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L'immagine della Toscana nelle guide turistiche in lingua inglese. Proposte di traduzione e confronto tra quattro testi turistici.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

LINGUISTICA E TRADUZIONE

TESI DI LAUREA

L’immagine della Toscana nelle guide turistiche in lingua inglese.

Proposte di traduzione e confronto tra quattro testi turistici.

CANDIDATO

RELATORE

Sara Montagnani

Chiar.ma Prof.ssa Silvia Bruti

(2)

1

INDICE

INTRODUZIONE

...

4

CAPITOLO I - IL TURISMO E IL SUO LINGUAGGIO

...

6

1.1. Nascita e sviluppo dell’industria del turismo 6

1.1.1. Dal viaggio eroico al turismo di massa 6

1.1.2. Il turismo come oggetto di studio: definizioni e teorie 8

1.1.3. Turismo e controllo sociale 11

1.2. Discourse community, genere e registro 12

1.2.1. Le discourse community 12

1.2.2. I generi come metodo di classificazione 14

1.2.3. Le variazioni di registro 15

1.3. Il linguaggio del turismo come linguaggio specialistico 17

1.3.1. I linguaggi specialistici 17

1.3.2. Il linguaggio del turismo come linguaggio specialistico 21

1.3.2.1. Caratteristiche lessicali 21

1.3.2.2. Caratteristiche morfosintattiche 22

1.3.3. Classificare i generi del turismo 23

1.4. Tradurre il linguaggio del turismo 25

CAPITOLO II - LE GUIDE TURISTICHE

...

27

2.1. Il turismo culturale 27

2.2. Nascita e sviluppo della guida turistica 28 2.3. L’Italia negli stereotipi delle guide turistiche 33 2.4. Peculiarità testuali delle guide turistiche 39

(3)

2

2.4.2. Keying e languaging 40

2.4.3. Multimodalità nelle guide turistiche 42

2.5. Struttura delle guide turistiche analizzate 45 2.5.1. Fodor’s Travel: Florence & Tuscany with Assisi and the best of

Umbria 45

2.5.2. Blue Guide Tuscany 50

2.5.3. Mission Florence: A Scavenger Hunt Adventure 54

2.5.4. Dalle guide turistiche alla TV : il caso di Rick Steves 57

CAPITOLO III - ANALISI DELLE TRADUZIONI

...

61

3.1. Tradurre l’immagine dell’Italia in italiano 61 3.2. La traduzione specialistica 63

3.2.1. Guide di viaggio Fodor 66

3.2.1.1. Il linguaggio valutativo 67

3.2.1.1.1. Dimensione affettiva 68

3.2.1.1.2. Dimensione estetica 71

3.2.1.2. I prestiti dall’italiano 74

3.2.2. La Guida Blu 78

3.2.2.1. Il lessico specialistico dell’arte e dell’architettura 79

3.2.2.2. Le rappresentazioni spaziali 82

3.3. La traduzione per bambini 87

3.3.1. Missione Firenze: Una caccia al tesoro 88

3.3.1.1.Registro informale e ironia 89

3.3.1.2.Riferimenti metalinguistici e adattamenti linguistici 92

3.4. La traduzione audiovisiva 95

3.4.1. L’Europa con Rick Steves - I tesori di Firenze e altre gite in

(4)

3

CONCLUSIONI

...

101

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

...

104

RISORSE VIDEO

...

108

SITOGRAFIA

...

108

PROPOSTE DI TRADUZIONE

...

109

(5)

4

INTRODUZIONE

Il presente lavoro si propone di analizzare le caratteristiche del linguaggio del turismo e individuarne le difficoltà di traduzione interlinguistica dall’inglese all’italiano. Per raggiungere questo obiettivo si è scelto di esaminare quattro estratti di testi turistici appartenenti a diversi generi testuali: due guide turistiche sulla Toscana, rispettivamente Fodor’s Travel: Florence & Tuscany e Blue

Guide Tuscany, una guida-gioco per bambini sulla città di Firenze, Mission Florence: A Scavenger Hunt Adventure, e i sottotitoli audiovisivi interlinguistici

(trascritti e tradotti appositamente per questo lavoro a partire dal video disponibile su Youtube) del programma televisivo di viaggi condotto da Rick Steves, Rick Steves’ Europe, del quale abbiamo scelto la puntata dedicata a Firenze, Pisa e Lucca, Florentine Delights and Tuscan Side-Trips.

Nel primo capitolo si delinea una cornice storica e teorica del fenomeno del turismo di massa, ripercorrendo le tappe principali della trasformazione della concezione del viaggio dall’antichità fino ai giorni nostri, passando per la svolta più importante, ossia l’invenzione del Grand Tour europeo, l’antecedente dei viaggi organizzati. Segue una breve disamina delle teorie sociologiche e sociolinguistiche più importanti sul fenomeno del turismo, che è stato studiato soprattutto nel corso del Novecento, quando è esploso come fenomeno di massa. Tra esse ricordiamo l’opera fondamentale di Dann del 1996, The Language of

Tourism: A Sociolinguistic Perspective, che abbiamo utilizzato come punto di

partenza per la descrizione di alcuni concetti linguistici che stanno alla base della nostra analisi, come le discourse community, i generi testuali e le variazioni di registro. Infine, si descrivono le caratteristiche linguistiche che permettono di classificare il linguaggio utilizzato dall’industria del turismo come un linguaggio specialistico.

Nel secondo capitolo si approfondisce il genere testuale delle guide turistiche, delle quali si descrive la nascita e lo sviluppo storico. Le guide sono inoltre accomunate da una serie di fenomeni e peculiarità testuali quali, per esempio, la presenza di stereotipi, l’uso di strategie di keying e languaging e la compresenza

(6)

5 di immagini e testi, che ne determinano il carattere multimodale. Per ciascuno di questi fenomeni, dopo averlo descritto, si rintracciano alcuni esempi illustrativi nei testi scelti, e, soprattutto nel caso degli stereotipi, si traccia un quadro dell’immagine dell’Italia e della Toscana, così come vengono ritratte nelle guide turistiche in lingua inglese. Il capitolo si conclude con la presentazione dei quattro testi turistici scelti per la traduzione.

Nel terzo capitolo si analizzano le scelte traduttive in relazione ad alcuni particolari fenomeni linguistici che abbiamo identificato come tipici del linguaggio del turismo, come per esempio l’utilizzo del linguaggio valutativo, i prestiti dall’italiano, le modalità di lessicalizzazione delle rappresentazioni spaziali e l’uso di ironia e di un registro colloquiale. Si è ritenuto inoltre opportuno classificare ciascuna traduzione in base alle caratteristiche di maggior rilievo, distinguendo rispettivamente tra traduzione specialistica, traduzione per bambini e traduzione audiovisiva, e di ogni tipo di traduzione abbiamo descritto le principali difficoltà e peculiarità.

Nelle conclusioni del lavoro abbiamo infine individuato gli elementi linguistici in comune e le differenze testuali che sono emerse dalla traduzione degli estratti delle guide e dei sottotitoli audiovisivi. Si offrono infine alcuni spunti utili per gli studi sulla traduzione in genere, che possono trarre giovamento dalla traduzione turistica in quanto essa rappresenta un importante spazio di incontro tra culture sotto molteplici punti di vista.

(7)

6

CAPITOLO I - IL TURISMO E IL SUO LINGUAGGIO

1.1. Nascita e sviluppo dell’industria del turismo

1.1.1. Dal viaggio eroico al turismo di massa

Prima di poter dare una definizione del fenomeno contemporaneo del turismo di massa, che influenza la nostra società sotto molteplici aspetti (economici, sociali e culturali, per citarne alcuni), dobbiamo ricordare che gli spostamenti di grandi masse di persone avvenivano già in tempi antichissimi, anche se per motivi del tutto diversi. Il viaggio un tempo era collegato alla fatica, alla necessità e al fato: ne sono testimonianze la prima narrazione di viaggio occidentale, L’epopea di

Gilgamesh, risalente al 2900 a.C., nella quale il re Gilgamesh deve affrontare un

duro viaggio per ridurre la sua forza sovraumana, e il viaggio di Ulisse, che dopo molte avventure e difficoltà ritorna trasformato e più saggio. Se in tempi antichi il viaggio era considerato come fonte di sofferenza necessaria per la crescita dell’eroe, oggi viaggiare significa invece scappare dalla necessità e dal dovere (Leed, 1991).

Tale cambiamento si fa strada già a partire dall’epoca della Roma imperiale, quando dal I secolo a.C. le élites romane cominciarono a dedicarsi alla villeggiatura, recandosi nelle ville di campagna per allontanarsi dalla confusione cittadina e dedicarsi alla cura di sé, alla tranquillità e all’ozio (Nigro, 2006). Nel Medioevo, invece, assistiamo a un ritorno del viaggio come fatica necessaria per raggiungere il benessere spirituale: è il caso dei pellegrinaggi, lunghi cammini resi possibili da un sistema crescente e organizzato di ostelli caritatevoli, che avevano come mete principali Gerusalemme, Roma e Santiago di Compostela. Citando l’analisi del pellegrinaggio di Turner, Urry (1990) elenca i tre riti di passaggio che caratterizzano il viaggio del pellegrino: la separazione spaziale dal luogo di residenza e dalla famiglia; la condizione di liminalità durante la quale non esistono legami spaziali o temporali con il luogo visitato (ed è qui che

(8)

7 il pellegrino fa esperienza del sacro); il ritorno a casa del pellegrino, che durante il viaggio ha subito delle profonde trasformazioni interiori. Leed (1991) riprende tali stadi per descrivere il turismo contemporaneo, parlando di partenza, transito e arrivo del turista che, proprio come il pellegrino, si dedica infine al culto religioso della località turistica.

Dalla seconda metà del XV secolo gli europei si misero in viaggio alla scoperta di nuovi territori e il contatto con le nuove civiltà fece emergere in loro un senso di superiorità (Leed, 1991: 200): “Gli europei cominciarono a vedersi come una civiltà avanzata e in evoluzione, come una cultura ‘adulta’ necessariamente superiore”.

È durante il XVII secolo che comincia a svilupparsi la concezione di tour, un tipo di viaggio caratterizzato dalla circolarità, cioè da una partenza e un arrivo nello stesso punto, inframezzato dalla visita di un determinato numero di luoghi in sequenza (Nigro, 2006). Il tour, riservato ai figli dell’aristocrazia inglese, francese e tedesca, che venivano solitamente accompagnati da un precettore, permetteva all’individuo di arricchire il proprio bagaglio culturale e di sviluppare la propria personalità. Nel 1670 Lessels conia l’espressione Grand

Tour, utilizzata poi universalmente per indicare tale viaggio di formazione

necessario alle giovani élites per conoscere le mode e il gusto europei, e prepararsi così all’esercizio del potere.

L’itinerario del Grand Tour era sempre lo stesso: una volta attraversata la Manica i viaggiatori raggiungevano i salotti di Parigi, visitando poi Ginevra prima di attraversare le Alpi e raggiungere l’Italia, culla dell’arte rinascimentale e sorta di museo all’aperto, dove visitavano Roma, Venezia e Firenze. Al ritorno si passava dall’Austria, da Berlino e da Amsterdam. È importante ricordare che fu proprio con il Grand Tour che cominciarono a comparire delle pubblicazioni dedicate, che avevano lo scopo di indicare il modo più adatto per viaggiare, le norme da rispettare e alcune informazioni sulle opere d’arte da non perdere in Italia (per esempio Of Travel di Bacon del 1625, Remarks on several parts of

Italy di Addison del 1705).

Il turismo come lo conosciamo oggi prende forma in Inghilterra, dove a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, in seguito allo sviluppo della classe

(9)

8 borghese, i Grand Tourists diventano sempre di più e il viaggio acquisisce progressivamente lo scopo non della pura conoscenza, ma del piacere e dell’intrattenimento. Gli inglesi visitano i luoghi a seconda delle “stagioni”: c’è la stagione delle terme a Bath, la stagione per la montagna e quella per la campagna, oppure l’inverno in Riviera (Boyer & Viallon, 2000).

Dopo una breve interruzione causata dalle campagne napoleoniche, grazie l’ampliamento del sistema ferroviario e allo sviluppo industriale, il viaggio diventa un vero e proprio “ossessionante rito di consumo”, come osservato da Brilli (cit. in Nigro, 2006). Il pioniere del turismo di massa fu l’imprenditore Thomas Cook, che nel 1841 organizzò il primo package tour organizzato e trasportò 570 persone da Leicester a Loughborough includendo nel prezzo il biglietto del treno, vitto, alloggio e intrattenimento (Nigro, 2006; Urry, 1990). La sua agenzia, proponendo un numero sempre maggiore di destinazioni, compreso il primo viaggio oltreoceano in America, segnò l’inizio del turismo di massa che trova il suo pieno sviluppo nel 1900.

1.1.2. Il turismo come oggetto di studio: definizioni e teorie

Durante il Novecento gli studiosi cominciano ad interrogarsi sulle possibili definizioni di questo nuovo fenomeno: Villamira (2001: 16), sottolineando le difficoltà che si incontrano nella descrizione del turismo, ne cita alcune in ordine cronologico, asserendo che, in generale, si può considerare il turismo come un “movimento temporaneo di persone in luoghi diversi da dove lavorano e risiedono”. Ciò che differenzia il turismo da altri tipi di migrazioni è quindi la circolarità del movimento (partenza, transito, ritorno) e il fatto che il turista non faccia uso di denaro guadagnato nel luogo che sta visitando. Lo studioso cita inoltre la prima analisi teorica del turismo, formulata agli inizi degli anni Sessanta da Boorstin: “gli individui, nelle società industriali, non sperimentano la realtà direttamente, ma conoscono solo quelli che lui definisce ‘pseudo-eventi’”, vale a dire delle “rappresentazioni via via più artificiali per soddisfare i desideri del turista, allontanandolo sempre di più dalla realtà in cui vive” (ivi:

(10)

9 17). Questa analisi è importante per spiegare il motivo per cui il termine ‘turista’ acquista nel corso del Novecento una connotazione negativa, e viene ripresa da MacCannell (1999: 10), che parla di “touristic shame”, una sorta di vergogna provata non nell’essere turista, bensì nel non esserlo abbastanza: “a desire to go beyond the ‘mere’ tourists to a more profound appreciation of society and culture (…) a basic component of their motivation to travel”.

Un altro importante contributo è quello di Cohen (1974), sociologo del turismo, che ha formulato un’analisi delle tipologie di turisti e delle forme del turismo. La sua definizione di turista si concentra sul carattere volontario e temporaneo dello spostamento, che non deve essere ricorrente, e soprattutto su “l’aspettativa del piacere derivato dalla novità e dal cambiamento sperimentato” (cit. in Villamira, 2001: 18). Le dimensioni fondamentali che lo caratterizzano sono sei, tra le quali ricordiamo, oltre alla volontà e alla temporaneità già menzionate, la direzione circolare, la distanza percorsa (nel caso di distanze brevi si parla piuttosto di escursionista), la non ricorrenza della permanenza turistica e lo scopo del turista, che a differenza di altri tipi di viaggiatori è strettamente strumentale, quello cioè di svagarsi, svolgere attività ricreative e immergersi nella cultura locale.

L’elemento primario che spinge il turista a viaggiare è quindi, secondo Cohen, la ricerca della diversità e l’evasione dalla familiarità (Nigro, 2006). Tale ‘deviazione’ dalla vita di tutti i giorni è il concetto centrale nella teoria di Urry (1990) sul “tourist gaze”: lo sguardo del turista si differenzierebbe per il contrasto tra le pratiche sociali non turistiche, legate alla casa e al lavoro, e quelle legate al consumo di beni e servizi turistici, che Urry ritiene “in some sense unnecessary (…) consumed because they supposedly generate pleasurable experiences” (ivi: 1).

A questo punto ricordiamo che ciò su cui si sofferma lo sguardo del turista sono le cosiddette ‘attrazioni turistiche’. MacCannell (1999) le definisce come “an empirical relationship between a tourist, a sight and a marker (a piece of information about a sight)” (ivi: 41), dove per marker intende guide turistiche, travelogue, souvenir, ecc. Senza tale marker sarebbe impossibile distinguere tra luoghi e oggetti comuni e luoghi e oggetti che hanno valenza turistica. Per

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10 diventare attrazioni, i luoghi turistici vengono sottoposti a un vero e proprio rito di “sight sacralization”, venendo poi visitati dai turisti con una “ritual attitude” (ivi: 42). La sacralizzazione si realizza in quattro fasi: la “naming phase” avviene dopo aver sottoposto l’oggetto in questione a controlli e verifiche di autenticità; la seconda fase consiste nel “framing and elevating”, in cui l’oggetto o il luogo vengono messi in mostra in un museo o aperti al pubblico; si passa poi alla “mechanical reproduction”, che comprende la riproduzione attraverso foto, cartoline, oggettistica, ecc.; lo stadio finale è quello della “social reproduction”, attraverso la quale l’attrazione diventa famosa in tutto il mondo (ibidem). Nigro (2006: 25) riassume questo procedimento riprendendo la spiegazione di MacCannell, cioè il fatto che il turista va alla ricerca costante di significati, che dovrebbero essere insiti nelle attrazioni turistiche, proprio come i pellegrini andavano alla ricerca del sacro. È interessante anche il riferimento di MacCannell alla fascinazione del turista per le “real lives” degli abitanti del luogo visitato, e in particolare per il loro lavoro: basti pensare alle botteghe degli artigiani messe in bella mostra per i turisti, o ai tour guidati nei palazzi istituzionali delle capitali europee.

Leed sottolinea l’importanza della letteratura nel processo di sacralizzazione delle attrazioni turistiche descritto da MacCannell, letteratura che viene generata sotto forma di guide, testimonianze, racconti di viaggio, ecc., che servono a perpetuare la fama dell’attrazione: “Questa

letteratura

genera un pubblico, formato da coloro che vogliono consumare la località nel viaggio e mediante il viaggio” (Leed, 1991: 175). La creazione dell’anticipazione è trattata anche da Urry, secondo il quale viene “constructed and sustained through a variety of non-tourist practices, such as film, TV, literature, magazines, records and video, which construct and reinforce the gaze” (Urry, 1990: 3).

Questa affermazione suggerisce di indagare quale possa essere il tipo di linguaggio utilizzato nella comunicazione turistica, che ha come scopo primario quello di influenzare il turista nelle sue scelte.

(12)

11 1.1.3. Turismo e controllo sociale

Nel 1996 Dann pubblica un’opera seminale sul linguaggio del turismo, The

Language of Tourism: A Sociolinguistic Perspective. La tesi centrale dell’opera

sostiene che il linguaggio impiegato nell’industria turistica ha come fine ultimo quello di esercitare una forma di controllo sociale sui turisti. A dimostrazione di questa tesi vengono portati esempi risalenti alle prime, antiche forme di viaggi organizzati1, anche se secondo Dann è nel turismo contemporaneo che questa forma di controllo si manifesta più palesemente. Mentre il turista pensa di partire per godere del suo tempo libero, in realtà ciò che avviene è l’esatto contrario, poiché è l’industria turistica che sfrutta il tempo del turista, imponendogli delle scelte, limitando il suo tempo libero e influenzando le sue decisioni: le guide turistiche elencano le attrazioni che il turista non deve assolutamente perdersi; i tour seguono sempre orari fissi e ritmi serrati ai quali il turista deve obbligatoriamente adattarsi; i villaggi turistici propongono attività alle quali inevitabilmente il turista si sente obbligato a partecipare.

È per questi motivi che al bisogno di controllo l’industria turistica deve controbilanciare l’illusione di sconfinata libertà offerta al turista. Dann ritiene che l’unico modo per creare tale illusione è rivolgersi al turista come se fosse un bambino, attraverso quattro tipi di approcci (Dann, 1996):

- Romanticism, Regression and Rebirth;

- Happiness, Hedonism and Heliocentrism;

- Fun, Fantasy and Fairy Tales; - Sea, Sex and Socialization.

Nel primo caso, il linguaggio si concentra sui richiami a scenari di campagna incontaminati e sul ritorno alle origini, inteso come un vero e proprio ritorno alla ‘Madre’, che diventa una rinascita spirituale: “the liberation offered by tourism becomes no more or less than a return to the realm of childhood” (Turner & Ash,

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12 cit. in Dann, 1996: 104). Per evitare che il turista si senta in qualche modo costretto a questo ritorno, il turismo impiega anche le tre “H” del secondo punto, enfatizzando la “quest for happinness”, uno degli aspetti centrali della cultura americana, che vede la sua massima realizzazione proprio durante la vacanza all’insegna del piacere e dello svago, sotto quello che l’industria del turismo ritrae come un sole splendente e onnipresente. Il turismo incoraggia inoltre un atteggiamento giocoso e infantile nel turista, creando intorno a lui un mondo di fantasia che gli permette di dimenticare la monotonia della quotidianità. Infine, il turismo cerca di guidare il turista nella formazione della sua identità, cioè nel processo di socializzazione, assumendo un atteggiamento pedagogico che si manifesta nelle attività organizzate per conoscere altri turisti, nelle guide turistiche, nei tour operator, per citare alcuni esempi.

Nelle parole di Dann, “tourism is grounded in discourse” (1996: 2), poiché è proprio sul linguaggio che l’industria turistica deve puntare tutti i suoi sforzi per poter trasformare un potenziale cliente in profitto, e tale trasformazione avviene principalmente nello stadio che Dann definisce “pre-trip”, quello precedente alla partenza, durante il quale l’industria turistica deve “persuade, lure, woo and seduce millions of human beings” (ibidem).

Ricordiamo che Dann utilizza il termine discourse per indicare l’insieme delle caratteristiche grammaticali, lessicali e stilistiche che caratterizzano il linguaggio della comunità turistica. È utile a questo punto fare chiarezza su alcune nozioni chiave quali discourse, genre e register, in relazione alle produzioni testuali dell’industria turistica.

1.2. Discourse community, genere e registro

1.2.1. Le discourse community

Nel presentare il concetto di discourse in relazione all’industria del turismo, Cappelli ci ricorda che, sebbene gli studiosi non si siano ancora trovati d’accordo

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13 su una definizione universale, la definizione di discourse analysis può essere la seguente: “the study of whole units of communicative exchanges produced in a particular speech community” (Cappelli, 2007: 13-14, corsivi suoi). L’analisi del discorso non si focalizza soltanto sulle produzioni orali, bensì anche su quelle scritte, e ha una natura altamente multidisciplinare, coinvolgendo allo stesso tempo aspetti sociolinguistici, psico-linguistici e computazionali. Cappelli sottolinea inoltre che l’analisi del discorso si occupa non solo della forma del linguaggio, ma anche della sua funzione, e proprio per questo motivo è strettamente legata alle scienze sociali (ibidem). Uno dei contributi extra-linguistici più importanti a questa disciplina è quello di Foucault, secondo il quale il discorso influenza tutti gli aspetti della nostra società, pur passando inosservato, arrivando a dettare scelte lessicali e stilistiche che si riflettono nel modo in cui parliamo e scriviamo, e determinando i tabù e i limiti entro i quali possiamo esprimere le nostre idee.

Secondo Cappelli, sono queste scelte espressive e le funzioni a esse collegate che ci permettono di discernere quali produzioni scritte o orali appartengano a quali tipi di discorso, che può essere riconosciuto come tale solo all’interno di una discourse community, cioè all’interno di un gruppo di individui che sono in grado di riconoscerlo in base a un insieme condiviso di convenzioni, caratteristiche e di conoscenze comuni che sono state interiorizzate dalla comunità (ivi). Swales propone una concettualizzazione basata su sei caratteristiche: per essere definita come tale, una discourse community deve condividere un insieme di scopi comuni, siano essi espliciti o impliciti; i membri della comunità devono possedere mezzi per comunicare tra di loro; i membri si scambiano informazioni e feedback; la comunità si avvale di uno o più generi testuali per raggiungere i propri scopi; oltre ai generi testuali, la comunità si avvale anche di un proprio lessico specifico; all’interno della comunità devono infine essere presenti dei membri esperti della materia e dell’impiego dei mezzi linguistici del discorso (Swales, 1990).

Possiamo quindi parlare di tourism discourse, cioè dell’insieme di norme e convenzioni linguistiche che vengono utilizzate da una comunità di individui che si occupa di turismo sia per parlare del turismo stesso, attraverso pubblicazioni

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14 scientifiche per gli addetti al settore, sia per rivolgersi al potenziale turista, avendo come scopo comune la vendita di servizi turistici. Come già accennato da Swales, una discourse community può avvalersi di uno o più generi per raggiungere i propri fini: passiamo quindi a definire il concetto di genere.

1.2.2. I generi come metodo di classificazione

Come nel caso di discourse, è difficile dare una definizione del concetto di genre che trovi d’accordo tutti gli studiosi. In questo lavoro continueremo a basarci sui lavori di Swales (1990: 58):

A genre comprises a class of communicative events, the members of which share some set of communicative purposes. These purposes are recognized by the expert members of the parent discourse community, and thereby constitute the rationale for this genre. This rationale shapes the schematic structure of the discourse and influences and constraints choice of content and style. (...) In addition to purpose, exemplars of a genre exhibit various patterns of similarity in terms of structure, style, content and intended audience.

Se asseriamo che un genere è un metodo di classificazione di testi prodotti all’interno di una data discourse community, allora è evidente che tale classificazione sarà fortemente cultural-specific, poiché un genere per essere riconosciuto deve essere approvato dalla comunità e dipende dal modo in cui i testi vengono percepiti da essa. I generi si costituiscono sulla base di caratteristiche comuni a livelli stilistici e di contenuto: alcuni esempi nell’ambito del turismo possono essere le guide turistiche, gli articoli di viaggio, gli itinerari. Questi generi sono riconoscibili attraverso scelte lessicali e sintattiche molto simili tra loro, se non sempre uguali, e vengono prodotti all’interno della

discourse community del turismo da esperti in materia, che utilizzano un

linguaggio condiviso per attirare il potenziale turista.

I generi inoltre possono essere raggruppati in “super-genre” o “sub-genre” (Cappelli, 2006), oppure si può impiegare il termine “genre colony”, che Denti (2012) ritiene il più appropriato per parlare di tourism discourse: una colonia di

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15 generi rappresenta un set di generi strettamente collegati tra di loro sulla base di intenti comunicativi individuali, ma che allo stesso tempo permette “a certain degree of volatility” (ivi: 47), cioè la possibilità che i generi si influenzino l’un l’altro per arrivare alla creazione di forme ibride. Secondo Denti (2012) la guida turistica è un perfetto esempio di genere ibrido, poiché rappresenta il risultato di un “process of interdiscursivity” in cui si intrecciano, per esempio, racconti di viaggio dal taglio personale, testi geografici e testi che mirano a fornire informazioni pratiche.

Al concetto di genere, collegato soprattutto agli aspetti socio-culturali che ne determinano l’appartenenza a una discourse community, affianchiamo ora quello di registro, che è invece collegato alla situazione comunicativa e al contesto immediato dell’atto comunicativo (Cappelli, 2006).

1.2.3. Le variazioni di registro

Lee distingue genere e registro proponendo due approcci diversi allo stesso soggetto: parliamo di genere quando un testo è considerato un membro di una categoria, mentre parliamo di registro quando il testo è visto come “the instantiation of a conventionalised, functional configuration of language tied to certain broad societal situations” (Lee cit. in Cappelli, 2006: 199). Infatti possiamo affermare che a seconda della situazione comunicativa dobbiamo impiegare una configurazione linguistica diversa, che deve essere appropriata e funzionale al contesto d’uso (ivi). Swales aveva definito il registro utilizzando le parole di Gregory e Carroll: “Register, or functional language variation, is a ‘contextual category correlating groupings of linguistic features with recurrent situational features’” (Gregory & Carroll cit. in Swales, 1990: 40). La manifestazione concreta di un registro linguistico è quindi la variazione dei vincoli linguistici che il genere impone, soprattutto al livello lessicale e sintattico, i più evidenti, anche se ci sono altri elementi che contribuiscono alla differenziazione dei registri.

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16 Secondo le teorie funzionaliste elaborate da Halliday, un registro può essere infatti analizzato sulla base di tre variabili chiamate field, tenor e mode, che rispettivamente indicano il campo o l’oggetto di analisi, i partecipanti alla comunicazione, il loro status e le relazioni di potere che intercorrono tra di loro, e, infine, il mezzo di comunicazione impiegato, solitamente scritto o orale (Swales, 1990; Nigro, 2006; Denti, 2012). Sulla base di queste variabili possiamo arrivare, di volta in volta, a una descrizione delle caratteristiche del registro del turismo, comprendente, come abbiamo già accennato, un field molto ampio, con diverse tematiche possibili (geografia, storia dell’arte, storia, gastronomia, ecc.); un tenor variabile, poiché possiamo imbatterci in emittenti molto diversi tra loro, dalle istituzioni alle agenzie di viaggio, ai tour operator, così come il target che cambia a seconda dell’intento comunicativo (per esempio, a seconda che ci si rivolga a classi più o meno abbienti, a bambini, a donne, ecc.); e infine un mode anch’esso molto variabile, che può comprendere canali scritti, visivi e auditivi (Nigro, 2006).

Dann (1996) aggiunge a queste tre variabili un altro elemento, cioè il momento della vacanza, poiché il registro impiegato varierà anche a seconda che il turista debba ancora decidere di partire, si trovi già in vacanza o che debba essere convinto a ripetere l’esperienza una volta tornato a casa (Dann parla di “pre-trip”, “on-trip” e “post-trip stage”). È importante sottolineare come nel turismo la variazione di registro sia estremamente necessaria, poiché, a seconda della forma di turismo, sarà necessario un approccio diverso nel rivolgersi al cliente, per raggiungere lo scopo comunicativo. Dann riporta quattro esempi di registri del turismo, tra cui quello del turismo enogastronomico (di cui tratteremo in questo lavoro in relazione al turismo in Toscana), caratterizzato da un lessico legato alle sensazioni del gusto e all’autenticità, costellato di termini stranieri spesso non tradotti per aumentare l’aura di autorità di chi scrive (fenomeno chiamato languaging2, e anche questa è una forma di controllo sociale) e spesso dai toni molto conservativi (Dann, 1996).

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17 Gli studi sul registro sono strettamente collegati agli studi sui cosiddetti “linguaggi specialistici”, generalmente descrivibili come varietà linguistiche impiegate in ambiti tecnico-scientifici, caratterizzate da un’alta funzionalità e da un vocabolario ben definito, fortemente distinte dal linguaggio comune. Quando a partire dagli anni Novanta si è cominciato a studiare il linguaggio del turismo come una sfera linguistica a sé, gli studiosi hanno anche cominciato a considerarlo un vero e proprio linguaggio specialistico.

1.3. Il linguaggio del turismo come linguaggio specialistico

1.3.1. I linguaggi specialistici

I primi a interessarsi ai linguaggi specialistici furono i linguisti della Scuola di Praga tra gli anni Venti e Trenta, che esaminarono il “functional style”, utilizzato nelle scienze e nella tecnica. Gotti (1991) ricorda il loro atteggiamento fortemente conservativo nei confronti di questo linguaggio, visto come totalmente separato dalla lingua comune e perciò, in qualche modo, inferiore a essa. A seguito della seconda guerra mondiale la Scuola di Londra dei linguisti funzionalisti introdusse un nuovo concetto, quello della lingua come un “highly flexible means of communication easy to use in different contexts” (Denti, 20120: 38), spostando l’attenzione sullo studio del registro linguistico, per identificare le peculiarità morfologiche, lessicali e stilistiche dei linguaggi specialistici e inquadrando poi i risultati in un contesto di analisi più ampio, comprendente diverse varietà linguistiche situazionali e contestuali (Gotti, 1991).

Negli anni Sessanta Firth introduce il concetto di “restricted language”, definendolo come un linguaggio impiegato per trattare “a circumscribed field of experience or action and can be said to have its own grammar and dictionary” (Firth cit. in Gotti, 1991). I linguisti britannici cominciarono allora ad interessarsi alla marcatezza lessicale dei linguaggi specialistici che, sebbene sia

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18 il fenomeno che li differenzia dalla lingua comune nel modo più evidente, secondo Gotti non è l’unico in grado di spiegare le loro origini e la logica a essi sottostante. Per Gotti inoltre sono stati gli studi sull’analisi del registro a permettere di spostare l’attenzione degli studiosi da un approccio prevalentemente quantitativo, facilitato dall’introduzione delle elaborazioni elettroniche, a uno più qualitativo, che tentava di identificare “the features of specialized texts in a perspective that is not only microlinguistic but takes into account the discourse in which they are embedded” (Gotti, 2006: 16).

Oltre alla definizione del campo di studio, l’altra dibattuta questione è stata quella della sua designazione terminologica. La proposta firthiana di “restricted language” venne ripresa da Wallace nel 1981, indicando con l’espressione quei codici ristretti che utilizzano espressioni della lingua comune per comunicazioni di tipo specialistico. Secondo Gotti (1991) si tratterebbero tuttavia di casi molto rari (l’autore cita il caso dei controllori di volo che si scambiano messaggi prestabiliti attraverso frasi fatte con delle varianti già prefissate), e pertanto i concetti di “codice ristretto” e “linguaggi specialistici” non posso coincidere, perché i secondi presentano indubbiamente una complessità assai maggiore e sono molto più diffusi.

Anche in Italia il dibattito è ancora acceso, come evidenzia Nigro (2006) nel presentare alcune delle posizioni più importanti a riguardo. Per De Mauro si può parlare di “linguaggi scientifici”, che rappresentano il mondo delle scienze, ordinabili secondo un continuum che va dalla maggiore alla minore hardness, ossia una riducibilità interna in termini di teoremi e procedimenti analitici, partendo dalla matematica e dalla fisica e arrivando fino agli studi filologici e filosofici. Centrale è la critica al linguaggio scientifico inteso come unico e omogeno, che a seguito della specializzazione delle scienze deve invece essere necessariamente differenziato e studiato nelle sue diverse caratteristiche interne, che variano a seconda del tipo di linguaggio specialistico.

Un’altra definizione di rilievo è quella di Cortelazzo, che con “lingue speciali” indica “una varietà funzionale di una lingua naturale, dipendente da un settore di conoscenze o da una sfera di attività specialistici (…) per soddisfare i bisogni comunicativi di quel settore specialistico” (Cortelazzo cit. in Nigro,

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19 2006: 46). Gotti ritiene però che con questo termine si debbano invece indicare i linguaggi che fanno uso di regole proprie e simboli speciali diversi da quelli della lingua comune, come per esempio il “Codice Q” del settore delle telecomunicazioni, dove la punteggiatura e le lettere vengono utilizzate con convenzioni completamente diverse dalla lingua comune. Quindi, secondo Gotti “lingue speciali” e “linguaggi specialistici” dovrebbero rimanere due concetti separati, perché quest’ultimi “non si differenziano dalla lingua comune per il possesso di regole linguistiche speciali e non comprese nella lingua comune, quanto per un uso quantitativamente diverso di tali convenzioni” (Gotti, 1991: 7).

Berruto e Sobrero (Nigro, 2006) propongono delle suddivisioni interne all’ambito delle lingue speciali: il primo distingue tra sottocodici, cioè le lingue speciali in senso stretto, con caratteristiche lessicali, morfosintattiche e testuali proprie, le lingue speciali in senso lato, che non hanno un lessico particolare, e infine i gerghi, legati a un gruppo limitato di parlanti ma non a aree extralinguistiche particolari. Sobrero invece differenzia le “lingue specialistiche” con un alto grado di specializzazione dalle “lingue settoriali”, rintracciabili in ambiti di lavoro non specialistici, come per esempio la lingua dei giornali o della politica. Il lessico è l’elemento che permette di distinguere tra le due, poiché nelle prime è più specifico, mentre le seconde sono più vicine alla lingua comune (ibidem).

Gotti (1991) critica l’espressione “linguaggi settoriali”, ritenendola troppo vaga, poiché i settori da prendere in considerazione sarebbero troppo eterogenei, così come rifiuta il termine “microlingua” a causa del suo rinvio all’immagine di un microcosmo che non possiede tutte le potenzialità espressive di un sistema linguistico standard. La scelta terminologica, secondo Gotti, deve quindi ricadere necessariamente sull’espressione “linguaggi specialistici”, poiché è quella che “più coerentemente si ricollega (...) all’uso che gli specialisti fanno del linguaggio per riferirsi a realtà tipiche del proprio ambito professionale” (Gotti, 1991: 8), e che prende quindi in considerazione anche il tipo di utente, il dominio specialistico di utilizzo e l’applicazione specifica di tale linguaggio (Denti, 2012). Nel presente lavoro ci baseremo su questa definizione, poiché,

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20 come vedremo, anche il linguaggio del turismo può essere annoverato tra le varietà di linguaggi specialistici, essendo esso un “sottosistema della lingua comune” che prevede l’uso di “regole lessicali, morfosintattiche e strutture testuali a sé”, e che viene usato “in un determinato ambito professionale a scopo descrittivo o comunicativo, sia tra gli esperti del settore che nelle relazioni con il pubblico” (Gotti cit. in Nigro, 2006: 48).

Prima di passare ad analizzare alcuni degli aspetti linguistici più caratteristici dei linguaggi specialistici e vedere la loro applicazione al linguaggio del turismo, ricordiamo infine un’ulteriore distinzione che riguarda la natura multidimensionale dei linguaggi specialistici. Secondo Gotti (1991; 2006), la semplice presenza di uno specialista non è sufficiente ad assicurare che si stia utilizzando un linguaggio specialistico, poiché l’esperto può trovarsi davanti a tre diversi tipi di pubblico: nel primo caso lo specialista deve rivolgersi ad altri specialisti, con il quali condivide un vasto bagaglio di conoscenze e con i quali potrà utilizzare termini specialistici senza problemi; nel secondo caso lo specialista deve riportare concetti appartenenti al suo ambito a dei non-specialisti, dovendo di volta in volta spiegare i termini nuovi, come per esempio nel caso dei libri per studenti universitari; infine, talvolta lo specialista deve essere in grado di fornire informazioni appartenenti al suo ambito specialistico rivolgendosi a un pubblico neofita e attraverso il linguaggio comune, come avviene nei testi tecnico-scientifici a carattere divulgativo su riviste e giornali. Gotti ritiene che soltanto nei primi due casi si possa parlare di vero e proprio linguaggio specialistico, poiché nel terzo caso si parlerebbe piuttosto di “general discourse”. Prendendo in considerazione il linguaggio del turismo, la comunicazione tra esperti e non esperti avviene in molteplici forme differenti e attraverso diversi canali, per esempio nelle agenzie di viaggio e negli hotel, sia in forma scritta che orale (Gotti, 2006)3.

3 Cfr. la tabella riassuntiva di Dann (1996: 141) per una panoramica dei mezzi di comunicazione utilizzati nella comunicazione turistica.

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21 1.3.2. Il linguaggio del turismo come linguaggio specialistico

Passiamo ora in rassegna alcune delle caratteristiche linguistico-grammaticali più salienti del linguaggio del turismo inteso come linguaggio specialistico. Nel prossimo capitolo la nostra indagine si allargherà anche alle strategie retoriche, alla struttura testuale e alla dimensione dialogica del linguaggio del turismo, oltre che al rapporto tra il testo e le immagini, esaminando in particolare il genere delle guide turistiche.

1.3.2.1. Caratteristiche lessicali

Rispetto al linguaggio comune, il linguaggio specialistico si distingue per il requisito della monoreferenzialità, che sta a indicare un rapporto privilegiato tra un concetto e la sua realtà referenziale (Nigro, 2006). In un dato contesto per un termine è ammesso un solo significato, di modo da poter evitare l’ambiguità e da non dover ricorrere a ulteriori spiegazioni contestuali, né da dover ricorrere all’uso di sinonimi, poiché “every term signals a concept and effectively condenses the semantic value contributed by the defining process which generated it” (Gotti, 2006: 23). Anche il linguaggio del turismo ha sviluppato una sua terminologia specialistica per esprimere nuovi concetti, come per esempio package holidays o tour operator. Gotti sottolinea come la natura altamente referenziale di questo lessico porti come vantaggio principale una notevole concisione, che permette innanzitutto di ridurre significativamente la lunghezza del testo, oltre che a ottenere una maggiore efficacia espressiva. Un altro esempio di mezzo per aumentare la concisione del testo (sempre tratto dall’inglese, ma che ha permesso la creazione di termini che sono arrivati anche nella lingua italiana tramite il prestito) è il blending, ossia la fusione di due lessemi in un termine singolo, tra cui come esempi ricordiamo motel (da motor + hotel) e ecotoursim (da ecologic + tourism).

La creazione di metafore è un altro strumento che viene spesso impiegato dal linguaggio specialistico per rimediare alla mancanza di termini per designare

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22 nuovi fenomeni, permettendo così di raggiungere un grado maggiore di concisione e aumentare la velocità nello scambio di informazioni (Gotti, 2006). Si vedano come esempi le espressioni metaforiche booking e pacchetto vacanza. È interessante in questo caso l’annotazione di Dann (1996), secondo il quale nel linguaggio del turismo le metafore sarebbero necessarie a mediare la mancanza di familiarità di una destinazione per il turista, facendolo così sentire protetto.

Gotti (2006) sottolinea inoltre che una delle peculiarità che differenziano i linguaggi specialistici come quello giuridico, scientifico ed informatico da quello del turismo è il grado di distacco emotivo: mentre è alto nei testi a scopo principalmente informativo, nei testi turistici a scopo persuasivo, come nel caso delle brochure e dei tour operator, è invece l’enfatizzazione emotiva a prevalere, caratteristica che traspare soprattutto dal lessico altamente valutativo e superlativo, che cerca di mettere in luce tutte le caratteristiche positive dei luoghi descritti e dei servizi offerti.

Per riassumere, come altri linguaggi specialistici, a livello lessicale il linguaggio del turismo si avvale di diverse strategie linguistiche per la formazione di nuove parole, attingendo sia da altri settori specialistici, come l’economia, l’architettura, la geografia, la gastronomia e l’artigianato, sia dal linguaggio comune (Gotti, 2006; Calvi, 2009).

1.3.2.2. Caratteristiche morfosintattiche

Il linguaggio del turismo presenta una notevole compattezza sintattica, dovuta alla volontà di alleggerire le strutture testuali per raggiungere una maggiore concisione ed efficacia persuasiva. Gotti (2006) menziona tra le possibilità impiegate per tale scopo gli affissi, cioè l’utilizzo di prefissi e suffissi per ridurre il numero di proposizioni relative, come dimostrano espressioni del tipo

self-catering o pre-arranged. Anche la premodificazione, fenomeno tipico

dell’inglese, tramite l’aggettivazione nominale, permette una notevole concisione, come si nota in tour operator, study holiday o airline ticket (ivi.).

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23 La morfologia verbale del linguaggio del turismo è caratterizzata soprattutto dall’utilizzo del simple present, tempo verbale richiesto dalle funzioni comunicative della definizione, della descrizione e dell’osservazione dei testi turistici, specialmente nelle guide (Nigro, 2006; Denti, 2012), e dalla presenza di molte forme imperative, che secondo Nigro (2006) non servono tanto a dare ordini, come sostiene Dann (1996), quanto piuttosto inviterebbero il turista a partecipare a ciò che viene offerto e a incuriosirlo, oltre che elencare le istruzioni necessarie per raggiungere un luogo. Nel caso del passivo, si riscontrano spesso l’omissione del soggetto e dell’ausiliare che portano alla premodificazione dei nomi e quindi a una maggiore concisione. Nel caso dei verbi modali (Denti, 2012), should e must permettono di offrire consigli ed esprimere obblighi (le attrazioni diventano spesso un must, da non perdere), mentre can e will servono rispettivamente a stimolare l’attenzione del cliente e a raccomandare di non perdere un certo servizio offerto (Nigro, 2006).

Le proprietà morfosintattiche del linguaggio del turismo possono dirsi finalizzate al raggiungimento della maggior efficacia persuasiva nella minore lunghezza del testo possibile, necessità chiaramente dovuta alle produzioni testuali turistiche che devono essere brevi per questioni di economia, ma allo stesso tempo devono immediatamente catturare l’attenzione del lettore e stabilire un contatto duraturo. Nel corso di questo capitolo abbiamo già citato diversi generi testuali del turismo; è utile ora farne un elenco più dettagliato, prima di passare ad analizzare in particolare il genere delle guide turistiche.

1.3.3. Classificare i generi del turismo

Tra le classificazioni dei generi del turismo ricordiamo quella proposta da Calvi (2009), che si basa su parametri quali “la personalizzazione del discorso, la varietà del lessico utilizzato, l’uso di termini culturali, ma anche la presenza di immagini o elementi iconici” (ivi: 11).

Immaginando di porre i diversi generi testuali su un continuum, troveremo a un estremo i generi propri dell’organizzazione del turismo, come prenotazioni e

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24 documenti di viaggio, caratterizzati da un linguaggio neutro e impersonale, che vengono scambiati sia tra esperti del settore, sia tra esperti e turisti, in quest’ultimo caso svolgendo una funzione prescrittiva.

Andando avanti verso l’altro l’estremo, quello della comunicazione tra operatori del settore e turisti, troveremo poi i cataloghi e i programmi di viaggio, con un lessico diversificato e formule ricorrenti, vincolati dalla presenza di immagini. Calvi ne parla come di un genere “ideale per cogliere la tensione tra la neutralità e la persuasione, tra precisione tecnica e l’avvolgente invito al viaggio” (ivi: 12).

Un lessico ancora più vario è quello di opuscoli, dépliant e siti web, che hanno come obiettivo il coinvolgimento del lettore e che impiegano quindi forme valutative e termini culturali per incuriosirlo e farlo sentire coinvolto.

Le guide turistiche4, già descritte come un genere ibrido da Denti (2012),

hanno come qualità principale un intento fortemente direttivo, che Calvi rintraccia sia nelle indicazioni su dove mangiare, cosa vedere, e dove dormire, sia nell’esprimere giudizi su quanto viene visitato.

L’approccio della letteratura di viaggio si ritrova negli articoli e nei reportage di viaggi pubblicati su riviste più o meno specializzate, e in questo caso vi sarà naturalmente una forte componente personale e soggettiva, dovuta al viaggiatore che deve raccontare le proprie esperienze.

Un genere particolare è quello degli itinerari, riportati sotto varie forme (leaflet, guida, annunci pubblicitari, ecc.), che si propongono di fornire al turista indicazioni dettagliate sui luoghi che verranno visitati e sulle attività che verranno svolte. Calvi (2009: 13) li descrive come testi che “adottano la prospettiva di un osservatore in movimento, simulando quindi l’esperienza del viaggio”, sottolineando l’uso del noi partecipativo che permette di coinvolgere l’autore e il lettore.

Nigro (2006) ricorda inoltre il manifesto turistico, il mezzo di promozione turistica più antico, che inizialmente si presentava come una vera e propria opera

4 Nel prossimo capitolo condurremo un’analisi dettagliata del genere delle guide turistiche. Qui si vuole soltanto offrire una panoramica generale sui generi del turismo.

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25 artistica, elegante e dipinta a mano. Oggi possiamo ritrovarlo in vari luoghi, come i mezzi pubblici e i palazzi metropolitani, solitamente composto da una fotografia e da uno slogan, una formula breve che mira ad attirare l’attenzione del destinatario e far memorizzare il messaggio.

Calvi (2009) conclude la sua riflessione sui generi del turismo ricordando altri canali impiegati dal settore pubblicitario, quali spot televisivi e annunci, come l’annuncio di destinazione emesso dagli enti pubblici per promuovere il turismo in una città, in una regione o in un’intera nazione, oltre che al canale orale della comunicazione turistica, sia tra professionisti che col pubblico, che purtroppo manca di studi approfonditi.

Negli ultimi decenni il fenomeno del turismo ha tratto indubbiamente vantaggio anche dalla diffusione di internet e in particolare di blog dedicati ai viaggi e al turismo, oltre che alla diffusione dei social media che, permettendo la condivisione di foto e video in tempo reale, forniscono una monumentale quantità di feedback all’industria del turismo e trasformano il turista stesso nel miglior promotore turistico possibile (cfr. Dann, 1996).

1.4. Tradurre il linguaggio del turismo

In questo capitolo ci siamo soffermati soprattutto sul linguaggio inglese del turismo: questa scelta è motivata dal fatto che il turismo è un fenomeno internazionale, basato sullo spostamento di persone verso nuovi luoghi e nuove culture, spesso mai viste prima, dove le barriere linguistiche sono ormai state quasi del tutto abbattute proprio grazie all’utilizzo dell’inglese come lingua franca (si pensi alla comunicazione tra professionisti del turismo, che è spesso completamente in inglese). Allo stesso tempo, l’attività traduttiva è vista come necessaria per mediare tra le diverse realtà linguistiche e culturali che si incontrano nell’universo del turismo, poiché la traduzione stessa è “a process of negotiation between texts and between cultures, a process during which all kinds of transactions take place mediated by the figure of the translator” (Bassnett cit. in Agorni, 2012: 12).

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26 Nel suo studio sulle prospettive traduttologiche del turismo, Agorni sottolinea che i generi testuali del turismo dovranno essere tradotti col fine di rendere accessibile e promuovere una rappresentazione della destinazione visitata, e i traduttori dovranno concentrarsi su “un adeguamento del messaggio al nuovo contesto linguistico, sociale e culturale” (ibidem). Il tipo di traduzione sarà inoltre molto significativo dal punto di vista pragmatico, poiché mirato a produrre un comportamento concreto, ossia l’acquisto di un servizio, la visita di un luogo, il seguire un determinato itinerario piuttosto che un altro, ecc.

In questo lavoro si è scelto di analizzare dei testi che non solo sono stati scritti in lingua inglese, ma che hanno come argomento l’Italia, e in particolare la Toscana. In questo caso, il processo di mediazione culturale sarà doppio: il

source text in inglese può essere già considerato esso stesso una traduzione degli

aspetti culturali italiani per il pubblico anglofono, e nel momento in cui si sceglie di tradurlo in italiano sarà necessario mediare anche tale rappresentazione, sicuramente stereotipata, per il nuovo pubblico italiano. Sarà quindi inutile, per esempio, riportare in italiano le spiegazioni di termini culinari o le sezioni in cui si spiega l’importanza della pausa caffè nella cultura italiana. Tra gli elementi linguistici sul quale ci focalizzeremo nell’analisi della traduzione ci saranno per esempio i cosiddetti culture-specific item (o culture-specific word), un concetto che affiora in ambito interlinguistico, quando una parola deve essere traposta da una lingua all’altra, evidenziando la distanza culturale data dalla mancanza di un corrispondente nella cultura di arrivo (Nigro, 2006). Nel nostro caso però questi elementi si manifesteranno nei tentativi di traduzione o spiegazione in inglese, di cui valuteremo la riuscita o meno. Dall’analisi dei source text emergerà così un’immagine della cultura italiana per come essa viene vista dall’esterno.

Passeremo ora a esaminare nel dettaglio la struttura dei testi turistici scelti per questo lavoro, composti da due guide turistiche di stampo “classico”, una guida-gioco per bambini e un programma televisivo del quale proporremo una traduzione audiovisiva.

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27

CAPITOLO II - LE GUIDE TURISTICHE

2.1.Il turismo culturale

Il turismo contemporaneo manifesta una sorta di ritorno alla mentalità del Grand

Tour per quanto riguarda l’importanza rivestita dalla cultura durante i nostri

viaggi. Infatti si può parlare di un vero e proprio turismo culturale, nato a causa della scomparsa della divisione tra cultura alta e cultura bassa tipica dell’era post-moderna (MacCannell, 1999; Nigro, 2006), che ha portato alla mercificazione della cultura. La cultura oggi non viene più studiata soltanto come un processo, cioè come l’insieme di manifestazioni culturali attraverso le quali un popolo diventa consapevole di sé, ma anche come un prodotto, ossia il risultato materiale delle attività di individui alle quali sono collegati dei significati. Questi due aspetti complementari sono stati introdotti nel circuito economico e vanno quindi promossi e venduti al pubblico come una vera e propria merce (Nigro, 2006).

La promozione del patrimonio culturale per l’incremento delle entrate economiche è stata favorita in Europa dalle politiche comunitarie della Commissione Europea, che hanno portato alla creazione di un’identità ‘pan-europea’ in cui “the tension between national difference and the pledge to continental unity is thus overcome through the conceptualisation of a Europe that eulogises difference and diversity as its very identity” (Parsons, 2000: 1). La diversità culturale come valore da promuovere si realizza soprattutto nelle grandi città europee, che non a caso la Comunità Europea ha voluto mettere in risalto con il programma Capitale Europea della Cultura, nato nel 1985 con lo scopo di valorizzare annualmente una città e una “cultura di ampio respiro per un pubblico eterogeneo” (ivi: 32). È questa la differenza principale tra turismo culturale e Grand Tour: il viaggio che ha come scopo l’acquisizione di conoscenze culturali non è più considerato un fenomeno elitario, bensì un qualcosa che deve essere il più possibile accessibile a un pubblico molto vario sia per ceto sociale che per fascia di età, al fine di trarne il massimo profitto.

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28 Lo strumento migliore per soddisfare i bisogni del turista culturale è rappresentato dalla guida turistica, un compendio portatile di informazioni pratiche sul luogo visitato ed elenchi di cose da vedere, che diventa una sorta di “dizionario culturale” del quale il turista può avvalersi per orientarsi nel paese straniero. Cronin (2000) afferma infatti che attraverso le guide turistiche avviene una vera e propria traduzione della cultura straniera nella lingua madre del viaggiatore. Tale genere testuale è un fenomeno di grande interesse dal punto di vista linguistico, poiché, come abbiamo già accennato, riceve apporti da diverse discipline come la geografia, la storia dell’arte e la gastronomia, ed è caratterizzato dalla necessità di comprimere tale grande numero di informazioni nel minor spazio possibile.

2.2.Nascita e sviluppo della guida turistica

Ad aprire la strada al genere delle guide turistiche furono diversi generi letterari, come ricordato da Nigro (2006), come i testi storico-geografici, dallo stile impersonale e oggettivo, gli itinerari e i road book, che elencavano in maniera lineare le strade che collegavano i centri abitati. Il genere che però venne preso come esplicito punto di partenza per le odierne guide turistiche fu quello dei

travel book, o travel sketch, degli inizi del Settecento, testi letterari dallo stile

impressionistico e fortemente soggettivo che descrivevano vari aspetti dei luoghi visitati, come il già citato Remarks on Several Parts of Italy del 1705 di Joseph Addison, considerato la prima ‘guida’ moderna per il Grand Tour. Sebbene oggi si tenda a considerare travel book e guide turistiche come due generi nettamente diversi, Buzard (1993) sostiene che all’epoca tale demarcazione non era così evidente: i Grand Tourist utilizzano i travel book come vere e proprie guide, che tuttavia, oltre ad avere come target audience un ceto abbiente e privilegiato, e descrivendo quindi comportamenti a loro consoni, consistevano in “rather hybrid, discursive productions of an individual, rambling from accounts of the author’s own travels to facts and opinions (...) to commentary on the classical texts germane to the tour” (ivi: 67).

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29 I due personaggi ai quali dobbiamo la nascita delle guide moderne sono l’inglese John Murray III (1808-1892) e il tedesco Karl Baedeker (1801-1859). Buzard (1993) cita il saggio di Murray del 1889 in cui, riflettendo sul suo primo viaggio nel continente, nel 1829, sottolineava la mancanza di opere che al tempo potessero essere considerate delle vere e proprie ‘guide’ di viaggio, ricordando come unica eccezione i Travels in Italy (1802) di Mariane Starke, un travel book che viene così descritto: “a work of real utility, because amidst a singular medley of classical lore (...) interwoven with details (...) it contained much practical information gathered on the spot” (Murray cit. in Buzard, 1993: 68). Circa venti anni più tardi la Starke si occupò di ampliare il suo campo di studi pubblicando

Information and Directions for Travellers on the Continent (1828), un’opera che

si avvicina sempre di più alla struttura delle guide odierne, “slim, portable, printed in double columns (...) attempting to ‘comprise in One Portable Volume’ all the information necessary for Travellers on the Continent of Europe” (ivi: 70). Anche lo stile personale dell’autrice si avvicina gradualmente sempre di più a quello della guida turistica contemporanea, presentando le informazioni in maniera oggettiva e strutturando ogni capitolo secondo itinerari predisposti, piuttosto che in base alle esperienze e impressioni personali.

Basandosi su questo tipo di testi, Murray e Baedeker diedero vita a “a wholly new phenomenon in the literature of travel (...) [and] brought an inspired dilligence and throughness to the guidebook” (ivi: 65), standardizzando i loro volumi sia nella struttura interna che nella veste grafica, e rendendoli così immediatamente riconoscibili. Il nuovo genere necessitava anche di una definizione adeguata, come testimonia la parola handbook, coniata dal padre di Murray, Murray II, quando il figlio gli presentò la prima opera di questo genere,

Handbook for Travellers on the Continent (1836). Questo nuovo termine voleva

indicare la distinzione con i precedenti Guidebook, espressione già usata in passato per indicare quei compendi di informazioni e indicazioni pratiche usati per il Grand Tour, mancanti però di una struttura standardizzata. Anche il tedesco Baedeker impiegò il termine Handbücher per le sue guide, contribuendo alla creazione di questo nuovo genere di opere che, come suggerito dal nome, erano di dimensioni ridotte e quindi tascabili, a differenza dei grandi volumi dei

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30

travel book, e che quindi erano “‘ready to hand’, a less quantifiable attribute

connoting accessibility, reliability, and standardization” (Buzard, 1993: 66). Con Murray e Baedeker, contemporanei e quasi rivali, la guida diventò il perfetto compagno di viaggio del turista, poiché forniva informazioni sia pratiche che culturali, per accompagnarlo in ogni singola fase del suo viaggio, informazioni che venivano considerate assolutamente affidabili e credibili grazie all’impressionante lavoro di aggiornamento e raccolta di dati on the spot portati avanti dai due autori (Nigro, 2006). Buzard (1993) ricorda alcuni interventi satirici nei confronti della tanto celebrata infallibilità delle guide Murray, come quello di Charles Lever del 1844, che si chiese cosa sarebbe successo se all’improvviso fosse stata pubblicata un’opera che contraddiceva tutto quello che era riportato nelle guide Murray. Tuttavia, l’innegabile aura di autorità attribuita a queste opere dà luogo a un paradosso: sebbene le guide avessero come fine ultimo quello di rendere il turista indipendente nei suoi viaggi, liberandolo dalla schiera di servi al seguito e dalla mole di volumi di viaggio da portarsi dietro, il mezzo impiegato per raggiungere tale fine consisteva nel guidarlo e assisterlo pedissequamente. Buzard esprime questo concetto in maniera molto efficace (1993: 75):

Murray and Baedeker had invented an imperious and apparently ubiquitous authority small enough to fit in the tourist’s pocket. They preceded the tourist, making the crooked straight and the rough places plain for the tourist’s hesitant footsteps; they accompanied the tourist on the path they had beaten, directing gazes and prompting responses.

A dimostrazione della forma di controllo sociale esercitata dalle guide turistiche, Dann (1996: 84) sottolinea che fu proprio Baedeker a inventare lo star system, il sistema di valutazione a stelle utilizzato per distinguere i monumenti assolutamente da non perdere da quelli “merely notewhorty”. Secondo Dann tale sistema porterebbe i turisti a sentirsi in obbligo di spuntare le attrazioni indicate con le stelle, pena una sensazione di eterna frustrazione per non aver adempiuto ai dettami della guida. Allo stesso tempo, le guide sono a loro volta ‘costrette’ a soddisfare le esigenze del lettore nell’elencare le attrazioni e le esperienze da

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31 non perdere, a causa delle aspettative del turista nei confronti del contenuto e della struttura del testo, in una sorta di influenzamento reciproco creato dall’industria del turismo che sfocia poi nella creazione di “pseudo or inauthentic events” (ivi: 85).

È interessante a tale proposito ricordare anche il passo tratto dalle Letters dello scrittore americano Henry James, citato da Buzard (1993: 222). James, visitando Roma per la prima volta nel 1869, descrive così la città:

(…) so vast, so heavy, so multitudinous that you seem to require all your energy simply to bear up against it. Your foremost feeling is that of your own ignorance (…) at every step you feel that in the line of a sort of sympathetic comprehension you are losing something thro’ your want of knowledge. It’s a place in which you needn’t in the least feel ashamed of a perpetual reference to Murray.

L’autore sente il bisogno di giustificare il suo continuo ricorrere alla guida per dare un senso alla caotica Roma e andare oltre al comportamento superficiale dei tipici turisti, e le sue molte domande troveranno tutte risposta nel volume di Murray, concepito precisamente con lo scopo di risultare essenziale per il viaggiatore. Buzard (1993) osserva che Murray e Baedeker erano riusciti nel loro intento di tradurre i significati culturali nel linguaggio commerciale, poiché acquistando la guida si aveva come l’impressione di acquistare le guide stesse.

In aggiunta al sistema di valutazione delle attrazioni da non perdere, ricordiamo l’altro elemento fondante delle guide, cioè l’indicazione degli itinerari da seguire. Buzard (ivi) rimarca l’illusione di libertà offerta dalle guide di Murray e Baedeker portando come esempi i suggerimenti per la durata delle visite in musei, templi e marcati, e persino su quanti giorni trascorrere nelle singole città. Anche le guide odierne continuano a imporre al turista tali costrizioni non solo spaziali, cioè cosa vedere e dove, ma anche temporali. Nelle efficaci parole di Buzard viene ricordato che i dettami quasi aritmetici sulla quantità di tempo da dedicare a ogni singola attrazione non fanno che contribuire all’aura di autorità della guida turistica, plasmando il turista e facendolo diventare “the consciousness perfectly obedient to institutional directives, the

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32 reader implied by the structures and commands laid down in guidebooks” (ivi: 287).

Dall’epoca di Murray e Baedeker, assieme alla crescita del numero di turisti, anche il numero di pubblicazioni di guide turistiche si è ovviamente moltiplicato a dismisura, e alcune di queste sono arrivate ad acquistare lo stesso prestigio dei loro originari inventori: si pensi per esempio alle guide Lonely Planet, alle Rough

Guides, alle Routard e alle guide del Touring Club Italiano in Italia, tanto per

citare alcune di quelle più vendute e famose. Nel corso del tempo queste opere sono andate incontro a una standardizzazione sempre crescente nella strutturazione dei contenuti e a un ampliamento del corredo di immagini e mappe ai testi. Ogni singola edizione ha sviluppato a modo proprio determinate caratteristiche, rendendosi immediatamente riconoscibile al turista che si reca in libreria prima di un viaggio. Ciò che è rimasto immutato in questo genere testuale è il forte senso di autorevolezza al quale vengono inevitabilmente associate, anche per una questione di necessità: il turista vuole acquistare un testo del quale potersi fidare, che sia aggiornato e completo di tutte le informazioni e che lo aiuterà a raggiungere il suo scopo, cioè a mediare l’incontro con ‘l’altro’, la cultura a lui estranea.

Le guide devono quindi preparare il turista fornendogli una rappresentazione rassicurante della destinazione, assumendo un atteggiamento definibile come materno (Margarito, 2000), volto a proteggere il turista da ogni possibile ostacolo linguistico e culturale e rispondendo ai suoi bisogni prima ancora che questi vengano formulati (con espressioni come “Vi consigliamo…”, “Non perdetevi…”, “Evitate… scegliete piuttosto…”, ecc.). Negli ultimi anni, nelle pubblicazioni sul discorso turistico, gli studiosi si sono interrogati su tale atteggiamento autoritario, mettendo ancora una volta in evidenza la forte componente ideologica di cui già Dann (1996) aveva parlato, e individuando nella perpetrazione di stereotipi una delle conseguenze più importanti del controllo sociale esercitato dall’industria del turismo.

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