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4 “La sentenza n°49 del 2011: il responso definitivo della Consulta” 127

Ebbene, e complessivamente considerato, l’articolo 2, comma 1°

lettera b) della legge n°280 del 2003 deve ritenersi incompatibile

con i dettami costituzionali o, al contrario, ne è possibile un’interpretazione conforme ai principi inviolabili stabiliti dall’ordinamento generale?

La Consulta ha chiarito che un qualsiasi giudice, soprattutto nei casi in cui vi sia il deficit di un precedente orientamento

giurisprudenziale, ha il dovere di adottare, tra le molteplici interpretazioni di una stessa norma, quella idonea ad inibire qualsiasi dubbio di illegittimità costituzionale;

da ultimo, quello stesso giudice potrà sollevare la questione di fronte alla Consulta soltanto nel caso in cui non sia possibile dare una tesi tale da rendere la norma in oggetto in piena armonia con la Costituzione.

Pertanto il principio universale è che:

“in linea di principio, le leggi non si dichiarano

costituzionalmente illegittime perché è possibile dare di esse interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile dare delle stesse interpretazioni costituzionali”128.

127 E. Lubrano, La Corte Costituzionale n° 49/2011: nascita della giurisdizione meramente

risarcitoria o fine della giurisdizione amministrativa in materia disciplinare sportiva…?, 2012.

128 Costituisce principio ricorrente nella giurisprudenza del Giudice delle leggi che, dinanzi ad un dubbio interpretativo di una norma o ad un’aporia del sistema, prima di dubitare della legittimità costituzionale della norma stessa occorre verificare la possibilità di darne un’interpretazione secondo Costituzione.

Dunque, in un primo momento il T.A.R. Lazio aveva deciso di arrestarsi alla previsione espressa dal Consiglio di Stato

all’interno della su citata sentenza n°5782 del 2008, in quanto il Supremo consesso svolge un’incontestabile funzione

nomofilattica a livello amministrativo.

Due anni dopo però, quello stesso T.A.R. Lazio opta per rimettere la questione circa la “non ammissibilità di un giudizio di fronte al

Giudice statale, a seguito di pronuncia da parte del Giudice sportivo e avente effetti sulla sfera giuridica dell’individuo non in quanto sportivo, bensì come cittadino” alla Consulta, date le

ripetute contraddizioni che ab imis hanno caratterizzato la suddetta sentenza del Giudice Amministrativo di secondo grado.

La Corte Costituzionale, attraverso la storica sentenza n°49 dell’11 Febbraio 2011, determina lo spartiacque tra l’architettura della Giustizia sportiva sino a quel momento e quella che ad oggi è l’interpretazione universalmente condivisa della competenza processuale in materia sportiva, oggetto di condivisione tra i Giudici sportivi e statali;

in particolare la nostra attenzione deve ricadere sul sub-assetto sportivo-disciplinare e sui provvedimenti sanzionatori che ne conseguono.

Nello specifico la Consulta dichiara la questione di legittimità costituzionale ( di cui sopra) sollevata dal T.A.R. Lazio come “manifestamente non fondata”, nella parte in cui:

“si riserverebbe al solo Giudice sportivo la competenza a

decidere le controversie aventi ad oggetto le sanzioni disciplinari, diverse da quelle “tecniche”, inflitte ad atleti, tesserati,

associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del Giudice Amministrativo”.

In concreto, si precisa che i dubbi di costituzionalità:

“non attengono alla previsione della c.d. “pregiudiziale sportiva”, dato che si ritiene che essa sia “corretta e logica conseguenza della riconosciuta autonomia dell’ordinamento sportivo”,

ma “alla generale preclusione […] ad adire il giudice statale una

volta esauriti i gradi della Giustizia sportiva”.

Da questi brevi passaggi della sentenza che più di ogni altra ha fatto scuola nell’alveo del diritto sportivo, si evince in prima istanza che nessun ricorrente potrà vedersi negata la chance di accesso alla tutela offerta dal Giudice Amministrativo ( o

Ordinario), al fine di far valere le situazioni giuridiche soggettive protette dagli articoli 24 e 103 della Costituzione e, purché sussistano nella realtà dei fatti.

Ove l’atleta, ad esempio, decida di rivolgersi al Giudice statale, significa che di base deve esservi un provvedimento sportivo che abbia inciso su un suo diritto o su un interesse legittimo, in modo tale da rendere non satisfattiva la protezione offerta

dall’ordinamento sportivo, la quale non potrebbe mai constare in un risarcimento danni.

I provvedimenti sportivi in grado di creare un inconveniente di questo tipo sono indubbiamente quelli a sfondo economico, quelli amministrativi e da ultimo, quelli disciplinari irrogati a causa della violazione di una regola talvolta anche tecnica o, più usualmente, per l’inosservanza di una normativa federale tale da comportare significativi riflessi sul versante patrimoniale,

reddituale, dell’immagine e dell’onorabilità del soggetto destinatario.

Quindi, sulla base dell’interpretazione della Consulta, anche i provvedimenti disciplinari, qualora abbiano riflessi su un diritto soggettivo o di un interesse legittimo, possono essere sottoposti al vaglio del Giudice statale, tuttavia solo a seguito di una

precedente pronuncia proferita da parte dei Giudici sportivi; in caso contrario l’autonomia e la specificità riconosciute all’ordinamento di settore verrebbero svuotate di significato.

In definitiva la “pregiudiziale sportiva” resta, ma di fatto perde in autorevolezza, tant’è che potrà ammettersi l’esperibilità del diritto di azione di fronte alla Giudice Amministrativo, salvo il caso di difetto assoluto di giurisdizione statale a causa della stretta attinenza sportiva delle questioni in dibattito.

Non è tutto.

La Corte Costituzionale, in linea con quanto disposto dall’articolo

3, comma 1° della legge n°280 del 2003, ha riconosciuto che:

“laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal C.O.N.I. abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al Giudice Amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della Giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere”129.

Questo passo della sentenza riassume il concetto di pluralità di ordinamenti giuridici riconosciuti dal nostro Stato e mette in luce l’importanza del criterio della “rilevanza” delle questioni sportive all’interno, o anche all’esterno, dall’ordinamento di settore.

Tuttavia all’interprete più scrupoloso non potrà sfuggire il principio fondamentale espresso all’articolo 102, comma 2° (

primo periodo) della Costituzione, ovvero:

“non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali”.

Il Giudice sportivo non potrà mai assurgere a divenire “Giudice dello Stato” nel senso più profondo del termine, proprio perché rappresenta l’organo giudicante di un determinato gruppo di soggetti facenti parte di una ristretta e specifica realtà, non assimilabile all’intero del corpo sociale dei cittadini italiani. I Giudici sono solo quelli istituiti dalla Carta Costituzionale e non vi è spazio per alcuna deroga.

Proseguendo nell’analisi della sentenza, si evince che la

possibilità di richiedere tutela di fronte al Giudice Amministrativo sia indefettibile; tuttavia e in concreto, la giurisdizione statale si palesa di gran lunga limitata.

In particolare, il soggetto legittimato e interessato ad agire potrà rivolgere al Giudice Amministrativo solo una domanda

risarcitoria, a seguito del verificarsi di un danno generato dall’esecutività del provvedimento sportivo.

La Corte Costituzionale qualifica la “tutela risarcitoria” come

“una forma di tutela per equivalente130” e come una

“diversificata modalità di tutela giurisdizionale131” rispetto a quella che in genere viene attribuita al Giudice Amministrativo; quest’ultima si identifica universalmente nella tutela demolitoria, ovvero l’atto viene dichiarato illegittimo e di fatto viene eliminato dal panorama giuridico.

Il dibattito sul punto è stato senza esclusione di colpi.

La Consulta è giunta a ritenere che, la mancanza di un giudizio di annullamento del provvedimento disciplinare sportivo in seno all’ordinamento generale non comporti alcuna violazione in tema di diritto di difesa e afferma, con convinzione, il carattere

residuale della tutela risarcitoria, la quale garantisce pur sempre

una forma legittima di protezione.

4.1: “Il provvedimento sportivo disciplinare e la