5.3 nella giurisprudenza spagnola
ISTANZE DI TUTELA E PROPOSTE REGOLATORIE
1. Le istanze di tutela dei lavoratori digital
1.4 Le tutele in caso di recesso
Sempre più spesso assistiamo a recessi comunicati attraverso strumenti di comunicazione elettronica come sms, posta elettronica e WhatsApp129.
Ciò molte volte accade anche nel caso di recesso dal rapporto con i “collaboratori” di una piattaforma digitale.
Come sappiamo la disciplina sui licenziamenti individuali è contenuta nella L. n. 604/1966 (aggiornata alla legge 92/12).
Bisogna capire se queste nuove modalità di comunicazione del recesso sono compatibili con quanto previsto dall'art. 2, co. 1, della suddetta legge. La norma pone in capo al datore l'obbligo di intimare il licenziamento in forma scritta e indicando i motivi che lo hanno determinato, senza però 128Merli G., “«Non si può rischiare la vita per consegnare due pizze»”, in Il
Manifesto quotidiano comunista, 27 febbraio 2019.
129Rota A., “L’intimazione del licenziamento nell’era digitale: dalla notificazione a mezzo raccomandata all’invio tramite WhatsApp ”, in Labour&Law Issues, vol. 3, no. 2, 2017.
specificarne le modalità. L'inosservanza di tali disposizioni rende questo atto inefficace.
L'idoneità degli sms è stata riconosciuta facendo leva sull'esigenza di adattare il precetto allo “stato della tecnologia” e tenendo conto “della valenza del sms nell’attuale sistema degli scambi e delle comunicazioni”130.
A soluzione analoga si arriva anche per quanto riguarda il recesso attraverso Whatsapp, ritenuto idoneo ad assolvere l'onere della forma scritta131.
Al contrario, invece, il Tribunale di Monza132 e il Tribunale di Firenze133 hanno escluso la validità del recesso tramite sms. Nel primo caso, la motivazione ruota attorno al fatto che l'sms non sia in grado di garantire con certezza l'identità dell'autore dell'atto, e nemmeno la data di invio e recezione. Mentre nel secondo, questo licenziamento costituisce un atto intimato in via orale.
La Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 17/03/2009 n° 6447, richiamando due precedenti sentenze, ossia la n. 17652/2007 e la n. 6900/1995, ha affermato ancora una volta che la volontà del datore di lavoro di procedere al licenziamento può esprimersi anche in forma indiretta, purchè sia chiara e trasparente e raggiunga correttamente il lavoratore. Inoltre, la Corte, nella sentenza del 2009 , ha anche precisato che:
“ 1. che il licenziamento è da qualificare “atto unilaterale recettizio”; 130T. Torino 20 maggio 2010, n. 2114.
131Ordinanza del 27 giugno 2017 del Tribunale di Catania.
132T. Monza 10 giugno 2013, DJ.
2. che le annotazioni contenute nel libretto di lavoro hanno natura discrittura privata e costituiscono attestazioni unilaterali di determinati fatti;
3. che quindi la, dichiarazione di cessazione del rapporto di lavoro contenuta nel libretto di lavoro vale come atto scritto di licenziamento dalla data della relativa riconsegna. Ha errato quindi la Corte di Appello nel negare a tale fatto il valore di manifestazione scritta della volontà del datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro”.
Su questa sentenza fa leva l'ordinanza del 27 giugno 2017 del Tribunale di Catania, sez. Lavoro134, statuendo che il licenziamento intimato ad un dipendente a mezzo Whatsapp assolve pienamente l’onere della forma scritta di cui all’art. 2 della L. 604/1966. Si tratterebbe infatti di un documento informatico imputabile al datore di lavoro e idoneo ad assolvere i requisiti formali in esame. Questo messaggio può avere valenza comunicativa anche più immediata dei tradizionali metodi di comunicazione e dà al mittente informazioni immediate sulla data e ora di consegna e di lettura del messaggio135.
A questo documento informatico si applicano le disposizioni contenute nel Codice dell'Amministrazione digitale, (CAD), ovvero D.Lgs. 82/2005. Al messaggio Whatsapp sembra potersi applicare l'art. 21, comma 1, CAD (Il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità), per cui viene riconosciuta la sua idoneità a soddisfare il
134http://www.rivistalabor.it/wp-content/uploads/2017/07/Trib.-Catania-27-
giugno-2017.pdf.
135Favaloro C.J., “Licenziamento via WhatsApp: rilevanza giuridica e formale”, in Altalex, 08 Gennaio 2018.
requisito della forma scritta136.
Dalla decisione dei giudici catanesi emergono diverse problematiche. La prima riguarda il fatto che nella comunicazione del licenziamento via Whatsapp manca la sottoscrizione, per cui risulta difficile individuare il soggetto che lo intima. In secondo luogo, non vi è certezza sulla decorrenza del termine di impugnazione in quanto il messaggio può essere letto anche nei giorni successivi alla sua recezione. In merito, però, il Tribunale di Roma, sentenza del 30 ottobre 2017 n. 8802, ha affermato che trattasi di “un documento scritto e il suo invio può essere più efficiente di una raccomandata a/r perché la ‘doppia spunta’ grigia e blu dà informazioni immediate su data e ora di consegna e lettura”, richiamando la sopracitata sentenza n. 17652/2007.
Oltre a questo, da un punto di vista morale ed etico, questa modalità di comunicazione mal si concilia con il rispetto della dignità e sensibilità di chi la riceve137.
La giurisprudenza si è già occupata anche del tema dei licenziamenti comunicati via sms.
Con sentenza n. 629 del 5 luglio 2016, la Corte d’Appello di Firenze ha stauito che il licenziamento avvenuto via sms soddisfa il requisito di forma scritta previsto dalla legge, in quanto assimilabile ad un telegramma dettato per telefono. Anche se si assimilasse l'sms ad una comunicazione e-mail si applicherebbe l'art. 20, comma 1-bis, CAD, per cui l’idoneità del
136Passerini S., “La comunicazione del licenziamento a mezzo whatsapp o sms”, in EC Euroconference Quotidiano di Centro Studi Lavoro e Previdenza, 20 Settembre 2017.
137Rota M., “Licenziare via Whatsapp è corretto? Ecco cosa dice la legge (e l’etica)”, in Il Fatto Quotidiano, 29 Maggio 2019.
documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio.
Come abbiamo già detto una possibile eccezione del destinatario di questo messaggio può riguardare la mancanza di sottoscrizione della comunicazione del licenziamento. Per parte della giurisprudenza l'utilizzo di username e password sono equiparabili alla firma elettronica semplice. In alcuni casi, la giurisprudenza (Cass. n. 13103/1996, n. 2826/2000, n. 4921/2006, n. 13548/2006) ha ritenuto valida una lettera di licenziamento, anche in mancanza di specifica sottoscrizione, se c'era certezza sul mittente.
Sulla questione della legittimazione del mittente a procedere al licenziamento, anche il Tribunale di Catania ha ribadito la possibilità di rettifica, con effetto retroattivo, da parte del datore di lavoro per quei licenziamenti comunicati da un soggetto privo del potere di rappresentanza del datore.
Infine, sappiamo che anche al licenziamento si applica la disciplina dell'art. 1335 c.c., per cui si presume la conoscenza della comunicazione nel momento in cui giunge all'”indirizzo” del destinatario. Il problema si pone nel caso in cui il destinatario di tale comunicazione sostenga che il cellulare su cui è stato inviato l'sms non sia il suo “indirizzo”. Partendo dal fatto che la nozione di “indirizzo” si estende a qualunque luogo sia in concreto nella sfera di controllo del destinatario e che sia idoneo a consentirgli la recezione dell'atto e la conoscenza del contenuto, l'eccezione di cui sopra può essere superata dimostrando che il telefono era nella disponibilità esclusiva del lavoratore destinatario e quindi sotto il suo controllo e dominio138.
Oltre alla sottoscrizione, altro requisito essenziale per la validità del recesso è l'obbligo di giustificazione contenuto nell'art. 2, co. 2, l. n. 604/1966. Bisogna capire se può esserci una compatibilità tra questa previsione e la modalità di licenziamento tramite sms.
La Corte d'Appello di Firenze, il 05 luglio 2016, con la sentenza n. 629 ha ritenuto inadeguata la motivazione contenuta nell'sms di recesso (“Purtroppo ci sarà un cambio societario che non mi consente più di avvalermi della tua preziosa collaborazione. Ti ringrazio per il momento e ti auguro il meglio per la tua vita”) . Per quanto concerne il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, questi messaggi sono molto sintetici, ragione per cui non sono in grado di esprimere nel dettaglio il nesso di causa tra quanto prevede l'art. 3. l. n. 604/1966 e soppressione del posto di lavoro. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, non basta il riferimento generico al giustificato motivo oggettivo ma occorre integrare la “clausola generale o norma elastica tipizzante categorie di comportamenti non previamente determinabili in concreto e pertanto da individuare volta per volta” “attraverso ragioni puntualmente identificate e contestualizzate, direttamente incidenti sulla condizione del lavoratore”139.
La questione diventa ancora più rilevante da quando il legislatore ha previsto che la comunicazione dei motivi debba avvenire contestualmente a quella del recesso140.
L'utilizzo di questi strumenti digitali è pericoloso perchè rende più facile e meno gravosa la scelta del datore di liberarsi di un lavoratore.
in EC Euroconference Quotidiano di Centro Studi Lavoro e Previdenza, 20 Settembre 2017.
139Cass. 5 settembre 2016, n. 17589, RIDL, 2017, 2, II, 227 ss.
Dall'analisi effettuata risulta allora evidente la necessità di declinare le norme in base all'evoluzione tecnologica in modo da assicurare il rispetto di beni giuridici costituzionalmente rilevanti. Il fine della comunicazione per iscritto del licenziamento persegue finalità di certezza e tutela. La comunicazione attraverso strumenti digitali, invece, può essere soggetta a manomissioni e cancellazioni da parte di chi la riceve141.
Appare evidente che una lettura evolutiva delle norme per “stare al passo” con l'evoluzione tecnologia deve avvenire nel rispetto delle garanzie previste a favore del lavoratore.
Il caso dei riders è, anche in merito a questa questione, complicato. Lo è dal momento in cui non c'è un orientamento univoco riguardo la loro qualificazione come autonomi o subordinati. Nel primo caso si parlerà di recesso delle parti dal contratto; nel secondo, invece, si può parlare di licenziamento.
La Corte di Appello di Torino con la sentenza n. 26 del 4 febbraio 2019, ad esempio, non riconoscendo la presenza di un rapporto di subordinazione, ha respinto le domande relative alla nullità, inefficacia e illegittimità del licenziamento.
Resta allora da chiedersi se anche le regole dettate in materia di licenziamento (a partire dalla necessità di una giustificazione sostanziale del recesso) possano essere estese anche ai lavoratori su piattaforma.