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LE INDICAZIONI IN ETICHETTA E I SEGNI DEGLI ALI MENTI (DOPO IL REG 1169/2011)

6. La tutela del made in Italy

Finora la tutela del made in Italy è stata costruita - dal nostro legislatore - sia in modo negativo sia in modo positivo.

La tutela negativa - che si estrinseca nel divieto di indicazioni false e falla- ci - è data da norme penali o parapenali4 che vanno dagli artt. 515 c.p. sulla frode

in commercio all’art. 517 c.p. (come integrato dalla legge 350/2003) sulle false e fallaci indicazioni di provenienza o di origine fino al D.L. 135/2009 il cui art. 49-bis (aggiunto all’art. 4 della legge 350/2003) stabilisce che «costituisce fallace indica- zione l’uso del marchio, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana senza indicazioni sufficienti ad evita- re qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto», e, poi, fino al comma 49-quater dell’art. 4 della legge 350/2003 (come aggiunto dall’art. 6 della legge 9/2013, la c.d. legge «salva olio») che punisce penalmente (con rinvio all’art. 517 c.p.) la fallace indicazione nell’uso del marchio «quando abbia per oggetto oli di oliva vergini».

Il fatto è che le formule della legge 350/2003 sono state interpretate nel senso che ciò che la legge garantisce al consumatore non è l’origine o la prove- nienza di un prodotto da un determinato luogo, ma da un determinato produttore. E temo che questa sarà l’interpretazione anche del nuovo comma 49-quater.

La tutela positiva del made in Italy è stata più volte tentata dal nostro le- gislatore, innanzitutto con la “creazione” di uno specifico segno distintivo, come disposto: a) dal D. lgs. 173/1998 che ha istituito il «marchio identificativo della produzione agroalimentare italiana»; b) dal 62° comma dell’art. 4 della legge 350/2003 che ha affidato al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF) la vigilanza sul «marchio naturalmente italiano».

In secondo luogo, con la previsione dell’indicazione in etichetta della desi- gnazione dell’origine italiana imposta dal D.L. 157/2004 sul c.d. «made in Italy», nel quale è spiegato cosa debba intendersi per origine italiana, ovverosia: a) nel

4 Sotto il profilo definitorio, come si esprime la relazione al D. lgs. 231/2001, esse riguardano un ter- tiun genus di responsabilità, riferita alle persone giuridiche che rispondono degli illeciti dei propri rappresentanti o dipendenti a vario titolo, ma non commettono reati propri.

D.L. 135/2009, in cui si fa richiamo al disegno, alla progettazione, alla lavorazione e al confezionamento che devono essere «compiuti esclusivamente sul territorio italiano»; b) nella legge 55/2010 per i prodotti tessili, calzaturieri e pelletteria, per i quali le fasi di lavorazione dei prodotti devono avere avuto luogo «prevalentemen- te» in Italia.

In terzo luogo - e cioè ora - con l’imporre l’obbligatorietà delle indicazioni del luogo di origine con: a) la legge 3 febbraio 2011, n. 4, che precisa che «per i pro- dotti alimentari non trasformati, l’indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il Paese di produzione dei prodotti. Per i prodotti alimentari trasformati, l’indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente- mente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti» (art. 4, comma 2); b) il comma 1-quater dell’art. 43 del D.L. 83/2012, che ribadisce la formula della legge 4/2011 ma con inversione delle frasi, secondo cui «per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della mate- ria prima utilizzata nella produzione e nella preparazione del prodotto e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale», e con l’eliminazione sia dell’agget- tivo «ultima» relativo a «trasformazione sostanziale», sia dell’avverbio «prevalen- temente» collegato all’espressione «materia prima utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti».

Come ho accennato, le norme sull’indicazione dell’origine italiana per i pro- dotti industriali sono state interpretate dalla giurisprudenza come luogo del pro- duttore e non come luogo del territorio, mentre le norme istitutive del marchio italiano non hanno avuto seguito perché in contrasto con il diritto comunitario. Nonostante questo fallimento l’Italia ha perseguito la strada del marchio con ri- ferimento all’olio extravergine di oliva con il decreto del MIPAAF (novembre 2012) che istituisce il «marchio nazionale dei sistemi di qualità alimentare nazionale per l’olio» sulla falsariga del D.M. 4 marzo 2011 sul marchio del «Sistema di qualità nazionale zootecnica».

7. conclusioni

Io temo che la via del marchio finisca nella palude del “divieto” da parte del diritto comunitario, così come di recente è capitato al marchio «Made in Lazio» di cui alla legge 9/2011 della Regione Lazio che la Corte costituzionale, con sentenza del 19 luglio 2012, n. 191, ha dichiarato illegittima perché, garantendo l’origine in

ambito regionale, produce, indirettamente o in potenza, gli effetti restrittivi sul- la libera circolazione delle merci, che anche al legislatore regionale è inibito di perseguire per vincolo dell’ordinamento comunitario (probabilmente l’illegittimità sarebbe potuta essere dichiarata perché allo Stato spetta la competenza esclusiva in tema di concorrenza e di tutela delle opere dell’ingegno).

Resta, allora, la legge 4/2011 che, benché antecedente al reg. (UE) n. 1169/2011 e al suo art. 39 il quale - ripeto - dà facoltà degli Stati membri di adot- tare indicazioni obbligatorie (complementari) con riferimento al paese di origine o di provenienza degli alimenti, «dove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza» e vi sia la prova che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura dell’informazione dell’origine o della provenienza geografica, potrebbe essere considerata come at- tuazione/implementazione nazionale dal reg. (UE) n. 1169/2011.

Questa conclusione mi pare sia supportata dal fatto che l’obbligo di indicare l’origine degli alimenti in etichetta è subordinato all’emanazione di futuri decreti interministeriali – quindi, successivi al reg. (UE) n. 1169/2011 – previo espletamen- to della procedura di cui alla direttiva 2000/13/CE (art. 19) che è simile alla direttiva 1998/34/CEE sullo stand-still.

La legge 4/2011 supererà il controllo della Commissione? Che, per quanto so, ha già comunicato l’apertura della procedura d’infrazione?

Quello che devo dire con una punta di sconforto è che la Francia ha una disposizione simile alla nostra, che ha introdotto con la loi 2010/874 del 27 luglio 2010 di modernizzazione dell’agricoltura e della pesca, disposizione che non mi risulta contestata dalla Commissione europea.

Mi riferisco all’art. 3 che aggiunge al Code de consommation l’art. L. 112.11, per il quale l’indicazione del paese di origine degli alimenti può essere resa obbli- gatoria per una lista di prodotti determinata con decreto in Consiglio di Stato.

Certo, vi sono “forti” differenze tra la legge francese e quella italiana. Per la prima, l’indicazione di ciò che può essere definito come «made in France» dei prodotti alimentari francesi può essere obbligatoria ma soltanto per una lista ben determinata. Per la legge italiana l’indicazione del «made in Italy» dei prodotti alimentari, invece, è obbligatoria e per tutti gli alimenti.

Allora, tutto dipende da come si scrivono le leggi? Temo di sì. Temo che co- loro che nei ministeri italiani si dedicano alla formulazione delle norme non siano bravi come quelli francesi!

LA QUALITÀ E LA TRASPARENZA DELLA FILIERA