intanto le

24

Child Poverty and Disparities in Egypt: Building in the Social Infrastructure for Egypt future, UNICEF, 2010, Cairo

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Il famigerato State Security and Investigation Service è stato sciolto, dopo grandi pressioni da parte della popolazione, il 15 marzo 2011. Egypt dissolves notorous internal security agency, in “bbc news”, 15 marzo 2011, http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-12751234.

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Questo è anche il nome di una pagina Facebook creata subito dopo la morte del ragazzo da Wael Ghonim, direttore marketing di Google, che si è poi affermato come uno dei leader del movimento egiziano al momento delle rivolte. L. Logan, The Deadly Beating that Sparked Egypt Revolution, in “Cbs News”, 3 febbraio 2011, http://www.cbsnews.com/2100-18563_162-7311469.html.

27

C. Forleo, op. cit..

28

E. MacAskill, US and world wrongfooted by Mubarak as White House tries to keep up, in “The Guardian” 11 febbraio 2011, http://www.guardian.co.uk/world/2011/feb/10/obama-wrongfooted-mubarak-egypt.

29

La carica di mushīr è la più alta carica dell‟esercito egiziano, spesso tale carica è tradotta con la definizione di “feld maresciallo”.

potenze democratiche esprimevano grande soddisfazione e si auguravano che l‟esercito procedesse nel cammino verso una genuina democrazia30.

Solo due giorni dopo però si tennero nuove proteste per chiedere alla giunta militare di trasferire il potere a un‟amministrazione civile, ma la risposta non si limitò a un mero rifiuto: il Consiglio Supremo delle Forze Armate annunciò l‟entrata in vigore della legge marziale giustificando tale decisione con l‟esigenza di prepararsi al cammino che avrebbe condotto ad elezioni democratiche, fu sospesa perciò la Costituzione, annunciati emendamenti e sciolto il parlamento ormai discreditato. Il Consiglio fece sgomberare alcuni attivisti impegnati in un sit-in che sarebbe dovuto durare finché i primi passi verso la democrazia non fossero stati intrapresi. Inoltre il capo della polizia militare Mohamed Ibrahim Moustafa Ali comunicò che non sarebbe stata più sopportata la presenza di alcun manifestante in piazza Tahrir. Fu subito chiaro che l‟esercito non avrebbe tollerato alcuna sfida alla propria autorità e infatti fu comunicato che sarebbe stato soffocato qualsiasi tentativo di creare caos e disordine. In pratica equivaleva a bandire tutte le manifestazioni. Alcuni esponenti dell‟opposizione all‟ex regime plaudirono alle iniziative, ma molti altri furono delusi e preoccupati per il fallimento dell‟esercito nel porre fine al trentennale stato di emergenza e consegnare alla società civile il governo del Paese31. Però le proteste continuarono.

Si avviarono indagini anti-corruzione contro tre ministri del precedente governo e contro il già citato parlamentare Ahmed Ezz, tuttavia la popolazione chiedeva che la fortuna accumulata dalla famiglia Mubarak in denaro, lingotti d‟oro e beni immobiliari e finanziari fosse restituita al Paese32.

Con il passare del tempo il processo di transizione stentava a decollare. Da un lato il Consiglio delle Forze Armate non faceva concessioni alla rivoluzione e, dall‟altro, si susseguivano governi che non rompevano con il passato regime: Il governo di Shafiq che, lo ricordiamo, fu nominato da Mubarak, rimase in carica fino al 3 marzo a seguito di un esiguo rimpasto di governo. Successivamente il governo fu affidato a Essam Sharaf che continuò a contare ex-personalità del passato regime (cui apparteneva lo stesso primo

30

C. McGreal e J. Shenker, Hosni Mubarak resigns – and Egypt celebrates a new dawn, in “The Guardian , 11 febbraio 2011, http://www.guardian.co.uk/world/2011/feb/11/hosni-mubarak-resigns-egypt-cairo.

31

C. McGreal, Egypt's military rejects swift transfer of power and suspends constitution, in “The Guardian”, 13 febbraio 2011, http://www.guardian.co.uk/world/2011/feb/13/egypt-military-rejects-swift-power- handover.

32

Mubarak e i figli Gamal e Alaa erano tutti miliardari e proprietari di molteplici beni economici e finanziari in tutto il mondo compresi Londra, Parigi e Stati Uniti. Tutto ciò è stato considerato dalla popolazione frutto della corruzione del regime e dello sfruttamento del proprio Paese. P. Inman e R. Syal, Egyptian officials‟ assets to be traced by Serious Organised Crime Agency, in “The Guardian”, 15 febbraio 2011, http://www.guardian.co.uk/world/2011/feb/14/egyptian-officials-bank-accounts-crime-agency.

ministro33. Ad aprile Mubarak e i due figli furono processati e condannati per corruzione ed abuso di potere.

Il Consiglio avrebbe dovuto guidare il paese fino al 2013, fino alla stesura della costituzione e alle elezioni presidenziali, ma nei giorni successivi al 18 novembre si tennero forti manifestazioni di dissenso contro la giunta militare che non accennava a voler consegnare il governo alle autorità civili. Tali manifestazioni furono represse violentemente, ma, in seguito a tali sollevazioni, il Consiglio annunciò di voler anticipare le elezioni a giugno 2012. Successivamente fu nominato il nuovo governo di Kamal el Ganzouri, altro uomo del passato regime che aveva ricoperto la carica di primo ministro durante l‟epoca di Mubarak. Le proteste continuarono ad essere represse con la forza, ripresero gli arresti arbitrari e le intimidazioni verso giornalisti ed attivisti34, la legge d‟emergenza fu prorogata ed estesa fino al giugno 2012. Intanto già prima dell‟estate avevano cominciato a divampare conflitti confessionali e l‟esercito sembrava non essere in grado (molto più plausibilmente il vero problema era la mancanza di una reale volontà) di gestire le conflittualità religiosa tra Musulmani, Copti, Sufi e Salafiti35.

“Quello che abbiamo visto sabato nelle strade del Cairo non é stato uno scontro settario tra musulmani e copti. È stata un'escalation di violenza che ha coinvolto baltaghia (mercenari assoldati per diffondere panico) e militari. Questi hanno attaccato i manifestanti che protestavano contro la condizione dei copti in Egitto. Per strada vi erano cristiani, ma anche musulmani solidali con la loro causa” racconta Sarah el Sirgany36

.

Secondo questa blogger egiziana, l‟esercito avrebbe avuto interesse ad esacerbare la tensione fra confessioni religiose e a tal proposito avrebbe fatto sì che i media utilizzassero un linguaggio settario affinché gli egiziani percepissero una situazione di panico e di paura, e riversassero la loro rabbia e il loro odio verso un obiettivo ben riconoscibile: i copti. Scatenando il disordine sarebbe forse stato possibile distogliere le attenzioni dalle rivendicazioni sociali e le mancate promesse del Consiglio Superiore delle Forze Armate, tanto più che negli ultimi mesi il sostegno popolare alle manifestazioni sembrava essersi ridotto. L‟obiettivo non sembrava essere quello di restaurare il vecchio regime, ma usarne

33

M. Tran, Essam Sharaf, Egypt's new prime minister, rouses Tahrir Square crowds, in “The Guardian”, 4 marzo 2011, http://www.guardian.co.uk/world/2011/mar/04/egypts-new-prime-minister-tahrir-square.

34

Fu arrestato anche Alaa Abdel- Fattah, blogger egiziano divenuto molto famoso per essere stato fra gli animatori e protagonisti delle rivolte che abbattareno il regime di Mubarak.

35

I. Black, Egypt promises justice after Copts and Muslims clash in Cairo, in “The Guardian”, 8 maggio 2011, http://www.guardian.co.uk/world/2011/may/08/egypt-copts-muslims-clash-cairo; M. C. Paciello, op. cit., p. 24.

36

A. Meringolo, In Egitto l‟esercito vuole conservare il potere, in “Limes” 12 ottobre 2011, http://temi.repubblica.it/limes/in-egitto-l%E2%80%99esercito-vuole-conservare-il-potere/27749.

gli stessi strumenti. Si voleva evitare che si propagasse la rivolta37.

Diversamente dalla Tunisia, e nonostante le richieste dei giovani attivisti, in Egitto non era stato imposto alcun divieto ai membri dell‟ex partito di regime di candidarsi alle elezioni. Molti membri dell‟NDP infatti hanno trovato posto in diversi partiti tra cui il Freedom

Party, l‟Egyptian Citizen Party, il National Party of Egypt, il Modern Party of Egypt e altri

ancora, oppure si sono candidati in liste indipendenti, dove gli appoggi locali o le risorse economiche costituivano elementi preponderanti38.

Il quadro socio economico che abbiamo delineato in riferimento agli ultimi decenni della storia egiziana si è aggravato dopo la così detta “Primavera Araba”. Come in Tunisia, il clima di insicurezza e le continue rivendicazioni sociali avevano rallentato le attività economiche in particolare il turismo, il tessile e l‟industria delle costruzioni. Si erano drasticamente ridotti del 33% anche gli investimenti diretti esteri e il settore privato, di per sé poco sviluppato e debole, faticava a riemergere. Inoltre sia la Tunisa sia l‟Egitto subirono duri contraccolpi dalla guerra che a partire da febbraio sconvolse la Libia: ne furono fortemente danneggiate le esportazioni, il turismo e le rimesse dei lavoratori stabiliti in Libia39.

La scelta di molti organismi internazionali di intervenire in favore dell‟Egitto, che in parte è stata già affrontata quando abbiamo parlato della Tunisia, attesta l‟importanza strategica del Paese.

Abbiamo già visto gli stanziamenti che furono decisi per la Tunisia e l‟Egitto al vertice del G8 a Deauville. La giunta militare però rifiutò inizialmente gli aiuti per motivi ideologici, i “movimenti di piazza Tahrir” e alcuni membri dei Fratelli Musulmani vedevano dietro l‟intervento delle istituzioni internazionali la longa manus degli Stati Uniti. In molti, come il politologo Hasan Nāfiʻ, sottolineavano l‟effetto negativo che in passato gli aggiustamenti strutturali caldeggiati dal FMI e la Banca Mondiale avevano avuto per il paese. La giunta militare aveva dichiarato di non volere intraprendere politiche di stampo liberista richieste dalle istituzioni e considerate legate al vecchio regime. Probabilmente il rifiuto dell‟intervento del FMI e della Banca Mondiale risiedeva nella convinzione che Arabia Saudita e Qatar non avrebbero esitato a elargire donazioni senza però porre condizioni. Ma quando fu chiaro che le due potenze del Golfo preferivano finanziare i partiti40 rispetto al governo, la giunta fece marcia indietro. A gennaio 2012 l‟Egitto chiese al Fondo

37

Ibidem.

38

M. C. Paciello, op. cit., p 26.

39

Ivi, pp. 28-29.

40

Come sappiamo Arabia Saudita e Qatar hanno generosamente finanziato rispettivamente il partito salafita an-Nour e la formazione Giustizia e Libertà legata ai Fratelli Musulmani.

Monetario Internazionale di elargire i 3,5 miliardi di dollari il prima possibile41.

Stando alle dichiarazioni che erano state fatte, ci si poteva aspettare che la vittoria alle elezioni parlamentari Giustizia e Libertà e i sorprendenti risultati ottenuti da An-Nour combinati con l‟alto tasso di inflazione e disoccupazione avrebbero condotto a politiche populiste. Eppure ciò sarebbe stato in contrasto con gli storici e consolidati interessi economici della casta militare. Come afferma Mafodda:

La recente richiesta di intervento del Fondo Monetario Internazionale, che il governo ha fatto partire alla volta di Washington e che segue di qualche mese l'altezzoso rifiuto delle somme stanziate per supportare l‟Egitto, è il segno più chiaro ed allarmante della sconfortante impotenza del governo del Cairo42.

Dall‟FMI sono arrivate rassicurazioni sul fatto che sarebbe stata loro intenzione non vincolare la concessione di prestiti a condizionalità economico-politiche che l‟Egitto non fosse in grado di rispettare.

Ma pochi ci credono – afferma ancora Mafodda – FMI da queste parti è sinonimo di eccessivo condizionamento politico e di riforme troppo market-friendly: un sigillo a stelle e strisce quasi sempre a tutto vantaggio della “cricca dei compari” di Mubarak43

.

Sicuramente non saranno sufficienti gli aiuti internazionali, compresi quelli provenienti dalle petromonarchie del Golfo, a far riprendere l‟economia egiziana. È infatti necessario che vengano attaccate le posizioni di rendita e i problemi strutturali che hanno causato distorsioni nell‟economia. In caso contrario, nella popolazione sorgerebbe il sospetto di essere di fronte «a un Mubarakismo senza Mubarak»44.

Anche la Turchia ha ampiamente dimostrato il proprio interesse per gli sviluppi in Egitto. A settembre 2011, infatti, il primo ministro turco si è recato al Cairo per la prima tappa di un percorso diplomatico che avrebbe toccato molteplici “primavere arabe” come la Tunisia e la Libia. Erdoğan, forte della simpatia di cui gode fra le popolazioni arabe per il deterioramento delle relazioni diplomatiche con Israele e l‟appello fatto richiamando all‟obbligo di tutti verso il riconoscimento dello Stato palestinese, è stato accolto calorosamente dalla folla, dispensando consigli e suggerimenti sulla politica da seguire nei

41

P. Briggi, UE e FMI in pole position per sostenere Tunisia ed Egitto, in “Meridiani Relazioni Internazionali”, 24 febbraio 2012, http://www.meridianionline.org/2012/02/24/ue-fmi-sostegno-tunisia- egitto/.

42

G. Mafodda, Il futuro economico dell‟Egitto: più populismo e meno crescita, in “Limes”, 27 gennaio 2012, http://temi.repubblica.it/limes/il-futuro-economico-dellegitto-piu-populismo-e-meno-crescita/31652.

43

G. Mafodda, La primavera egiziana presenta il conto…, op. cit., pp.238-239.

44

E. Goldberg, Mubarakism without Mubarak, in “Foreign Affairs online”, 11 febbraio 2011, http://www.foreignaffairs.com/articles/67416/ellis-goldberg/mubarakism-without-mubarak.

confronti di Israele e l‟esigenza di uno stato laico45

.

Ad ogni modo le ambizioni a ricoprire un ruolo di leader regionale si erano già palesate a febbraio, quando, in occasione delle prime manifestazioni al Cairo, affermò:

La Turchia sta dicendo no agli oppressori. Sta sfidando quanto era ciecamente accettato fino ad ora. Sta chiamando assassini gli assassini. Sta abbattendo i tabù. La Turchia sta dicendo “fermatevi” a quanti condannano gli altri alla povertà ed agli embargo. […] La Turchia sta opponendo una forte volontà per aiutare la pace, la stabilità, la tranquillità, la democrazia, la legge universale, perchè il diritto e la libertà prevalgano in questa regione. Noi rappresentiamo una mentalità che cerca per i propri fratelli le stesse cose che chiede per sé stessa46.

Considerando che l‟Europa e gli Stati Uniti erano per il momento rimasti in silenzio e Israele considerava avverso ai propri interessi qualsiasi cambiamento dello status quo, tali affermazioni ebbero vasta eco fra la popolazione egiziana47.

Quando a settembre Erdoğan si recò al Cairo si fece accompagnare da una numerosa rappresentanza di investitori con il compito di presentare proposte di investimento.

Certo all‟Egitto non sono mancate proposte di aiuti economici da istituzioni finanziarie internazionali e Paesi amici, ma, secondo Mafodda, il vantaggio turco consisteva nel fatto che i suoi aiuti erano forse gli unici a sembrare realmente motivati dalla ricerca di un profitto mutuamente conveniente, al contrario delle proposte economiche delle petromonarchie del Golfo legate a finalità controrivoluzionarie48.

Inoltre abbiamo già accennato nel precedente capitolo, all‟intenzione della Turchia di configurarsi come hub energetico e ai relativi interessi per la scoperta di nuovi giacimenti di gas naturale in Egitto. Infatti, come afferma Paola di Fraia «i nuovi giacimenti di gas e l‟instabilità politica dei paesi nordafricani hanno fatto crescere l‟interesse per le risorse energetiche egiziane».

Recentemente è stato infatti scoperto da Bp Egypt e ENI un giacimento di gas (Salmon) nel delta del Nilo considerato molto promettente. L‟instabilità della regione aveva fatto sorgere agli inizi del 2011 la domanda su chi avrebbe maggiormente guadagnato dal cambio di regime nello sfruttamento delle risorse del continente. Erano in ballo sia gli investimenti

45

Tali argomenti affrontati dal primo ministro turco hanno messo in imbarazzo la giunta militare che, nel frattempo, stava ospitando una delegazione israeliana per affrontare la delicata questione dei rapporti tra i due Paesi. Inoltre l‟esortazione a seguire il modello turco di uno stato laico non è stato apprezzato da tutti, soprattutto a molti esponenti dei Fratelli musulmani. G. Mafodda, La lezione di Erdoğan all‟Egitto post Mubarak, in “Limes”, 21 settembre 2011, http://temi.repubblica.it/limes/la-lezione-di-erdogan-allegitto-post- mubarak/26783. 46 Ibidem. 47 Ibidem. 48

A seguito di tali incontri ci si attendeva che il valore del commercio fra Egitto e Turchia passasse da tre ai cinque miliardi di dollari. Ibidem.

fatti durante il vecchio regime, sia la possibilità di instaurare nuove relazioni privilegiate e, in quest‟ottica, potrebbe essere inquadrato l‟iperattivismo turco in Nord Africa e Medio oriente che, sebbene appaia molto colorito davanti ai media, si è rivelato ben più accorto qualora fossero in ballo accordi commerciali.

La produzione di gas egiziano è aumentata negli ultimi decenni (secondo la Bp è passata dai ventuno miliardi di metri cubi del 2000 ai 62,7 del 2009) e, a seguito di un aumento della domanda interna, le esportazioni si sono contratte dai 18,3 miliardi di metri cubi del 2009 ai 15,2 del 2010. Ma Salmon segue la scoperta recente dei giacimenti Satis-1 e Satis- 3: l‟esplorazione del delta del Nilo offre risultati promettenti.

L‟Egitto aveva incominciato a cercare di reperire fondi dalle banche internazionali per sviluppare i canali di esportazione verso Giordania e Israele. Quest‟ultima sarebbe molto interessata all‟esplorazione di vie alternative di rifornimento passanti per l‟Egitto. Bp ha già in progetto investimenti per 11 miliardi di dollari e anche l‟ENI si è detta favorevole al potenziamento ei propri investimenti nell‟area. Inoltre la malese Petronas aveva già in atto un investimento congiunto con la Bp da 2,5 miliardi di dollari.

Anche gli appetiti delle monarchie del Golfo si sono accese nell‟Area del Nord Africa, soprattutto per quanto riguarda il gas egiziano e il petrolio libico, infatti, in contro tendenza con quanto avviene in gran parte del mondo, c‟è una costante crescita della domanda interna di idrocarburi: il fabbisogno energetico del Medio Oriente è del 36% mentre quello del resto del mondo è del 7%. Inoltre si tenga in considerazione che Arabia Saudita, Iran e EAU sono intenzionati ad aumentare la propria capacità di raffinazione49.

Come ormai sappiamo gli Stati Uniti, oltre ad aver appoggiato le politiche degli Istituti finanziari internazionali, oltre ad aver intrattenuto intense relazioni con l‟Egitto in favore del quale si è sempre prodigato in aiuti economici e militari, hanno avuto un ruolo importantissimo anche nella formazione di gruppi e associazioni della società civile che hanno partecipato alle rivolte e rovesciato il regime di Mubarak.

Un documento rivelato da Wikileaks parla di un membro del movimento egiziano “6 Aprile” (ḥarakat šabāb sitta ʼapril), che partecipò ad un incontro dell‟Alliance of Youth

Movements al Campidoglio americano nel 2008 incontrando membri governativi

statunitensi. Al ritorno in patria egli fu fermato dal temibile State Security and

Investigation Service (SSIS) e interrogato. Dai suoi appunti emerse un tacito accordo tra i

partiti di opposizione egiziani per traghettare il regime verso una democrazia parlamentare entro il 2011, una volta che i movimenti ispirati alla lotta non violenta fossero riusciti a

49

P. de Fraia, Le mire internazionali sul gas egiziano, in “Limes”, 17 novembre 2011, http://temi.repubblica.it/limes/le-mire-internazionali-sul-gas-egiziano/29331.

deporre il regime di Mubarak, obiettivo che si erano posti di raggiungere prima delle successive elezioni presidenziali. L‟ambasciata americana commentò l‟accaduto, esprimendo la convinzione che tali previsioni non potevano essere realistiche soprattutto per la mancanza di volontà ad attuare tale programma da parte delle correnti d‟opposizione50

. Ciò dimostrerebbe che il governo degli Stati Uniti era a conoscenza già dal 2008 di piani finalizzati a rovesciare il regime di Mubarak. Inoltre altri documenti svelati dal sito di Assange, e più precisamente i cables 08CAIRO2371 e 10CAIRO99, datati rispettivamente novembre 2008 e gennaio 201051, dimostravano strette relazioni tra il governo degli Stati Uniti e attivisti egiziani già attivi nel 2008 e protagonisti nell‟organizzazione della protesta dei lavoratori di al-Maḥalla al-Kubrā del 6 aprile 2008 (da cui il movimento 6 aprile prende appunto il proprio nome).

Ciò che è saltato all‟attenzione delle rivolte egiziane è stata la forte esposizione mediatica dei blogger e di attivisti che utilizzavano le nuove tecnologie della comunicazione, soprattutto i social network. A ben vedere nel modus operandi dei questi attivisti e di molti gruppi giovanili è possibile rintracciare le stesse modalità di azione delle così dette “rivoluzioni colorate” da cui sono stati travolti alcuni paesi dell‟est o ex repubbliche sovietiche52.

È ormai risaputo che gli Stati Uniti ebbero un grande ruolo nell‟organizzazione dei movimenti rivoluzionari. È provato il coinvolgimento della National Endowment for