Vb 5.5-4, c 229v: Né essendo di tro‹po› partiti de Acre, aveno chome miser Tibaldo legato era stà
III.0. VB e la tradizione manoscritta del Milione
III.1.1. Vb è un testimone affine a F
a. Nel capitolo LXIV, esordio della descrizione di Caracoron (nome turco di
Holin, a est dell‟Orxon)5, Marco Polo identifica questa città come il luogo in cui regnò il primo signore Tartaro.
F LXIV, 1: Caracoron est une cité que gire trois milles, le quel fu le primer sire que les Tartar ont quant il oisent de lor contree.
Così VB:
VB 48.1: Caracoron si è citade la qualle al mio giudicio volge IIIJ miara e segondo dicono el suo primo segnor fo tartaro per loro medemi fato (...).
La lezione attestata dal volgarizzamento veneziano concorda con quanto evidenziato in F e si allinea con quanto riscontrato in VA, TA e L:
TA 63, 1: (...) nella quale fue lo primo signore ch‟ebbero i Tartari.
VA 48, 25: (…) in la qual fo fato fugire il primo signior che ave mai i tartari de soa zente.
L 58: (…) et exhac fuit primus dominus quem tartari habuerunt cum (…).
I cinque testimoni sono portatori di una lezione comune che Benedetto e Ronchi hanno emendato nel solo F sulla base di quanto invece attestano Fr, Z, V e R6:
Fr 63, 1-3: Catatoron est une cité qui dure III miles, laquelle fu la premiere cité que les tartars orent quant il issirent de leur contree.
Z, 38, 1: (…) et fuit primis locus ad quem antiquitus tartari se primitus reduxerunt.
V, 34.6: (...) et essendo passado questo dexerto el se truova una provinzia ne la qual sono una zitade chiamata Charachoron, la qual volta tre amia, et in questa fo la prima
seza che avesse tartari.
nelle pluralità delle attestazioni», Atti del Convegno (Venezia, ottobre 2005), a cura di S. Conte, Tiellemedia, Roma, 2008, p. 26.
5 Pelliot, Notes, pp. 165-169; Cardona, Indice, p. 583.
6 La lezione sire, originatasi da una probabile confusione paleografica, è emendata con la forma seje sia da
XXXIII
R I, 41: (...) Carchoran è una città il cui circuito dura tre miglia, e fu il primo luogo appresso al quale ne‟ tenpi antichi si ridussero i tartari.
Come appare evidente, Vb dunque attesta una lezione simile a quella del codice parigino e a TA, VA e L, un dato che lascia intuire così la parentela tra i quattro relatori.
b. Nella descrizione dei prodotti del Catai (F CI / Vb 71), si stanno illustrando
le modalità di preparazione del vino di riso:
VB 71.1: Fano boglire i rixi insieme con specie e traçene vino chiaro et bello e molto odorifero et è più diletevolle da bere che nonn è el vino de uve et ecian inbriaga non meno che ‟l vino de uva.
F 2-3 : Il font poison e ris et co‹n› maintes autres boines espices et [il] laboient en tel mainere et si bien qu‟il vaut miaus a boir que nul autre vin. Il est mout cler et biaus; il fait devenir le home evre plus tost que autre vin, por ce qu‟il est mult chaut7.
La medesima informazione si riscontra poi in
L 82: Maior pars gentium de Cathay bibunt vinum quod faciunt ex riço et alijs quam pluribus speciebus que omnia bulliunt taliter quod efficitur in modum vini valde clari.
mentre nel resto della tradizione il verbo evidenziato non compare mai:
Fr 100, 2-6 : Il font une poison de ris avec moult de bonnes espices en telle maniere et si bien que il vault mieulz a boire que nul autre a vin car il est moult bon et moult cler.
TA 100 : Egli fanno una posgione di riso e co molte altre buone spezie, e còncialla in tale maniera ch‟egli è meglio da bere che nullo altro vino.
VA 72, 8: In la zità de Canbelu se beve poso de rixo e d‟altre bone spezie, e sa-la sì chonzare ch‟ela è mior da bever cha vino. Ed è clara e bella, e fa plui tosto inbriagare la persona che non fa el vino, ché ll‟è molto chalida cossa.
Z 43, 1-3 : Maior pars gentis provincie Cathay huiusmodi vinum bibunt : faciunt enim potationem de riso et aliis aromatibus multis simul admixtis. E potationem hanc sive vinum tam bene et tam sapide bibunt quod est melius aliquo vino, et est clarum et splendidum.
7 Anche in questo caso, Benedetto correggeva suggerendo laborent come forma migliore del testo. Cfr.
Benedetto, Il Milione, testo critico, App. n°4, p. 98: «et le laboient – dato lo scambio frequente di a e i è congetturabile anche et la laborent riferito a (poison)».
XXXIV
P II, 25 : In provincia Cathay loco vini fit pocio optima de riso et diversis aliis aromatibus, que clara est valde et vini suavitatem excedit facitque bibentes ex ea facilius inebriari, quam vinum.
V 48.5 : (...) et anchora la mazor parte dela zente dela provinzia si beve taliun, zoè i fano bevande de rixi chon altre bone spezie: et sono sì bon bever cha val meio che altro vin, ed è chiaro e luzente (...).
R I, 23 : La maggior parte della gente della provincia del Cataio beve questa sorte di vino: fanno una bevanda di riso e di molte speciarie mescolate insieme, e bevono questa bevanda overo vino cosí bene e saporitamente che miglior non saperiano desiderare, ed è chiaro e splendido e gustevole, e piú presto inebria d'ogn'altro, per essere calidissimo.
c. In F CXI, capitolo dedicato a Quengianfu8, si nomina il cuoio tra le
produzioni del luogo, un dettaglio che poi si ritrova anche in VB:
F CXI, 7: Il ont coie en grant quantité; il hi si laborent dras d‟or et de soie de toutes mainere; il hi se laborent de tous arnois que beiçongent a les ostes.
VB 77.6: Trovassi chuori in gran quantità e molto belli e grandi lavorase asai pani de oro et de seta.
La lezione del testo veneziano è ovvia traduzione del lemma coie, non attestata in alcuna delle altre redazioni, che riportano invece lemmi che si riferiscono alla seta:
Fr 110, 18-21: Il ont soie en grant habondance, car il labourent draps de soie et de or et de plusieurs manieres, et aussi labourent de touz harnois qui a ost ont besoing.
TA 110, 7: Questa terra è di grandi mercatantie, e èvi molte gioie; quivi se lavora drappi d‟oro e di seta di molte maniere, e di tutti fornimenti da oste.
VA 89, 5: La zente de quella zità è idolatri. Et è-ne abundanzia de merchadantie et de seda, et de tute quelle chosse che bixognia a chorpo umano.
Z 49, 5: Fiunt ibi drapi aurei et de syrico.
P II, 29: Ultra vii dietas predictas invenitur civitas painfu grandis valde et maganrum opum, ubi est serici copia maxima.
V 53, 5: Et sono de gran marchadanti et arte; et in quella se lavora drapi d‟oro e de seda et d‟ogni maniere (...).
L 90: Quare multos laborant pannos ex auro et seta et de omnibus victualibus habent habundanter.
XXXV
R I, 34: Ed è questa patria certamente di gran mercanzie e molte arti: ivi nasce la seta in gran quantità, e vi si lavorano panni d'oro e di seta e d'ogni sorte, e di tutte le cose che s'appartengono a fornir un esercito; (...).
d. Vi sono anche alcuni termini propriamente francesi che sono passati, per
diverse ragioni, nella lingua d‟arrivo di VB. È il caso di VB 64, corrispondente a F LXXIV,
in cui ad un certo punto si trova il termine quatros:
F LXXIV: Et aprés cestes cité a une valee en la quel le grant kaan a fait faire plosor maisonnetes, es queles il fait tenoir grandismes quantité de cators, que nos apellon les grant perdris.
VB 64.6: Et apresso la cità è una valle nella quale el segnor à fato fare algune chaxete de legname e de pietra nele qual lui fa tegnir grandissima quantitade de quatros li qual in lengua nostra chiamemo stornelli.
Il volgarizzatore non aveva capito il significato del francese cators e ha riportato fedelmente il lemma, modificando la grafia per effetto forse di un fraintendimento catre/quatre. Tra le altre redazioni, solo la versione toscana si avvicina ai due testi:
TA 73.24: E apresso a questa città à una valle ove „l Grande Kane à fatte fare molte casette, ov‟egli fa fare molte cators, cioè contornici; e la guardia di questi uccegli fa stare più òmini.
Lo stesso comportamento ricompare in VB 103 (= F CXLI) quando, trovatosi di
fronte alla parola chaucié, scambiando la seconda c con una t, il volgarizzatore ha restituito la forma cautia che, al di là della confusione paleografica, resta comunque oscura.
F CXLI,1: Quant l'en se part de Cougangiu, il ala ver yseloc une jornee por une chaucié que
est a l'entree dou Mangi.
VB103.1: ‹P›artendosi da Cinguy chaminando 1° çornada inver l‟ixolla vasse per una cautia la qualle è a l‟intrada del Mançi.