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in questi ultimi anni si è progressivamente spostata l’attenzione dalle sole cono- scenze e abilità acquisite verso la capacità di valorizzarle in compiti e problemi sia interni alla scuola, sia esterni a essa, che abbiano un qualche carattere di novità e/o di complessità, in genere maggiori o almeno diversi rispetto a quanto affrontato nell’e- sperienza precedente (pellerey, 1994). È questo il quadro entro cui si colloca la valu- tazione della competenza. in una frase molto pregnante Wiggins ha sintetizzato così questa prospettiva: «Si tratta di accertare non ciò che lo studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa». Anche se occorrerebbe aggiungere l’avverbio «consapevol- mente». in questa espressione emerge una prospettiva ben precisa: non basta saper mostrare le proprie conoscenze o i propri saperi, non basta evidenziare le proprie abi- lità; occorre riuscire a mettere in luce pubblicamente quanto si è in grado di utilizzare in modo consapevole, coerente e proficuo, le proprie risorse interne (e, se opportuno o necessario, anche quelle esterne disponibili) nell’affrontare situazioni o problemi di natura non ripetitiva, sapendo gestire se stessi in tale impresa.

Se lo sguardo si rivolge alla capacità di mettere in moto e coordinare il patri- monio posseduto nel portare a termine compiti un po’ diversi da quelli nei quali tali conoscenze e abilità sono state acquisite, la sua valutazione pone qualche difficoltà. infatti, nella pratica corrente ci si limita a verificare se lo studente abbia acquisito uno schema d’azione, sia esso prevalentemente intellettuale, di natura mista o essenzial- mente pratica, e sia in grado di mostrarne la capacità di utilizzarlo sostanzialmente nello stesso contesto che ha caratterizzato il suo apprendimento. Ma, se la situazione è diversa da quella ormai familiare, oppure si debbano applicare le conoscenze ap- prese per analogia, emergono immediatamente difficoltà gravi, spesso insormontabili.

la questione centrale riguarda il fatto che una competenza effettivamente posse- duta non è direttamente rilevabile, ma è possibile inferirne la presenza, sulla base di un insieme di sue manifestazioni o prestazioni particolari, che assumono il ruolo di base informativa utile a ipotizzarne l’esistenza e il livello raggiunto. non è agevole, e molte volte impossibile, infatti, decidere se un soggetto possieda una competenza, e a quale livello, sulla scorta di una singola prestazione. Solo nel caso di abilità elemen- tari, che mettano in gioco schemi d’azione di tipo ripetitivo, oppure assai semplici ap-

plicazioni di regole e principi, è possibile valutarne l’acquisizione osservando un’u- nica prestazione.

D’altra parte, in ogni programma educativo diretto all’acquisizione di vere com- petenze, soprattutto se implicate in maniera essenziale nel programma previsto, è cru- ciale la scelta della modalità di valutazione che i responsabili della progettazione e conduzione di tale programma debbono fare, sia per quanto riguarda le competenze iniziali, già validamente e stabilmente possedute, sia per quanto concerne il costituirsi progressivo di quelle oggetto di apprendimento. occorre anche aggiungere che, in- trinseca al processo stesso, è la promozione di un’adeguata capacità di autovaluta- zione del livello di competenza raggiunto. Ciò per varie ragioni: in primo luogo, perché occorre sollecitare e sostenere lo sviluppo di competenze auto-regolative del proprio apprendimento; in secondo luogo, perché la constatazione dei progressi otte- nuti è una delle maggiori forze motivanti all’apprendimento.

A questo fine si suggerisce di procedere secondo un piano di lavoro che si ri- chiama al metodo della “triangolazione” dei dati, molte volte utilizzato nella ricerca educativa e sociale. Si tratta di raccogliere informazioni pertinenti, valide e affidabili, utilizzando molteplici fonti e modalità di rilevazione, almeno tre di natura differente (di qui viene il termine “triangolazione”), che permettono di sviluppare, mediante il confronto tra di loro e con l’obiettivo di riferimento, la loro interpretazione e l’elabo- razione di un giudizio che siano fondate e sufficientemente conclusive.

Una competenza, infatti, come più volte ricordato, è costituita da una orche- strazione di risorse interne di fronte alle esigenze di un compito o di una tipologia di compiti particolare. Se l’analisi dei risultati delle prestazioni può aiutare a valu- tare la capacità di produrre determinati risultati, essa non può dire nulla del per- corso attraverso il quale lo studente è stato capace di conseguirli. in altre parole, si dice che occorre non solo tener conto del prodotto finale, ma anche del processo che ha consentito di realizzarlo. informazioni sul processo possono essere fornite solo da strumenti osservativi attivati da altri e da narrazioni del diretto interessato. questo può anche evidenziare con il racconto non solo la successione dei passi che hanno condotto al risultato atteso, il perché delle scelte effettuate, la consapevo- lezza di eventuali errori, ma anche le risonanze interiori, le motivazioni, il senso di ciò che ha fatto. Così, nella pratica valutativa scolastica e formativa, vengono in genere valorizzate tre principali fonti informative: l’osservazione occasionale e si- stematica, l’analisi attenta dei risultati conseguiti e l’auto-descrizione e l’autovalu- tazione dell’interessato.

È opportuno infine ribadire che, in un processo valutativo, un conto è la rac- colta di elementi informativi, di dati relativi alle manifestazioni di competenza, che si è stati in grado di acquisire, un altro conto è la loro lettura e interpretazione al fine di elaborare un giudizio comprensivo. Ambedue gli aspetti del processo valuta- tivo esigono particolare attenzione. quanto alla raccolta di informazioni, occorre che queste siano pertinenti (cioè si riferiscano effettivamente a ciò che si deve valu- tare) e affidabili (cioè degne di fiducia, in quanto non distorte o mal raccolte). Ma

la loro lettura, interpretazione e valutazione, esige che preventivamente siano stati definiti i criteri in base ai quali ciò viene fatto; deve cioè essere indicato a che cosa si presta attenzione e si attribuisce valore e seguire effettivamente e validamente in tale apprezzamento i criteri determinati. l’elaborazione di un giudizio finale, che tenga conto dell’insieme delle manifestazioni di competenza, anche da un punto di vista evolutivo, non può certo basarsi su calcoli di tipo statistico, alla ricerca di medie: assume invece il carattere di un accertamento di presenza e di livello che deve essere sostenuto da elementi di prova (le informazioni raccolte) e da consenso (da parte di altri, in molti casi anche del soggetto valutato). Un giudizio, che risulti il più possibile degno di fiducia, sia per la metodologia valutativa adottata, sia per le qualità personali e professionali dei valutatori.

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