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Riconoscimento di una scelta implicita delle parti: uno sguardo alla giurisprudenza italiana.

volontà delle part

4.4 Riconoscimento di una scelta implicita delle parti: uno sguardo alla giurisprudenza italiana.

In merito alla rilevanza di una scelta implicita delle parti circa la legge applicabile al proprio rapporto contrattuale, la quale si riverbera in concreto nell’esistenza di indici chiari e concordanti dai quali si possa desumere la scelta di un diritto statuale, si è pronunciata la nostra Corte di Cassazione (sezione lavoro civile), nel caso Bassi c. Mewa Textil Service Ag. Co. Management e altri, avente ad oggetto un contratto di lavoro tra il sign. Bassi ed una società tedesca con sede a Wiesbaden a capo di un gruppo operante nel servizio di noleggio tessile con numerose sedi in diversi Stati europei.177

Il sign. Bassi, a seguito della comunicazione di cessazione del distacco presso la “Mewa s.r.l.” e del successivo licenziamento con effetto immediato, ritenendo la illegittimità di tali provvedimenti, chiedeva che il giudice adito, affermata la giurisdizione del giudice italiano, volesse dichiarare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, il diritto all’inquadramento nella categoria “quadri”, l’illegittimità del trasferimento e del licenziamento intimatogli, il diritto al risarcimento dei danni; in subordine, il diritto alla percezione della retribuzione per il periodo dal quale decorreva il provvedimento di

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Cass. civ. Sez. lavoro, 25-11-2010, n. 23933, Bassi c. Mewa Textil Service Ag. Co. Management e altri.

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licenziamento immediato ed il diritto alla assunzione presso la “Mewa s.r.l.”.

Con sentenza n. 2399/04 del 14/20 luglio 2004 il Tribunale adito, ritenuta l’inapplicabilità della legge italiana, rigettava le domande. Avverso tale sentenza proponeva appello il Bassi, lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 2006, rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza il sign. Bassi, propone ricorso per Cassazione, la quale dichiara l’inammissibilità dei motivi di ricorso presentati, per cui si rigetta il ricorso principale e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Ciò che qui interessa sottolineare è come la Corte motiva l’inammissibilità del ricorso laddove il ricorrente faceva valere la violazione e la falsa applicazione delle norme di diritto, nonché l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. In particolare, rileva che la Corte territoriale, avendo deciso la controversia sulla base delle norme della Convenzione di Roma del 19 giugno del 1980 in ordine alla individuazione della legge regolatrice del rapporto, aveva fornito una interpretazione dell’articolo 3 di tale

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Convenzione non conforme alla volontà del legislatore, individuando la legge tedesca quale legge regolatrice del rapporto e dando rilievo ad elementi privi del requisito della univocità.

Rispetto a tale motivo la Corte ne afferma l’infondatezza ove si osservi, in punto di diritto, che la Convenzione suddetta, se pur fa riferimento in via prioritaria alla scelta espressa operata dalle parti, precisa che tale scelta può comunque risultare dalle disposizioni del contratto, ove le stesse diano una ragionevole indicazione sul punto. E nel caso di specie la Corte territoriale ha fatto espresso riferimento ad una serie di indici rilevatori di tale volontà, quali la scelta della lingua tedesca per la redazione del contratto, la predisposizione e conclusione del contratto in Germania, la corresponsione del corrispettivo in marchi tedeschi, l’apertura di una posizione contributiva ed il versamento dei contributi previdenziali obbligatori presso l’ente previdenziale tedesco, l’inesistenza di obiezioni da parte del ricorrente durante l’intera durata del rapporto178. Pertanto la diversa valutazione di tali elementi, prospettata dal ricorrente, si traduce in un differente apprezzamento degli elementi di fatto, che per contro è riservato esclusivamente al giudice del merito.

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Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito al giudice di legittimità, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità il quale deve limitarsi a verificare se, nella motivazione in fatto della sentenza impugnata, siano stati dal ricorrente denunciati specificatamente, ed esistano effettivamente, vizi (quali, nel caso di specie, la omessa o insufficiente motivazione) che, per quanto si è detto, siano deducibili in sede di legittimità.179

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Conclusioni

E’ stato messo sin qui in evidenza il ruolo della volontà delle parti quale elemento costitutivo di norme di diritto internazionale privato dell’Unione europea. Sembra che vi sia sempre una maggiore tendenza a superare l’idea che sia lo Stato a determinare il campo di applicazione delle norme, assoggettandovi gli individui a seconda della natura e delle caratteristiche del rapporto. Al contrario, appare sempre più frequente la possibilità che siano questi ultimi a determinare la legge applicabile, la cui designazione si giustifica con la realizzazione di esigenze differenziate delle parti.

In questo senso depongono, in particolare, la frequente previsione di una facoltà di scelta in linea di principio illimitata, che consente alle parti di prescindere dall’esistenza di un collegamento materiale con l’ordinamento richiamato e di esercitare pienamente la loro libertà di designazione della legge regolatrice. Non può, però dimenticarsi che a questa tendenza si accompagna la sempre maggiore valorizzazione di criteri di collegamento obiettivi che, a differenza del tradizionale legame di cittadinanza, restano ampiamente nella disponibilità delle parti in quanto presentano un fondamento volontaristico, come accade in particolare per la residenza abituale. Rispetto a queste norme di conflitto fondate sul principio di autonomia, il ruolo degli strumenti di diritto

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internazionale privato appare sempre più diretto a definire i limiti alle possibili scelte delle parti, ma ciò avviene da un lato, depotenziando gli istituti tradizionali, quali, l’ordine pubblico e le norme di applicazione necessaria e dall’altro attuando meccanismi di contrasto alla frode alla legge nazionale, in situazioni particolarmente gravi, e allo stesso diritto dell’Unione europea.

L’evidente favor per il metodo della designazione volontaria della legge applicabile non deve, in ogni caso, condurre ad affermare che il diritto internazionale privato sia oggi uno strumento interamente disponibile nelle mani dei privati, risolvendosi il ruolo della legge nella mera “supplenza” in caso di mancata scelta delle parti e nella definizione dei limiti alla scelta stessa. In questo caso si finirebbe per sostituire alla criticata “onnipotenza del legislatore”, una “onnipotenza delle parti”, che potrebbe egualmente rivelarsi suscettibile di dar luogo ad uno sbilanciamento della disciplina di conflitto dei rapporti transnazionali.

La stessa Corte di Giustizia, nei casi presi in considerazione, introduce dei principi che giustificano una deroga all’applicabilità della legge scelta dalle parti. Si è visto, ad esempio, come nel caso Ingmar, la Corte abbia posto l’accento su un obiettivo, così come previsto dalla Direttiva 86/653/CEE sugli agenti commerciali indipendenti, di garanzia di un livello minimo di protezione comunitaria riconosciuto ad una parte

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considerata degna di particolare tutela, nonostante le parti abbiano scelto la legge di uno Stato terzo, che non prevede tale livello di protezione per l’agente, come regolatrice del proprio rapporto.

Per cui, aldilà della scelta operata dalle parti, bisognerà verificare che tale scelta non leda i valori giuridici tutelati dalle norme imperative del diritto dell’UE, o che comporti la mancata attuazione di norme di applicazione necessaria previste dall’ordinamento del foro il cui rispetto sia ritenuto cruciale in considerazione della natura e delle finalità perseguite dalle norme (come osservato nel caso Unamar).

L’autonomia delle parti trova il suo spazio, fintantoché non siano lesi principi o valori per i quali il legislatore europeo non ammette deroghe, al fine di tutelare i contraenti (e soprattutto la parte “debole” del rapporto), da facili escamotage che altrimenti li priverebbero di quel livello di tutela che l’ordinamento europeo riconosce come imprescindibile e che trova il suo riferimento in esigenze di certezza del diritto applicabile.

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