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Claudio Ranzani1

Buongiorno signore e signori.

Rappresento l’industria olearia e vi esporrò perciò un punto di vista diverso rispetto a quanti mi hanno preceduto.

In primo luogo, desidero ricordare che le marche italiane hanno iniziato ad esportare alla fine dell’800 e sono oggi leader nel mondo (nel 2011 è stato supera- to il record storico delle esportazioni, con oltre 402.000 tonnellate, per oltre il 90% confezionate); questo significa oltre 1,2 miliardi di euro di export e migliaia di posti di lavoro diretti ed indiretti.

Considerata la nostra leadership, non stupirà sapere che le nostre aziende occupano tutti i settori di mercato, dall’olio di sansa all’extravergine e, all’interno di quest’ultimo segmento, che esportano prodotti di nicchia (DOP, IGP e biologico), olio 100% italiano e naturalmente blend, ottenuti mescolando opportunamente oli di diversa provenienza

A fronte di questo obiettivo successo delle nostre imprese, il mondo della produzione da tempo denuncia una situazione di difficoltà e crisi.

È ovvio che i produttori lamentino soprattutto i bassi prezzi, ma l’aspetto per noi più evidente della crisi è che la produzione nazionale non aumenta ed è terribilmente insufficiente per le esigenze del mercato. Ogni anno, la produzione italiana è inferiore al consumo nazionale di 150-250.000 tonnellate. Non si tratta di un fatto nuovo, visto che importavamo olio d’oliva già nell’antica Roma, e ben conosciamo le caratteristiche sfavorevoli del nostro territorio.

Fatto sta che per coprire questo deficit, nel 2011 l’import è stato di 625.000 tonnellate, pari a tutto l’export più 225.000 tonnellate per il mercato interno.

A tale proposito, va notato che spesso veniamo accusati di continuare ad aumentare le importazioni, ma l’accusa è ingiusta, perché l’aumento dell’export comporta necessariamente l’aumento dell’import, visto che la produzione non ci segue. Non a caso, compriamo praticamente e da sempre tutto l’olio che i nostri produttori agricoli ci offrono e sempre non a caso, i dati fino ad ora raccolti sul

1 Direttore generale dell’ASSITOL - Associazione Italiana dell’Industria Olearia. ASSITOL è stata co- stituita nel 1972 con la fusione delle tre Associazioni allora esistenti per i settori di industria dell’o- lio di oliva, dell’olio di semi, della margarina e dei prodotti derivati. Oggi ASSITOL rappresenta e tutela nelle diverse sedi nazionali, comunitarie e internazionali le imprese industriali che operano nel settore delle materie grasse e dei prodotti derivati (www.assitol.it).

2012 indicano una ulteriore crescita delle esportazioni cui si contrappone invece una piccola riduzione dell’import, a dimostrazione della preferenza accordata alla produzione nazionale, evidentemente cresciuta quest’anno, fin quando vi è olio di- sponibile.

Resta il fatto che in questa situazione da ormai molto tempo da parte agri- cola si continuano a chiedere provvedimenti di legge e controlli.

Sono oltre 15 anni che il settore è sottoposto ad una vera e propria pioggia di provvedimenti normativi, anche più di uno all’anno, al continuo aumento degli obblighi amministrativi, dei controlli e così via. Per dare un’idea del problema, un paio di settimane fa ero in un’azienda con un marchio notissimo, che opera sul mercato nazionale ed in oltre 70 Paesi da fine ‘800, senza aver mai avuto problemi rilevanti. In una logica di concentrazione dei controlli sulla base del rischio, si trat- ta quindi di un’azienda che non dovrebbe averne molti. Ebbene, nel corso del 2012 questa azienda ha subìto 98 controlli di contenitori all’export, con ovvi e pesanti costi. Che succederà mai alle aziende più giovani ed a quelle, a torto o a ragione, “chiacchierate”?

Quali sono stati i risultati di questi 15 anni di pressione? A parte la denun- cia di qualche rubagalline, citato però dai giornali come autore di “mega truffe”, i prodotti di nicchia rimangono di nicchia; abbiamo avuto conferma clamorosa che se sale il prezzo dell’olio nazionale il mercato reagisce penalizzandone fortemente il consumo, fino al risultato degli ultimi giorni in cui, cosa mai vista a memoria d’uomo, il prezzo dell’extravergine spagnolo ha addirittura superato quello dell’o- lio nazionale!

E qui arriviamo alla legge «salva olio», nome che trovo poco appropriato; personalmente preferirei definirla legge “criminalizza olio”, visto il numero im- pressionante di disposizioni di carattere penale che essa contiene!

Non a caso, dopo la diffusione del testo, un mio associato mi ha riferito una storiella che circola nel settore, secondo la quale l’ONU avrebbe modificato la classifica dei crimini più pericolosi per l’umanità, inserendo ai primi posti il com- mercio di olio d’oliva, tra il traffico di droga e quello delle armi.

C’è un articolo della legge che abbia l’obiettivo di rendere più competitivo il prodotto italiano? No, non c’è.

C’è una qualche disposizione tesa ad aumentare la produzione nazionale, ad aumentare la disponibilità di oli dolci, cioè di quelli che il consumatore chiede, a ridurre i costi di produzione? No.

C’è qualche proposta tesa a stimolare la ricerca o a migliorare la competi- tività? No.

C’è un articolo della legge che contenga idee che favoriscano la valorizza- zione degli oli prodotti in Italia? No, nulla di tutto questo.

La legge contiene solo nuove pene, nuovi divieti, maggiore burocrazia ed assimila il settore tutto alla criminalità organizzata.

Con l’aggiunta della violazione di una ventina di regolamenti comunitari e di disposizioni di modifica di norme generali per il solo settore dell’olio d’oliva che hanno lasciato stupefatti gli esperti giuristi sotto numerosi profili.

Mi sembra che gli unici possibili effetti di una legge siffatta non possano che essere l’aumento del contenzioso, sontuose parcelle per gli avvocati ed un’ulte- riore, potente spinta a portare lavorazioni all’estero, con gravi danni per il nostro Paese, agricoltura compresa.

Non viene il dubbio, visti i risultati raggiunti dopo oltre 15 anni che si insiste su questa linea, che si stia sbagliando strada?

Che continuare ad indebolire l’industria, in un momento per di più in cui molti nostri concorrenti, nell’Unione europea ed in diversi Paesi terzi, stanno cer- cando in tutti i modi di sottrarci quote di mercato, non sia il modo migliore di valo- rizzare la produzione nazionale?

Produzione, detto tra parentesi, che non è certo tutta di alta qualità? Siamo italiani e gli olivicoltori italiani sono i nostri partner naturali e perciò non vogliamo sottrarci al confronto con loro.

Siamo sempre disponibili a valutare forme di collaborazione e ad operare a favore del prodotto nazionale, ma sappiamo anche che il consumatore non è uno stupido da imbrogliare e che il mercato ha regole e leggi che vanno rispettate, pena l’insuccesso di qualsiasi iniziativa.

Ed industria e commercio pagano con i propri soldi l’insuccesso, fino al fal- limento.

Ho ricordato che siamo italiani, anche se a leggere qualche articolo della legge sembra che lo si metta in discussione; siamo sempre qui, disposti al con- fronto ed alla collaborazione, ma vorrei ricordare che per confrontarsi e per colla- borare è necessario essere almeno in due!