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QUALI STRATEGIE DI SVILUPPO PER LE PICCOLE CITTÀ?

Nel documento Introduzione (pagine 157-161)

1. DEFINIRE LA RESILIENZA URBANA: L’APPROCCIO TEORICO DI RIFERIMENTO

Il tema della resilienza, sviluppatosi prevalentemente all’interno della fisica, delle scienze naturali e delle discipline tecnologiche, si è diffuso progressivamente anche in campo economico e urbanistico, diventando negli anni più recenti un concetto importante anche per interpretare le dinamiche dei sistemi regionali e locali e le capacità di reazione di questi a fronte di cambiamenti che avvengono a diverse scale territoriali.

Com’è noto, la letteratura evidenzia tre diversi approcci alla resilienza, che possono essere utilizzati anche per interpretare le dinamiche regionali e locali (DAVOUDI, 2012; MARTIN, 2012): l’approccio ingegneristico, l’approccio ecologico, l’approccio adattivo. La prospettiva ingegneristica definisce la resilienza come la capacità di un sistema di ritornare, dopo uno shock o una turbolenza, al suo stadio di equilibrio precedente (il cosiddetto bounce back); secondo l’approccio ecologico, invece, essa può essere considerata come il livello di cambiamento che un sistema può assorbire prima di trasformarsi e di muoversi verso altri stati di equilibrio e di configurazione (possibilità di raggiungere equilibri multipli).

Il terzo punto di vista cambia completamente il modo di concepire la resilienza, passando da un’analisi dello stato di equilibrio del sistema, che reputa, quindi, la resilienza come una categoria descrittiva (una regione o città più o meno resiliente) ad un approccio basato sui sistemi complessi adattivi, in cui la resilienza è intesa come processo, cioè come la capacità dinamica di cambiare e di adattarsi continuamente agli stress e/o stimoli esterni (PENDALL et al., 2010). Ciò implica una focalizzazione sul «mettersi e stare in movimento» e sulle risposte al cambiamento da parte di un sistema territoriale, piuttosto che sul raggiungimento di una situazione di equilibrio alla quale tendere, difficile da ottenere nei sistemi socioeconomici, culturali e tecnologici attuali, che si trasformano continuamente.

Pur concordando con alcune critiche mosse nei confronti della nozione di resilienza, si ritiene comunque tale concetto, nella sua accezione dinamica, un’utile metafora per interpretare l’evoluzione delle città, che, per loro natura e attraverso la loro storia, hanno continuamente modificato struttura, funzioni e relazioni (PICKETT et al., 2004).

In effetti, alcune città sono da sempre motori di idee e impegnate a rispondere velocemente ai cambiamenti in atto, dal punto di vista economico, sociale e culturale, nonché istituzionale, sperimentando nuove modalità di governance del cambiamento (EVANS, 2010). Negli ultimi tempi, l’emergere dell’economia della conoscenza ha determinato processi di concentrazione di vivacità creativa, di risorse umane qualificate, di attività innovative, che sembrano premiare soprattutto le grandi città, più aperte e più capaci di adattarsi ai cambiamenti e di reinventarsi. Nella cornice di questa dinamica, emerge l’importanza di ripensare al futuro delle piccole città e di definire per esse modelli di intervento specifici e finalizzati alla resilienza urbana.

2. LE COMPONENTI PRINCIPALI DELLA RESILIENZA URBANA

Partendo dal concetto di resilienza come processo, si possono considerare due «attitudini» della città che possono incidere sulla sua resilienza: le dynamic capabilities, cioè la capacità dinamica di adattarsi ai cambiamenti; la smart specialization, cioè la capacità di promuovere le vocazioni più promettenti e le competenze distintive di una città.

La letteratura sulla resilienza parla prevalentemente di capacità adattiva, di adattamento e di adattabilità. In particolare, quest’ultimo concetto è stato ampiamente illustrato da PYKE et al. (2010), in contrapposizione con quello di adattamento, che viene definito come un movimento verso

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scenari già predefiniti nel breve periodo. Il concetto di adattabilità, invece, presuppone la capacità (e la decisione) di lasciare un modello di sviluppo che è stato più o meno vincente nel passato, a favore di una nuova traiettoria di sviluppo (legata alla precedente o in alternativa).

All’idea di adattabilità, si ricollega il concetto di dynamic capabilities, proposto nelle discipline aziendali e inteso come l’abilità di riconfigurare competenze interne, a seconda dei processi di cambiamento e di innovazione che hanno luogo nell’ambiente esterno. Tale concetto è stato applicato anche ai sistemi territoriali (LAZZERONI, 2001), interpretando il termine dynamic capabilities come capacità di un territorio di innescare processi di cambiamento e promuovere nuovi obiettivi e strategie di sviluppo. Tale concetto appare ancora più efficace di quello di adattabilità per spiegare la minore o maggiore resilienza dei luoghi e la loro capacità di risposta al cambiamento incerto, volatile e rapido.

La capacità dinamica di una città è fortemente correlata ai comportamenti dei soggetti ivi presenti, alla loro networking e absorptive capacity, al loro ruolo di boundary spanning, cioè di collegamento della conoscenza interna con flussi di informazioni esterni; allo stesso tempo tale capacità dipende molto anche dall’attitudine culturale della comunità locale che ci vive e che può rendere la realtà urbana più o meno rigida rispetto al cambiamento e all’inclusione del nuovo. Se la rigidità del sistema rischia di incidere negativamente sulla resilienza urbana, anche l’eccessiva apertura può determinare un’omogeneizzazione dei modelli di sviluppo e uno scarso collegamento con il territorio, il quale subisce il cambiamento, piuttosto che gestirlo.

Per tale motivo, un’altra componente che incide sulla resilienza urbana è la smart specialization, tema che sta caratterizzando le politiche a livello europeo e che pone l’accento sul ruolo delle politiche regionali e urbane nella valutazione del patrimonio, competenze, attori chiave da promuovere e valorizzare in un determinato territorio (MCCANN e ORTEGA-ARGILÉS, 2011). Tale idea enfatizza le differenziazioni geografiche dello sviluppo, legate alle caratteristiche socio-economiche e istituzionali di un territorio e alle specificità del patrimonio cognitivo e culturale stratificatosi nel tempo, e propone l’identificazione di obiettivi prioritari nelle azioni di intervento, coinvolgendo gli stakeholders nella definizione e implementazione delle politiche regionali e locali. L’orientamento verso la smart

specialization implica, quindi, la contrapposizione a politiche di intervento generiche e non specifiche,

imposte dall’alto, e fa emergere la rilevanza di strategie di sviluppo place-based, frutto di processi approfonditi di analisi, che arrivano a valorizzare il capitale locale e favorire la definizione di visioni di sviluppo condivise e sostenibili (BARCA et al., 2012).

La logica della smart specialization si riferisce prevalentemente alla selezione di settori produttivi e filiere tecnologiche, a cui si attribuiscono le maggiore potenzialità di sviluppo e di impatto su un determinato territorio; in realtà appare interessante ampliare tale discorso alla valorizzazione delle vocazioni produttive di un territorio e del patrimonio culturale locale, che può costituire una componente di differenziazione (distinctiveness) rispetto al rischio di replicazione di interventi e di promozione di settori che sono già presenti o con maggiori potenzialità di crescita in altri territori. 3. RAFFORZARE LA RESILIENZA NELLE PICCOLE CITTÀ

Le considerazioni sulle componenti della resilienza urbana appaiono ancora più calzanti se si focalizza l’attenzione sulle piccole città. Per quanto riguarda le dynamic capabilities, le piccole città, grazie alla loro dimensione, dovrebbero risultare più flessibili al cambiamento; tuttavia, nella realtà spesso mostrano maggiori resistenze dal momento che in alcuni casi risultano meno aperte e capaci di assorbire nuove idee dall’esterno. Per questo motivo, occorre alimentare la loro apertura verso l’esterno e promuovere una dimensione relazionale dello sviluppo che privilegi non solo logiche locali, ma sappia osservare le novità che avvengono a scala trans-locale (VAN HEUR, 2011).

La resilienza delle piccole città passa anche dalla smart specialization, cioè la capacità di cogliere le

core competence e le risorse distintive della realtà urbana. Per la loro dimensione e minore complessità

funzionale, i centri urbani minori possono contare su un patrimonio territoriale, stratificatosi nel tempo, che può diventare nel suo insieme una componente essenziale per la sua dinamica di sviluppo (LAZZERONI et al., 2013). Allo stesso tempo, le piccole città offrono spesso una maggiore vivibilità, migliori condizioni nel mercato abitativo, una maggiore partecipazione alla vita sociale e possono dunque attirare l’attenzione di residenti e di nuove attività che non hanno bisogno di una localizzazione centrale (LEWIS e DONALD, 2010).

Le categorie interpretative abbinabili al concetto di resilienza (adattabilità, capacità dinamica,

smart specialization, patrimonio locale, ecc.) sono state utilizzate per esaminare l’evoluzione di

sviluppata, a partire dal dopoguerra, come one-company town per la presenza dell’azienda Piaggio; essa è stata selezionata perché nel corso del tempo è riuscita a intraprendere nuove traiettorie di sviluppo, partendo (senza rinnegarle) dalle proprie vocazioni produttive e dal proprio patrimonio culturale stratificatosi nella città.

La rilettura del caso di Pontedera secondo i concetti legati alla resilienza ha portato in primo luogo a identificare e a riflettere sugli eventi shock (esogeni ed endogeni) che hanno determinato cambiamenti nel contesto socioeconomico ed urbanistico della città e hanno dimostrato la capacità (più o meno alta a seconda dei periodi) degli attori locali e della comunità locale urbana di adattarsi ad essi. Si pensi all’evento bellico, che ha portato alla ristrutturazione dell’azienda Piaggio e all’introduzione di un nuovo tipo di prodotto (la Vespa), destinato a cogliere i cambiamenti culturali e di consumo, che stavano investendo l’Italia di quegli anni. Oppure si consideri la riscossa, dopo l’alluvione, della grande azienda e della città intera, anche in questo caso attraverso la proposta di nuovi prodotti e interventi sul territorio.

Tuttavia, è importante sottolineare che, mentre fino agli anni Ottanta le trasformazioni nella società e nel territorio pontederese erano fortemente collegate alle strategie aziendali, alla fine degli anni Novanta comincia ad emergere il ruolo delle istituzioni e di altri attori, che diventano protagonisti di politiche volte a far crescere la città secondo altri paradigmi di sviluppo, in continuità con le vocazioni produttive del passato, ma allo stesso tempo orientate al nuovo, alla ricerca, all’alta tecnologia e alla cultura. Sono espressione di questo orientamento progetti di ristrutturazione urbana, come il Museo Piaggio, il polo tecnologico, gli incubatori, la nuova biblioteca, l’Urban Center, ecc.

In conclusione, la focalizzazione sulle piccole città e il caso di studio ci portano a riflettere sulla validità del concetto di resilienza, ma anche sulle possibili criticità e sui rischi di semplificazione che l’utilizzo di tale «etichetta» può portare al discorso della città e della governance urbana. Ciò è vero soprattutto quando si applicano categorie interpretative e modelli deterministici elaborati nelle scienze naturali e fisiche ad ambiti economici e sociali, senza considerare le profonde differenze e i necessari adattamenti. Nei sistemi sociali diventa, infatti, centrale il ruolo delle azioni umane, delle istituzioni, del capitale sociale locale, delle politiche che incidono sulla risposta del sistema territoriale ai cambiamenti, per cui la capacità adattiva del sistema risente fortemente delle caratteristiche e dei comportamenti che operano in esso. Tali riflessioni risultano ancora più evidenti quando si parla di città ed in particolare di piccole città, dove le dinamiche di sviluppo devono essere fortemente ancorate alle caratteristiche del territorio, al coinvolgimento delle comunità locali, a obiettivi di intervento costruiti dal basso e stimolati, ma non «governati», da eventi esterni. I processi di rafforzamento della resilienza urbana allora possono essere sostenuti solo da strategie che, partendo dalle sollecitazioni esterne, sono progettate e costruite all’interno del substrato economico, sociale e culturale. In molti casi, è la realtà culturale e sociale di una città ad incidere fortemente sulla sua capacità o meno di pensare e di implementare i cambiamenti.

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, Università degli Studi di Pisa, Via Paoli 15 – 56126 Pisa; m.lazzeroni@

geog.unipi.it.

RIASSUNTO – Il presente contributo si propone di riflettere sulla resilienza urbana, intesa come capacità di una città di reagire e rispondere ai cambiamenti che avvengono a diverse scale territoriali. Partendo dalle diverse definizioni di resilienza, l’attenzione viene posta due concetti chiave: a) il concetto di dynamic capability, cioè la capacità dinamica di elaborare nuove traiettorie di sviluppo; b) il concetto di smart specialisation, cioè la capacità di promuovere le attività più promettenti e le competenze distintive di una città. Il paper si focalizza inoltre sulle piccole città, per le quali l’obiettivo della resilienza urbana appare decisivo negli attuali scenari socioeconomici globali, che sembrano privilegiare le grandi città e che richiedono nuove strategie capaci di stimolare il cambiamento.

SUMMARY – This paper deals about urban resilience, defined as the ability of a city to react and answer to changes which occur at different spatial scales. Starting from different definitions of resilience, attention is focused on two key issues: a) the concept of dynamic capability, that is the ability to develop new dynamic development trajectories; b) the concept of

smart specialisation, that is the ability to promote the most promising activities and distinctive competencies for a specific

city. The paper also focuses on the situation of small towns, for which the goal of urban resilience is crucial in the current global socioeconomic scenarios, which seem to favor big cities and require new strategies to foster change.

BARBARA MARTINI

UN’ANALISI DEGLI ELEMENTI DI RESILIENZA ECONOMICA

Nel documento Introduzione (pagine 157-161)