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La società pubblica

Nel documento Il processo di consolidamento (pagine 141-143)

IL GRUPPO PUBBLICO LOCALE

Società 1 Società 2 Società 3 non societari Ent

2.1. La società pubblica

Tra i modelli di organismi partecipati a disposizione della Pubblica Amministrazione per l’esterna- lizzazione della gestione dei servizi spicca quello della società di capitali, pressoché esclusivamen- te nelle forme della società per azioni e della società a responsabilità limitata12.

Il concetto di società pubblica (intesa come società partecipata da Enti pubblici) rimanda alla fi gura di un ente societario (dunque, rivestito di forma privata) a partecipazione pubblica: il carattere pubblico, pertanto, afferisce al capitale della società (ossia ai soggetti che la partecipano) e non alla società medesima13.

L’istituto si è affermato nel settore dei servizi pubblici locali, interessato da un deciso stimolo le- gislativo all’adozione del modello organizzativo societario per la realizzazione delle fi nalità di ester- nalizzazione di alcuni segmenti dell’attività della pubblica amministrazione14.

L’amministrazione pubblica, infatti, per il conseguimento dei propri scopi istituzionali, può eserci- tare attività economica per la produzione di beni e servizi non solo direttamente ma anche attraver- so apposita società assoggettata al suo controllo.

Vale ricordare, in tale contesto, che la Relazione al codice civile del 1942, a proposito della so- cietà a partecipazione pubblica chiarisce che “è lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge

della società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme nuove e possibilità realizzatrici”: l’accesso allo strumento societario da parte della pubblica amministrazione,

dunque, dovrebbe sempre essere improntato a una migliore realizzazione degli obiettivi di interesse generale, posto che, in tanto si giustifi ca l’utilizzo di una cornice privatistica da parte dei pubblici poteri15, in quanto tale contesto sia funzionale alla realizzazione degli interessi della comunità.

11 Di Davide Di Russo, Gabriella Nardelli, Antonio Miele.

12 Essendo rimasto pressoché inutilizzata, in concreto, la forma della società in accomandita per azioni, pur disponibile in astratto.

13 La defi nizione è rinvenibile in Ibba, “Società pubbliche e riforma del diritto societario”, in Rivista delle società, 2005, 1 e ss., ove si puntualizza che nel

concetto di società pubblica possono essere ricomprese, oltre a quelle a partecipazione totalitaria, maggioritaria o minoritaria di un ente pubblico, anche quelle società che, pur non partecipate da uno o più enti pubblici, ne subiscono l’infl uenza.

14 Si veda, al riguardo, Guerrera, “La società di capitali come formula organizzativa dei servizi pubblici locali dopo la riforma del diritto societario”, in So-

cietà, 2005, pag. 681.

Il modulo della società di capitali rappresenta l’unica forma organizzativa deputata alla gestione di servizi pubblici locali a rilevanza economica, per effetto dell’art. 35, L. 28/12/2001, n. 448 (Finan- ziaria 2002), il quale, al comma 8, ha stabilito l’obbligo di gestire i servizi pubblici a rilevanza econo- mica di cui all’art. 113, co. 1, D.Lgs. 18/08/2000, n. 267 (Testo Unico Enti Locali, di seguito “TUEL”), nella forma di società di capitali, obbligando le aziende speciali aventi in carico la gestione di servizi pubblici a rilevanza economica (come sino ad allora consentito dall’art. 115, TUEL) a trasformarsi, appunto, in società di capitali16; il citato art. 35, co. 8, ha modifi cato, nel contempo, l’ultimo comma

dell’art. 31 TUEL, che contemplava il modello del consorzio “che gestisc[e] attività aventi rilevanza

economica e imprenditoriale”, disponendo semplicemente che ai consorzi che gestiscono attività di

cui all’art. 113-bis TUEL (ovvero servizi pubblici locali privi di rilevanza economica) si applicano le norme previste per le aziende speciali, così da doversi concludere che “l’istituto del consorzio fra

enti locali non è più disponibile per l’esercizio di attività di rilevanza economica e imprenditoriale”.

Tali principi – e, dunque, l’esclusività del modulo della società di capitali per la gestione di servizi pubblici locali – non è stato intaccato neppure a seguito dell’art. 23-bis, L. 112/2008 e successi- ve modifi cazioni (norma innovante la disciplina dell’affi damento della gestione dei servizi pubbli- ci locali a rilevanza economica), né dall’esito positivo della consultazione referendaria del 12-13 giugno 2011, che ha determinato l’abrogazione di tale ultima disposizione17; né, infi ne, dall’art. 4,

D.L. 13/08/2011, n. 138, chiamato a colmare la carenza (proprio a seguito del referendum) di una disciplina di settore di fonte statale.

Nel campo dei servizi pubblici privi di rilevanza economica, all’opposto, l’opzione societaria è solo una (e, a parere di chi scrive, la meno adeguata) tra le diverse scelte a disposizione dell’Ente pubblico: dopo che l’art. 113-bis, TUEL – il quale stabiliva, per tali servizi, la regola della gestione mediante affi damento diretto, a istituzioni, ad aziende speciali, a società in house, ad associazioni o fondazioni (queste ultime due solo per servizi culturali o del tempo libero), ovvero in economia (quando reso opportuno dalla modeste dimensioni o caratteristiche del servizio) – è stato espunto dall’ordinamento per effetto di un intervento dalla Consulta18, i servizi privi di rilevanza economica

disciplinati da leggi statali o regionali di settore continuano ad essere regolati da tali disposizioni speciali; di modo che, in assenza di una disciplina di settore (statale o regionale), e qualora la Re- gione non abbia adottato una disciplina generale in materia, gli Enti locali (venuto meno il limite al loro potere organizzativo introdotto con l’art. 113-bis) sono liberi e legittimati a gestire il servi- zio ricorrendo alla forma organizzativa che ritengano più idonea: quindi, a costituire un’istituzione o un’azienda speciale (entrambe disciplinate ex art. 114, TUEL), ovvero un consorzio (ai sensi dell’art. 31, TUEL), o a gestire il servizio in economia o, ancora, ricorrendo al modello della fonda- zione, dell’associazione o a quello societario; in ogni caso purché la causa giuridica del modello in

16 In tal senso, Rizzo, “Servizi pubblici locali e affi damento in house”, cit. 10: “si è ritenuto che obiettivo del legislatore fosse conferire uniformità alla disci-

plina dei servizi a rilevanza economica, tramite l’utilizzo del modulo societario della s.p.a. (comma 8 dell’art. 35 e art. 115 TUEL), spazzando il campo da ogni possibile equivoco interpretativo”; nonché, Guerrera, “La società di capitali come formula organizzativa dei servizi pubblici locali dopo la riforma del diritto societario”, in Società, 2005, 681: “l’esame della nuova disciplina dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, nella versione risultante dagli artt. 112-120 TUEL, come modifi cata dagli artt. 35, L. 448/2001 e 14 D.L. n. 269/2003, ingenera la sensazione che il disegno legislativo di liberalizzazione del settore si sia realizzato attraverso una complessa “promozione” della formula organizzativa societaria e, in particolare, che dei tipi societari capitalistici […] siano assurti a modello organizzativo di elezione delle singole fasi in cui è segmentato, almeno tendenzialmente, l’esercizio del servizio pubblico”.

17 Pozzoli, “Manovra fi nanziaria (DL 98/11) e società partecipate”, in www.reform.it: “Venute oggi meno le “forme obbligatorie di gestione” previste dall’art.

23 bis, è però possibile la gestione in economia e, con essa, diventa applicabile il vincolo previsto dal DL 78/2010 […] la strada della trasformazione eterogenea in aziende speciali è ad oggi preclusa per legge. Infatti, resta a tutti gli effetti in vigore il c. 8 dell’art. 35 della legge fi nanziaria per il 2002 (l. 448/2001) che istituisce l’obbligo di gestire i servizi pubblici esternalizzati, di cui al c. 1 dell’art. 113 del Tuel (anch’esso sopravvissuto alla mannaia del 23 bis), solo nella forma di società di capitali, obbligando alla trasformazione le società di capitali ancora esistenti”.

18 In quanto ritenuto espressione di un intervento del legislatore statale illegittimo, perché diretto a regolare un settore non caratterizzato da un mercato

concreto prescelto sia congrua rispetto alla logica del servizio gestito e, quindi, in ultima analisi, ai bisogni perseguiti dall’Ente19.

Nel settore dei servizi strumentali, tradizionalmente distinti dai servizi pubblici locali per natura20

e per quadro normativo di riferimento21, il ricorso allo schema societario si è negli ultimi anni impo-

sto con una prepotente escalation, rimanendo comunque affi ancato anche da altre forme che, per la loro natura strumentale (in primis, l’azienda speciale) meglio si prestano a rendere un servizio ontologicamente destinato, in via esclusiva, all’Ente partecipante.

Il diffuso (e senz’altro eccessivo) ricorso alla forma societaria ha determinato, nel legislatore, una inversione di tendenza, indotto dalla raggiunta consapevolezza che le società di capitali, caratte- rizzate, per defi nizione, dallo scopo di lucro e dal perseguimento di un utile, non rappresentano la declinazione più conciliabile alla realizzazione di uno “specifi co interesse pubblico”22.

Per tale motivo, la disciplina in materia di società pubblica – intesa come società partecipata dal- lo Stato e/o da Enti pubblici – costituisce un sistema composito, frutto, dapprima, dell’incentivazione al ricorso a tale formula organizzativa (a scapito, come detto, di strumenti più affi ni all’Ente, quali aziende speciali e consorzi di servizi), e, poi, della repentina e decisa retromarcia del legislatore, caratterizzata da una successione di interventi disordinati, volti a restringere il campo di operatività della società partecipata da Enti pubblici, nell’intento di tutelare la libera concorrenza, contenere la spesa pubblica e ridurre gli spazi elusivi (consentiti proprio dalla disponibilità del modello societario) di norme pubblicistiche di fi nanza pubblica23.

Nel documento Il processo di consolidamento (pagine 141-143)