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Il secondo dopoguerra: il contributo alla ricostruzione civile e economica

Il Comune di Milano conscio della necessità, ora più che mai imperiosa, che all’educazio- ne civica e umana e all’istruzione professionale della gioventù si dedichi ogni possibile cura, riapre le sue Scuole Serali con fermo proposito di farne dei centri di alacre e sagace operosità atti […] ad abilitare gl’iscritti all’esercizio d’attività commerciali e tecnologiche veramente fruttuose43.

Così, con circolare del settembre del 1945, il sindaco di Milano, Antonio Greppi, a capo della Giunta nominata dal Comitato di Liberazione Nazionale, comunicava la riapertura delle Scuole civiche, mentre la città si sforzava di tornare alla normalità sa- nando le profonde ferite, materiali e morali, lasciate dalla guerra. L’educazione civica promossa da queste scuole doveva rinviare costantemente al «vero senso della ricon- quistata libertà», della democrazia e della «dignità di uomo», impegnando docenti e studenti in «un lavoro responsabile verso la comunità sociale»44.

Non si trattava di appelli destinati a restare sulla carta. Le scuole parteciparono attivamente alla rinascita della vita democratica, come fece la sede della Serale di via Mac Mahon che nell’autunno del 1945 propose ai propri alunni lo svolgimento di componimenti in cui raccontare la loro partecipazione agli avvenimenti della Libera- zione. Le altre scuole erano invitate a seguire questo esempio e a sottoporre agli iscritti il seguente tema: «Raccontate gli episodi salienti della vostra vita durante gli anni della guerra, della resistenza e dell’insurrezione ed esprimete le vostre impressioni e i vostri sentimenti con sincerità»45.

Mentre delineava gli obiettivi della formazione umana e civica, il Comune si pre- occupava di definire i fini e i mezzi della preparazione culturale e professionale degli iscritti alle Serali e Festive, ovvero a Scuole che ancora erano «di studenti lavoratori e per studenti lavoratori». Tale preparazione era instradata su due binari di fatto già predisposti fra la fine degli anni Trenta e i primi anni Quaranta, ovvero le scuole serali

43 Comune di Milano, Civiche scuole e corsi professionali a tipo commerciale industriale e artigiano, settembre

1945, in ACCMi, 1950, Educazione, f. 11.

44 Circolare della Ripartizione Educazione ai dirigenti delle scuole e dei corsi serali e festivi, 1 giugno 1945, ivi. Sulla

ripresa della vita democratica a Milano, rinvio a Storia di Milano, vol. XVIII: Il Novecento, cit. (i saggi di M. Tesoro e M. Punzo nel I tomo).

45 Circolare n. 6 della Direzione centrale scuole e corsi serali e festivi professionali e superiori ai direttori, 15.11.1945,

secondarie, alcune delle quali rilasciavano titoli con valore legale, da un lato, e i corsi di tipo professionale, dall’altro46.

Così strutturata, l’offerta formativa di queste istituzioni conosceva una rapida espansione all’indomani della Liberazione47. Secondo il Regolamento del 1952, che

andava a sostituire quello fascista, le scuole serali legalmente riconosciute, ora non più solo maschili, ma anche femminili e miste, erano ormai quattordici e comprendevano tre istituti tecnici (uno per geometri, uno commerciale e uno per periti edili), dieci scuole di avviamento professionale a tipo commerciale e una industriale. Vi erano altresì scuole autorizzate, tra cui un liceo classico e uno scientifico. A fianco di queste scuole, che si conformavano al sistema scolastico governativo, esisteva un cospicuo numero di corsi (maschili, femminili e misti), serali e festivi, di durata variabile (da uno a cinque anni) creati per rispondere a precise necessità professionali. Erano attivi, tra gli altri, corsi di chimica industriale, per elettricisti-impiantisti, per tecnici telefoni- ci, per fotografi, per orologiai, per ottici, di lingue, di stenodattilografia, commerciali, di vetrinistica e pubblicità. Tali corsi furono promossi, in alcuni casi, anche consul- tando le forze produttive locali, come avvenne nel 1946 per la creazione dei corsi per elettricisti impiantisti per i quali furono messi a punto programmi stesi da una com- missione formata anche da rappresentati dell’industria elettrotecnica della zona48. I

giovani e le loro famiglie dimostrarono di apprezzare il ricco ventaglio delle proposte formative: nell’anno scolastico 1954-55, su un totale di 12.261 alunni degli istituti serali e domenicali, quelli che frequentavano le scuole tradizionali erano 5.497 (pari al 44,84%), mentre gli iscritti ai corsi liberi erano ben 6.764 (ovvero il 55,16%)49.

Come era avvenuto fin dalle origini, il sistema delle civiche scuole milanesi, con il suo ampio ventaglio di scuole e corsi, si configurava come un canale parallelo a quello governativo e a quello privato che riusciva a intercettare bisogni di istruzione che sfuggivano ai canali suddetti. L’intuizione originaria, avuta dal Comune dopo l’Unità, di creare scuole postelementari in cui i giovani e le giovani dei ceti popolari potessero consolidare l’istruzione e la preparazione professionale si mostrava anzi più che mai vitale e pronta a rispondere alle suggestioni che venivano dalla società. Agli inizi degli anni Sessanta, in coincidenza con il massiccio manifestarsi del fenomeno migratorio nella città lombarda50, il sistema delle civiche Scuole serali di Milano era coinvolto

nella più generale riflessione in atto in quegli anni all’estero e in Italia sull’alfabetizza- zione degli adulti. Grazie, ancora una volta, a alcune illuminate figure di amministra- tori e funzionari comunali, le Scuole serali divennero luogo di indagine sull’educazio- ne degli adulti e di promozione di nuove modalità di insegnamento che sfociavano nel 1969 nella creazione, da parte del municipio, del Centro di sperimentazione didattica

46 Piano di funzionamento delle civiche scuole serali e festive, professionali e superiori, per l’anno scolastico 1948-

1949, delibera della Giunta municipale, 6 agosto 1948, in ACCMi, 1948, Educazione.

47 Regolamento per le scuole serali e domenicali, Milano, Industrie grafiche italiane Stucchi, 1952.

48 Riapertura delle civiche scuole serali e festive, ordinamento generale dell’anno scolastico 1946-1947, delibera

della Giunta municipale, 1 ottobre 1946, in ACCMi, 1946, Educazione.

49 Cronache del Consiglio Comunale. Bilancio di previsione per l’anno 1955, in «Città di Milano», maggio 1955,

pp. 304-328, giugno 1955, pp. 373-388.

50 C. Maccheroni, P. Sala, F. Billardi, La popolazione, in Storia di Milano, vol. XVIII: Il Novecento, cit., tomo II,

per l’educazione permanente. Dall’avvio esso si avvalse della collaborazione di studio- si destinati a animare il dibattito sulle questioni educative nei decenni successivi, quali C. Scurati, M. Mencarelli, padre M. Reguzzoni, e V. Cesareo51. Iniziava così, per que-

ste Scuole, una nuova fase della loro storia, anche questa ancora tutta da ricostruire.

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EDUCARE CHI SE NE VA: I CORSI STATALI DI ALFABETIZZAZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE PER GLI EMIGRANTI

IN ITALIA (1920-1926)

Le iniziative formative rivolte a chi emigra sono un tema caldo nel dibattito pubblico italiano. La forma- zione verso gli emigranti nel nostro paese risale alla fine dell’800. Il saggio si concentra su un’importante serie di corsi che vennero promossi tra il 1920 e il 1926 dal Commissariato generale dell’emigrazione (Cge), per favorire l’alfabetizzazione e la qualificazione professionale degli emigranti italiani: la docu- mentazione dimostra una profonda consapevolezza da parte del Cge della situazione dei mercati del lavoro internazionali e delle politiche migratorie dei paesi di accoglienza.

Training opportunities oriented to potential emigrants are a hot topic in the Italian public debate. Experi- ences in training to emigrants in our country goes back to the end of the 18th century. This article explores an important set of courses put on between 1920 and 1926 by the General Commissary of Emigration (Cge), to promote literacy and the vocational training of Italian emigrants. Historical evidence shows that Cge had a deep understanding of the international labour markets and migration policies in host countries.

Parole chiave: Emigrazione; Fascismo; Formazione professionale; Alfabetizzazione; Literacy Act del 1917.

Key words: Emigration; Fascism; Vocational Education; Literacy Teaching; 1917 Literacy Act.

A Elmas, piccolo comune alle porte di Cagliari, l’amministrazione locale ha pro- mosso nel settembre 2014 un progetto denominato Adesso parto, rivolto ai cittadini disoccupati, con lo scopo di farsi carico di alcune spese necessarie per affrontare l’esperienza emigratoria. Gli esigui fondi messi a disposizione dal Comune per ogni partecipante erano divisi su differenti tipologie di spesa: 550 euro per un corso di lingua straniera da svolgersi presso un istituto formativo convenzionato prima della partenza; altri 650 euro da impiegarsi una volta concluso positivamente il corso, per un biglietto aereo di sola andata verso una qualsiasi destinazione estera e per le spese iniziali di vitto e alloggio1.

La notizia è balzata agli onori della cronaca italiana e internazionale, come sintomo di uno stato di disperazione istituzionale nei confronti della mancanza di lavoro dei propri concittadini, in un contesto generale in cui i programmi pubblici per l’occu- pazione sembrano ormai segnare il passo e in una situazione particolarmente grave per le amministrazioni comunali, in cui alla depressione economica si aggiunge una ridotta capacità di spesa. In effetti, il budget totale (12.000 euro per coprire le spese a una decina di persone) appare talmente basso da non rappresentare una seria misura di intervento: è evidente che il portato della questione – e la risonanza che ha ottenuto

1 Comune di Elmas, Deliberazione di Giunta n. 84, 19 settembre 2014. Il bando è scaricabile a questo link:

http://www.comune.elmas.ca.it/images/stories/notizie/2014/Adesso_Parto___Bando_Finale.pdf (consultato in data: 11 gennaio 2016).

– non riguarda tanto il suo impatto effettivo quanto il suo significato simbolico. Si trovano in questa vicenda molti argomenti familiari per chi si occupa di storia della mobilità territoriale. Le aspre polemiche che hanno seguito la notizia investono con la forza dell’attualità alcuni nodi tradizionali trattati negli studi storici migra- tori. Il primo è il rapporto tra emigrazione temporanea ed emigrazione definitiva. Per difendersi dalla critica di favorire l’allontanamento dei disoccupati, il sindaco di Elmas insisteva nel sostenere che il progetto promosso «non significa incoraggiare l’emigrazione ma dare la possibilità ai tanti che ci hanno chiesto di fare un’esperienza all’estero e che altrimenti non potrebbero permettersi. Esperienza che potrà solo ar- ricchirli, torneranno con un bagaglio di conoscenza ulteriore»2. La realtà storica inse-

gna quanto sia azzardato fare simili affermazioni: si sa quando si parte, ma non si può sapere se e quando si tornerà. Ogni viaggio all’estero per lavoro si può tradurre in un trasferimento definitivo in un altro paese oppure può rappresentare una tappa di un percorso rotatorio che comporterà un feedback, un contributo di rientro nel territorio di origine: difficile stabilire a priori di che tipo di emigrazione si tratterà, dato che non sempre i progetti iniziali coincidono con gli esiti finali dei percorsi migratori3. Anche

l’esperienza recente delle politiche pubbliche sarde ha qualcosa da insegnare: progetti ben più complessi e ambiziosi – come il programma Master and Back promosso dalla Regione Sardegna a partire dal 2005, con stanziamenti di milioni di euro e un’artico- lata organizzazione finalizzata a far sì che a un’esperienza di alta formazione all’estero corrisponda poi un ritorno nell’isola – sembrano aver mostrato il loro punto debole proprio su questo versante, quello del (non) rientro dei suoi beneficiati4.

Su almeno altri tre aspetti, invece, l’iniziativa dell’amministrazione comunale di Elmas sembra aver fatto propria l’esperienza storica delle migrazioni italiane. In pri- mo luogo, nell’aver compreso quanto sia importante per gli aspiranti emigranti la copertura delle prime spese di emigrazione: garantirle con fondi pubblici può rap- presentare un aiuto molto significativo anche da un punto di vista simbolico, per una spesa che in passato obbligava gli emigranti a ricorrere a prestiti o a vendere i propri averi5. Il secondo è un certo sguardo disincantato sulle dinamiche migratorie, scevro

da moralismi di sorta, che pare trasparire almeno dalle prime dichiarazioni rilasciate dal sindaco di Elmas, prima che l’esplosione della polemica politica appiattisse ogni tentativo di riflessione fuori dagli schemi: «siamo cittadini d’Europa e non possiamo pretendere che la Sardegna sia in grado di soddisfare tutte le nostre necessità. Certo, avere un lavoro sotto casa sarebbe l’ideale ma dobbiamo prendere coscienza del fatto che la situazione è molto difficile»6. Infine, l’aver previsto un periodo di formazione

2 F. Melis, Elmas, il Comune paga i giovani all’estero: “Torneranno più forti”, in «Castedduonline», 23 settembre

2014.

3 Sull’effetto economico delle migrazioni sui territori di partenza, si veda per il caso storico italiano: E. Sori,

Mercati e rimesse: il ruolo dell’emigrazione nell’economia italiana, in P. Corti e M. Sanfilippo (a cura di), Storia d’Italia. Annali 24. Migrazioni, Torino, Einaudi, 2009, pp. 249-284.

4 Cfr. M. Fois e M. Carboni, «Master and Back»… to black? Laureati sardi tra nuove mobilità e precariato finan-

ziario, in «Studi Emigrazione», L (2013), n. 190, pp. 268-293.

5 A. De Clementi, Di qua e di là dall’oceano. Emigrazione e mercati nel Meridione (1860-1930), Roma, Carocci,

1999, pp. 43 sgg.

linguistica preliminare allo spostamento, per tentare di fornire all’aspirante emigrante uno strumento comunicativo fondamentale, presupposto indispensabile per giocare le proprie capacità adattative – o fitness – nel corso dell’esperienza migratoria7.

Quest’ultimo aspetto era stato già individuato con grande lucidità e intelligenza da Pietro Canessa, emigrante di Rapallo che nel 1883 – a 45 anni – si imbarcò a Genova con destinazione la California: al suo ritorno, nel 1898, pensò di fare cosa utile dando alle stampe una piccola guida, sulla base della propria esperienza migratoria8. Al cen-

tro dell’interesse dell’opuscolo stava proprio l’apprendimento linguistico: «la lingua inglese è per noi italiani difficile e uno che ad un tratto si trovi ove si parla inglese si confonde, è come sordo e muto e di frequente si avvilisce terminando in squallida miseria»9. Quindi, la prima cosa da fare per chi voleva tentare la traversata oceanica

era cimentarsi con la lingua: Canessa forniva un frasario pronto all’uso per le varie situazioni in cui si poteva concretamente trovare un emigrante, riportato direttamen- te nella pronuncia inglese con una rudimentale trascrizione fonetica. Nel corso del viaggio via terra verso San Francisco, ad esempio, poteva essere utile imparare a dire «Misteruill tel mi pliis uen ui bii in Fresno»10, per andare a mangiare un pasto econo-

mico in un locale si poteva far ricorso a «Gormoni Miss, pliis ghimmi dinna for fisti sensi»11, per cercare lavoro, invece, ecco pronta la frase «Mister iu noo aitalian men

ea ai laiche èvve giobbè»12.

Il tema dell’educazione degli emigranti, delle iniziative intraprese per intercettare quella parte di società in movimento e proporle delle esperienze formative, è un tema molto vasto, per quanto solo parzialmente studiato. Nella letteratura sulla storia delle migrazioni italiane, l’argomento più indagato riguarda sicuramente il sistema delle scuole all’estero, sia le governative che le private sussidiate, in primis quelle promosse dalla Società Dante Alighieri13. Anche alcune iniziative educative collaterali, soste-

nute da istituti caritatevoli e di beneficienza o sorte all’interno dell’associazionismo operaio, hanno ricevuto l’attenzione degli studiosi14. Si trattava di un insieme ampio

7 M. Livi Bacci, In cammino. Breve storia delle migrazioni, Bologna, il Mulino, 2010.

8 P. Canessa, La mia pratica ossia consigli famigliari dedicati specialmente all’emigrante nel Nord-America, Chia-

vari, Tipografia Artigianelli, 1898.

9 Ivi, p. 7. L’opuscolo offriva anche consigli pratici sul viaggio negli Stati Uniti, informazioni sulle professioni

per cui erano maggiormente richiesti gli italiani, alcune ricette per cucinare da soli, degli esempi di redazione di lettere commerciali.

10 Ivi, p. 16. 11 Ivi, p. 21. 12 Ivi, pp. 21-22.

13 G. Floriani, Scuole italiane all’estero. Cento anni di storia, Roma, Armando, 1974; P. Salvetti, Immagine na-

zionale ed emigrazione nella Società «Dante Alighieri», Roma, Bonacci, 1995; G. Tassello e M. Vedovelli (a cura di), Scuola, lingua e cultura nell’emigrazione italiana all’estero (1970-1995). Bibliografia generale, Roma, Centro Studi Emi-

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Roma, Donzelli, 2002, pp. 535-549; M. Vedovelli (a cura di), Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, Roma, Carocci, 2011. Purtroppo non si ricava alcuna informazione storica dalla voce Scuole italiane all’estero compi- lata da Ornella Orlandoni per il Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo, a cura di T. Grassi, E. Caffarelli, M. Cappussi, D. Licata e G.C. Perego, Roma, Ser, 2014, pp. 690-692.

14 L. Favero, Le Scuole delle Società Italiane di Mutuo Soccorso in Argentina, 1866-1914, in «Studi Emigrazione»,

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