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Il legislatore al fine di razionalizzare e riordinare la disciplina delle partecipazioni pubbliche, nonché di rendere maggiormente consapevoli le pubbliche amministrazioni sulle società a cui direttamente o indirettamente partecipano, introduce l’articolo 20 che concerne una disciplina “definitiva”.

Il Testo Unico, infatti, oltre a imporre l’obbligo di svolgere la revisione straordinaria, all’articolo 20 obbliga le pubbliche amministrazioni, a cui fa riferimento tale normativa, a compiere una verifica entro il 31 dicembre di ogni anno, al fine di tenere sotto controllo e monitorare le società in cui detengono le partecipazioni, siano esse dirette o indirette.

Anche in questo caso gli enti dovranno includere nella revisione solo le società partecipate e le partecipazioni che sono considerate nel perimetro di applicazione del Testo Unico.

L’articolo premette che anche le amministrazioni che non detengono partecipazioni hanno l’obbligo di comunicare di non possedere partecipazioni, alla Corte dei conti compente e alla Struttura per il controllo e monitoraggio prevista dall’art. 15.

La disposizione precisa che è «fatto salvo» quanto previsto dall’art. 17, comma 4, D.L. 90/2014, che come visto in precedenza, disciplina le comunicazioni al MEF e prevede l’unificazione delle banche dati.

Diversamente le amministrazioni che hanno nel loro patrimonio delle partecipazioni, sono tenute ad effettuare ogni anno una valutazione di queste e ad adottare il relativo provvedimento. Inoltre è previsto che, qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 2, le amministrazioni devono predisporre un piano avente ad oggetto la razionalizzazione delle partecipazioni interessate. Il piano di riassetto dovrà essere accompagnato da una relazione tecnica che esponga le modalità e i tempi di attuazione.

Pertanto il III comma, facendo rinvio ai provvedimenti dei commi 1 e 2, stabilisce che entro il 31 dicembre di ogni anno deve essere svolta l’analisi delle società partecipate e predisposto il piano di razionalizzazione qualora ne ricorrano i presupposti.

Il piano di razionalizzazione, come espressamente previsto dall’articolo, può prevedere anche lo scioglimento, la cessione delle azioni secondo le modalità indicate nell’art. 10 o operazioni di aggregazione, anche mediante fusione, in caso di società aventi ad oggetto le attività consentite all’articolo 4.

Lo scioglimento o la dismissione delle partecipazioni sono regolate dalle norme del codice civile fermo quanto espressamente stabilito dal Testo Unico.

Nonostante l’art. 20 non faccia espresso riferimento all’art. 5 che prescrive gli oneri di motivazione analitica, la revisione periodica deve comunque attuare una valutazione tecnico-

economica sulla convenienza economica e sostenibilità finanziaria delle partecipazioni pubbliche.

Le condizioni previste al II comma che fanno scattare l’obbligo di adottare i piani di razionalizzazione sono sette.

Come primo presupposto l’articolo prescrive che le amministrazioni devono adottare il piano qualora le partecipazioni non rientrino in nessuna categoria dell’articolo 4, ove si ricorda vengono previsti i vincoli di scopo e di attività nonché le eventuali deroghe.

Il secondo presupposto prescrive l’adozione del piano qualora le società partecipate risultino prive di dipendenti o con un numero di amministratori maggiore di questi.

Tale disposizione era già prevista alla lettera b, comma 611 della legge 190/2014, la Corte dei conti della sez. della Lombardia n.141/2016 a riguardo aveva evidenziato che queste condizioni erano sintomatiche di inefficienza e di disequilibrio in termini di costi amministrativi rispetto a quelli di gestione. Inoltre, la Corte aveva precisato che il numero degli amministratori poteva non ritenersi decisivo qualora vi fossero amministratori con anche compiti operativi similari a quelli che vengono svolti dai dipendenti. In questo caso il piano doveva però motivare le ragioni per le quali non si sarebbe proceduto alla dismissione.

Eventuali misure volte a eludere la norma sarebbero state sanzionate in capo gli amministratori.162

Nel presupposto seguente viene dettata la razionalizzazione qualora gli enti detengano «partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali».

La condizione ha l’evidente finalità di voler impedire la duplicazione di organismi, al fine di indirizzare l’azione amministrativa verso i principi di efficienza ed efficacia.

Il quarto presupposto, che obbliga gli enti ad attuare le misure previste, consiste nel detenere partecipazioni in società che hanno avuto «un fatturato medio non superiore a un milione di euro» nei tre anni precedenti.

Si deve notare che il primo triennio a cui bisogna fare riferimento è quello dal 2017 al 2019, ai sensi dell’art. 26, comma 12 quiquies. L’articolo prosegue dicendo che «Nelle more della prima applicazione del suddetto criterio relativo al triennio 2017-2019, si applica la soglia di fatturato medio non superiore a cinquecentomila euro per il triennio precedente l’entrata in vigore del presente decreto ai fini dell'adozione dei piani di revisione straordinaria di cui all'articolo 24 e per i trienni 2015-2017 e 2016-2018 ai fini dell'adozione dei piani di razionalizzazione di cui all'articolo 20».

Il quinto presupposto considera le società partecipate che abbiano avuto un risultato negativo su quattro dei cinque esercizi precedenti, salvo che le società non siano state costituite per svolgere un servizio di interesse generale.

Queste ultime due condizioni era state oggetto di confronto tra le Commissioni parlamentari e il Governo; infatti le Commissioni si erano espresse ritenendo che fosse preferibile diminuire la soglia di fatturato e non tenere in considerazione le perdite inferiori al 5%.

Entrambi i suggerimenti sono stati rigettati dal Governo, ritenendo nel primo caso che il fatturato elevato favorisse l’aggregazione e il contenimento, mentre per il secondo il Governo ha sottolineato che ha ritenuto più importante che vi possa essere una perdita ripetuta anche se esigua.

L’unica modifica accolta dal Governo è stata escludere le società costituite per la gestione di un servizio di interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per tre dei quattro esercizi precedenti.

Il sesto presupposto prescrive l’adozione del piano qualora ve ne sia bisogno per il contenimento dei costi di funzionamento

L’ultimo dei presupposti riguarda la necessità del piano ai fini dell’aggregazione delle società. La disposizione quindi, oltre a ribadire che devono essere eliminate le partecipazioni non conformi ai vincoli previsti dall’art. 4 del Testo Unico, cerca di eliminare, anche attraverso l’aggregazione, tutte le partecipazioni in società che duplicano attività già svolte da altre. Inoltre la norma cerca di far acquisire consapevolezza agli enti sulle proprie società e partecipazioni, al fine di dismettere quelle che contrastano con i principi di economicità, reddittività e buon andamento della amministrazione.

In caso di adozione di piani di razionalizzazione il IV comma prevede che le pubbliche amministrazioni debbano, entro il 31 dicembre dell’anno successivo, predisporre una relazione sullo stato di effettiva attuazione del piano e gli esiti conseguiti.

La relazione deve essere trasmessa alla struttura competente presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze nonché alla sezione di controllo della Corte dei conti.