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UN'ETNOGRAFIA COLLABORATIVA CON IL MMC/SC

2.2 Fare ricerca e scrivere: come?

2.4.1 Risonanza e reciprocità

La metodologia concordata con le mie interlocutrici e che ho definito convivenza itinerante, implicando continui spostamenti da una casa all'altra, di settimana in settimana, presupponeva costanti negoziazioni circa la gestione del tempo e dello spazio, la mia accoglienza nel contesto familiare e le attività legate alla ricerca. Da parte mia ha richiesto una significativa disponibilità ad adattarmi ai ritmi, alle abitudini, alle proposte delle famiglie che ho visitato. Allo stesso tempo, mi ha collocato in una condizione di dipendenza per ogni necessità fondamentale, a partire dalla quale ho sperimentato costantemente le cure e le attenzioni delle donne che mi hanno ospitato.

In considerazione della grande generosità che dimostravano nel farmi spazio nella loro quotidianità indaffarata, ho adottato uno stile di presenza orientato a ridurre il

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vita delle agricoltrici del MMC/SC. Contribuire a cucinare, pulire la casa, lavare i panni, mungere le vacche, lavorare in campagna, prendersi cura dei bambini etc., per quanto ha fatto sì che aderissi e, in certa misura, rinforzassi le norme di genere vigenti nel contesto della ricerca – generando a volte dei conflitti interiori – ha favorito la costruzione di una relazione di prossimità tra di noi. Durante la mia permanenza ho ricevuto molti feedback positivi in questa direzione. Trascrivo un episodio che ho annotato nel mio diario di campo:

Ad un certo punto Lenir, che poco prima mi aveva chiesto se ero di famiglia ricca, ha raccontato a Rosane che io avevo fatto le frittelle di zucca e si è riferita a me chiamandomi «questa bestiolina». Rosane che l'aveva appena ripresa perché aveva usato la parola «asino» per riferirsi a se stessa, si è stupita che lei mi chiamasse così e lei allora ha ribadito «bestiolina cara» e mi ha dato un bacio. Poco dopo, quando le altre erano andate via ed eravamo rimaste solo io, lei e Salete, abbracciandomi e guardandomi negli occhi, ha detto: «resterà nella storia che oggi ti ho avuto con me, mi sei sembrata... una contadina, come noi: molto semplice, molto estroversa. Io ho una cognata, figlia di una psicologa52 ma lei non lavorerebbe come te!» (10-09-2012).

Dalle parole di Lenir traspare una modificazione delle (pre)comprensioni circolanti a mio riguardo, che ha caratterizzato la mia relazione con molti soggetti con cui mi sono rapportata nel corso della ricerca. Bisogna precisare che, sul campo, ero esposta ad una molteplicità di sguardi: non solo delle donne che si sono effettivamente coinvolte nell'indagine ma anche delle loro famiglie, del vicinato, della comunità, delle persone impegnate a vario titolo nella vita sociale e politica dei municipi che ho visitato. Come ho già ampliamente esplicitato, l'incontro con questi differenti attori sociali era mediato dalle mie esperienze politiche e di ricerca precedenti; dalle mie determinanti sociali, geografiche e accademiche; dalle categorie teoriche di riferimento e dalle mie aspettative nei confronti dei movimenti sociali brasiliani. Ma io stessa ero oggetto di rappresentazioni epistemologicamente, eticamente e politicamente rilevanti. Più esattamente, le interpretazioni dei miei interlocutori sul mio conto hanno reso possibile la mia presenza sul campo e la relazione di ricerca (Fava, 2007).

A questo proposito Fava (ibidem) chiarisce che la posizione che l'etnografa adotta nel contesto studiato non è frutto di una sua scelta ma è ricevuta: sono gli attori che la costruiscono per e intorno a lei. Dunque non si tratta di controllare il grado del proprio coinvolgimento nell'osservazione o nella partecipazione ma di ricostruire

riflessivamente la produzione sociale della ricercatrice da parte delle persone che incontra, valorizzandola come chiave di accesso fondamentale alla conoscenza della realtà (ibidem).

In particolare il clima di curiosità che avvertivo giungendo in un nuovo municipio mi davano una chiara percezione del fatto che io ero stata implicata nel contesto della ricerca ancora prima del mio arrivo (ibidem). Le aspettative che mi riguardavano erano legate in buona misura alla mia identificazione nazionale. La maggior parte delle donne coinvolte nella ricerca, le loro famiglie e molti altri soggetti con cui mi sono relazionata sono discendenti di migranti europei – soprattutto Tedeschi e Italiani del nord – arrivati dapprima nel vicino stato del Rio Grande do Sul e successivamente a Santa Catarina. Potermi accogliere, quindi, rappresentava per loro la possibilità di riconnettersi con le proprie radici e con il mondo dal quale provenivano i propri antenati, parlare una lingua dimenticata o forse mai appresa ma che percepiscono come intima, conoscere una persona della “stessa famiglia” o della “stessa nazione”. Il fatto di essere Italiana, dunque, è stato un elemento fondamentale nel facilitare il mio accesso al campo e mi ha indotto a prendere in esame le relazioni interculturali nel contesto studiato, sulle quali inizialmente non avevo immaginato di focalizzarmi.

Allo stesso tempo, la preoccupazione delle famiglie che mi hanno ospitato di giustificare la modestia della loro abitazione e la semplicità della loro ricezione, l'interpretazione dei miei spostamenti nei termini di una “vacanza”, le domande circa le mie possibilità economiche e il mio status sociale, che mi erano rivolte anche da soggetti con cui entravo in contatto in modo superficiale, mi lasciavano intuire che, al momento del mio arrivo in un nuovo municipio, io ero attesa come un'Europea, accademica e borghese53. A questo proposito, molte donne mi hanno riferito le emozioni di preoccupazione e diffidenza, gli interrogativi che sono stati sollevati sul mio conto (parlerà in portoghese? Riusciremo a capirci? Dovremo cucinare piatti speciali per lei o mangerà quello che mangiamo noi? Si laverà i vestiti o dovremo lavarglieli noi?) quando, durante una riunione del coordinamento regionale, si è trattato di decidere se accettare la mia proposta di vivere nelle case delle militanti, per un periodo relativamente lungo. Queste resistenze erano motivate soprattutto dall'esperienza negativa vissuta da una delle coordinatrici con una studentessa che aveva realizzato un tirocinio con il movimento e che era stata ospitata a casa sua. “L'incontro con il ricercatore si situa, in effetti, in una storia di relazioni dei soggetti con tutti coloro che

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interagiscono dall'esterno del campo” (ibidem).

La ripresa riflessiva delle assunzioni degli attori sociali rispetto a me mi ha motivato a ragionare su alcune caratteristiche del contesto studiato (ibidem): la rete di gerarchie interne e le significative disuguaglianze sociali; il disprezzo borghese per il lavoro manuale che rappresenta un retaggio coloniale in Brasile; le retoriche della migrazione europea a Santa Catarina centrate sull'opera civilizzatrice dei coloni; i modelli di senso e le categorie oppositive che guidano l'agire politico dei movimenti sociali nati in seno alla TdL e alla pedagogia popolare – oppressi ed oppressori, Nord e Sud, poveri e ricchi, classe lavoratrice e capitale – permettendomi di specificare ulteriormente l'oggetto dell'indagine e di mediare le mie interpretazioni54 (ibidem).

Queste proiezioni, allo stesso tempo, generavano in me rifiuti e malessere. Li percepivo stridenti rispetto alla mia situazione esistenziale di ricercatrice precaria, marginale nel contesto universitario e originaria di una regione che costituisce una “periferia” in Europa. Inoltre giudicavo la lettura dicotomica che separa oppressi ed oppressori incoerenti55 con le complesse e ambigue trasformazioni che stanno attraversando il Brasile. Infine mi sembrava che queste rappresentazioni sacrificassero le motivazioni politiche ed etiche profonde del mio progetto di ricerca con il MMC/SC e fossero contrarie al tipo di relazione che desideravo costruire con le mie interlocutrici. L'implicazione della ricercatrice da parte degli attori sociali, tuttavia, non è data una volta per tutte, al contrario, evolve mano a mano che le relazioni tra di loro maturano (Fava, 2007). Ad esempio, il mio impegno costante in conversazioni volte a decostruire un'immagine omogenea dell'Europa, mostrando luci ed ombre del mio contesto nazionale e della regione in cui sono nata e descrivendo il peggioramento prodotto dalla crisi economica di una condizione giovanile già fragile, sia dentro sia fuori il contesto accademico, ha provocato una problematizzazione della visione dicotomica delle differenze socio-culturali, implicita nelle rappresentazioni con cui ero inizialmente identificata. Soprattutto è stato essenziale fare leva sulle risonanze che la vita delle contadine generava rispetto alla mia storia personale, familiare, intergenerazionale e

54 Fava (ibidem) chiarisce che la ricostruzione riflessiva dell'implicazione del ricercatore da parte dei

suoi interlocutori permette di risalire ai modelli di senso che regolano le interazioni nel contesto sociale della ricerca. Questo “«quadro dominante» non è un dato etnografico che ha lo stesso statuto degli altri (interviste, discorsi, osservazioni); ma è la mediazione necessaria per comprendere le situazioni d'inchiesta che in questi stessi materiali sono prodotti” (pp.90-91).

55 Come sosterrò nel corso della tesi, nello scenario attuale mi pare di fondamentale importanza

complessificare il concetto di oppressione sulla scia delle proposte di alcune pensatrici femministe (Weiler, 1991; bell hooks, 1994; Piano, 2006) e riformulare i punti di vista interpretativi che mediano le pratiche dei movimenti sociali.

geopolitica. Valorizzare i vissuti incarnati e le memorie emotive nell'incontro con le mie interlocutrici (Esteban, 2004) ci ha permesso di costruire delle relazioni che, pur non annullandole, non si giocavano esclusivamente sulla base delle asimmetrie di potere storicamente determinate, piuttosto disarticolavano i dualismi propri della colonialità del sapere (ricercatrice-ricercate, teoria-esperienza) (Muraca, Cima, Alga, 2014).

Con il trascorrere della ricerca, sempre più frequentemente, le mie interlocutrici definivano in termini materni le loro responsabilità nei miei confronti sia rivolgendosi a me, sia parlando di me ad altre persone. Questa posizione è riconducibile alla rete di relazioni che caratterizza la realtà sociale studiata. La mia età e la mia condizione di studentessa nubile, infatti, mi avvicinano alle figlie delle militanti del MMC/SC, di cui, tra l'altro, avevo assunto simbolicamente il ruolo, occupando la stanza che avevano lasciato per andare in città in cerca di lavoro o per studio. Questa posizione, però, era soprattutto il frutto dei desideri messi in gioco nella ricerca, sia da me sia dalle mie interlocutrici, e che contribuivano a identificarmi come una donna che è in un processo di apprendimento. All'origine della mia ricerca di dottorato esiste, infatti, la volontà di imparare e di lasciarmi coscientizzare dalle militanti del movimento; di riconoscere autorità a pratiche politico-pedagogiche spesso ignorate e considerate miudezas56 sia dalla società e dai media, sia da movimenti impegnati nella stessa lotta ma nutriti da una logica “maschile”, sia, in alcuni casi, dalle stesse donne.

Questo riconoscimento di autorità ha avuto anche l'effetto di permettere i miei movimenti nelle reti del MMC/SC. Nello sviluppo della mia ricerca, infatti, ho avuto sempre più chiarezza del fatto che mi spostavo perché una donna mi consegnava all'altra, perché qualcuna era disponibile a inviarmi e qualcun'altra a ricevermi. Questa mediazione si compiva attraverso parole che non sempre si esprimevano in mia presenza ma che erano orientate ad anticipare il mio arrivo e a favorire la mia accoglienza in un nuovo contesto.