IL PIANO PAESAGGISTICO
2. Struttura, funzioni e contenuti del piano paesaggistico
Le norme di riferimento in materia sono rappresentate dagli articoli 135 e 143 del Codice “Urbani”, rubricati “pianificazione paesaggistica” e “piano paesaggistico”, e collocati rispettivamente nel Capo I, “disposizioni generali”, e Capo III, “pianificazione paesaggistica”, della Parte III del Codice. Finalità principale del piano paesaggistico, lo abbiamo anticipato nel paragrafo precedente, è quella di assicurare l’adeguata conoscenza di tutto il territorio, a sua volta preordinata alle ulteriori finalità di salvaguardia ed ottimale gestione del territorio
12 Si veda capitolo I § 4
13 Anzi, l’art.135 del Codice dispone proprio che “le Regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione
dei valori paesaggistici…”, equiparando in tal modo le due tipologie di piano e confermando, di riflesso,
la natura “ibrida” del piano paesaggistico di cui si è detto.
14 Per questo paragrafo sono stati consultati: M. A. CABIDDU, Diritto del governo del territorio, Torino, Giappichelli, 2014, pp. 8-12 e 281-283, P. STELLA RICHTER, Diritto urbanistico. Manuale
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stesso. Tale finalità conoscitiva è da perseguirsi tramite l’adempimento del piano alla sua funzione, indicata dal comma 2 dell’art.135 e ribadita dalla lettera a) del comma 1 dell’art.143, di ricognizione degli aspetti specifici e delle peculiari caratteristiche paesaggistiche di ogni parte del territorio in esso considerato. Per ricognizione si deve intendere un “riscontro” operato dai pianificatori dell’esistenza di parti di territorio caratterizzate da diversità, derivanti da fattori naturali e storici (e dalle interrelazioni fra essi), già individuate in sede scientifica. Tali parti di territorio, denominate dal Codice “ambiti”, devono essere ben individuate e delimitate in sede di pianificazione per poter giungere a quella adeguata conoscenza territoriale a cui è finalizzato il piano e che non può non passare tramite uno studio accurato delle molteplici e straordinarie diversità che caratterizzano il territorio italiano e quello di ogni sua regione. Solo una volta che si sia proceduto alla delimitazione di tali ambiti territoriali, e quindi sia stata svolta la “funzione conoscitiva” del piano, si potrà procedere alla predisposizione per ciascuno degli ambiti di una specifica normativa d’uso e alla attribuzione per gli stessi di adeguati “obiettivi di qualità”, ossia obiettivi di miglioramento della qualità del paesaggio, così come dispone il comma 3 dell’art.135. È questa la cosiddetta “funzione precettiva” del piano, attraverso il cui adempimento si perseguono le finalità del piano stesso di salvaguardia e conservazione dei valori paesaggistici e della ottimale gestione e programmazione dello sviluppo urbanistico- edilizio del territorio, che poi altro non sono che specificazioni delle più ampie finalità di tutela e valorizzazione del paesaggio indicate negli artt.131 e 133, cui sono rivolte tutte le norme della Parte III del Codice sui beni paesaggistici. La normativa d’uso a cui il piano deve sottoporre i diversi ambiti territoriali deve essere, appunto, specifica per ciascuno di essi, dovendo tener conto delle diverse esigenze di protezione e di valorizzazione in ragione del diverso “valore paesaggistico” che può essere espresso da ciascun ambito. Tuttavia il comma 4 dell’art.135 prevede una sorta di “contenuto minimo” di tale normativa per tutti gli ambiti territoriali individuati, per i quali il piano deve contenere previsioni e prescrizioni ordinate in particolare:
a) alla conservazione degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici sottoposti a tutela, tenuto conto anche delle tipologie architettoniche, delle tecniche e dei materiali costruttivi, nonché delle esigenze di ripristino dei valori paesaggistici;
b) alla riqualificazione delle aree compromesse o degradate;
c) alla salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor consumo del territorio;
d) alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO.
Per ogni ambito territoriale, ai sensi della lettera a), il piano deve dunque predisporre un programma di conservazione che riguardi sia le componenti fisiche e naturali (morfologia del territorio) che quelle derivanti dall’azione umana sul territorio (contesti architettonici, tecniche di costruzione e materiali utilizzati). La conservazione tuttavia non sempre si esaurisce nel mantenimento delle caratteristiche originarie di ogni ambito, ma può anche essere di tipo “attivo”, quando è volta a ripristinare e reintegrare tali caratteristiche, o meglio, i valori paesaggistici originariamente espressi da ciascun ambito per cui non vi sia stata in precedenza una adeguata opera di conservazione. Importante è l’obiettivo di riqualificazione delle aree degradate, indicato sub lettera b), perché recepisce il principio espresso dall’art.2 della Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 secondo cui la salvaguardia del paesaggio deve riguardare anche quelle parti di territorio “degradate” − espressione spesso utilizzata con riferimento alle periferie urbane, tema di assoluta attualità e rilevanza − per le quali, indipendentemente dal loro valore paesaggistico originario, si deve compiere un’opera di elevamento della qualità paesaggistica attraverso cui si può giungere di conseguenza ad un miglioramento della qualità della vita di coloro che le abitano. Mediante questo recupero delle aree “compromesse e degradate” si può – oltre che porre in essere un’opera di valorizzazione paesaggistica che, è importante qui ricordarlo, ai sensi dell’art.6 del Codice comprende anche “la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati” − perseguire l’obiettivo di assicurare il minor consumo territoriale, indicato sub lettera c), evitando la necessità di nuovi insediamenti urbani a fini di conservazione e tutela ambientale e paesaggistica. Il “minor consumo di territorio” è, ad esempio, uno dei principi a cui si ispira la legge regionale toscana recante “norme per il
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governo del territorio” n.65 del 10 novembre 201415, ai sensi della quale è stato approvato il
“Piano di Indirizzo Territoriale (PIT) con valenza di piano paesaggistico” della Regione Toscana del 2015. Altro obiettivo da perseguire, sempre sub lettera c), è la “salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali”: qui il legislatore ha voluto indirizzare l’attenzione dei pianificatori anche verso quelle parti di territorio nelle quali non sono stati posti vincoli paesaggistici ma che presentano comunque delle proprie, rilevanti, caratteristiche identitarie. Infine, la disposizione contenuta nella lettera d) riguarda il ruolo di “indirizzo” che i piani paesaggistici hanno nei confronti degli altri strumenti di pianificazione territoriale e in specie dei piani urbanistici comunali. Ai sensi di questa disposizione, infatti, i piani paesaggistici devono infatti contenere delle “linee di sviluppo urbanistico ed edilizio” che siano compatibili con la tutela dei valori paesaggistici riconosciuti, con particolare attenzione rivolta alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella World Heritage
List dell’UNESCO. Ne deriva che i piani urbanistici comunali debbano conformarsi a tali linee
di sviluppo potendo, in caso contrario, anche essere ritenuti illegittimi e di conseguenza annullati per contrasto con quanto indicato nella disposizione in esame16. A questa
disposizione va collegata quella contenuta nella lettera h) del comma 1 dell’art.143 del Codice secondo cui il piano deve contenere “l’individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate”. Dal combinato disposto delle due norme ne deriva che nell’elaborazione del piano paesaggistico si debba procedere ad un bilanciamento fra il principale interesse perseguito, quello della tutela del paesaggio, e altri interessi di natura urbanistico-edilizia e di sviluppo socio-economico. Il piano paesaggistico non deve dunque essere strumento di rigida conservazione ma di programmazione, di “armonizzazione” delle trasformazioni che inevitabilmente riguardano una realtà dinamica come il territorio, in continua evoluzione per effetto sia di interventi
15 Pubblicata su B.U.R.T. n.53 del 12 novembre 2014
16 Il tema del rapporto fra i piani paesaggistici e altri strumenti di pianificazione verrà affrontato meglio più avanti, tuttavia a scopo di chiarezza è bene anticipare sin da ora che, ai sensi dell’art.145 del Codice, il piano paesaggistico è atto di “coordinamento” e “prevalente” rispetto ai piani urbanistico-territoriali di competenza degli enti locali.
umani che di fattori naturali. A questo proposito abbiamo già ricordato17 come il piano
paesaggistico sia anche strumento di governo del territorio e come per questo motivo possa essere definito piano urbanistico-territoriale di natura però “ibrida”, in quanto finalizzato principalmente all’individuazione, tutela e valorizzazione dei valori paesaggistici espressi dal territorio cui il piano stesso fa riferimento.
I contenuti del piano paesaggistico sono meglio specificati nell’art.143 del Codice “Urbani”, norma piuttosto “corposa” che affronta anche l’altro tema del procedimento di formazione dei piani, che analizzeremo più avanti. Il primo comma dell’articolo può essere definito come una specie di “promemoria” rivolto ai pianificatori in cui sono indicati alcuni contenuti necessari che il piano deve avere per poter assolvere le sue primarie funzioni di tutela e valorizzazione del paesaggio. Come abbiamo visto, l’art.135 dispone che il piano debba svolgere anche una funzione “conoscitiva” riguardo il territorio da esso considerato. Le lettere da a) ad e) del comma 1 dell’art.143 si ricollegano anche a tale funzione, poiché nelle disposizioni in esse contenute si prevede che i pianificatori nell’elaborare il piano debbano procedere anzitutto ad alcune operazioni di “ricognizione” ed “individuazione”. In particolare, ai sensi della lettera a), è previsto che il piano debba contenere la ricognizione delle diverse caratteristiche paesaggistiche, “impresse dalla natura, dalla storia e dalle loro interrelazioni”, espresse dal territorio. Si tratta evidentemente della “suddivisione in ambiti territoriali” a cui si fa già riferimento nell’art.135, che infatti è esplicitamente richiamato dalla disposizione in esame. Più interessanti e richiedenti una maggior attenzione sono invece le successive quattro lettere che riguardano invece il ruolo giocato dal piano in relazione ai vincoli paesaggistici. Ai sensi delle lettere b) e c), i pianificatori devono procedere ad una puntuale ricognizione e delimitazione, mediante adeguata rappresentazione in scala idonea alla loro identificazione, dei beni paesaggistici indicati nell’art.136 del Codice che siano stati sottoposti a vincolo per effetto della dichiarazione di notevole interesse pubblico e delle aree sottoposte a vincolo ex lege indicate nell’art.142. Inoltre, ai sensi della lettera d)18, nel piano
paesaggistico possono eventualmente essere individuati ulteriori beni immobili o aree da
17 Vedi infra § 1
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sottoporre a vincolo in ragione del loro notevole interesse pubblico. Il vincolo costituito per mezzo del piano paesaggistico deve essere − coerentemente con quanto prevede la legislazione attuale in materia per cui tutti i nuovi vincoli non devono limitarsi a porre dei “meri divieti” − di tipo “vestito” e cioè contenere la specifica normativa d’uso prevista per i beni individuati. Questa funzione precettiva che il piano svolge nei confronti di questi beni vincolati ex novo riguarda tuttavia anche i beni immobili e le aree già sottoposte a vincolo in base alla legge o per legge: anche con riguardo a questi ultimi il piano deve dettare infatti “specifiche prescrizioni d’uso” laddove i vincoli già costituiti non le prevedano e siano perciò da considerarsi vincoli “nudi”. Tale “vestizione” dei vincoli riguarda in particolare le aree di cui all’art.14219 e quei beni immobili di cui all’art.136 che siano stati destinatari di specifici
provvedimenti di dichiarazione di notevole interesse pubblico emanati però precedentemente all’entrata in vigore del Codice, quindi non in modo conforme a quanto previsto nell’art.138 secondo cui il vincolo provvedimentale deve nascere “vestito” addirittura già in sede di proposta. Dobbiamo ora aprire una parentesi relativa alla particolare rilevanza che la “vestizione” dei vincoli ad opera del piano paesaggistico ha in relazione all’istituto dell’autorizzazione paesaggistica20. Nelle Regioni in cui il piano paesaggistico sia stato
approvato, infatti, l’amministrazione avrà meno discrezionalità nel decidere per il diniego o il rilascio dell’autorizzazione, in quanto il suo ruolo sarà limitato al controllo della conformità degli interventi progettati sui beni vincolati con le prescrizioni contenute nel piano stesso. All’art.143 comma 4 del Codice sono elencate inoltre due possibili deroghe che il piano può prevedere al generale regime di obbligatorietà di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per procedere a determinati interventi; tuttavia tali deroghe potranno essere operative solo a condizione che si sia già proceduto all’approvazione degli strumenti urbanistici comunali adeguati al piano (comma 5 art.143). Si tratta, in particolare, ai sensi della lettera a) della
19 Stante la competenza statale in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, ai sensi dell’art.117 Cost., comma 2, lettera s), le Regioni, mediante propri atti quali il piano
paesaggistico, non possono porre deroghe al regime vincolistico statale stabilito sulle aree di cui all’art.142, ma possono bensì, appunto, ampliare il livello di tutela di tali beni. Per questo motivo, ad esempio, la Corte Costituzionale con sentenza n.66 del 2012 (presidente Alfonso Quaranta) ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.12 della legge della Regione Veneto n.10 del 26 maggio 2011 di modifica alla legge regionale recante “Norme per il governo del territorio” n.11 del 23 aprile 2004.
disposizione in esame, della possibilità per il piano di prevedere che, nelle aree vincolate ex
lege (art.142) non interessate da altri provvedimenti o procedimenti, gli interventi progettati
possano essere realizzati semplicemente previo accertamento di conformità, nell'ambito del procedimento ordinato al rilascio del titolo edilizio, degli interventi medesimi alle previsioni contenute nel piano paesaggistico e nello strumento urbanistico comunale (adeguato al piano) e, ai sensi della lettera b), della possibilità per il piano di prevedere che nelle aree individuate dal piano stesso come compromesse o degradate gli interventi rivolti alla loro riqualificazione e recupero possano non necessitare di rilascio di autorizzazione paesaggistica. Il Codice pone due ulteriori possibili condizioni affinché tali deroghe possano essere operative: il comma 6 dell’art.143 prevede che l’entrata in vigore delle disposizioni derogatorie possa essere subordinata “all'esito positivo di un periodo di monitoraggio che verifichi l'effettiva conformità alle previsioni vigenti delle trasformazioni del territorio realizzate”, mentre il comma 7 prevede che possa essere reintrodotto l’obbligo di autorizzazione nel caso in cui vi sia stato “l'accertamento di significative violazioni delle previsioni vigenti” a seguito di “controlli a campione sugli interventi realizzati”. Lo stesso comma specifica che la reintroduzione dell’obbligo riguarderà nello specifico i Comuni nei quali le violazioni siano state rilevate. Chiusa questa importante parentesi, torniamo alle prime cinque lettere del comma 1 dell’art.143, terminando la loro analisi con la lettera e) che riguarda il c.d. “resto del paesaggio” e cioè quelle aree o beni non assoggettati a vincolo (in questo caso il Codice utilizza il termine “contesti”) ma in cui sia comunque riscontrabile una “valenza identitaria”. In relazione a questi il piano svolge sia una funzione conoscitivo- ricognitiva, in quanto deve anzitutto individuarli, che una funzione precettiva, in quanto i pianificatori devono sottoporre tali beni o aree a “specifiche misure di salvaguardia e utilizzazione”. I pianificatori, dunque, in relazione a tutte queste categorie di beni, quelli vincolati ex novo dal piano, quelli i cui vincoli vengono “vestiti” dal piano e infine quelli non vincolati ma aventi valore paesaggistico, devono dettare delle specifiche normative. Il piano paesaggistico è dunque destinato a contenere al suo interno un quadro complessivo di norme piuttosto eterogeneo; tali norme necessiteranno dunque un adeguato coordinamento per renderle quanto più coerenti fra loro.
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Le lettere da f) ad i) sempre del comma 1 dell’art.143 riguardano invece contenuti che potremmo definire “programmatici” del piano paesaggistico. Rispondono a questa caratteristica in particolare le ultime tre lettere, mentre sub lettera f) troviamo una disposizione che riguarda nuovamente la “funzione conoscitivo-ricognitiva” del piano, direttamente ricollegabile a quella contenuta sub lettera a): tale disposizione fa riferimento nuovamente all’opera di “analisi del territorio” richiesta ai pianificatori; più nello specifico in questo caso si parla di una “analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio” da cui sia possibile individuare i “fattori di rischio e gli elementi di vulnerabilità del territorio”. Una volta che sia stata compiuta tale operazione conoscitiva preliminare, i pianificatori potranno procedere a “riempire” il piano con i contenuti “programmatici” previsti dalle lettere g) ad i) che sono:
− individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela;
− individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate;
− individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualità, a termini dell'articolo 135, comma 3.
Quest’ultimo punto ribadisce nuovamente la funzione del piano di ricognizione dei diversi ambiti in cui può essere suddiviso il territorio, richiamando espressamente il comma 3 dell’art.135 a cui abbiamo ricollegato anche la disposizione sub lettera a) del primo comma dell’art.143. Di nuovo è ribadita l’attenzione del legislatore a che, per ogni ambito individuato, siano fissati degli obiettivi affinché la “qualità paesaggistica” di ciascuno di essi possa essere elevata. Negli altri due punti è richiesto ai pianificatori di individuare quali debbano essere gli interventi necessari affinché si possa procedere alla valorizzazione e al miglioramento del paesaggio, senza pregiudizio per le esigenze di tutela e conservazione, e di individuare quali possano essere le trasformazioni del territorio compatibili con uno sviluppo “sostenibile” e “a misura d’uomo” del territorio stesso, nel rispetto dunque di esigenze di tipo ambientale.
Arrivati a questo punto, dopo aver analizzato la “struttura-base” del piano paesaggistico, coi suoi contenuti e le funzioni che il piano è chiamato a svolgere, possiamo ribadire che con l’affermazione dello stesso quale strumento principale di tutela paesaggistica, il nostro ordinamento ha definitivamente abbandonato la concezione di paesaggio come realtà statica; il paesaggio, in quanto territorio, in quanto facente parte del territorio o, ancor meglio, in quanto risultato delle trasformazioni del territorio (per effetto delle azioni umane e naturali) è invece realtà dinamica; il legislatore, nel delineare la struttura attuale del piano, ha rivolto la sua attenzione a che tali trasformazioni avvengano “in meglio”, nel senso di una valorizzazione del territorio che permetta ai suoi diversi contesti di non perdere le loro caratteristiche identitarie. La “mera” conservazione non basta più a questo scopo; tutela e valorizzazione sono oggi ancor più che in passato reciprocamente dipendenti l’una dall’altra, pur permanendo la prevalenza gerarchica che l’ordinamento assegna alla tutela, le cui esigenze non possono essere mai subordinate a quelle di valorizzazione. Il piano paesaggistico così come attualmente disciplinato e strutturato prevede che il territorio debba essere conosciuto ed analizzato in modo da poterlo suddividere in diversi ambiti – riprendendo in ciò la tradizionale tecnica urbanistica dello “zoning” –; tale operazione è il punto di partenza per passare, di conseguenza, allo studio dello “stato attuale” di ciascun ambito e giungere infine alla predisposizione di “linee programmatiche di sviluppo territoriale”, in cui siano delineate le modificazioni necessarie e quelle da impedire affinché si possa raggiungere l’obiettivo generale del miglioramento della qualità paesaggistica, operando un bilanciamento fra tutela e valorizzazione. Con riguardo specifico alla tutela paesaggistica, come abbiamo visto, centrale è il ruolo del piano in materia vincolistica, potendo lo stesso creare nuovi vincoli “vestiti” oppure “vestendo” quelli ancora privi di contenuti prescrittivi.
Passiamo ora ad affrontare i temi riguardanti il procedimento di formazione dei piani e i soggetti che ad esso partecipano o che vi possono partecipare e il rapporto del piano con gli altri strumenti di governo del territorio21.
21 Per questo paragrafo sono stati consultati: S. AMOROSINO, Commento agli artt. 135, 143,144 e 145, in (a cura di) M. A. SANDULLI, op. cit., pp. 1098-1108, A. GIOVANNUCCI, Progettare la
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3. Procedimento di formazione, soggetti coinvolti, co-pianificazione, concertazione e