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Verifica e dichiarazione dell’interesse culturale

L’ATTUALE SISTEMA DI TUTELA DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO NEL “CODICE URBANI”

4. Brevi cenni sui beni culturali In particolare: individuazione dei beni culturali, verifica e dichiarazione dell’interesse culturale, regime giuridico dei beni cultural

4.2. Verifica e dichiarazione dell’interesse culturale

L’art.12 comma 1 del Codice prevede che le cose indicate nell’art.10 comma 1, vale a dire i beni mobili o immobili di appartenenza pubblica o di persone giuridiche private senza fini di lucro, che “siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni33”, debbano essere sottoposte alle disposizioni generali di tutela previste dalla

Parte II del Codice fino a quando non sia stata effettuata – o meglio, fino a quando non sia stata effettuata ed abbia avuto esito negativo − la verifica di interesse culturale descritta nei successivi commi dell’art.12. In altre parole il sistema delineato dal Codice prevede che l’interesse culturale delle cose rientranti in tale categoria sia per così dire “presunto” e che dunque alle stesse si debbano applicare immediatamente e provvisoriamente le disposizioni previste dal Codice per la tutela dei beni culturali. Da ciò deriva altresì la soggezione provvisoria di tali beni al regime di inalienabilità previsto dall’art.54 comma 2 lettera a) e

31 A. PONTRELLI, Commento all’art.11, in (a cura di) A. ANGIULI, V. CAPUTI JAMBRENGHI, op.

cit., pp. 65-66

32 Recante “Ulteriori disposizioni integrative e correttive” al Codice, in relazione ai beni culturali. Pubblicato su G.U. n.84 del 9 aprile 2008.

33 Tale termine di risalenza nel tempo era inizialmente stabilito nel Codice in cinquant’anni per le cose mobili e settant’anni per le cose immobili ed è stato poi portato a settanta, indipendentemente dalla qualità delle cose, a seguito delle modifiche apportate al comma 1 dell’art.12 dall’art.1, comma 175, lettera c) della “Legge annuale per il mercato e la concorrenza” n.124 del 2017, pubblicata su G.U. n.189 del 14 agosto 2017.

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dall’art.55 comma 1. La prima delle due norme prevede che sono inalienabili “le cose appartenenti ai soggetti indicati all’articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fino alla conclusione del procedimento di verifica previsto dall'articolo 12” mentre sono liberamente alienabili le medesime cose se il procedimento si conclude con esito negativo. La seconda norma prevede invece che i beni appartenenti al “demanio culturale” sono inalienabili fino a quando non intervenga eventualmente l’autorizzazione del Ministero. Se il procedimento di verifica si conclude positivamente i beni che ne sono stati oggetto sono riconosciuti definitivamente come aventi la qualità di bene culturale e l’interesse culturale, storico, artistico degli stessi non è più “presunto” ma “accertato”. Ne deriva l’applicazione altrettanto definitiva sugli stessi del regime di inalienabilità le cui uniche eccezioni sono contenute negli artt.54 e seguenti del Codice. In caso di esito negativo della verifica le conseguenze sono descritte nei commi 5 e 6 dell’art.12 che prevedono la “sdemanializzazione” per i beni appartenenti al demanio dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali (quando lo Stato e gli altri enti pubblici non ravvisino “ragioni di pubblico interesse” che ostino alla sdemanializzazione) e l’applicazione del regime di libera alienabilità. La verifica della sussistenza dell’interesse culturale, o meglio, storico, artistico, archeologico o etnoantropologico, delle cose indicate dall’art.10 comma 1 è compiuta dal Ministero attraverso i suoi organi competenti (soprintendenze) al termine di un procedimento che può essere avviato o d’ufficio o tramite richiesta dei proprietari delle cose, che assieme alla richiesta devono altresì inoltrare schede contenenti i dati conoscitivi dei beni loro appartenenti. Il Ministero procede a valutare la sussistenza dell’interesse sulla base di indirizzi stabiliti dal Ministero stesso per assicurare uniformità di valutazione. Questo è quello che prevede il comma 2 dell’art.12, mentre il successivo comma stabilisce disposizioni particolari per i beni immobili del demanio dello Stato e per i beni immobili in uso all’amministrazione della Difesa. In questo caso è previsto che la richiesta di verifica debba essere corredata dagli elenchi dei beni e dalle relative schede descrittive. Il Ministero stabilisce criteri e modalità per la predisposizione degli elenchi e la redazione e trasmissione di schede ed elenchi con proprio decreto, di concerto con l’Agenzia del demanio e anche, nel caso di beni in uso al Ministero della Difesa, della

competente direzione generale dei lavori e del demanio. Tale procedimento si conclude con un provvedimento amministrativo dichiarativo dell’interesse culturale che è analogo per effetti alla dichiarazione di interesse culturale prevista dagli artt.13 e ss. per i beni non di proprietà pubblica o equiparata, in quanto entrambi i provvedimenti determinano l’assoggettamento delle cose al regime di tutela previsto nel Codice. Differenze vi sono invece fra i due provvedimenti quanto a iter procedimentale e forme di pubblicità-notizia. L’istituto della verifica descritto nel Codice all’art.12 era già stato delineato dallo schema provvisorio dell’articolo stesso deliberato dal Consiglio dei Ministri il 29 settembre del 2003 che venne ripreso pressoché integralmente il giorno dopo nel decreto legge 269/200334,

contenente “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici”, conosciuto anche come “maxi-decreto finanziario”, in quanto rientrante nella manovra finanziaria pubblica per il 2004, poi convertito con modificazioni con legge 326 sempre del 200335. L’art.27 di tale decreto, rubricato proprio “Verifica dell'interesse

culturale del patrimonio immobiliare pubblico”, venne poi a sua volta ripreso in molti suoi aspetti nella versione definitiva dell’art.12. Per questo motivo si può dire che l’istituto della verifica dell’interesse culturale entrò sostanzialmente in vigore già prima del Codice stesso, seppure di pochi mesi. Il legislatore accolse dunque lo schema di ricognizione della proprietà culturale pubblica voluto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nella manovra finanziaria del 2004, delineato, potremmo dire “poco romanticamente”, per permettere una migliore individuazione di quei beni rientranti nel patrimonio culturale pubblico svincolabili dal regime pubblicistico e dunque passibili di essere messi sul mercato allo scopo di riequilibrare il bilancio dello Stato. Lo schema del Codice che prevede una “presunzione generale di culturalità” dei beni di proprietà pubblica, limitatamente a quelle cose opera di autore non più vivente o la cui esecuzione risalga ad oltre settant’anni (in precedenza cinquanta per le cose mobili e settanta per quelle immobili) ha avuto dunque origine nell’ambito di un programma legislativo destinato a produrre effetti per un tempo limitato ed è poi stato trasposto in norme di indeterminata estensione temporale. Questa trasposizione determinò tuttavia l’adozione di una normativa piuttosto complicata riguardo i meccanismi

34 Pubblicato su G.U. n.229 del 2 ottobre 2003 35 Pubblicata su G.U. n.274 del 25 novembre 2003

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dei procedimenti di verifica e i termini entro i quali i procedimenti avrebbe dovuto concludersi. Inizialmente infatti il comma 10 dell’art.12 richiamava espressamente le diverse disposizioni contenute nell’art.27 del decreto che delineavano diverse ipotesi e termini a seconda del tipo di beni − mobili o immobili − oggetto del procedimento, dell’appartenenza − pubblica o privata − dei beni stessi e, solo a proposito di beni immobili, delle modalità di avvio – d’ufficio o ad istanza di parte − del procedimento. La riforma apportata al Codice per effetto dell'art. 2, comma 1, lettera c), numero 3 del d.lgs. 156/200636 riscrisse il comma 10 dell’art.12 che

nella forma attualmente in vigore dispone semplicemente che il procedimento di verifica debba concludersi entro 120 giorni dal ricevimento della richiesta. Questo ha determinato l’unificazione dei regimi procedimentali, non rilevando più il fatto che i procedimenti riguardino beni mobili o immobili, pubblici o privati, e che i procedimenti stessi siano avviati d’ufficio o ad istanza di parte. L’unico dubbio interpretativo potrebbe essere sollevato riguardo l’utilizzo dell’espressione “dal ricevimento della richiesta” che può far ritenere che la norma sia da riferirsi solo ai procedimenti ad istanza di parte. Questa interpretazione tuttavia può essere esclusa dal momento che il termine di 120 giorni ora espressamente indicato nel Codice era già un termine più volte previsto nelle diverse discipline speciali previste in precedenza dal comma 10 dell’art.12 richiamando l’articolo 27 del d.l. 269/2003. Per quel che riguarda il caso di inerzia dell’amministrazione che ometta di emanare il provvedimento finale del procedimento di verifica entro il termine previsto dal Codice, occorre ricordare che inizialmente lo stesso era qualificato come “silenzio significativo” o, in questo caso, “silenzio diniego”, dal momento che l’inerzia dell’amministrazione veniva qualificata come equivalente a esito negativo della procedura di verifica e dunque al diniego della sussistenza dell’interesse culturale della cosa oggetto del procedimento. Tuttavia, in seguito all’entrata in vigore del Codice, in materia di silenzio della pubblica amministrazione sono poi intervenute riforme che hanno previsto la non operatività del “silenzio assenso” per gli atti e i procedimenti amministrativi in materia di patrimonio culturale (e paesaggistico). Per questo motivo attualmente la mancata emanazione del provvedimento finale del procedimento di verifica dell’interesse culturale entro il termine di 120 giorni previsto dal

Codice è qualificato come “silenzio inadempimento” dell’amministrazione competente, con possibilità di ricorso avverso la stessa di fronte al giudice amministrativo senza necessità di previa diffida37.

La dichiarazione dell’interesse culturale è invece disciplinata dagli artt.13, 14, 15 e 16 del Codice. Si tratta di un provvedimento affine alla verifica, poiché anche in questo caso stiamo parlando di un atto amministrativo la cui adozione è di competenza del Ministero per i Beni e le Attività Culturali il quale, con un certo margine di discrezionalità tecnica, “accerta” e “dichiara” la presenza dell’interesse culturale nella cosa oggetto del procedimento, sottoponendola alle disposizioni di legge previste dal Codice. Tuttavia l’ambito di applicazione della dichiarazione, come accennato in precedenza38, è diverso rispetto a

quello della verifica. La verifica è infatti rivolta ad accertare il presunto interesse culturale presente in cose mobili e immobili di proprietà pubblica o di enti privati senza fine di lucro − si ricordi: di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settant’anni −, mentre per le cose di proprietà di soggetti diversi da questi si ricorre al diverso provvedimento di dichiarazione. Le cose nei cui confronti si applica il provvedimento di dichiarazione sono elencate nel comma 3 dell’art.10, richiamato dall’art.13 comma 1. La lettera a) del comma 3 art.10 fa menzione nuovamente, come il comma 1 dello stesso articolo, a “cose mobili o immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico” specificando, appunto, che esse però devono appartenere a “soggetti diversi da quelli indicati al comma 1”. Nelle successive lettere, da b) ad e) si fa riferimento ad archivi, documenti, raccolte librarie “appartenenti a privati” e ancora ad altri tipi di cose “a chiunque appartenenti”. Il punto più interessante, anche questo accennato in precedenza39, è

caratterizzato dal fatto che affinché le cose elencate nel comma 3 possano essere riconosciute come beni culturali, in esse deve essere riscontrato un interesse “non generico”, o meglio, “graduato”. Quindi non un interesse “semplice” come nel caso delle

37 Sulla verifica di interesse culturale sono stati consultati: G. SCIULLO, La verifica dell’interesse

culturale (art.12), in “Aedon”, a. VII, n.1, aprile 2004, A. PONTRELLI, Commento all’art.12, in (a cura

di) A. ANGIULI, V. CAPUTI JAMBRENGHI, op. cit., pp. 66-74 e G. VESPERINI, Il silenzio nel

regime dei beni culturali, in “Aedon”, a. IX, n.2, settembre 2006

38 Vedi infra § 4.1 39 Come sopra.

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cose di proprietà pubblica o equiparata. Questo senz’altro riduce in parte la discrezionalità dell’amministrazione nella sua opera di valutazione riguardo la sussistenza dell’interesse nelle cose di proprietà privata passibili di essere dichiarate beni culturali. Le cose indicate nella lettera a) del comma 3 devono infatti presentare un interesse “particolarmente importante”, gli archivi e i documenti di cui alla lettera b) devono rivestire un “interesse storico particolarmente importante”, le raccolte librarie di cui alla lettera c) devono presentare “eccezionale interesse culturale” e così via. In questi casi l’amministrazione è dunque chiamata a porre in essere un giudizio tecnico complesso e per farlo ha bisogno di far ricorso a parametri valutativi e criteri interpretativi precisi che spesso sono stabiliti all’interno di circolari ministeriali. Ad esempio con riferimento alle opere d’arte, ovviamente in questo caso di proprietà privata, per valutare la “particolare importanza” del loro interesse artistico è stato fatto riferimento alla loro rarità, alla loro importanza nella produzione del suo autore, alla sua importanza nella storia dell’arte con riferimento a stili, epoche e movimenti determinati. Solo una volta che siano stati seguiti e utilizzati precisi criteri l’amministrazione potrà dunque dichiarare la presenza effettiva di uno specifico interesse, o valore, di tipo storico, artistico, ecc., tale da poter riconoscere sulla cosa la sussistenza dell’interesse pubblico alla sua tutela − prevalente rispetto ad altri interessi, pubblici o privati, specie di carattere economico − che ne giustifica la sottoposizione ai vincoli e alle disposizioni di tutela previste dal Codice. Il provvedimento di dichiarazione dunque, come banalmente suggerisce il nome stesso, è un provvedimento di natura dichiarativa perché accerta e dichiara, sulla base di una precedente attività valutativa, la presenza dell’interesse nella cosa, ma allo stesso tempo ha altresì l’effetto di costituire situazioni giuridiche nuove sulla cosa oggetto del provvedimento40.

L’art.14 disciplina il procedimento attraverso il quale si giunge, ovviamente in caso di accertamento positivo della sussistenza dell’interesse culturale, al provvedimento di dichiarazione. Per quel che riguarda i soggetti coinvolti, il comma 1 dispone che sia il

40 C. GABBANI, Le cose di interesse artistico nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, in “Aedon”, a. XX, n.2, maggio-agosto 2017. Sulla natura del provvedimento di dichiarazione l’Autore fa riferimento ad A. FIORITTO, La dichiarazione di bene culturale, in Il codice dei beni culturali e del

soprintendente ai beni culturali, organo periferico del Ministero, ad avviare il procedimento, eventualmente anche su richiesta motivata della Regione o degli altri enti territoriali interessati. In ossequio al principio di partecipazione, dell’avvio del procedimento è data comunicazione al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo e (comma 3), nel caso in cui il procedimento abbia ad oggetto dei complessi immobiliari, anche al Comune e/o alla Città metropolitana interessati. La comunicazione deve contenere gli elementi di identificazione della cosa e una prima valutazione dell’interesse culturale svolta sulla base di una iniziale attività conoscitiva posta in essere dalla Soprintendenza. Questo prevede il comma 2, che aggiunge inoltre che con la comunicazione sia altresì assegnato un termine non inferiore a 30 giorni per l’eventuale presentazione di osservazioni da parte del proprietario, possessore o detentore. La comunicazione dell’avvio del procedimento produce l’effetto descritto dal comma 4 dell’art.14 e cioè “l'applicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dal Capo II, dalla sezione I del Capo III e dalla sezione I del Capo IV del presente Titolo”. Questo significa che dal momento in cui è data comunicazione dell’avvio del procedimento e fino a quando non sia emesso un provvedimento di contenuto negativo che accerti la non esistenza dell’interesse culturale, oppure finché non sia scaduto il termine del procedimento che il Ministero “stabilisce ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di procedimento amministrativo” (art.14 comma 5), sulla cosa il Ministero esercita funzioni di vigilanza che possono concretizzarsi in ispezioni della Soprintendenza finalizzate ad accertare lo stato di conservazione del bene. Dall’avvio del procedimento consegue anche una limitazione al potere di disposizione del titolare sul bene, su cui si applica in via cautelare e anticipata il regime vincolistico previsto dal Codice per i beni culturali, anche se la qualità di bene culturale non è ancora stata riconosciuta. Inoltre si applicano le norme del Codice relative ai divieti di distruzione, deterioramento, danneggiamento e uso non compatibile con il loro valore storico, artistico, ecc., dei beni e quelle riguardanti gli interventi consentiti solo previa autorizzazione del Ministero, quali la rimozione, la demolizione e lo spostamento dei beni mobili e le misure necessarie per evitare danni conseguenti al trasporto degli stessi. Sempre a proposito dell’avvio del procedimento, occorre ricordare che ai sensi dell’art.21-octies della legge 241/1990 sul procedimento

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amministrativo così come modificato dall’art.14 della legge 14/2005, la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non ha come effetto l’annullabilità dell’atto, nell’ipotesi in cui l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento di dichiarazione, come ogni provvedimento amministrativo, deve essere supportato da valida motivazione affinché possa essere ricostruito l’iter logico seguito dall’amministrazione nel corso dell’istruttoria. In particolare, e qui viene in soccorso anche la giurisprudenza amministrativa precedente rispetto all’entrata in vigore del Codice, la motivazione deve fare riferimento agli elementi fattuali e di giudizio giustificativi dell’esistenza dell’interesse storico- artistico da cui deriva l’imposizione dei vincoli (TAR Veneto, sez. II, 29 ottobre 1996, n.1801) ed essa deve altresì individuare il collegamento dei beni e della loro utilizzazione con gli accadimenti della storia e della cultura, nonché l'interesse particolarmente importante del bene, che può dipendere o dalla qualità dell'accadimento che col bene appare collegato o dalla particolare rilevanza che il bene stesso ha rivestito per la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura (Cons. Stato, sez. VI, 24 marzo 2003, n. 1496).

Il successivo art.15 contiene le norme riguardanti la notifica e la trascrizione del provvedimento di dichiarazione, una volta che questo sia stato adottato dal Ministero. Per quel che riguarda la notifica della dichiarazione, il comma 1 dell’art.15 dispone che il provvedimento debba essere notificato al proprietario, possessore o detentore della cosa specificando anche le modalità, “tramite messo comunale o a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento”. La dottrina si è interrogata sulla natura giuridica della notifica in esame. Il provvedimento di dichiarazione era già previsto sia nella “Legge Croce” del 1922 che nella successiva “Legge Bottai” del 1939, pur diversamente denominato come “dichiarazione di notevole interesse pubblico”41, e già SANDULLInella sua pubblicazione del

1954, Natura e funzione della notifica e della pubblicità delle cose private d'interesse artistico

e storico qualificato42, si chiese se la notifica dovesse essere considerata come elemento costitutivo dell’efficacia della dichiarazione, attribuendo a quest’ultima, dunque, natura

41 Vedi capitolo I, § 2 e 3

recettizia, o se invece la notifica stessa fosse da considerarsi di natura meramente informativa. L’analisi dell’Autore si concluse a favore della prima ipotesi. A tale conclusione arrivò mediante l’analisi della lettera degli artt.2, 3 e 5 della legge 1089/1939, in cui il legislatore, utilizzando il solo termine “notificazione”, avrebbe inteso ricomprendere in esso anche la dichiarazione, indicando dunque entrambe come facenti parte della fattispecie costitutiva del vincolo. Si doveva ritenere quindi che la cosa oggetto della dichiarazione acquistasse la qualità di bene culturale solo una volta avvenuta la notifica del provvedimento. Alla conclusione opposta si può giungere invece sulla base della lettera della legge attuale; difatti il comma 3 dell’art.10 del Codice dispone che l’acquisto della qualità di bene culturale della cosa avviene già in seguito alla dichiarazione e non anche alla avvenuta notificazione. Tale orientamento è stato confermato ad esempio nella importante sentenza del TAR dell’Emilia-Romagna n.2031 del 13 settembre 2006 in cui si afferma che la notifica della dichiarazione non ha efficacia costitutiva del vincolo storico-artistico, che è perfetto indipendentemente dalla notifica, ma è preordinata esclusivamente a creare nel proprietario, possessore o detentore della cosa la conoscenza legale degli obblighi su di lui incombenti. La trascrizione della dichiarazione negli appositi registri è invece prevista, naturalmente, nel caso in cui il provvedimento di dichiarazione riguardi cose soggette a pubblicità mobiliare o immobiliare. La stessa avviene su richiesta del soprintendente ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa (art.15 comma 2). Le medesime modalità di trascrizione sono altresì previste per il provvedimento di verifica, ai sensi dell’art.12 comma 7 del Codice. Anche riguardo la trascrizione vi è stato e vi è dibattito fra chi ne riconosce la natura costitutiva oppure meramente notiziale. La giurisprudenza inizialmente non è stata univoca sul punto ma tuttavia si è poi orientata nel senso di attribuire alla trascrizione effetti costitutivi nei confronti degli aventi causa, a cui non possono essere opposti gli effetti della dichiarazione in mancanza di trascrizione. In tal senso si è espressa la giurisprudenza amministrativa con la sentenza TAR Veneto, sez. II, n.2900 dell’8 settembre 2006, secondo cui ai fini dell'opponibilità ai terzi di un decreto di vincolo rileva esclusivamente quanto risulta dalla