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All'interno della rete. Hikikomori. Strategie per comprendere la fuga dalla società

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Academic year: 2021

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Roberta Emanuela Gemma - 895372

Prof. Matteo Ciastellardi - Relatore

Politecnico di Milano

Scuola del Design

Tesi di Laurea Magistrale

Corso Design della Comunicazione

Anno Accademico 2018/2019

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3

ABSTRACT 11 DEDICA BIBLIOGRAFIA NOTE SITOGRAFIA 13 203 195 207 PREMESSA RINGRAZIAMENTI 15 215

INTRODUZIONE SUL TEMA 17

01

INDICE FIGURE 199

2.1 Dalle dipendenze online ai fenomeni di patologizzazione

3.1 La generazione H-ikikomori

3.2 Hikikomori: Dal disagio sociale alla patologia

3.3 Hikikomori e media: I numeri di un fenomeno

LA RETE E I NUOVI FENOMENI DI DISFUNZIONI SOCIALI

IL FENOMENO H

2.2 Racconti e testimonianze di casi connessi all’abuso dei media

3.1.1 Generazioni a confronto

3.2.1 Le molteplici cause e quello che comportano

3.3.1 Numeri riferiti ad internet

2.3 Guida alla rete

3.1.2 Il significato del termine Hikikomori

3.2.2 Patologie associate

3.3.2 Numeri forniti da specialisti che si occupano del fenomeno 3.2.3 Racconti e testimonianze scritte di casi clinici di Hikikomori

24 38 40 44 51 73 23 43

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03

46 55 73 49 61 75 71

INDICE GENERALE

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4

82 86 83 87 85 89 90 118 96 4.1 Diversità tra Italia e Giappone

6.1 La strategia terapeutica

ASPETTI TERAPEUTICI: DAL CONTESTO SOCIALE AI NUOVI MEDIA 117

06

4.7 Ruoli e categorie

6.7 Messa in scena della propria morte a Koyasan 6.8 Autonarrazione della storia personale

138 139 134 130 97 136 131 123 97

4.3 Significato insito nelle parole

6.3 Sorella Maggiore in affitto 4.2 Forti aspettative e vergogna

6.2 Associazioni e Centri di Recupero 4.4 Vita permeata dal Ki

6.4 Art Therapy

4.5 Lo spirito del Bushido

6.5 Music Therapy

4.6 Rapporto simbiotico madre-figlio

6.6 Visita di Counseling

5.1 Sociologia della cultura, processi comunicativi e media

ATTRAVERSO I MEDIA: CANALI PER COMPRENDERE E INFORMARE

5.1.1 Conoscenza condivisa 5.1.2 Ruolo dei nuovi media

95

05

5.2 Il linguaggio del corpo

5.3 Come viene visto e approcciato il fenomeno dai media

5.2.1 Gesti universali che influenzano la comunicazione 5.2.2 Prossemica e difesa del proprio territorio

5.3.2 Cortometraggi 5.3.1 Film 5.3.3 Programmi televisivi 100 104 102 103 110 108 112

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5

142 158 172 184 159 177 186 179 162 166 153 7.1 Casi studio: Come viene trattato e presentato il fenomeno

8.1 Cosa comporta questo tipo di ricerca

9.1 Le Personas

10.1 Come creare empatia nei confronti dei soggetti 8.2 Osservazione partecipante e analisi dei testi

9.2 La User Journey

10.2 Il concept

9.3 I Social Touchpoint

8.3 Sondaggio somministrato a soggetti esterni 8.4 Convegno e Intervista alla Dott. Maria Rita Parsi 7.2 Mappatura e Rete di connessioni

RICERCA E ANALISI: CASI STUDIO

RICERCA ETNOGRAFICA

FRAMEWORK DI ANALISI

LINEE GUIDA PROGETTUALI: INFORMAZIONE E AUTONARRAZIONE

CONCLUSIONI 141 157 171 183 191

07

08

09

10

11

7.1.6 Videogames 152 149 146 161 151 147 162 144 160 7.1.2 Instragram, Stories e Direct

8.1.2 Abitudini e comportamenti 7.1.1 Facebook, Messanger e Gruppi

8.1.1 Cause di questo fenomeno 7.1.3 Youtube

8.1.3 Conseguenze di questa problematica 7.1.4 Anime

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7

La tesi ha scopo informativo e carattere progettuale per portare alla luce un tema di tipo sociale che dal Giappone si è diffuso in tutto il globo, fra cui l’Italia. Dopo diversi mesi passati sulla ricerca e all’analisi intorno a questo argomento l’intento non è stato solamente quello di parlare di Hikikomori e ritirati sociali, ma soprattutto quello di indagare e cercare di spiegare alcune cose date per assodate riguardo a questo singolo fenomeno. A tal proposito, come designer della comunicazione l’obiettivo finale di questa tesi è di offrire uno spunto di riflessione per aiutare a comprendere gli sviluppi interni presenti nella società attuale, in cui internet e i social regnano. A partire da questo assunto, si sono cercate di identificare le differenti modalità di tipo strategico e comunicativo, circa questo disagio sociale, provando a fornire argomentazioni e linee guida per comprendere al meglio la situazione, nel modo più ragionato e imparziale possibile.

Alla base quindi vi è la volontà di influire sul ruolo dei diversi professionisti della comunicazione circa questo e altri disagi sociali. In definitiva, la funzione principale della tesi è di mostrare come il fenomeno Hikikomori sia solo una delle tante facce che si dipanano dietro ad altre molteplici difficoltà presenti nell’era del digitale.

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Dedico questa tesi a chi ha sofferto o soffre ogni giorno della propria vita, a chi ha deciso di combattere e purtroppo a chi ha deciso di darsi per vinto chiudendosi in Hikikomori o compiendo atti ben peggiori. Spero che attraverso questo testo chiunque lo legga possa immedesimarsi e cercare di capire. E, chissà, magari le cose prima o poi cambieranno.

dedica

If at first you don’t succeed, try, try, try again! Never give up!

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Innanzitutto va esplicitato il motivo principale che mi ha spinto a dedicarmi a questo tipo di ricerca che verte verso il sociale. Questa tesi, infatti, nasce dalla volontà di meglio comprendere questo tipo di disagio e malessere, essendo un fenomeno in espansione soprattutto in Italia e avendo appurato che non viene trattato nel modo adeguato all’interno dei Mass Media, sia quelli tradizionali che i nascenti New Media. L’interesse fin dall’inizio è stato quello di capire, servendosi di uno sguardo esterno, non giudicante, cosa spinge le persone a chiudersi in Hikikomori, cercando di ben comprendere quali cause portano a volersi isolare dalla società.

Sfruttando le mie conoscenze maturate in questi 5 anni di studi come Designer della Comunicazione, inizialmente ho studiato questo disagio attraverso diverse letture, tra libri e articoli online (indicati in bibliografia e citati all’interno della mia tesi), poi ho cercato di capire come si realizzassero le comunicazioni tra chi ne soffre, e chi magari vuole dar loro un aiuto; in modo da identificare modalità, strategie e possibilità per comunicare, oltre che informare, riguardo a questo fenomeno.

Ho cercato d’essere il più distaccata possibile, così da comprendere il tutto in modo scientifico e oggettivo, arrivando ad una riflessione personale oltre che di tipo sociologico. A questa breve premessa ovviamente va aggiunto che io non sono mai stata Hikikomori; però, questo mio interesse si è sviluppato diverso tempo fa soprattutto a causa di un brutto periodo della mia vita nella quale trascorrevo le giornate chiusa in casa a studiare, leggere, giocare ai videogiochi e guardare la TV. Volontariamente o involontariamente, anche io mi sono “chiusa” in quel periodo della mia vita; quindi, in questo senso, probabilmente ora mi sento molto vicina a chi ha deciso di isolarsi dalla società reale per vivere in solitudine.

Detto questo, concludo questo preambolo rassicurando che sicuramente la mia riflessione, circa questo disagio sociale, cerca di essere il più ragionata e imparziale possibile; ma al contempo vuole in qualche modo smuovere le coscienze di progettisti e designer per far capire quanto quello che viene prodotto sia digitalmente, che non, può influire sul comportamento e sulle menti soprattutto dei giovani che ne vengono a contatto.

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CAPITOLO 01

INTRODUZIONE

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Attraverso questa tesi si cerca di mettere a disposizione uno strumento di conoscenza affinché persone esterne a questo tipo di problema e disagio sociale possano comprendere la situazione. Si cerca infatti di definire al meglio il tema degli Hikikomori, studiando non solo la parte sociale e di cultura del progetto ma anche la dimensione online, provando a capire quali pratiche comunicative funzionano e quali si possano potenziare per informare e supportare la comprensione del fenomeno.

Bisogna evidenziare quanto questa condizione sia fortemente legata al forte senso di vergogna e fallimento, di chi non riesce a conformarsi alla società oppure sente che questa non sia al passo col suo modo d’essere.

Permane quindi attraverso questa scrittura, la volontà di comprendere, supportare, spiegare e documentare al meglio il fenomeno. Cercando magari di far passare un messaggio che porti a riflettere in modo cosciente su questo disagio sociale, arrivando a provare una sorta di empatia nei confronti di queste persone che decidono di autorecludersi dalla società reale, rimanendo nella propria stanza, isolandosi dal mondo esterno. Dando spazio ai neuroni specchio si potrebbe tentare di “mettersi nei loro panni”. Si tratta infatti per la maggior parte di giovani reclusi che non vogliono rimanere in questa condizione ma vogliono uscirne, solo che non sanno come fare, visto che nel mondo esterno si sentono spaventati e aggrediti. Quando cominciano ad isolarsi, tutti loro sono accomunati da un desiderio di rottura dei rapporti con il mondo esterno. Si tratta maggiormente di figli unici o primogeniti, di ceto sociale medio-alto e appartenenti a famiglie benestanti o normali.

In Giappone, paese che per primo ha visto la nascita e diffusione del fenomeno Hikikomori, ormai sono più di un milione e anche se non malati vengono considerati portatori di una patologia sociale, un qualcosa che dev’essere temuto e allontanato. Questo porta molte famiglie nipponiche a vivere questo tipo di problema come qualcosa di cui non parlare con nessuno e di cui vergognarsi, per tale ragione chiedono aiuto solo se costretti dall’aggravarsi della situazione. Questa condizione è molto comune anche in Italia, dove gli Hikikomori sono tra i 100 e i 120 mila, ma poiché molte famiglie non ne parlano, sia qui che oltre il nostro continente, censire gli autoreclusi non è affatto semplice, così come instaurare un contatto con loro.

La volontà di isolarsi assume un grande valore simbolico, arriva ad essere espressione di molteplici problematiche non risolte che variano dai conflitti ai disagi di tipo sociale, familiare, scolastico, emotivo e psicologico. All’inizio della reclusione, la maggior parte delle persone, non presentano patologie mentali, è solo con il passare del tempo che il fenomeno Hikikomori può degenerare, perché con il prolungarsi di questa condizione il loro isolamento può originare una serie di malattie secondarie, come: fobie, paranoie, disturbi ossessivo-compulsivi, agorafobia, mysophobia, inversione dormiveglia, dipendenza da Internet e dai videogiochi, regressione infantile, violenza domestica, alexithymia, disturbi alimentari, depressione, ecc. (Sono state elencate quelle principali, trattate all’interno della tesi.)

Va sottolineato che si tratta di un argomento interdisciplinare che va a toccare sociologia, biologia, psicologia, biologia, così come produttori e creatori di informazioni. Questa tesi di laurea intende porsi come una indagine multidisciplinare che esplora differenti percorsi di ricerca collegati dal filo comune della consapevolezza, della conoscenza e della coscienza, in particolare:

- Consapevolezza che nonostante la vita sia intimamente personale questa sia interconnessa a quella delle altre e dai fatti che avvengono nel mondo; - Conoscenza delle diversità culturali, genetiche, biologiche e caratteriali che sono state generate da differenti percorsi evolutivi ed esperienze personali; - Coscienza sul fatto che tutti, come esseri umani, possediamo strumenti che ci permettono di sentire e comprendere lo stato delle cose ma anche degli altri, utilizzando l’empatia.

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Capitolo 01 - Introduzione sul tema

15

“[...] la bussola per i comunicatori di ogni genere, non solo di radio e televisioni, segua sempre una direzione: il

rispetto.” (Parsi, 2017, p. 39)

Al fine di presentare al meglio, questo lavoro è stato diviso in ben 12 capitoli (includendo l’introduzione, conclusione e bibliografia congiunta alla sitografia). In questo, che corrisponde al primo capitolo, viene introdotto l’argomento della tesi spiegando brevemente su cosa verterà e lo scopo principale.

Nel secondo capitolo “La rete e i nuovi fenomeni di disfunzioni sociali” si cerca prima di tutto di indagare l’età digitale nella quale viviamo oggi, in cui Internet regna insieme alle tecnologie digitali. Verranno analizzati i motivi che spingono verso il mondo virtuale e identificando i vari pro e contro presenti nel web: dalla dipendenza a internet o ai videogames fino al cyberbullismo o fake news. Dopo questo sguardo generale, ci si soffermerà sul fenomeno Hikikomori, che rimane sicuramente il più difficile da indagare e non coinvolge solo il singolo. Sempre all’interno di questo capitolo sono state inserite delle testimonianze su casi connessi all’abuso di internet e un’ipotetica “Guida alla rete”.

Il terzo capitolo “Il fenomeno H” è stato scomposto in tre parti: nella prima si affronta la differenza tra genitori e figli, a partire dall’analisi delle generazioni della quale fanno parte, per poi passare a fornire una spiegazione riguardo il termine Hikikomori, la sua origine cosa comporta. Nella seconda si approfondisce ulteriormente il fenomeno della reclusione sociale, riportando le molteplici cause che possono portare a volersi isolare dal mondo, verranno trattate alcune patologie associate che possono venire a crearsi dopo un lungo periodo di reclusione o essere preesistenti e verranno riportati racconti e testimonianze provenienti da casi clinici, citati nella letteratura sull’argomento. Nella terza e ultima parte di questo capitolo, sono riportati i dati riferiti all’utilizzo di internet e delle nuove tecnologie ma anche i dati sugli Hikikomori forniti dagli esperti che si occupano del fenomeno.

All’interno del quarto capitolo “Una ricerca a cavallo di due culture” è presente un’attenta analisi delle principali diversità culturali e sociali tra la nazione originaria e quella italiana. Al suo interno sono indagati i sentimenti che accomunano gli Hikikomori, come la vergogna e le forti aspettative ma anche i significati insiti nelle parole, la spiritualità giapponese, il rapporto tra genitori, finendo per analizzare i ruoli e le categorie e come questi influenzano la reclusione sociale.

Il quinto capitolo “Attraverso i media: Canali per comprendere e informare” è diviso in tre parti: nella sezione iniziale vengono fornite delle indicazioni su quello che tratta la sociologia, processi comunicativi e il ruolo del nuovi media; nella seconda parte viene indagato il linguaggio del corpo e come questo possa influenzare l’agire delle persone; nell’ultima vengono analizzati dei casi studio su come viene visto e approcciato esternamente il fenomeno, analizzando come film, cortometraggi e programmi televisivi trattano l’argomento sia in modo positivo che negativo.

Nel sesto capitolo “Aspetti terapeutici: Dal contesto sociale ai nuovi media” inizialmente sono state messe in risalto le varie associazioni ed enti, sia a livello nazionale che internazionale che si occupano del fenomeno, per poi esporre ed analizzare le principali terapie messe in atto da esperti e specialisti.

All’interno del settimo capitolo “Ricerca e analisi: Casi studio” vengono analizzati i principali canali in cui è presente una visione sia esterna che interna del fenomeno. Sono stati quindi ricercati e analizzati quei siti, forum, gruppi facebook e artefatti digitali che, attraverso tentativi di comprensione o autonarrazione, provano a presentare e informare riguardo questo fenomeno. È inoltre presente in modo schematico il sistema con cui le diverse piattaforme si avvicinano al tema e i soggetti che vi si rapportano.

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Nell’ottavo capitolo “Ricerca etnografica” l’obiettivo è stato quello di raccogliere non solo dati quantitativi sfruttando l’osservazione partecipante e un questionario online, ma anche dati qualitativi, andando ad un convegno ed intervistando un’esperta del fenomeno, Maria Rita Parsi. Questi elementi sono stati fondamentali per capire quanto si conoscano i lati positivi e negativi dell’utilizzo delle tecnologie e di internet ma soprattutto ha permesso di venire a conoscenza di quanto sia necessario fornire più informazioni riguardo il tema della reclusione sociale, degli Hikikomori.

All’interno del nono capitolo “Framework di analisi”, a partire dalla ricerca e analisi effettuata nei capitolo precedenti, sono stati individuati dei Cluster, gruppi specifici inerenti la famiglia, insegnanti, amici e Hikikomori. A partire da questi gruppi sono stati creati dei Personas con le loro caratteristiche personali, fasce di età e frase tipica. Per ognuno di questi soggetti è stata realizzata graficamente una mappa della loro giornata tipica e come al suo interno sono presenti delle tappe sia offline che online.

Nel decimo capitolo “Linee guida progettuali: Informazione e Autonarrazione” a partire dal presupposto base di voler comunicare ed essere mediatori di questo grave disagio, è presente una delle possibili soluzioni che cerca di mettere in contatto esterni ed interni al problema.

Segue poi l’undicesimo capitolo “Conclusioni” in cui si tirano le somme della ricerca svolta intorno all’argomento e viene fornito un quadro sintetico dei risultati, senza stare a ripeterli essendo stati approfonditi ampiamente durante tutti i capitoli precedenti. In quest’ultima parte si cerca di fornire un’interpretazione complessiva dei risultati emersi.

Infatti, lo scopo di questa tesi è quello di stimolare riflessioni, spunti di ricerche, confronti transculturali su una sofferenza che non esclude nessuno, di cui tutti sono potenzialmente partecipi. Si tratta di un’esortazione che invita a comprendere che soffrire è una condizione umana che accomuna tutti gli abitanti del mondo e che certi comportamenti non vanno strumentalizzati dai Media ma rispettati e non fraintesi, cercando di evitare di etichettarli e additarli.

L’intento è di far meditare e riflettere chi è esterno al fenomeno, inclusi i progettisti di artefatti e dispositivi tecnologici, che non hanno ricevuto informazioni adeguate su tutti i campi per comprenderlo al meglio. Il tema sociale viene affrontato a scopo informativo e offre una delle tante soluzioni possibili che sono in grado di aiutare a comprendere la situazione dei ragazzi che soffrono e scelgono di ricreare la propria identità sul web, senza doversi confrontare con il mondo reale. Chi si occupa di comunicazione e di progettazione deve iniziare a tenere a mente che quel che realizza può in qualche modo influire sulle dinamiche di apprendimento o crescita, soprattutto se i prodotti realizzati sono rivolti a bambini o ragazzi adolescenti, e quindi iniziare a pensare come sfruttare al meglio le caratteristiche positive presenti nei media che si sfruttano o dei propri prodotti.

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CAPITOLO 02

LA RETE

E I NUOVI FENOMENI

DI DISFUNZIONI SOCIALI

2.1 Dalle dipendenze online ai fenomeni di patologizzazione 2.2 Racconti e testimonianze di casi connessi all’abuso dei media 2.3 Guida alla rete

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Dalle dipendenze online ai fenomeni di patologizzazione

2.1

L’era digitale si è instaurata con naturalezza nelle nostre esistenze piuttosto che come una rivoluzione, intesa come un cambiamento radicale legato alla rottura improvvisa rispetto al passato. Fino a poco tempo fa era impensabile l’immenso e avanzante progresso tecnologico che oggi ci troviamo a vivere e come questo influisca sempre più sui modi di vivere odierni, sia in positivo che in negativo. Qualsiasi supporto digitale incide sui processi mentali e sull’identità di chi ne fa utilizzo: questo perché la comunicazione digitale è pervasiva e opera soprattutto per artefatti multimediali, immagini interattive, che informano in maniera silenziosa e inconsapevole. Anche per questa ragione le conseguenze del progredire dell’era tecnologica si sono manifestate solamente quando i Post-Millennials definiti “nativi digitali”, (i nati tra il 1995 e il 2010) sono diventati adolescenti. Proprio l’adolescenza è una fase della vita in cui si ripercuote sull’individuo tutto quello che è stato vissuto durante l’infanzia.

Se molti genitori da una parte sono compiaciuti per una competenza acquisita così precocemente, altri si preoccupano per il fatto che finché il bambino è assorto nel mondo virtuale quasi non si vede e non si sente, come se non fosse presente. Bisogna quindi riflettere sui motivi che portano ad essere catturati da uno schermo digitale in modo così radicale. Probabilmente l’interattività presente nella realtà multimediale moltiplica gli stimoli a cui rispondere e diventa quindi direttamente proporzionale al potenziale di intrattenimento.

È da sottolineare quanto l’utilizzo di internet sia diventato pervasivo e attrattivo nel corso degli anni: ormai è presente in ogni contesto e risulta difficile farne a meno, principalmente a causa del continuo e inesorabile evolversi della società in cui tutto continua ad andare sempre più veloce. Questo vale anche per i rapporti umani, dove ormai si è abituati a risposte veloci e immediate, così che il tempo ha acquistato un’altra dimensione, sfuggendo totalmente a una programmazione preventivata da parte dell’uomo.

Il web ha mutato completamente le modalità di lavorare e impiegare il tempo libero, che ora si passa sempre più davanti ad uno schermo piuttosto che a svolgere attività all’aperto o relazionarsi con le persone nella vita reale. In tal senso l’informazione non ha più confini netti, bensì ha uno spazio globale, grazie al collegamento creato dalle reti, cosicchè tutte le fonti vengono ridotte a un flusso di dati.

La tecnologia digitale, oggi, s’impone soprattutto grazie alle piattaforme social equipaggiate da applicazioni volte a svolgere diverse attività e dispositivi (smartphone, computer, tablet) che permettono di accedere a Internet e quindi ai Social: con essi si possono creare contenuti o usufruire di quelli degli altri. Se un tempo era la stampa a diffondere conoscenze e i quotidiani erano considerati la fonte principale d’informazione per comprendere ed esplorare la società, poi lo sono diventati i Mass Media1 con la Televisione come strumento

“[...] bisogna cioè comprendere non solo le tecnologie, bensì il ruolo concettuale che queste svolgono [...] perché la tecnologia non è mai solo un mezzo, è anche uno strumento

teorico.” (Falcinelli, 2014, p. 71)

“Ecco perché l’attenzione e talvolta la preoccupazione di genitori, medici ed educatori, si sono rivolte a ragazzi sempre più giovani fino ad arrivare ai bambini, osservati mentre sono assorti di fronte ad uno smartphone, un tablet, un PC, quasi

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2.1 Dalle dipendenze online ai fenomeni di patologizzazione

21

“Il cyberspazio, come la piazza in altri tempi, rappresenta il luogo di intrattenimento di relazioni senza luogo, dettato dal bisogno dell’individuo di condividere e comunicare. La distanza non si evidenzia più come manifestazione di vicinanza o lontananza, ma di connessione o non connessione [...]. Per questo può essere più vicino un amico con cui chattiamo, piuttosto che un familiare nella stanza accanto.”

(Tonioni, 2013, p. 69)

principale e oggi lo fa Internet, il mezzo di comunicazione interattivo, favorito dalla diffusione globale del World Wide Web.

Questa interconnessione mondiale ha reso possibile la creazione di un luogo immateriale che presenta caratteristiche reali ma non concrete, chiamato “cyberspazio”, termine che è stato utilizzato per la prima volta dallo scrittore canadese William Gibson all’interno del suo romanzo fantasy “Neuromancer”2, per

descrivere uno spazio immateriale ma reale, che consiste in una rete globale in grado di connettere ogni pc e ogni persona, i quali si trovano anche in luoghi diversi del mondo ma, grazie a questo nuovo spazio virtuale, sono in grado di muoversi e navigare. Si è quindi venuto a creare un nuovo spazio non fisico di interazione sociale, al cui interno si può fare quasi tutto.

Nel cyberspazio i giovani riescono ad esprimere il proprio sé in uno spazio libero dalla condizione sociale legata all’apparenza, possono muoversi al suo interno senza sentirsi giudicati e liberi da delusioni o fallimenti che si potrebbero presentare nella realtà. I Social Media vengono sostenuti attraverso la partecipazione, arrivando ad assumere un ruolo centrale nelle relazioni in cui comunicare senza utilizzare la tecnologia diventa quasi insopportabile, perché i social media arrivano a costituire parte della vita quotidiana di ogni singola persona. Infatti, nel corso della giornata, per diverse ragioni si entra in contatto con una grande varietà di canali e siti, tramite l’utilizzo di diversi dispositivi. Le motivazioni più comuni che spingono le persone a connettersi sono principalmente queste:

- Stimolo di affinità: i social media consentono la formazione di gruppi o relazioni tra individui che hanno ad esempio interessi comuni, facendo provare una sensazione di appartenenza.

- Stimolo di morbosità: permettono di curiosare la vita degli altri anche a volte in modo morboso.

- Benessere da contatto e stimolo di immediatezza: si arriva a provare un senso di vicinanza psicologica con altre persone, grazie al contatto che avviene in pochi istanti.

- Stimolo altruistico: porta a partecipare per cercare di fare del bene rispondendo a richieste di aiuto attraverso ad esempio donazioni.

- Stimolo di riconoscimento: consiste nel nutrire il proprio ego ottenendo fama o attenzioni (Tuten & Solomon, 2014, pp. 83-84).

La società attuale è dominata da internet, in quanto l’uomo pensa di possedere tutto quello di cui ha bisogno all’interno del mondo digitale e, vedendola in negativo, le persone finiscono per non comunicare più nel mondo reale; quasi come se il contatto col mondo naturale fosse andato perduto e con esso anche la propria identità interiore. In questo senso internet diventa una sorta di protezione dalla propria vita reale poiché non è faticoso ma comodo e facile.

Il mondo virtuale diventa dunque un surrogato della realtà, sostituendo l’esperienza diretta con rapporti non reali. Le nuove tecnologie, soprattutto quando si parla di giovani, diventano parte integrante del corpo e sempre più non si riesce a separarsi da esse. Ciononostante, requisire le nuove tecnologie ai giovani non è la soluzione adatta per contrastare i lati negativi, in quanto questi metodi potrebbero portare a reazioni aggressive e pericolose.

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Il web permette essenzialmente due cose: portare avanti attività specifiche online, che si potrebbero praticare nella realtà, e mantenere attività generalizzate a fine sociale o a scopo finalistico. Le caratteristiche principali del web sono:

- Interattività che permette agli utenti controllo, liberta e partecipazione. - Interconnessione tra diverse persone e su diversi canali.

- Immediatezza nell’ottenere informazioni o ricevere risposte. - Scalabilità, crescita esponenziale del web.

- Pervasivo, tende a diffondersi ovunque.

- Viralità di un contenuto, amplificando la portata ed espandendosi nella rete. - Libertà d’espressione, anche se a discapito di quella altrui.

L’esperienza Hikikomori non è determinata o connessa direttamente al mondo della rete che, insieme allo sviluppo tecnologico, pare non essere la causa scatenante di questa sindrome. Anzi, la reclusione sociale volontaria sembra avere origini indipendenti rispetto all’avvento del digitale e la presenza di internet, del computer e dello smartphone, sembra perfettamente funzionale all’esperienza della segregazione. È facile ipotizzare che la maggior parte degli Hikikomori odierni ne faccia un uso intensivo, almeno per quanto riguarda l’Italia, poiché il web rappresenta una grande opportunità per mantenere relazioni con altre persone. Ne consegue che ci sono due effetti principali del web:

- Un effetto positivo, in quanto Internet permette di continuare a socializzare e preservare le competenze sociali, almeno in parte.

- Un effetto negativo, poiché porta ad isolarsi e stare più tempo sul web rispetto che nella realtà.

Non a caso la stessa esperta, Maria Rita Parsi, parla di “tecnologia della solitudine” poiché questa, senza la sorveglianza della famiglia e dalla scuola, arriva ad influenzare il ragazzo che finisce per non accettare la realtà che lo circonda preferendo quella virtuale. Di fatti, l’accesso alla rete permette tre cose:

1) Fuggire dalla realtà occupando il proprio tempo attraverso le attività presenti al suo interno come quelle ludiche, ad esempio i videogames; 2) Mantenere l’anonimato assumendo anche identità fasulle senza correre il rischio di essere scoperti oppure utilizzando avatar con nomi fittizi;

3) Consentire il dialogo, laddove non ci sarebbe parola alcuna, contattando tramite il web diverse persone anche contemporaneamente.

Attraverso la rete si può sapere tutto e subito, senza dover compiere lo sforzo di ricercare da più fonti. Permette anche di fare tutto e subito: conoscere nuovi amici, giocare e raggiungere virtualmente luoghi lontani. In altre parole, offre uno

“Al punto che, sempre più spesso, a tavola, si mangia col piatto, coltello, forchetta, pietanze e smartphone sulla tovaglia. E non si parla tra genitori e figli né tra fratelli perché tutti sono intenti ad ascoltare e a contemplare sullo screen quel che il mondo virtuale comunica, quasi il telefonino fosse una protesi, il prolungamento delle loro braccia e delle loro mani.”

(Parsi, 2017, p. 19)

“Internet rappresenta un mezzo insostituibile nella nostra vita e molte attività quotidiane, che fino a pochi anni fa richiedevano tempo e spostamenti, oggi possono essere svolte semplicemente da casa con un semplice clic. Possiamo pagare le bollette, organizzare viaggi, leggere i quotidiani e mantenerci in contatto con gli altri senza uscire di casa, a volte guadagnando tempo, a volte perdendolo soltanto.”

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spiraglio per sentirsi integrati dicendo agli altri chi siamo, ciò che valiamo e come vogliamo apparire. Alla base vi è una cultura di tipo narcisistico che costringe ogni individuo a confrontarsi con i propri limiti corporali oggettivi, perché la Rete obbliga a esibire un corpo privo di difetti e perfetto. Ciò non favorisce persone goffe, inadeguate, esteticamente non perfette. Chi è Hikikomori si sente così carente di queste caratteristiche finendo per sentirsi dapprima in colpa, per poi sviluppare un marcato senso di vergogna, sentendosi mancante e incompleto.

Il soggetto che si rifugia in questa sindrome, oltre ad essere fragile, risulta avere anche scarsa autostima e una forte sfiducia in se stesso. Grazia alla rete però riesce a sentirsi riconosciuto, compreso e accettato. Un tempo i luoghi d’incontro preferiti erano cinema, concerti, pub e bar in cui i giovani si sentivano parte dello stesso popolo; oggi invece sempre più film vengono visti a casa da soli e i luoghi d’incontro virtuale sono in continuo aumento. Ormai sempre più azioni vengono effettuate tramite web, comportamenti che un tempo venivano effettuati solo nella realtà uscendo di casa:

- Si acquista, dai cibi fino ai medicinali;

- Si chiede, da una consulenza medica fino a una lavorativa; - Si cerca, dal vestito fino al marito/moglie;

- Si ama e odia, soprattutto quest’ultima, senza mai incontrarsi fisicamente.

Sempre più giovani vivono nel mondo virtuale poiché questo offre una risposta alle angosce umane in primis quella di morire. Infatti l’avatar col quale ci si rapporta nel web è immortale: l’identità virtuale all’interno di Internet non morirà mai. All’interno di un videogame si muore e si rinasce: c’è sempre un’altra possibilità. Lo stesso vale per profili social, che si possono cancellare o creare senza limiti. È come se l’identità virtuale fosse una traccia della propria esistenza che nel tempo non può perdersi. Ogni traccia scritta, fotografica e filmica è indelebile nel mondo virtuale, così che rifugiarsi in esso diventa una modalità regressiva per difendersi dalla consapevolezza d’esser nati e di dover morire, comune a tutti gli esseri umani. Nel caso degli Hikikomori questo si risolve nel rifiuto della vita reale preferendo la “virtualizzazione” agli affetti familiari, scuola, amicizie, amori e fisicità.

Quando si accede a internet, stando davanti ad uno schermo, si ha la sensazione di essere soli e inosservati, ma spesso ci si affaccia a un dominio pubblico in cui tutto viene registrato. Accadono perennemente casi di autolesionismo, cyberbullismo, depressione, disturbi alimentari e suicidi, seppure quest’ultimi sono gli esiti più gravi che possono accadere. Queste influenze negative sono maggiormente aumentate grazie all’esistenza della rete che con la sua libertà permette di poter offendere e denigrare chiunque, pubblicare foto di ogni genere abbattendo la barriera del rispetto altrui. Tutto questo senza timore di venir scoperti perché magari si utilizza un avatar3, un’identità che non è nemmeno la propria.

Fig 2.1 Illustrazione estremizzata della società odierna di un artista anonimo 2.1 Dalle dipendenze online ai fenomeni di patologizzazione

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A prevalere quindi sono comportamenti pericolosi, alcuni dei più diffusi sono: - Hackereraggio, una persona o un gruppo di persone che sfruttano le proprie conoscenze e capacità per esplorare, divertirsi, apprendere, senza creare reali danni o guadagno;

- Stalking, chi perseguita in modo ossessivo arrivando a minacce, pedinamenti, molestie e attenzioni indesiderate;

- Truffatori, persone che sfruttano un’identità non loro per guadagno; - Adescatori, adulti che contattano bambini o ragazzi;

- Gaming disorder4, intensa dipendenza da videogiochi online e offline;

- Fake news, scorrette informazioni riguardo notizie o temi comuni; - Pirateria, attraverso lo scarico di film o musica coperti da diritti d’autore; - Virus informatici, che possono infettare computer o cellulari;

- Cyberbullismo, molestie o maltrattamenti sfruttando la rete;

- Dipendenza tecnologica, eccessivo utilizzo di Internet. (Parsi, 2017, p. 43) Non c’è da stupirsi se il cattivo utilizzo di Internet, soprattutto nei più giovani, comporta una specie di dipendenza cognitiva e psicologica, soprattutto nei più piccoli. Questa patologia non esclude di certo gli Hikikomori che utilizzano la rete, se lo fanno, come unico mezzo comunicativo. Non è escluso che tale dipendenza sia presente prima della reclusione o viceversa. Ecco che una serie tv, anime, videogioco o social finiscono per attrarre il soggetto isolato dalla società perché questi espedienti favoriscono l’immaginazione e la possibilità di assumere identità fittizie. La compulsività agisce nella continuità di atteggiamenti dipendenti, facendo diventare la persona sempre più dissociata rispetto all’ambiente che la circonda e sempre più legato in modo esagerato a comportamenti inconsciamente autolesivi.

Condizioni indispensabili per poter rientrare nella dipendenza da internet sembrano essere riconducibili a quattro elementi:

1) Un uso eccessivo del web, che porta a trascurare i bisogni base e alla perdita del senso del tempo.

2) Il ritiro sociale, collegato a sentimenti forti quali rabbia, tensione o depressione quando non è possibile connettersi alla rete.

3) La tolleranza, la quale inconsciamente porta a trascorrere sempre un numero maggiore di ore navigando pur di ottenere lo stesso livello di benessere.

4) Le ripercussioni negative sulla vita del soggetto, che sono spesso associate a bugie dette, discussioni causate dall’utilizzo di internet, peggioramento scolastico o professionale. (Tonioni, 2013, p. 26)

A dedicarsi in maniera approfondita alla distinzione tra “addiction”5, una vera e

propria dipendenza patologica, e “dependence”, cioè una dipendenza di tipo fisico, è lo psichiatra e docente Federico Tonioni che ha realizzato un’attenta riflessione sull’argomento, anche grazie alla sua esperienza clinica presso il Policlinico Gemelli di Roma, soprattutto all’interno del suo libro “Psicopatologia web-mediata” datato 2013. In generale nelle sue opere, l’esperto psicoterapeuta tenta di chiarire questi concetti a partire dalle sue osservazioni e cura dei fenomeni web-mediati, cioè nati e diffusi a partire dal mondo online.

Internet è ormai presente ovunque nel mondo ed è uno strumento con la quale hanno quasi tutti a che fare, anche i bambini, e può rappresentare un mezzo che facilita lo sviluppo di diverse forme di dipendenza. Infatti, Tonioni accenna ad una doppia funzione della dissociazione, intesa come presa di distanza dalla realtà

“[...] stando a quello che dicono gli psicologi, la realtà virtuale agli occhi di chi fa parte delle nuove generazioni appare spesso come un luogo rassicurante e assume le funzioni di un compagno immaginario, come può accadere ai bambini nei primi anni di vita, un modo per allontanare ansie e paure.”

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a partire dall’attaccamento al mondo virtuale, affermando che può trattarsi di una dissociazione di tipo difensivo oppure strutturale, poiché questa per i nativi digitali diventa un’esperienza emotiva legata ai nuovi meccanismi di connessione che permettono di relazionarsi via internet con altri esseri umani, senza doversi servire del corpo ma solo della virtualità. In tal senso si può parlare di dissociazione funzionale, significativa in età adolescenziale quando ancora si sta cercando di affermare la propria identità, attraverso la ricerca di nuove amicizie, e in questo caso non è ancora patologica, anche se la dipendenza si rafforza con le ore passate connessi. In tal senso è la compulsività nei confronti di quello che porta alla dipendenza e a passare ore connessi a internet: è questa la base che porta alla patologia, al ritiro sociale e al distacco dalla realtà.

Questa condizione non ha influenze solo sul mondo adulto ma soprattutto i ragazzi in età adolescenziale che in esso vedono un mezzo per sostituire il mondo reale che gli richiede una perfezione di cui non si sentono portatori, come essere bravissimi a scuola. Questo avviene anche come scelta non consapevole di sopperire ad un bisogno come quello di essere accettati o far parte di un gruppo di simili. Tre variabili che caratterizzano la rete e favorire l’insorgere della dipendenza sono:

1) L’accessibilità: è disponibile grazie a diverse tecnologie in quasi tutto il globo, 24 ore su 24 e permette di soddisfare molti bisogni in poco tempo. 2) Il controllo: si possono sempre vedere le attività che si svolgono quando si naviga in rete e con quali persone si interagisce.

3) L’eccitazione: numerosi stimoli permettono di usufruire sia di immagini, video e suoni.

Queste possibilità della rete fanno sì che si passi sempre più tempo connessi, utilizzando nuove tecnologie e svolgendo sempre meno attività sociali, sportive e incontri nella realtà. Ci si frequenta più in rete piuttosto che dal vivo, preferendo la chat ad una passeggiata. La dipendenza è quindi una sorta di droga che porta passare ore su internet tra chat e videogames, ed è maggiormente favorita dalle relazioni sociali che i new media permettono di instaurare. L’uso compulsivo del web crea un nuovo tipo di soggetto sociale che è sempre alla ricerca della propria identità digitale, senza la quale risulta insicuro e nevrotico. Infatti, oggi non si può “esistere” senza “esistere in rete”.

Attraverso la chat, che sia all’interno di un social o di un gioco, si può assumere un atteggiamento inconsciamente basato su ideali comportamentali, diventando così il modo più efficace per comunicare con gli altri un’apparenza socialmente accettata rispetto al vero sé. Il telefono diventa quindi una maschera tramite la quale è più semplice comunicare con gli altri, perdendo la capacità di affrontare la vita reale ma solo quella sui social.

2.1 Dalle dipendenze online ai fenomeni di patologizzazione

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Dal punto di vista tecnico, quello che spinge all’ossessione e all’impulsività nell’agire si chiama “craving”6, un termine il cui significato ingloba sia i comportamenti legati all’impulso che quelli legati alla compulsione ed entrambi connessi da un comune senso di perdita di controllo che coinvolge allo stesso modo sia la mente che il corpo, attivandosi inconsapevolmente. Quindi da un lato c’è l’impulso, legato all’istinto, vissuto in maniera inconscia e quindi non ci si oppone ad esso; dall’altro c’è la compulsione, un agire che la persona nota, accompagnato dalla frustrazione e resistenza. Quando si è assuefatti da una determinata sostanza o, in questo caso, da uno strumento quale internet, all’interruzione di un dato impulso o compulsione si manifesta una crisi. Visto che la crisi d’astinenza è uno stato insopportabile in cui si sente la mancanza di una determinata cosa ed è necessaria un’immediata soddisfazione, per poter stare bene, quindi rimanere in questa condizione o avere una ricaduta possono essere degli eventi inevitabili.

Nel caso specifico delle dipendenze patologiche va adoperata una distinzione sintetica tra quella che è “dependence”, cioè dipendenza fisica collegata alla sindrome di astinenza, e “addiction”, cioè assuefazione associata maggiormente alla dipendenza psicologica e al disturbo comportamentale. Ogni dipendenza patologica rappresenta un tentativo di soluzione nei confronti di una profonda angoscia o problematica che ha alla base la naturale tendenza umana a ripetere, anche inconsapevolmente, determinati ritmi organizzati durante la vita.

Spesso infatti ripetere delle azioni porta gratificazione e piacere, finendo quindi per compiere in modo incessante in modo da ricavare lo stesso senso di benessere iniziale. Tonioni stesso ribadisce quanto l’utilizzo cronico di determinate sostanze e la ripetizione di certe attività, possono modificare l’equilibrio cerebrale e la funzione dei neurotrasmettitori7, soprattutto quelli dedicati al piacere. Tra

questi il neuromediatore per eccellenza è la dopamina8, che in effetti è alla base

dell’attivazione e mantenimento del “craving” ed è coinvolta in tutti i momenti di eccitazione che portano alla soddisfazione di un dato bisogno.

Nonostante le diversità tra le persone: differenti dipendenze danno origine a comportamenti e conseguenze simili. Oltre alla crisi d’astinenza, un’altra caratteristica essenziale è la perdita di controllo “loss of control”, o per essere più specifici la compromissione del controllo “impaired control”. Questo succede perché il pensiero e il comportamento sono dominati da ciò che provoca dipendenza e causa cambiamenti di umore, a volte anche bruschi e improvvisi. La persona infatti prova un malessere fisico e psichico, o entrambi, quando tenta di limitare o interrompe il comportamento o utilizzo della sostanza generando così un conflitto tra il soggetto, il proprio intelletto e l’ambiente che lo circonda.

“Il craving, così come la dipendenza e la psicopatologia a essa correlata, risente dell’influenza e dei richiami sia mentali che fisici, e questo è particolarmente evidente nelle manifestazioni cliniche legate all’astinenza. Sarebbe meglio dire che craving nasce dall’astinenza e si configura come

complementare ad essa.” (Tonioni, 2013, p. 10)

“Talvolta una sequenza comportamentale cessa di produrre godimento, ma si mantiene ugualmente per evitare il disagio che deriverebbe dalla sua interruzione. [...] Da un punto di vista motivazionale, l’addiction si colloca tra ricerca del piacere ed evitamento del dolore e consiste nella ripetizione di qualsiasi comportamento che assuma rilevanza psicologica sia nel ridurre stati emotivi percepiti come negativi, sia nell’intensificare stati positivi di percezione di sé e del mondo.”

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Accanto a casi più conosciuti di stati dissociativi e di dipendenza legati al web, si presentano quelli più gravi di ritiro sociale: gli Hikikomori. Tutti questi ragazzi e adolescenti soffrono di derealizzazione e depersonalizzazione, di comportamenti compulsivi e disturbi legati all’identità personale in cui sono cambiati i rapporti con i concetti di spazio, tempo e vari aspetti della realtà. Si può dire che oggi ad essere in crisi è l’identità: è terminata l’epoca in cui era presente unità della coscienza. La rete per un Hikikomori può rappresentare:

- Una gabbia dentro cui è racchiusa la mente di una persona fragile e fobica; - Un rifugio immaginario nel quale difendersi dal mondo reale;

- Un mondo parallelo dove sperimentare e fare esperienza (Spiniello, Piotti, Comazzi, 2015, p. 33).

Il concetto di tempo, assieme a quello di spazio, si sviluppa progressivamente nel bambino a partire dalle percezioni sensoriali. Inizialmente si ha solo la concezione di tempo interno, soggettivo, e solo in seguito si estende il concetto di tempo esterno, oggettivo. Ecco che questa distinzione si viene a creare anche in rete, perché su internet il tempo vissuto è multiforme, può essere percepito in due modi:

1) Tempo consapevole, che ha un andamento lineare ed il corpo è coinvolto nel suo trascorrere. Questo si verifica quando internet viene utilizzato come mezzo per svolgere attività controllate dalla coscienza, logica e forza di volontà. In questo caso ci si accorge del tempo che passa e questo risulta misurabile. Ad esempio quando si cercano informazioni o si lavora.

2) Tempo inconsapevole, che ha un andamento circolare e all’interno del quale la mente è assorta. In questo caso la rete viene impiegata per veicolare emozioni e ciò accade tutte le volte che si svolgono attività che fanno perdere consapevolezza e dissociano dalla realtà, in cui si è assorti quasi completamente e non ci si rende conto del trascorrere del tempo. Questo avviene ad esempio quando si chatta con qualcuno oppure si ascolta una canzone.

Sicuramente la digitalizzazione della realtà ha consentito di svincolare le persone da alcuni limiti, risparmiando così tempo ma al contempo le attività da svolgere si sono implementate. Al tempo quindi preciso e puntuale che organizza il quotidiano nel reale si contrappone quello relativo e in continuo divenire di internet che appare individuale, non valido per tutti allo stesso modo.

Tenendo conto di queste considerazioni, all’interno di questa patologia le variabili “troppo” e “dipendenza” appaiono nella misura in cui la rete diventa la dimensione nel quale il giovane si rispecchia maggiormente. Sicuramente chi trascorre troppo tempo connesso sembra correre un rischio più elevato di diventare dipendente da internet, sintomo quindi distintivo ma non sempre necessario per la diagnosi. Frequenza e durata dell’utilizzo hanno quindi dei

2.1 Dalle dipendenze online ai fenomeni di patologizzazione

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limiti per poter diagnosticare un tale disturbo, considerando per di più che col passare del tempo le persone, giovani in primis, passano sempre più tempo collegati per diversi motivi che vanno oltre il lavoro o stare in contatto con gli altri. Quindi per questo la misura su quanto internet incide su una persona va in base a quanto questa incide sulla vita reale.

Col trascorrere del tempo le relazioni internet-mediate sono destinate a prevalere su quelle dal vivo. Il mondo online da un lato ha moltiplicato la possibilità di comunicare soprattutto tra i giovani ma dall’altro ha complicato le modalità di relazionarsi con le generazioni precedenti, soprattutto quella dei genitori. La differenza non è solo a livello culturale ma soprattutto di tipo comunicativo e di pensare. Sempre più Millennial e Post-Millennial, nati a cavallo tra due periodi anni ‘80-’90 e inizi 2000, trascorrono tutto il loro tempo a disposizione connessi ad internet. Oggi non esser consapevoli di quanto internet sia fondamentale, oltre che causa di dissociazione, può compromettere il ruolo genitoriale ampliando la distanza tra adulti e i propri figli.

L’avvento della pubertà e l’ingresso nell’adolescenza influiscono notevolmente sul giovane, portano con sé un carico di paure e timori segreti, in cui tutto viene messo in discussione. Bisogna mettersi nei panni del giovane che esplora il mondo, non più nella realtà ma nella virtualità perché attraverso di questa riesce a connettersi con altre persone ed espandere le proprie relazioni. È noto come l’adolescenza sia uno spazio di passaggio, normalmente turbolento, che porta a cambiamenti cognitivi, percettivi ed emotivi. Il bambino deve crescere e affrontare le sfide che lo porteranno a diventare un uomo virile, talentuoso e brillante che tutti si sono sempre immaginati diventasse. Le aspettative sono alte, accompagnate da ansie di fallire e rovinare il sogno di ottenere successi imposto a volte inconsciamente dalle figure genitoriali. Alcuni ragazzi si trovano improvvisamente a governare un corpo potente e vigoroso, in grado di intimorire i coetanei maschi o affascinare le ragazze. Altri, rispetto a questi crescono lentamente o in maniera poco armonica e in questo caso il corpo non segue le aspettative e si trasforma in modo imprevisto, facendoli sentire gracili e deboli nei confronti degli altri compagni di classi più mascolini. Il giovane adolescente arriva a trasformare la sofferenza del corpo non accettato in rabbia e vivere le relazioni sociali come problematiche.

Temendo d’essere giudicati in pubblico o dai coetanei in modo negativo approdano nel mondo virtuale e li si creano una maschera creando un avatar per

“[...] una dipendenza diventa patologica quando la natura del vincolo che lega una persona a una sostanza o a un comportamento ha i caratteri della compulsività. [...] Ciò a conferma che non è il tipo di comportamento, la sua frequenza o l’accettabilità sociale a determinare se un tipo di condotta sia quantificabile come addiction, ma è come questo modello si riferisce e influisce

sulla vita dell’individuo.” (Tonioni, 2013, p. 8)

“L’adolescente si difende dalla bruttezza attaccando il corpo in vari modi: ferendolo e cercando addirittura, in taluni casi, di farlo morire come accade ai ragazzi suicidali, affamandolo e privandolo di ogni piacere attraverso digiuni feroci che caratterizzano i disturbi alimentari, oppure nascondendolo dallo sguardo del mondo, rinchiudendosi nel bozzolo delle mura domestiche come scelgono di fare i ragazzi ritirati sociali.”

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2.1 Dalle dipendenze online ai fenomeni di patologizzazione

navigare in rete oppure giocare ai videogames. Il corpo fisico viene così sottratto da sguardi indesiderati e il ragazzo può preservare la propria autostima. Non riuscendo ad esporsi al mondo con le sue situazioni, finendo così per alimentare una dipendenza incondizionata verso il web. In questo caso la tecnologia prende il sopravvento e senza controllo da parte di persone adulte, genitori o insegnanti. Bisogna offrire guide autorevoli e modelli di riferimento per non trasformare il mondo virtuale in una via di fuga e assuefazione. Risulta sempre più necessario fornire strumenti efficaci di intervento per contenere abusi e dipendenze, poiché sempre più persone, soprattutto ragazzini, ricorrono al web, ad un click, per esprimere se stessi che siano emozioni o sentimenti o eventi personali. Cosa che invece nel mondo reale risulta faticoso, mentre in Internet è tutto più facile. Educatori e addetti alla comunicazione devono assumersi l’impegno di regolare l’uso di internet. Doveri che spettano prima di tutto ai familiari, ai genitori che mettono in mano ai loro figli fin dalla tenera età strumenti tecnologici che permettono di connettersi alla rete. A loro spetta il compito di insegnare l’uso moderato e corretto di internet, svelando anche i lati negativi. Difatti incide molto la relazione genitori-figli con la dipendenza dai new-media, sfortunatamente tutti sia adolescenti, che insegnanti e genitori sono impratarti nel saperli gestire. Va analizzato lo schema della società e le strutture che al suo interno possono prestare attenzione all’accesso sul web, soprattutto dei più giovani, perché assieme al contesto familiare anche le istituzioni scolastiche possono indirizzare verso siti protetti che non si occupano solo di svago ma di formazione e cultura.

Un’altra area attrattiva presente nei Social è quella dell’intrattenimento, il cui canale prediletto oltre musica e arte sono i videogiochi. L’avvento del digitale non ha solo cambiato la cultura, il modo di comunicare e apprendere ma anche il modo di giocare. Le tecnologie digitali hanno permesso di adoperare nella quotidianità elementi di tipo ludico o videoludico. Ci sono persone che li adoperano occasionalmente oppure, alla peggio, ci sono gli accaniti che scelgono giochi che richiedono sessioni più lunghe e che sono altamente immersivi. In quest’ultimo caso succede di fatti che le persone finiscano per sviluppare un forte problema di “addiction” che li porta al gaming disorder, perché i soggetti arrivano a passare intere giornate davanti allo schermo di un monitor tralasciando completamente quella che è la vita reale. Non bisogna però generalizzare e considerare tali attività videoludiche come dannose anzi possono essere uno stimolo sia per i bambini che per gli adulti.

Il gioco non è un passatempo esclusivo dei più giovani ma è presente in tutto l’arco della vita di un uomo. Mentre si svolge questo tipo di attività le tensioni quotidiane vengono canalizzate in una che coinvolge in maniera totalitaria mente e corpo. Se i giochi hanno da sempre accompagnato l’essere umano, i videogiochi nati recentemente nel corso degli anni hanno avuto una

“[...] l’uomo è l’unico animale che nasce senza un istinto [...] la cultura è la natura dell’uomo, che viene al mondo senza abilità specifiche ma pronto plasticamente

a essere educato e a educare.” (Falcinelli, 2011, p. 57)

“[...] uno studio dell’Oxford University a stabilire che un’ora al giorno di videogioco sarebbe positiva per i ragazzini dai 10 ai 15 anni e sulla stessa linea d’onda si è trovata l’università Radboud dei Pesi Bassi che in una ricerca pur ammettendo l’esistenza di possibili effetti negativi come la dipendenza ha stabilito che i videogame [...] possono favorire l’apprendimento

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evoluzione molto rapida e oggi siamo abituati ad utilizzarli quotidianamente grazie agli smartphone.

Secondo Johan Huizinga9 la stessa attività ludica è importante fin dallo

sviluppo delle prime società umane poiché da sempre il gioco ha accompagnato ogni cultura e ne è la manifestazione essenziale. Un gioco popolare può fornire indicazioni riguardo le sue caratteristiche intellettuali o morali di una determinata società, oltre che contribuire a descrivere gli elementi peculiari di coloro che in esso si dedicano. Si possono quindi comprendere determinati fenomeni sociali partendo da esso. Ogni gioco è soprattutto un’attività libera, senza conseguenze reali, separata nel tempo e da un luogo: si gioca solo quando e per il tempo che si vuole. Risulta così fondamentale nel bambino per la sua autoaffermazione e formazione. Fa parte del suo istinto come in quello degli animali appena nati, perché attraverso il gioco, divertendosi, si sperimenta e si affinano le proprie facoltà. Giocare aiuta a far fronte alle difficoltà e superare eventi inizialmente difficili o stressanti. In generale va sottolineato quanto l’effetto educativo dipenda dagli ambiti in cui questo è coinvolto.

Ovviamente in questo caso la parola “gioco” non indica solo un’attività specifica ma è collegata a una totalità di figure, simboli, strumenti atti al suo funzionamento. Può quindi indicare diversi tipologie ma anche il giocare stesso. Questo come attività quindi viene descritto secondo le seguenti caratteristiche:

1) È libera, cui si prende parte di spontanea volontà; 2) È separata dalla realtà di tutti i giorni;

3) È incerta, il cui svolgimento e risultato rimangono fino alla fine nascosti; 4) È improduttiva perché non produce beni o ricchezze;

5) È regolata da convenzioni, tacite o esplicite, rispettate da ogni giocatore; 6) È fittizia, parallela alla realtà di tutti i giorni.

Quando si gioca ci si immerge in un “cerchio magico”, definizione utilizzata da Huizinga nel 198 per definire lo spazio di gioco come un luogo separato, protetto, in cui perseguire obiettivi e regole differenti da quelli ordinari ma che permettono di sperimentare senza paura fallimento e gioia di fare senza perdere nulla. Si tratta di uno spazio delimitato che permette di vivere un’esperienza creativa rimanendo però in comunicazione con il mondo reale.

A specificare meglio le diverse tipologie di gioco è Roger Caillois10 a seconda

se queste siano più connesse a una delle quattro categorie da lui individuate: 1) Agon, competizione, in cui due antagonisti si sfidano artificialmente a parità di probabilità.

2) Alea, casualità, è assente la decisione del giocatore mentre è fondamentale quella del destino.

3) Mimicry, imitazione, chi gioca acquisisce una nuova identità e crede, oltre a far credere, d’essere qualcun’altro.

4) Ilinx, vertigine, una sorta di turbamento che provoca in chi gioca un sentimento di assorbimento quasi totale nell’attività fino al proprio annullamento volontario.

“Considerato per la forma si può [...] chiamare il gioco un’azione libera, conscia di non essere presa “sul serio” e situata al di fuori della vita consueta, che nondimeno può impossessarsi totalmente del giocatore; azione a cui in sé non è congiunto un interesse materiale, da cui non proviene vantaggio, che si compie entro un tempo e uno spazio definiti di proposito, che si svolge con ordine secondo date regole, e suscita rapporti sociali che facilmente si circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal mondo solito.”

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“[...] all’origine del gioco c’è una libertà prima, originaria, che è esigenza di distensione e insieme distrazione e fantasia. Questa libertà è il motore indispensabile del gioco e rimane all’origine delle sue forme più complesse e più rigorosamente organizzate. Una simile potenza primaria di improvvisazione e spensieratezza, che chiamo paidia, si incontra con il gusto della difficoltà gratuita, che propongo di chiamare ludus, per fare origine ai vari giochi cui si può attribuire senza esagerazione una funzione civilizzatrice. Essi illustrano, infatti, i valori morali e intellettuali di una cultura. E contribuiscono inoltre

a puntualizzare e svilupparli.” (Ibidem, p. 34)

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2.1 Dalle dipendenze online ai fenomeni di patologizzazione

Queste suddivisioni vengono riordinate secondo due poli estremi:

- Paidia, caos, che descrive un principio comune di divertimento e libera spensieratezza, di natura quindi anarchica e capricciosa;

- Ludus, ordine, che sottintende un esuberanza disciplinata e organizzata seppur spontanea.

Grazie allo sviluppo della rete, oggi esistono differenti piattaforme di gioco, dalle console, ai computer fino ai dispositivi portatili (smartphone o tablet). Così come il gioco reale può plasmare la mente di una persona anche il videogioco può influenzare chi gioca fornendo nuovi strumenti di comprensione e per affrontare ciò che avviene al di fuori di esso, stimolando fantasia e creatività. Sono presenti diverse modalità di gioco: single player o multiplayer; a vicinanza fisica o virtuale; in tempo reale o a turni; offline, da solo con ad esempio l’AI del gioco, e online, ad esempio combattendo in gruppo battaglie epiche. Esistono generi differenti che si riferiscono al metodo di gioco e i principali sono:

- Giochi di simulazione, che cercano di rappresentare eventi o contesti riferiti al mondo reale. Si tratta quindi di vere e proprie simulazioni di attività, eventi o dinamiche presenti nella vita reale ma presentate sotto la forma di un videogioco. Ne fanno parte i racing game, che riproducono gare su veicoli da corsa, e gli sports game, che permettono di giocare partite reali a diverse varianti di sport.

- Giochi d’azione detti anche FPS (First-Person Shooters), in cui il giocatore è attivo in prima persona e vede dalla prospettiva del proprio avatar. Chi gioca sceglie una serie di azioni rapide e continue che verranno eseguite in contemporanea dal suo alter ego nel mondo virtuale. Il personaggio è guidato dal giocatore nel compiere movimenti come saltare o correre. Le abilità richieste al giocatore sono prettamente connesse all’abilità e alla prontezza di muovere i comandi o joystick di gioco. L’avatar si muove in ambienti costituiti spesso su più livelli in cui sono presenti ostacoli e nemici da affrontare. Gli avversari possono essere sconfitti a colpi d’arma da fuoco (“shooter”, sparatutto), in combattimenti ravvicinati con armi quali coltelli (“hack and slash”, tagliare e squarciare) oppure in combattimenti corpo a corpo (“beat ‘em up”, picchiaduro).

- Giochi di ruolo, conosciuti anche come RPG (Role-Playing Game), dove il

“Tutte e quattro appartengono a pieno titolo al campo dei giochi: si gioca a calcio, a biglie o a scacchi (agon), si gioca alla roulette o alla lotteria (alea), si gioca ai pirati o si recita la parte di Nerone o Amleto (mimicry), ci si diverte, si gioca, a provocare in noi, con un movimento accellerato di rotazione o caduta, uno stato organico di perdita della

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giocatore riveste i panni di un personaggio specifico e deve portare a termine una data missione. In tal senso i giochi di ruolo non sono altro che la versione virtuale dei giochi da tavolo. Esiste anche la versione online che prende il nome di MMORPG (Massive Multiplayer Online Role-Playing Game) in cui il gioco si svolge all’interno di un contesto cui sono presenti, attraverso i loro avatar, persone differenti e provenienti da tutto il mondo. Chi gioca assume l’identità del personaggio e si muove all’interno dell’ambiente virtuale per concludere compiti e raccogliere punti, per aumentare le proprie potenzialità, così da raggiungere l’obiettivo; per farlo bisogna spesso collaborare con gli altri personaggi. Sono caratterizzati dall’esplorazione e centrati sulla narrazione. Il giocatore guida il proprio personaggio a interagire con l’ambiente cui si trova per la risoluzione di enigmi o raggiungimento dei più disparati obiettivi di gioco. Un altro sottogenere è il survival horror, dove bisogna mettersi in salvo da situazioni pericolose e spaventose risolvendo enigmi o raggiungendo determinati scopi.

- Giochi di strategia, nella quale sono richieste attenzione ed esperienza per saper valutare in modo ottimale le variabili, così come avviene con i giochi rompicapo, che necessitano di sforzi mentali per giungere alla soluzione finale. Le sessioni possono essere a turni o in tempo reale. In questi giochi il giocatore si trova alla guida di interi gruppi di personaggi, città, popolazioni e eserciti in varie situazioni sia di guerra che di pace. Un esempio sono i giochi gestionali, in cui si governano un’azienda o una civiltà, oppure i god-game in cui si riveste il ruolo di Dio o di un’entità dai poteri divini. Spesso ambientati in mondi fantasy, in questa tipologia di gioco si controllano direttamente i sottoposti o si influenzano il mondo e sottoposti attraverso disastri naturali o miracoli (Tuten & Solomon, 2014, p. 179).

La scelta di un determinato gioco o avatar possono dire molto di quella persona. Inoltre, per le nuove generazioni i videogiochi rappresentano uno spazio che si sostituisce a quello dei luoghi di socializzazione e incontro tradizionali come strade e piazze. Senza l’intrusione di persone adulte che possono rovinare il gioco. Altri effetti negativi presenti sono inerenti alla diffusione di Fake News, notizie false e per nulla attendibili, pubblicate con lo scopo di trarne guadagno economico attraverso le visualizzazioni ricevute. Ne è un esempio la “Blue Whale”, iniziata come informazione finta e quindi non reale, ma che pur essendo di fantasia ha finito per causare vere vittime che l’hanno presa per corretta e reale, in un certo senso lo è diventata quando hanno iniziato a comportarsi e attuare quello che essa raccontava.

Nel dettaglio si tratta di un gioco virtuale, apparentemente ideato da Philipp Budeikin, ragazzo di circa vent’anni russo, che da leggenda metropolitana si è rivelata per molti adolescenti una istigazione tragica al suicidio. Il meccanismo perverso di questo gioco è stato ricostruito dalla polizia postale russa: tutto parte da un invito ad affrontare 50 prove, una ogni giorno, che consistono ad esempio nel guardare film horror in piena notte fino al mattino; incidere sulla pelle con un coltello il disegno di una balena blu (da qui deriva il nome “Blue Whale”); farsi degli autoscatti mentre si compiono azioni molto pericolose; finendo con l’ultimo scatto che ritrae il proprio suicidio. Gli slogan più diffusi legati a questa sfida virale sono due “Questo mondo non è per noi” oppure “Siamo figli di una generazione morta”,

“Dove la Blue Whale addirittura riescono a dirmi che è falsa, non è mai esistita. La tv distorce o riesce a pilotare anche notizie di cui non si dovrebbe parlare, a quanto pare, e alcuni coetanei abboccano a occhi chiusi, e questa era notizia degna d’esser discussa, analizzata, e bloccata possibilmente.”

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2.1 Dalle dipendenze online ai fenomeni di patologizzazione

quasi a sottintendere che sotto al suicidio finale si celi un atto di rivolta finale nei confronti di una società che non si sente propria.

Oltre alle Fake News, esistono le E-Bulling cioè messaggi calunniosi diretti a una determinata persona, contenuti osceni e offensivi che in contesti reali le persone si guarderebbero bene dal proferire o addirittura pensare. Infatti, Internet avvantaggia anche l’espansione di atteggiamenti negativi come il bullismo che in questo caso, essendo attuato nel web, prende il nome di Cyberbullismo. Le offese, i maltrattamenti, le prese in giro avvengono via online e in tempo reale appena la vittima si connette. Spesso risalire al molestatore, che utilizza un nickname, non è semplice. Fatto rimane che nel web si può dire ciò che si vuole e quindi si può anche subire critiche e offendere le altre persone: appare infatti chee potenzialità dei new media facciano sentire le persone potenti e invincibili.

In generale, il comportamento legato al ritiro sociale ha una spiegazione che si colloca sia nel contesto della cultura che della società, non più solo quella giapponese ma è diventato un problema che interroga il nostro mondo e il suo interagire con esso. A evidenziare quanto il sintomo dice molto della persona e fornisce indicazioni sulla terapia è lo stesso Gregory Bateson, scienziato che ha rivoluzionato il pensiero della Scuola di Palo Alto11 e che fra le altre cose ha introdotto il concetto di “prescrizione del sintomo”, che consiste praticamente nel prendere coscienza del sintomo e cercare in qualche modo di far prendere consapevolezza della situazione al soggetto. È un intervento paradossale che contrariamente alle terapie tradizionali, si colloca nell’ambito nella psicoterapia strategica e viene utilizzato generalmente nelle terapie brevi; consiste nel far mettere in atto al paziente il comportamento sintomatico di cui si vuole liberare, amplificandolo enormemente in modo che non lo faccia più . Si tratta di rendergli il sintomo insopportabile. Tuttavia, non sempre questo tipo di terapia è auspicabile e fattibile, in quanto è necessario in ogni caso contattare un esperto prima di far qualcosa che possa danneggiare la persona non tanto nel corpo ma nella psiche.

Come è stato detto per quanto riguarda la dipendenza dal mondo virtuale, sicuramente risulta indispensabile un’educazione non solo degli adolescenti ma anche dei genitori. Non bisogna assolutamente considerare il web come

“[...] mi ha anche dato gli “hashtag” del Blue whale e mi ha detto che glieli aveva passati quella sua compagna che già aveva provato a giocarci. [...] Da allora, l’idea di suicidarmi non mi è più dispiaciuta. Anzi, l’ho considerata un atto di coraggio così grande del quale nessuno che rimanga vivo può ignorare la potenza. [...] Allora, ho cominciato a fare la prima delle 50 prove che bisogna superare per arrivare alla fine. Di notte, mi sono svegliata e dalle 4 ho guardato i film dell’orrore fino alle 7 del mattino. Dopo, non ho più dormito bene e provavo molta paura. Anzi, angoscia. Ce l’ho fatta però! E anche tagliarmi sulle braccia. E anche farmi un selfie in bilico sul cornicione di casa mia che è al quinto piano.”

(Ibidem, pp. 178-179)

“Per tale motivo, questo tipo di espressione di disagio della nostra civiltà, qual è la pratica dell’Hikikomori, così come molti altri di pertinenza dell’età giovanile richiede un certo

Figura

Fig 2.2 Frame dal video della canzone “Are You Lost In The World Like Me” di Moby
Fig 3.1 Frame dal video animato “The Social Media Generation” di Marc Maron
Fig 3.7 Schema che riporta comportamenti ed emozioni che accomunano gli Hikikomori
Fig 3.1 Frame dal video animato “The Social Media Generation” di Marc Maron
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