Nonostante alcuni limiti della sentenza16 e la successiva decisione Brown II, con cui
la corte precisò che l’integrazione si sarebbe dovuta attuare con «ponderata rapidità» in base alle singole fattispecie locali (favorendo di fatto la resistenza all’applicazione), le reazioni della White America furono immediate e significative. Sul piano giuridico si criticò l’utilizzo di fonti non legali e il nuovo ruolo assunto dalla corte che si era posta come strumento di cambiamento sociale, non più interprete imparziale del- la costituzione ma organo di produzione normativa17. legge o politica? Per alcuni
studiosi come Jeffrey D. Hockett (A Storm Over This Court, 2013) il pronunciamen- to non fu dettato esclusivamente dall’orientamento liberale dei giudici ma anche da considerazioni istituzionali che concernevano il ruolo della corte nel nuovo contesto internazionale. le leggi Jim Crow costituivano un imbarazzante neo nella libera e democratica America, inammissibile negli anni della Guerra Fredda, la corte aveva pertanto la missione di contrastare l’ingiustizia razziale nella politica americana.
il presidente repubblicano Eisenhower si mantenne sostanzialmente neutrale nei suoi interventi pubblici ma criticò il verdetto in privato preoccupato dalle reazioni dei conservatori, il congresso invece rimase totalmente passivo fino al Civil Rights Act del 1957, lasciando la corte completamente sola ad agire nel campo della desegregazione e dei diritti dell’individuo.
come è facile immaginare a sconvolgere l’opinione pubblica americana fu ben altro. la decisione del 1954 fu duramente contestata soprattutto per il taglio che si stava dan- do a decadi di segregazionismo. Essa non contestava la legalità della segregazione razzia- le quando le possibilità offerte alle due razze erano uguali ma ne svuotava comunque la sostanza dal momento che sistemi separati, come l’istruzione, non potevano che essere considerati strutturalmente ineguali: non solo la sentenza implicava il rischio che ogni tipo di segregazione razziale nella vita americana divenisse incostituzionale, la desegre- gazione scolastica avrebbe implicato anche e soprattutto rapporti e contatti giornalieri tra giovani bianchi e neri, innescando il timore della promiscuità sessuale e del metic- ciato. i rappresentanti del profondo Sud attraverso il Southern Manifesto dichiaravano l’impegno ad usare tutti i mezzi consentiti dalla legge per arrivare ad un capovolgimento della decisione del 1954, considerata un’usurpazione del diritto dei singoli Stati e un tentativo di rivoluzionare il loro sistema sociale. Dopo che Brown II ebbe stabilito che l’integrazione delle scuole non avrebbe dovuto essere immediata, si cominciò a studiare come aggirare in concreto la sentenza. il motto che andava per la maggiore era: «As long as we can legislate, we can segregate». in un contesto di violento razzismo, linciag- gi del Ku Klux Klan e provocatorie dimostrazioni di politici demagoghi, prese avvio la
massive resistence degli Stati del Sud. Quasi tutti trasferirono la giurisdizione sul sistema
scolastico dall’amministrazione centrale ai singoli provveditorati locali in modo da co-
16 in particolare, la corte Suprema non stabilì che l’accesso all’istruzione fosse color blind, cioè dovesse prescin-
dere dalla razza degli studenti (consentendo la legittimità della successiva affirmative action nell’istruzione). Venne prese in considerazione solo la segregazione de lege che caratterizzava il Sud e non ci fu pronunciamento sulla segre- gazione de facto che vigeva negli Stati del Nord.
stringere organizzazioni come la NAAcP a citare in giudizio ciascun board of education, facendo così lievitare i costi delle spese legali e dilatando i tempi dell’integrazione. Molti genitori bianchi iscrissero i propri figli in istituti privati oppure si rifiutarono addirittura di mandarli a scuola; alcune comunità abolirono il loro sistema di scuole pubbliche o, ancor più spesso, emanarono leggi particolarmente complicate sull’assegnazione degli studenti che resero possibile rifiutare le domande di ammissione dei neri con motiva- zioni diverse da quelle razziali. in altri casi si decise di sfidare apertamente l’intimazione della corte, costringendo il governo di Washington, sino ad allora rimasto neutrale, ad intervenire in più di un’occasione attraverso l’esercito e consegnando alla storia ameri- cana eventi quanto mai emblematici e di forte impatto sociale: l’ostruzionismo di orval Faubus durante l’ingresso di nove studenti afroamericani alla central High School di little rock (Arkansas), scortati da un distaccamento di paracadutisti per tenere a freno l’ira dei bianchi; il riot scoppiato ad oxford town in seguito all’iscrizione di James Meredith all’Università del Mississippi; il governatore George Wallace che si presentò davanti all’Università dell’Alabama per impedire l’entrata ai corsi dei primi due studenti afroamericani, Vivian Malone e James Hood18.
l’imprevedibile terremoto provocato dalla decisione della corte Suprema non scosse solo il Deep South e l’ostinato ed imperterrito Jim Crow System. Una popolare periodizzazione fa risalire infatti alla sentenza Brown il momento che segnò la nascita del movimento per i diritti civili: galvanizzata dalla decisione e dalla ritrovata sensibi- lità delle istituzioni federali per la questione afroamericana, la popolazione di colore di Montgomery portò avanti il famoso boicottaggio che diede inizio a quella forma di militanza di massa che contraddistinse il Civil Rights Movement e le forme di protesta dal basso che caratterizzarono la seconda metà degli anni ’50 e l’inizio del decennio successivo. la storiografia su questo tema rimane tuttavia divisa. concordano con questa tesi studiosi come Sitkoff (Struggle for Black Equality, 1981) e David Garrow (Segregation Legacy, 1985) per cui la dimensione istituzionale sarebbe stata prevalente rispetto a quella movimentista. A ridimensionare l’impatto delle decisioni assunte dal- la corte Suprema sotto la presidenza Warren è stato invece l’esperto di storia legale, Geral N. rosemberg. Nel suo provocatorio e molto criticato studio The Hollow Hope:
Can Courts Bring About Social Change? (1991), il professore di legge alla University
of chicago, ha messo in dubbio la validità dell’assioma comunemente accettato che la corte Suprema degli Stati Uniti sia in grado di realizzare un diffuso cambiamen- to sociale. A causa della sua struttura e per la mancanza di potere di attuazione la corte deve infatti costantemente contare sulla collaborazione del potere legislativo ed esecutivo. Questo principio ovviamente valeva anche all’epoca della Brown: nel
18 lo scontro non fu solo tra razzismo ed integrazione. tra la sentenza Brown e l’emanazione del Civil Rights
Act del 1964, si verificò il più serio e pericoloso conflitto tra governo federale e governi locali che sia mai avvenuto
negli Stati Uniti dopo la Guerra di Secessione. A farne le spese fu ancora una volta il rapporto tra razza e politica. come riferisce Enrico Beltramini (L’america post-razziale, 2010), la forma di governo federale e le interpretazioni date di volta in volta al rapporto tra big e small government hanno influito sul racial divide sin dalle origini dell’Unione, a partire dal lontano dibattito sull’abolizione della schiavitù e la successiva Guerra civile. così il nesso fra politica e razza si è sviluppato nel tempo con successive alternanze di fasi in cui il governo federale aumentava il suo potere a scapito di quello degli Stati e fasi in cui gli Stati recuperavano autonomia, rifiutavano l’ingerenza del governo centrale e approntavano una legislazione propria, affermando anche il modello della segregazione e della supremazia bianca.
guardare gli effetti che la sentenza ebbe sulla desegregazione rosemberg esamina la percentuale di scolari neri che frequentavano le scuole miste del Sud osservando che nessun cambiamento significativo si era verificato nei dieci anni successivi; fu solo con il Civil Rights Act del 1964 che la percentuale cominciò ad aumentare ogni anno. Altri studiosi si fanno assertori del primato dell’iniziativa movimentista sulle decisioni istituzionali. tra questi il sociologo Aldon Morris (The Origins of the Civil Rights Mo-
vement. Black Communities Organiziting for Change, 1984) per il quale il boicottaggio
della compagnia locale di trasporti che avvenne a Baton rouge (louisiana) nel 1953 avrebbe costituito il vero inizio del processo che pose fine alla segregazione attraverso una mobilitazione dal basso da parte degli afroamericani. Allo stesso modo, parte della storiografia recente colloca la Black freedom struggle in una prospettiva di lungo periodo risalente già agli anni della Depressione e del secondo conflitto mondiale19.
Una posizione a metà strada tra chi nega alla sentenza un ruolo significativo e co- loro che invece le attribuiscono di aver promosso il movimento per i diritti civili è quella assunta dal professore di legge alla Harvad University, Michael J. Klarman, la cosiddetta Backlash theory (“sferzata di ritorno”). Secondo Klarman, il principale contributo della sentenza fu quello di provocare una forte reazione da parte dei segre- gazionisti del Sud, portando allo scontro violento e radicalizzato e sancendo l’elezione di politici ben consapevoli che dimostrazioni e campagne a favore della permanenza della segregazione avrebbero portato voti e ampio consenso. Fu tale violenza, vivida- mente catturata anche dai media, che accrebbe la presa di coscienza razziale da parte degli afroamericani. Quest’ultima fu a sua volta alla base del movimento di massa per i diritti civili, ossia del fattore fondamentale che avrebbe cancellato la segregazione. in sostanza per Klarman la sentenza Brown ebbe un peso più importante nel mobilitare la resistenza del Sud che nell’incoraggiare direttamente l’azione di protesta degli afro- americani, quest’ultima non fu che l’inevitabile ed importante risposta alla massive
resistance degli Stati dell’ex confederazione e dei suoi uomini più tristemente noti:
orval Faubus, ross Barnett, t. Eugene (Bull) connor, Jim clark, e George Wallace20.
Conclusioni
il sociologo afroamericano W.E.B Du Bois aveva individuato nella «linea del co- lore» uno dei principali problemi sociali negli Stati Uniti del XX secolo. Essa ha ne- gato ai neri i più elementari diritti civili e politici, escludendoli dalla società bianca e relegandoli a cittadini di seconda categoria. la razza, come evidente criterio di di- visione sociale, ha avuto un pesante impatto anche sull’accesso alle opportunità for- mative, escludendo gli afroamericani prima dall’istruzione formale e poi riservando loro scuole mal finanziate e rigidamente segregate. la sentenza Brown, sancendo che l’istruzione segregata era intrinsecamente sperequata, non poteva che rappresentare un decisivo passo in avanti verso la realizzazione dell’uguaglianza tra bianchi e neri.
19 S. luconi,Gli afroamericani dalla guerra civile alla presidenza di Barack Obama cit., pp. 159-163, 181-183. 20 M.J. Klarman, Debating the Civil Rights Movement, New York, oxford University Press, 2004, p. 385.
Purtroppo il processo di integrazione fu lento, non immediato e ostacolato in tutti i modi dagli Stati del Sud. Anche dopo l’approvazione del Civil Rights Act del 1964, gli Stati Uniti si resero conto che a farla da padroni erano ancora razzismo e idee secolari resistenti a qualsiasi logica di uguaglianza. Altri interventi si resero pertanto assolu- tamente necessari, lo richiedevano soprattutto la rabbia e l’indignazione esplosa nei ghetti, decimati da povertà e disoccupazione. «Nel settembre del 1965, con l’Executive
order 11246, il presidente Johnson creò i primi programmi di affirmative action a tute-
la dell’ingresso delle minoranze sul mercato del lavoro e del loro accesso all’istruzione superiore. come forma di riparazione e compensazione per i torti e le discriminazioni subiti in passato, la disposizione riservò una quota delle assunzioni federali e delle iscrizioni alle università che ricevevano fondi dal governo di Washington ai membri delle minoranze, a prescindere dalle loro qualifiche professionali e di formazione»21.
Nello stesso anno vennero adottati a livello federale altri provvedimenti che, seppur non indirizzati direttamente agli afroamericani, li aiutarono comunque a migliorare la loro qualità di vita: l’Elementary and Secondary Education Act stanziò sussidi per l’istru- zione pubblica destinati alle scuole dei distretti più poveri o degli Stati più disagiati; lo
Higher Education Act destinò fondi ai college di aree depresse. Negli stessi anni prese
forma anche la significativa pratica del busing, adottata dai provveditorati allo studio per procedere all’integrazione nel campo dell’istruzione pubblica. Nel Nord infatti la segregazione degli istituti scolastici era causata indirettamente dalla segregazione re- sidenziale e dalla dura realtà del ghetto: nei distretti abitati da bianchi le scuole erano frequentate da studenti bianchi, mentre nei quartieri neri le scuole avevano solo stu- denti di colore. come afferma Kenneth clark nel suo Dark Ghetto: «Dovrebbe esser scontato, eppure non sempre pare che lo sia, che l’integrazione senza alunni bianchi è impossibile»22. Per ovviare a questa situazione i provveditorati costrinsero parte degli
studenti bianchi a frequentare le scuole collocate nei ghetti neri e parte degli studenti afroamericani ad iscriversi in scuole situate nei quartieri residenziali dei bianchi. Per non gravare sulle famiglie, venne istituito un servizio di autobus scolastici dal quale derivò il nome dell’intervento. in seguito alle rivolte scoppiate tra il 1964 e il 1967 nei quartieri neri di città come los Angeles (Watts riot, 1965), chicago (Division Street riot, 1966) e Newark (1967) l’amministrazione Johnson nominò anche una commis- sione per studiare le cause di tanta frustrazione e malessere. il gruppo di esperti, guidati dal governatore dell’illinois, otto Kerner, arrivò alla conclusione che le cause dei riots erano strettamente legate alla discriminazione subita dai neri nelle assunzioni, nell’istruzione e nei quartieri. Per quanto riguarda l’istruzione il rapporto stabilì che la stragrande maggioranza delle scuole urbane era segregata confermando non solo la correlazione tra segregazione residenziale e scolastica ma mettendo in luce l’esistenza di uno stretto e quanto mai drammatico legame tra livello d’istruzione e partecipazio- ne alle rivolte: un’alta percentuale di giovani dei quartieri neri che aveva partecipato ai disordini non aveva finito la high school. Secondo il rapporto era assolutamente necessario migliorare il livello di istruzione delle scuole dei ghetti e per motivare gli
21 S. luconi,Gli afroamericani dalla guerra civile alla presidenza di Barack Obama cit., p. 213.
studenti a non abbondare la scuola era indispensabile introdurre programmi – oggi diremmo a carattere interculturale – che riguardassero la storia degli afroamericani, come già evidenziato nel 1947 dallo storico Herbert Aptheker e come sottolineato in quegli anni dagli aderenti al Black Power23. la mancanza d’istruzione unita a povertà
e disoccupazione avrebbe continuato a far maturare profondo risentimento verso la società dei bianchi e ad incanalare i giovani neri verso crimine e violenza24.
Nello stesso periodo anche la corte Suprema tornò a rafforzare il proprio stimolo all’integrazione razziale. Nel 1969 nel caso Alexander v. Holmes County Board of Edu-
cation la suprema corte guidata da Warren E. Burger, ingiunse a trentatré provvedi-
torati agli studi dello Stato del Mississippi di procedere ad un’integrazione immediata delle scuole pubbliche senza frapporre ulteriori indugi, mettendo fine ad oltre un quindicennio di espedienti predisposti dal Sud per posticipare l’applicazione della
Brown. Due anni più tardi, la sentenza Swann v. Charlotte-Mecklenburg Board of Edu- cation sancì la costituzionalità del busing. la deliberazione fu duramente contestata
dai bianchi del Nord, provocando anche gravi esplosioni di violenza: a Boston nel di- cembre del 1974 i genitori ritirarono i loro figli dalle scuole pubbliche e presero a sas- sate gli autobus che trasportavano gli studenti neri nei quartieri residenziali bianchi.
Discriminazione razziale e segregazione continuarono ad andare di pari passo e come dimostrato dall’indagine Kerner il paese correva il rischio di dirigersi sempre di più verso due società distinte, ancora separate e diseguali, ben lontane dal sogno che Martin luther King25aveva esposto al lincoln Memorial di Washington nel 1963. il
sistema Jim Crow si rinnovava nel ghetto, gli Stati Uniti continuavano a perpetuare il privilegio razziale e la scuola, di nuovo, avrebbe dovuto fare i conti con la problema- tica realtà della discriminazione e del pregiudizio. Sarebbero dovuti passare ancora molti anni prima che l’integrazione scolastica diventasse una condizione accettata da tutti e in realtà le cose sembrano lontane dall’essere risolte anche oggi26.
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23 cfr. E. Ginzburg Migliorino, La Marcia immobile. Storia degli afroamericani dal 1770 al 1970, Milano, Selene
Edizioni,1994, pp. 240-242.
24 Nel famoso e controverso rapporto del 1966, Equality of Educational Opportunity, il sociologo James coleman
concluse che il background e lo status socioeconomico degli studenti erano molto più importanti nel determinare i risultati scolastici rispetto a variabili riferibili alle differenze nelle risorse scolastiche e nello stanziamento di fondi.
25 Suggestivi i due sermoni di King sulla Brown: M.l. King, The Death of Evil upon the Seashore e Desegregation
and the Future, in The papers of Martin Luther King, Vol. III: Birth of a New Age, December 1955-December 1956, los
Angeles, University of california Press, 1997, p. 259, p. 474.
26 Secondo alcuni studi pubblicati in occasione del 50°anniversario della sentenza (Ellis cose, Beyond Brown
v. Board: The Final Battle for Excellence in American Education) ma anche ricerche più recenti come quella di Gary
orfield (The Resegregation of Suburban Schools: A Hidden Crisis in American Education, 2012) le disparità razziali in ambito educativo continuano ad essere accentuate. Per esempio, il tasso di abbandono scolastico a livello di high
school per gli afroamericani è il doppio di quello dei bianchi (16% rispetto all’8%), mentre appena il 19% dei neri di
almeno 24 anni d’età è in possesso di un diploma di bachelor contro un terzo dei bianchi (lindsey cook, U.S. Educa-
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UNO STADIO PER LA CITTÀ ETERNA:
GENESI E SVILUPPO DELLO STADIO NAZIONALE IN ROMA NELLE CARTE DELL’ARCHIVIO CAPITOLINO (1908-1912)
Il presente contributo indaga la genesi del progetto urbanistico per dotare Roma, in occasione delle Feste per il Cinquantenario del Regno, di uno Stadio nel quale disputare gare sportive e ginnastiche. L’articolo intende chiarire se e in quale misura, secondo gli indirizzi di ricerca proposti dalla storiografia e dalla sociologia anglosassone, esso possa essere considerato un «luoghi di potere» e una «sfera pubblica» nella quale gli spettatori sono protagonisti attivi.
The paper investigates the origins of the urban project set up to create a stadium for sport and gymnastics