6. LA DISTRIBUZIONE ALIMENTARE AL DETTAGLIO 1
6.1. Il quadro nazionale
6.1.1. La situazione strutturale
Nelle precedenti edizioni di questo rapporto si sono approfondite le dinamiche relative all’evoluzione delle strutture distributive in Italia,
1. Si ringraziano per la preziosa collaborazione Alessandro Albertini e il perso-nale dell’Assessorato al Commercio della Regione Emilia-Romagna.
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dalle quali emerge come, in un quadro di forte crescita delle strutture moderne, si registri un divario notevole tra le regioni del Nord e quelle del Centro-Sud. Anche i dati relativi al 1997 (tab. 6.1), i più recenti di fonte ufficiale, confermano questa situazione: nelle regioni della Pia-nura Padana, la superficie di ipermercati e supermercati ogni 1000 abi-tanti ha ormai superato i 150 mq, almeno nelle regioni del Nord-Est e in Lombardia, una soglia che avvicina la struttura distributiva del Nord Italia alla situazione media dei grandi paesi europei, Francia e Germa-nia in particolare.
Da almeno un paio d’anni, gli analisti del mercato distributivo ri-tengono dunque che in queste aree si stia per raggiungere il livello di saturazione, e proprio i dati relativi al 1997 sembrano confermare que-sto rallentamento della crescita: rispetto all’anno precedente, i tassi di crescita del numero e della superficie di ipermercati e supermercati si sono notevolmente ridotti, almeno nel Nord-Ovest. Nelle regioni del Nord-Est, tra cui è compresa l’Emilia-Romagna, si è invece avuta una crescita considerevole degli ipermercati, ma è importante sottolineare come in queste regioni la struttura distributiva si sia sviluppata soprat-tutto grazie ai supermercati (136 mq ogni 1000 abitanti contro i 96 del Nord-Ovest) e debba invece recuperare un divario notevole in termini di dotazione di ipermercati (21,4 mq ogni 1000 abitanti contro 39). Il rallentamento della crescita nel Nord Italia non significa però che l’evoluzione del sistema distributivo si sia in qualche modo fermata, perché sono ad esempio in corso importanti processi di riqualificazio-ne delle strutture esistenti; del resto, il tasso di chiusura annuale dei negozi tradizionali, che nel Nord-Est ha superato addirittura il 20%, dimostra quanto l’affermarsi delle distribuzione moderna stia inciden-do sul tessuto commerciale dell’area.
La situazione è invece radicalmente diversa nelle regioni del Cen-tro e, soprattutto, nel Sud e nelle isole. In quest’ultima area, la superfi-cie di supermercati ed ipermercati non raggiunge nemmeno i 60 mq ogni 1000 abitanti, a dimostrazione di un divario che continua a rima-nere molto rilevante. E’ però importante sottolineare come il ritmo di crescita delle superfici moderne sia sostenuto, e in molti casi superiore a quello delle regioni del Nord, il che sembrerebbe prefigurare una graduale riduzione del divario esistente. Questi dati sembrano quindi dimostrare che, seppur lentamente, le maggiori imprese distributive stanno finalmente mettendo in atto quei massicci programmi di
inve-Tab. 6.1 - Le strutture di vendita al dettaglio in Italia, per aree geografiche
Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e isole Totale Italia
1997 Var. %
97/96
1997 Var. % 97/96
1997 Var. % 97/96
1997 Var. % 97/96
1997 Var. % 97/96
Ipermercati (I)
N° 95 -1,0 42 20,0 68 4,6 35 2,9 240 4,3
Superficie 583.838 0,6 222.872 17,8 276.443 9,2 162.102 3,0 1.245.255 5,5 Sup. media 6.146 1,6 5.306 -1,8 4.065 4,4 4.631 0,1 5.189 1,1 Sup. /1000 ab. 39,0 0,6 21,4 17,8 25,3 9,2 7,9 3,0 21,9 5,5 Addetti 18.187 6,7 6.075 18,6 7.213 10,0 4.783 14,2 36.258 10,2
Supermercati (S)
N° 1.471 3,0 1.565 3,6 1.051 5,6 1.362 7,0 5.449 4,6 Superficie 1.433.264 7,1 1.419.548 5,3 915.810 7,8 1.041.003 6,3 4.809.625 6,5 Sup. media 974 4,0 907 1,7 871 2,0 764 -0,7 883 1,8 Sup. /1000 ab. 95,7 7,1 136,4 5,3 83,7 7,8 50,4 6,3 84,7 6,5 Addetti 33.921 6,5 28.726 3,6 21.908 4,7 16.592 7,4 101.147 5,4
Totale S+I
N° 1.566 2,8 1.607 3,9 1.119 5,6 1.397 6,9 5.689 4,6 Superficie 2.017.102 5,1 1.642.420 6,9 1.192.253 8,1 1.203.105 5,8 6.054.880 6,3 Sup. media 1.288 2,3 1.022 2,8 1.065 2,4 861 -1,0 1.064 1,6 Sup. /1000 ab. 134,7 5,1 157,8 6,9 109,0 8,1 58,3 5,8 106,6 6,3 Addetti 52.108 6,6 34.801 6,0 29.121 6,0 21.375 8,8 137.405 6,6
Negozi tradizionali (a)
N° 36.480 -15,2 18.687 -23,8 32.769 -12,0 86.054 -6,4 173.990 -11,6 N°/1000 ab. 2,4 -15,2 1,8 -23,8 3,0 -12,0 4,2 -6,4 3,1 -11,6 (a) Dati riferiti al 1996 e variazioni percentuali rispetto al 1995.
Fonte: nostre elaborazioni su dati MICA.
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stimento nel Centro-Sud che erano stati più volte annunciati negli anni scorsi.
6.1.2. La concentrazione e l’internazionalizzazione delle imprese Anche per quanto riguarda il processo di crescita dimensionale del-le imprese distributive, neldel-le precedenti edizioni di questo rapporto si sono analizzati i fenomeni più importanti, e in particolare la creazione delle cosiddette “supercentrali d’acquisto” e le alleanze internazionali tra alcuni gruppi della distribuzione italiana e importanti partner stra-nieri.
La tabella 6.2, nel classificare le principali imprese che operano sul mercato italiano, si propone di evidenziare il peso potenziale rappre-sentato dai soggetti nati da queste operazioni. Rimane però vero che le quote di mercato così calcolate non possono essere automaticamente interpretate come una misura dell’effettivo potere di mercato, perché queste aggregazioni di imprese presentano livelli molto diversi di inte-grazione interna, ed è noto come siano proprio questi fattori di integra-zione a determinare la capacità dei nuovi soggetti di esercitare il loro peso potenziale.
Gli eventi che hanno caratterizzato il 1998 confermano però come il processo di aggregazione delle imprese distributive italiane si tradu-ca spesso nella creazione di strutture tendenzialmente instabili. Negli ultimi anni, infatti, si era sottolineato da più parti come fossero soprat-tutto le imprese della Distribuzione Organizzata (DO) a doversi dare una struttura più forte, che gestisse in modo unitario le strategie azien-dali più importanti (sviluppo della rete di vendita, acquisti, marketing, marche commerciali,…), anche a costo di ridurre l’autonomia dei sin-goli associati. A questo criterio generale sembrava rispondere la nasci-ta della supercentrale Sirio, che nel 1998 ha sancito l’accordo sul ver-sante degli acquisti tra le più importanti insegne della DO che erano rimaste escluse dalle operazioni degli anni precedenti (Crai e Sigma), centrale che si è ulteriormente rafforzata con l’ingresso successivo del gruppo Unvo. Al tempo stesso però, alla fine dell’anno, è stato annun-ciato lo scioglimento della supercentrale Euromadis, nata nel 1996, che sembrava avviata ad un rapido processo di integrazione di due im-prese storiche come Vegè e A&O Selex, una decisione che va in con-trotendenza e che dimostra ancora una volta quanto sia difficile
gover-143
nare strutture che vivono in una dialettica continua tra la centrale e i soci che gestiscono i punti vendita. La prima vorrebbe infatti concen-trare il più possibile nelle proprie mani le funzioni strategiche, mentre i secondi, che hanno spesso dimensioni e struttura proprietaria molto e-terogenee, non vogliono rinunciare alla loro autonomia.
Accanto a queste operazioni, il panorama distributivo nazionale ha Tab. 6.2 - I principali gruppi di imprese della distribuzione alimentare mo-derna in Italia (1997)
Fonte: nostre elaborazioni su dati Databank, Largo Consumo.
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visto il rafforzamento di gran parte delle strutture che avevano subito modifiche rilevanti negli anni precedenti, come si evince del resto dal-la tabeldal-la 6.2, dove per dal-la stragrande maggioranza delle imprese si è registrata una crescita delle vendite e della superficie dei punti vendita.
Il perfezionamento della vendita di Standa, che ha interessato sia la parte alimentare che quella non alimentare, ha invece sancito, nel 1998, l’uscita del gruppo Fininvest dal settore della distribuzione.
Le imprese italiane si mostrano però particolarmente preoccupate del rafforzamento delle alleanze internazionali, in particolare quella tra Rinascente e la catena francese Auchan, che nel 1998 hanno tra l’altro acquisito il controllo del gruppo Colmark, nonché quella tra il gruppo francese Promodes e le catene italiane Gs e Finiper. In entrambe que-ste operazioni, infatti, il percorso concordato dai vertici delle imprese coinvolte prevede il passaggio graduale ai due colossi francesi del con-trollo delle rispettive società.
Queste preoccupazioni hanno un fondamento, in quanto, dopo la corsa alla creazione di centrali d’acquisto sempre più grandi dal punto di vista della massa degli acquisti, ma spesso prive di un vero progetto di integrazione (basti pensare che tutte le centrali nate in questi anni hanno deciso di mantenere insegne diverse per le imprese associate, con ovvie difficoltà nello sviluppare una strategia di marketing unitaria a livello nazionale), anche le imprese italiane più attive stanno scon-tando l’esaurimento dei vantaggi derivanti da queste operazioni. Infat-ti, nel momento in cui tutte le imprese più importanti danno vita a strutture di questo tipo, finiscono per definizione i risparmi garantiti a coloro che hanno intrapreso per primi questa strada; anzi, la riduzione dei centri decisionali rende ancora più trasparente la situazione dei prezzi d’acquisto, per cui è sempre più difficile per i fornitori offrire condizioni differenti ad alcune catene piuttosto che ad altre. Il risultato di questa situazione è quindi un livellamento dei prezzi d’acquisto e un annullamento dei vantaggi di costo.
Diverso è invece il discorso se l’operazione di aggregazione ha previsto un percorso di integrazione più stretto, che arrivi a gestire in comune tutte le funzioni più importanti: dallo sviluppo della rete ai prodotti a marchio, dalla logistica alle politiche di marketing. In questo caso i vantaggi delle aggregazioni possono diventare permanenti, e non soltanto per una questione puramente quantitativa, legata alle eco-nomie di scala, ma anche per la possibilità di gestire in modo più
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sticato le principali strategie dell’impresa. E sono proprio le operazioni di alleanza internazionale dove questi vantaggi si stanno manifestando in misura superiore, perché le imprese italiane possono sfruttare al meglio il know-how sviluppato dai grandi operatori stranieri.
E’ dunque soprattutto in questa luce che va interpretato l’avvio, nel 1998, di un percorso comune tra le due imprese leader della distribu-zione nazionale, Coop e Conad, che, dopo gli importanti processi di aggregazione territoriale delle cooperative realizzati negli anni scorsi, hanno annunciato di voler collaborare nella gestione del canale discount e dei servizi di consulenza alle imprese associate. Pur avendo alle loro spalle radici storiche comuni (il movimento che fa capo alla Lega della Cooperative), i vertici delle due centrali hanno tenuto a pre-sentare la loro iniziativa proprio come un processo di rafforzamento delle insegne nazionali di fronte all’ingresso sempre più massiccio di operatori stranieri.
Il quadro complessivo si presenta dunque ancora molto dinamico, ed è sicuramente difficile fare previsioni sugli assetti futuri della di-stribuzione nazionale, soprattutto se si tiene conto che, entro il 1999, entrerà a regime la riforma del commercio, che dovrebbe consentire uno snellimento delle procedure per l’apertura dei nuovi punti vendita moderni, aprendo quindi una nuova stagione nella competizione tra le maggiori imprese distributive.
6.1.3. Le relazioni tra industria e distribuzione
L’evoluzione del panorama distributivo nazionale ha inevitabil-mente riflessi importanti sullo sviluppo dei rapporti verticali tra indu-stria alimentare e distribuzione. Il riflesso più immediato è quello rela-tivo ai rapporti contrattuali: la crescita dimensionale delle imprese di-stributive, anche attraverso la formazione di centrali d’acquisto e di al-leanze internazionali, tende, almeno in teoria, ad aumentare il potere contrattuale della distribuzione in sede di fissazione dei prezzi d’acquisto. L’esperienza suggerisce comunque che la possibilità di uti-lizzare fino in fondo questo potere dipende in larga misura dall’organizzazione interna di ciascuna centrale e dalla sua capacità di evitare un’eccessiva moltiplicazione dei livelli contrattuali (per certe realtà della DO, infatti, si può anche arrivare a tre diversi livelli di
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trattazione: la centrale, il gruppo d’acquisto e il singolo socio).
I rapporti industria-distribuzione sono comunque sempre meno centrati sui fattori legati al prezzo, anche perché, come si è illustrato in precedenza, la crescente trasparenza nei prezzi d’acquisto rende sem-pre più omogenee le condizioni di partenza di ciascuna imsem-presa distri-butiva. Questi rapporti interessano dunque sempre di più le strategie non di prezzo. Una di queste è sicuramente la ricerca da parte della di-stribuzione di fornitori che garantiscano un livello qualitativo elevato dei prodotti, in particolare dei prodotti freschi (ortofrutta, carni, salu-mi, latticini), che, com’è noto, costituiscono l’elemento chiave che condiziona la scelta dei consumatori tra un punto vendita ed un altro o tra una catena e l’altra. In questo settore i rapporti contrattuali diventa-no sempre più sofisticati, tanto che, per alcuni prodotti particolarmente delicati, come le carni, si arriva a definire dei veri e propri capitolati che fissano gli standard qualitativi e le caratteristiche tecniche del pro-cesso produttivo e distributivo. L’impatto di questo tipo di rapporti contrattuali può essere molto rilevante: basti pensare che, proprio nel settore delle carni, la diffusione in alcuni paesi europei della tecnolo-gia della rintracciabilità2 si deve sicuramente alla spinta che è venuta dalle imprese della distribuzione moderna.
Tra i fenomeni che meritano di essere segnalati in tema di rapporti industria-distribuzione rientra sicuramente la crescente flessibilità de-gli assortimenti: le catene distributive sono ormai in grado di mettere a punto assortimenti “personalizzati” per ciascun punto vendita della lo-ro rete, inserendo ad esempio plo-rodotti locali, come certi formaggi e sa-lumi tipici, che, in alcune zone, hanno importanti potenzialità di mer-cato. Questo fenomeno segnala da un lato la volontà della distribuzio-ne di offrire un servizio sempre più personalizzato ai propri clienti, e dall’altro apre importanti opportunità di ingresso nella distribuzione moderna per imprese medio-piccole che abbiano una notorietà locale.
Un problema che si va invece facendo sempre più rilevante è quello del cosiddetto referenziamento, cioè del costo che le industrie
alimen-2. Questa tecnologia, che si è diffusa soprattutto in Francia in risposta alla crisi generata dalla BSE, fa sì che tutti i tagli di carne in vendita riportino un certificato che, oltre alle previste garanzie di tipo sanitario, attesta tutte le fasi di vita dell’animale (nazionalità, razza, sesso, data di nascita, azienda di allevamento, tipo di alimentazione,…) e le successive fasi di lavorazione delle carni (luogo di macel-lazione e di eventuale elaborazione/confezionamento).
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tari devono sostenere per “conquistare” lo spazio-scaffale per i loro prodotti. Questo fenomeno è spesso occasione di frizione tra imprese industriali e distribuzione, ma rappresenta per certi versi un’evoluzione naturale di questi rapporti verticali, in quanto la compe-tizione sempre più accesa per la conquista dello spazio-scaffale ha come conseguenza naturale la formazione di un “prezzo” per l’occupazione dello spazio. E’ dunque difficile immaginare che si arri-vi ad una qualche forma di regolamentazione di questi fenomeni, che verranno inevitabilmente lasciati alla dialettica tra le parti.
Si parla invece esplicitamente di regolamentazione legislativa per un altro tipico elemento di frizione nei rapporti verticali: il fenomeno delle vendite sottocosto. Esso si verifica tipicamente in quelle situazio-ni in cui il distributore decide di vendere un prodotto leader, che ac-quista a prezzi relativamente più alti rispetto ai prodotti concorrenti, ad un prezzo inferiore al prezzo d’acquisto. Le ragioni possono essere di-verse, da quelle più evidenti (creare un motivo di attrazione per i con-sumatori, che facendo spesa nel punto vendita acquistano anche quei prodotti su cui i margini sono positivi ed elevati) a quelli più sofisticati (incentivare l’industria leader, che dalle promozioni selvagge può sof-frire un calo d’immagine, ad accordarsi con i distributori sul versa-mento di contributi per l’accesso allo spazio-scaffale e per le diverse forme di promozione). Su questa specifica questione, anche sulla scor-ta dell’esperienza francese, le industrie di marca hanno chiesto l’introduzione di un vero e proprio divieto legislativo, richiesta che è stata recepita, almeno come principio, nella legge di riforma del com-mercio, anche se le soluzioni tecniche sono state demandate a dei co-dici di autoregolamentazione.
Tutte le questioni affrontate in precedenza sembrano dunque deli-neare un quadro di forte conflittualità nei rapporti tra industria e distri-buzione. In realtà, negli ultimi anni si sono anche sviluppati importanti spazi di collaborazione verticale, che stanno avendo un ruolo sempre più importante nella gestione della filiera.
Il primo ambito in cui si attua questa collaborazione è quello delle private label, i prodotti a marchio del distributore. Questo fenomeno sta infatti assumendo dimensioni sempre più rilevanti in termini quan-titativi (nel 1997 la quota di mercato in valore ha superato il 9% delle vendite della distribuzione moderna), e dall’altro sta diventando sem-pre di più un settore strategico per la profittabilità delle catene
distribu-148 tive.
Sono soprattutto le imprese della GD (Esselunga, Coop, Gs, Sma) ad aver puntato in modo deciso sulle private label, mentre le imprese associate, con la sola eccezione di Conad, sviluppano una quota deci-samente inferiore del loro fatturato con i prodotti a marchio. Per le im-prese menzionate in precedenza, le private label significano ormai il 10% delle vendite, con punte molto più elevate per alcuni prodotti (prodotti per la casa, latte Uht, olio d’oliva, pasta di semola, succhi di frutta,….). Per questa ragione la strategia dei prodotti a marchio è cu-rata con sempre maggiore attenzione e prevede un rapporto di crescen-te collaborazione con i fornitori.
Il criterio di fondo è quello della ricerca di una crescente qualità dei prodotti, il che implica, ad esempio, che per diverse merceologie le private label siano prodotte dagli stessi leader di mercato. Comunque, anche quando il fornitore continua ad essere un’azienda di medie di-mensioni, priva di un marchio affermato, la ricerca della qualità rima-ne un requisito essenziale, dove per qualità non si intende soltanto quella riferita alle caratteristiche intrinseche dei prodotti, ma anche al processo produttivo e alla capacità di innovare le stesse private label, ad esempio su un aspetto strategico come il packaging. Tutto questo si concretizza spesso nella richiesta, da parte della distribuzione, della certificazione dei fornitori secondo il sistema Iso-9000, non tanto e non solo come strumento di controllo, ma soprattutto come elemento di partecipazione ad un sistema di qualità che interessa tutta la filiera, distributore incluso. Questo fenomeno assume poi contorni ancora più marcati quando le imprese distributive spendono il proprio marchio su prodotti molto delicati, come i freschi, dove si gioca l’immagine dell’insegna.
Un altro importante ambito di collaborazione tra industria e distri-buzione si deve al progetto ECR (Efficient Consumer Response), lan-ciato nel 1994 e ormai giunto alla fase operativa. L’obiettivo principa-le del progetto è quello di organizzare nel modo più efficiente i flussi di merci e di informazioni tra imprese distributive e fornitori, così da ottenere una significativa riduzione dei costi di interfacciamento tra i due partner. A titolo di esempio, i progetti in corso di realizzazione ri-guardano alcuni specifici problemi logistici (la gestione dei prelievi e delle consegne di merci assortite; la ricostituzione delle scorte “just in time”; la gestione delle piattaforme di ridistribuzione dei prodotti), la
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gestione informatica dei dati provenienti dai magazzini e dagli scanner nonché l’introduzione sempre più massiccia del category management, cioè di una gestione dei flussi, dell’esposizione sugli scaffali e delle i-niziative promozionali sempre più vicina alla logica d’acquisto dei consumatori.
6.1.4. Le politiche di comunicazione delle imprese distributive Tra le novità più rilevanti degli ultimi anni va sicuramente annove-rata la crescita delle iniziative pubblicitarie e promozionali da parte delle imprese distributive. L’aspetto più evidente è quello relativo alla pubblicità: secondo i dati Nielsen, gli investimenti da parte delle im-prese distributive hanno raggiunto, nel 1997, i 352 miliardi di lire, con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente. Si tratta di una cifra considerevole, che dimostra come l’esigenza di differenziare l’insegna e i prodotti a marchio agli occhi del consumatore sia sempre più rile-vante.
E’ però interessante verificare come questa spesa complessiva si ri-partisca in modo disomogeneo tra i mezzi utilizzati e tra le diverse a-ziende. Per quanto riguarda il primo aspetto (fig. 6.1), emerge chiara-mente come il mezzo di gran lunga preferito dalle imprese distributive
Fig. 6.1 - Ripartizione degli investimenti pubblicitari delle imprese distribu-tive sui principali mezzi (1997)
Radio 3,4%
Periodici e specializzati
8,5%
Affissioni 8,6%
TV 14,3%
Quotidiani 65,2%
Fonte: Nielsen.
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sia la stampa quotidiana, che consente di accogliere sia campagne a valenza nazionale sia iniziative locali, riferite a specifici punti vendita.
Tra l’altro, le risorse investite nella stampa quotidiana sono in forte crescita, mentre sono in calo quelle relative alla TV e alle affissioni, gli altri due strumenti tradizionali per la pubblicità delle imprese di-stributive. Questi dati sono però il risultato di un importante processo di specializzazione nelle strategie delle principali imprese: se infatti per tutte rimane decisivo l’utilizzo della stampa quotidiana, ciascuna di esse tende poi a concentrare le risorse su un secondo mezzo: la televi-sione per Coop e Conad, che arriva a incidere per oltre il 50% sulle spese pubblicitarie, le affissioni per Esselunga, le cui campagne hanno riscosso un successo notevolissimo, i periodici per Crai e GS.
Tra l’altro, le risorse investite nella stampa quotidiana sono in forte crescita, mentre sono in calo quelle relative alla TV e alle affissioni, gli altri due strumenti tradizionali per la pubblicità delle imprese di-stributive. Questi dati sono però il risultato di un importante processo di specializzazione nelle strategie delle principali imprese: se infatti per tutte rimane decisivo l’utilizzo della stampa quotidiana, ciascuna di esse tende poi a concentrare le risorse su un secondo mezzo: la televi-sione per Coop e Conad, che arriva a incidere per oltre il 50% sulle spese pubblicitarie, le affissioni per Esselunga, le cui campagne hanno riscosso un successo notevolissimo, i periodici per Crai e GS.