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Regime giuridico dei beni cultural

L’ATTUALE SISTEMA DI TUTELA DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO NEL “CODICE URBANI”

4. Brevi cenni sui beni culturali In particolare: individuazione dei beni culturali, verifica e dichiarazione dell’interesse culturale, regime giuridico dei beni cultural

4.3. Regime giuridico dei beni cultural

Una volta che le cose mobili o immobili di appartenenza pubblica o privata individuati dal Codice abbiano assunto (o si siano viste confermare) la qualità di bene culturale attraverso i provvedimenti (e procedimenti) descritti nelle pagine precedenti, le stesse sono oggetto dell’opera di catalogazione ad opera del Ministero con la collaborazione di Regioni ed enti pubblici territoriali, prevista dall’art.17 ai fini del coordinamento delle relative attività da svolgersi e, soprattutto, su di esse diviene applicabile la disciplina contenuta nella Parte II del Codice a partire dall’articolo 18 fino al conclusivo articolo 130. Il regime giuridico contenuto in queste norme – cui si già accennato più volte in questo capitolo e di cui nel corrente paragrafo si procederà ad un’ultima breve sintesi45 − delinea una serie di poteri e

competenze della Pubblica Amministrazione finalizzati a preservare tali beni e di conseguenza al perseguimento dell’interesse pubblico alla loro fruizione collettiva. I beni culturali, anzi, sono stati proprio definiti come beni ab origine destinati alla fruizione collettiva o beni oggetto di diritti collettivi di natura pubblicistica (V. CERULLI IRELLI, M. S. GIANNINI). La

Pubblica Amministrazione, dunque, una volta verificato o dichiarato l’interesse culturale del bene sulla base di un giudizio tecnico-discrezionale, accerta nello stesso la presenza di caratteristiche che lo fanno rientrare nella categoria beni culturali, di cui il bene stesso fa parte ab origine. Il regime giuridico descritto nella Parte II del Codice prevede anzitutto una serie di limitazioni al potere di disposizione e godimento dei proprietari dei beni. Tali limitazioni sono necessarie ai fini di garantirne la tutela e la valorizzazione, che si concretizzano rispettivamente nella conservazione e fruizione pubblica degli stessi. La conservazione si attua sulla base di quanto di quanto dispone l’art.20 del Codice, che prevede che siano vietati gli interventi sui beni culturali tali da comportarne la distruzione, il deterioramento, il danneggiamento e in generale tutti quegli interventi “tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”. Inoltre gli stessi non possono essere “adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico”. Il comma 2 dello stesso articolo prevede, in addizione, il divieto di “smembramento” degli archivi pubblici e privati dichiarati di interesse

45 Per la realizzazione della sintesi è stato consultato direttamente il testo attualmente vigente del Codice oltre ad A. LALLI, Beni culturali. Disciplina pubblicistica (ad vocem), in “Enciclopedia Treccani Online” (www.treccani.it), 2015

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culturale. Sono invece possibili altri interventi, indicati dagli artt.21 e seguenti, ma solo previa autorizzazione ministeriale. Il Ministero gioca infatti un ruolo centrale nell’applicazione del regime di tutela che, occorre ricordarlo, è materia di esclusiva legislazione statale ai sensi dell’art.117 Cost. Rimanendo in tema di tutela, anche per quel che riguarda la circolazione dei beni culturali sia all’interno che all’esterno dello Stato, ogni atto di trasferimento del bene è sottoposto a previa autorizzazione del Ministero, che può inoltre esercitare il diritto di prelazione a proprio favore. Alcuni beni, ai sensi dell’art.65 del Codice, non possono fuoriuscire definitivamente dal territorio dello Stato, mentre per altri è sempre prevista la previa autorizzazione ministeriale. I beni appartenenti al “demanio culturale”, e cioè quelli di proprietà di Stato, Regioni ed enti pubblici territoriali, sono, alcuni, assolutamente inalienabili oppure, altri, sempre previa autorizzazione, possono essere alienati a privati i quali sono comunque tenuti a rispettare talune cautele ai fini della conservazione. Ancora, a fini di tutela, il Codice (artt. 95-100) disciplina l’espropriazione per causa di pubblica utilità di beni culturali mobili e immobili, dove per pubblica utilità si deve intendere ovviamente il perseguimento dell’interesse pubblico alla fruizione collettiva del bene, finalizzata alla realizzazione di interventi per la conservazione e il miglioramento delle condizioni dei beni, ad esempio tramite restauro. In tema di valorizzazione, che è attività principalmente rivolta, si ricorda, ai sensi dell’art.6 del Codice, alla promozione della conoscenza del patrimonio culturale e alla realizzazione delle condizioni necessarie per l’utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio, occorre ricordare che nell’esercizio di tale attività maggiore spazio è lasciato ai soggetti privati. L’art.111 del Codice prevede infatti che le attività necessarie per il perseguimento delle finalità previste dall’art.6 possano essere anche ad iniziativa privata e che in ogni caso i soggetti privati possano concorrere, cooperare o partecipare alle attività stesse. Si viene così a creare una “sinergia” fra soggetti pubblici e privati che si concretizza, per quel che riguarda le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza privata, nella possibilità per i privati di beneficiare nell’esercizio di tali attività del sostegno dello Stato, delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali, ai sensi dell’art.113 comma 1 del Codice. L’art.115 prevede invece che le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica possano essere gestite sia in forma diretta che indiretta.

La gestione diretta, lo dice il comma 2 dell’articolo, è svolta dalle amministrazioni stesse, anche in forma consortile, per mezzo di strutture organizzative interne dotate di “adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico”, mentre la gestione indiretta (comma 3) è attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione da parte delle amministrazioni cui i beni appartengono mediante procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti. Nonostante l’attività dei privati sia ammessa, tali forme di gestione indiretta delle attività di valorizzazione sono comunque circondate da particolari cautele e controlli pubblici, e le amministrazioni possono procedere alla concessione a terzi al solo fine di pervenire ad un livello più elevato di valorizzazione dei beni culturali. Si può dunque parlare di preponderanza del pubblico sul privato anche per quel che riguarda le attività di valorizzazione oltre che per quelle di tutela, prevedendo, come regola, il ricorso alla gestione diretta. Vi è stato tuttavia chi ha denunciato, come lo storico dell’arte Tomaso Montanari46,

che nella prassi spesso sarebbe avvenuto l’esatto contrario. La gestione indiretta privata avrebbe avuto un ruolo predominante. Nel 2009 anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato avrebbe espresso al Parlamento la propria preferenza per la gestione indiretta, invitando il legislatore a rivedere le norme in materia rendendo regola generale il ricorso a tale modello di gestione. L’ampia diffusione della gestione indiretta avrebbe inoltre comportato la concessione ai privati anche di molti di quei “servizi per il pubblico” indicati dall’art.117 del Codice fra cui figurano, ad esempio, “i servizi di accoglienza” inclusi quelli “di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia”, i “servizi di informazione, di guida e assistenza didattica”, i “servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba”, “l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali”, e così via. Insomma, l’eccessiva “privatizzazione” delle attività di valorizzazione avrebbe reso le stesse, secondo il parere dell’Autore citato, prevalentemente finalizzate alla soddisfazione di interessi economici di alcuni soggetti, in palese contrasto con quanto prevede la legge che vuole l’attività di valorizzazione come esclusivamente finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico alla fruizione collettiva del patrimonio culturale. In chiusura di questa sintesi sul

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regime giuridico dei beni culturali – e, più in generale, di questa lunga parentesi dedicata ai beni culturali − occorre ricordare che la trasgressione delle norme contenute nella Parte II comporta l’applicazione nei confronti dei trasgressori delle sanzioni amministrative e penali che si trovano contenute nella Parte IV del Codice.