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Si cerca di farlo avvicinare al contesto scolastico con l’aiutato di insegnanti, presidi e coordinatori scolastici Occorre sensibilizzare ed informare il corpo

ASPETTI TERAPEUTICI: DAL CONTESTO SOCIALE

5) Si cerca di farlo avvicinare al contesto scolastico con l’aiutato di insegnanti, presidi e coordinatori scolastici Occorre sensibilizzare ed informare il corpo

docente per far sì che si attivino strategie alternative e soluzioni differenti a seconda del soggetto e gravità della situazione (Spiniello, Piotti, Comazzi, 2015, pp. 156-157).

In generale è necessario stabilire prima un contatto col contesto familiare poi con quello scolastico. Non dimenticando che se il ragazzo non va al consultorio le tecnologie digitali possono rivelarsi utili per contattarlo. Diventano rilevanti le modalità con cui ci si avvicina al soggetto recluso. Per tale ragione occorre inizialmente identificarsi empaticamente col ragazzo, così che sia lui in modo spontaneo a raccontare le ragioni che l’hanno spinto a isolarsi e di cosa soffre. Durante gli incontri è frequente condividere esperienze concrete e varie attività come lo studio, la musica e il computer che diventano uno spazio di condivisione.

Torna utile spesso sfruttare anche la creatività per dar sfogo a quello che sentono dentro di loro e che con le parole non riescono ad esprimere. Infatti, può risultare fondamentale come mezzo per raccontare la propria storia personale e, non a caso, spesso viene inserita nei centri all’interno di Laboratori appositi che hanno lo scopo di risvegliarla e indirizzarla. Si possono trattare di attività individuali o svolte all’interno di un piccolo gruppo.

Si tratta di attività protette ed esperienze tollerabili, svolte all’interno di un contesto strutturato e affiancate da personale competente. La conduzione è affidata da esperti così che l’ambiente risulti adatto ad accogliere soggetti in difficoltà. Di estrema importanza è sfruttare la creatività e capacità immaginativa per riattivare i processi riflessivi ed esplorativi, fondamentali per poter crescere a livello interiore ed esteriore. Per questa ragione i laboratori o attività creative sono presentati alla famiglia e ai figli come interessanti, piacevoli e tollerabili. I laboratori diventano così dei dispositivi che ampliano e affiancano il percorso psicoterapeutico: luoghi in cui sperimentare attraverso diverse attività creative tra cinema, fotografia, musica, disegno o scrittura. Scrivere una storia, cantare una canzone o disegnare permettono di sviluppare nuove capacità creative ed espressive. Aiutando chi si è recluso ad acquistare sicurezza in se stesso, mettendosi alla prova e imparando a gestire nuove attività.

Alcune testimonianze di ex Hikikomori rivelano quanto il primo passo di consultare un terapista sia fondamentale, non solo per riuscire ad aprire la porta ma anche solo per arrivare ad uno spazio di condivisione che permette di

“Mi fermo un po’ sull’uscio della cameretta e osservo, poi piano piano mi avvicino e inizio a parlargli presentandomi, chiarendo perché mi trovassi lì. Alla fine arrivo al suo fianco e guardo con estrema curiosità che cosa ha rapito la sua attenzione quasi ipnotizzandolo. é una battaglia all’ultimo sangue con mostri e zombie [...]. Gli chiedo di cosa si tratti e lui inizia a spiegarmi, fin nel minimo dettaglio, le caratteristiche dei giochi cui è appassionato. [...] lui stesso appare sorpreso di quante parole abbia detto e mi chiede con una certa urgenza quando ci saremmo rivisti rivelando la riuscita del nostro incontro e il desiderio di proseguire

questi discorsi.” (Spiniello, Piotti, Comazzi, 2015, p. 180)

“L’arte è un fatto mentale, legato alla conoscenza delle cose e a quella dei mezzi di comunicazione visiva. Le cose sono la realtà nella quale tutti vivono, i mezzi gli strumenti per rendere visibile ciò che il cervello riceve dagli stimoli esterni. [...] L’arte è un fatto mentale la cui realizzazione fisica può essere affidata a qualunque mezzo.” (Munari, 2018, p. 70)

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raccontare la propria vicenda, senza sentirsi giudicati. In questo contesto infatti non ci si sente aggrediti ma accettati.

Succede spesso nei casi di ex-Hikikomori che questi, una volta usciti, intraprendano un viaggio in una terra straniera anche magari senza conoscere bene la lingua del paese o l’inglese.

Accade che con uno zaino in spalla e non necessariamente con una meta precisa partano, da soli e senza dare notizie ma quando tornano solitamente sono pronti anche al rientro nella società, poiché hanno chiaro in mente cosa vogliono fare e chi sono. Quasi ad intendere la vita come un viaggio straordinario da intraprendere ogni giorno.

In italia sono ancora pochi i centri che si occupano di Hikikomori, però non mancano gli istituti che, occupandosi di vari disagi e patologie, cercano di aiutare chi si trova in questa situazione. Esistono, infatti, per quanto riguarda l’approccio clinico psicologico e pedagogico, vari esempi distribuiti sul territorio italiano di associazioni ed enti che cercano di aiutare i soggetti bisognosi di cure particolari, legate alla dipendenze del web e non solo.

Va evidenziato, come è emerso nei capitoli precedenti, che quella del ritiro sociale è una problematica legata maggiormente all’età adolescenziale, maggiormente maschi figli unici, che smettono di frequentare contesti in cui sono presenti coetanei, primo fra tutti l’ambiente scolastico, e finiscono per chiudersi all’interno della propria stanza. Si tratta di ragazzi timidi, pieni di vergogne e paure segrete che vogliono essere lasciati in pace dicendo di stare bene.

Sono molti gli esperti che cercano di comprendere la natura del ritiro e spesso lo fanno nei modi più singolari come: bussare alle loro porte; mandargli messaggi; studiando le loro vite sui social e attraverso i racconti dei loro genitori.

Fortunatamente in Giappone dove il fenomeno è molto più diffuso, esteso e radicato, grazie a diverse sovvenzioni del Ministero della Salute, Sanità e Lavoro ci sono diversi centri di supporto NPO (Non-Profit Organization). Questi spazi sono suddivisi in “free space” e utilizzati anche come zone adibite all’insegnamento.

Questi centri assieme ad associazioni private organizzano momenti di incontro, coordinati da medici e terapeuti, tra diverse famiglie che condividono la medesima situazione. Grazie a queste organizzazioni il ragazzo e la famiglia possono mantenere vive le speranze per un futuro fuori dalla reclusione.

La maggior parte di queste associazioni sono gestite da ex Hikikomori che accettano ogni soggetto, comprendendo i momenti di crisi e di vergogna.

6.2 Associazioni e Centri di Recupero

“[...] l’allontanarsi dal luogo di sofferenza, dove si è stati soggiogati da solitudine e pessimismo sottintende un primo passo verso un atto di rinascita e il calpestare nuova terra rappresenta un rito non solo simbolico ma perpetrato ogni giorno, un inno verso la propria persona e verso il mondo che

è pronto a mostrarsi.” (Ricci, 2009, p. 119)

“In Italia, questa problematica è emersa soprattutto negli ultimi anni, meritando un’attenzione specifica e una profonda

riflessione.” (Sagliocco, 2011, p.92)

Al loro interno praticano la “slow communication”, cercando di abituare lentamente alle attività sociali senza creare stati di panico o ansia.

Tra le strutture che si occupano della riabilitazione è presente anche New Start, un ente senza scopo di lucro fondato nel 2003 da Noki Futagami. Questa favorisce il reinserimento sociale senza servirsi di un approccio di tipo clinico, sono presenti solamente delle sorelle maggiori in affitto. All’interno di questa associazione per gli Hikikomori è possibile pernottare, così da poter frequentare altri individui che presentano pressoché le stesse problematiche. Infatti, sono presenti un dormitorio, una caffetteria e un centro di informazioni che si occupa della ricerca di lavori per le persone che vogliono provare a reinserirsi in società. Spesso succede che alcuni ex Hikikomori trovino un lavoro anche presso l’associazione stessa, riducendo così l’esposizione al giudizio altrui, poiché hanno a che fare con persone che presentano o hanno avuto problematiche simili alle loro. Il limite presente in questo tipo di enti però è l’assenza di medici ed esperti specializzati.

Esistono anche delle scuole private alternative chiamate FSW, Free space Wood, che prevedono un programma di riabilitazione da hikikomori e ben accettano ragazzi che tentano di oltrepassare il confine tra il resto del mondo e la loro stanza. Solitamente è la madre che contatta il Centro. Inizialmente chi entra vuole rimanere isolato e non comunicare con nessuno ma lentamente può accadere che inizi a scambiare qualche parola, finendo con l’esprimere il desiderio di partecipare a qualche attività sportiva. Succede a un certo punto che gli stessi frequentatori della struttura arrivino a gestire i pranzi, cucinando e mettendo piatti in tavola e formando gruppi che si riuniscono per raccontare la loro storia, condividendola e ridendo delle proprie fragilità. Se il percorso procede positivamente, il passo successivo consiste nell’intraprendere lavori part-time. All’interno di questi centri sono fondamentali la mancanza di ruoli e categorie. Inoltre non viene mai chiesto nulla sul loro passato, non vengono utilizzate divise, distintivi di riconoscimento, appellativi: sono tutti uguali. Altro elemento contraddistintivo è la mancanza della organizzazione del tempo e di regole.

Esistono anche delle free space o free school ma sono finalizzate principalmente al reinserimento sociale e lavorativo di giovani che si rifiutano di frequentare la tradizionale struttura scolastica. Svolgono programmi didattici come normali scuole private ma con l’utilizzo di differenti sistemi che permettono ai ragazzi di sentirsi liberi di esprimersi e non sentirsi in colpa.

Lo scopo finale dev’essere quello di preparare i ragazzi ad un completo ritorno sociale, che può dirsi riuscito solo una volta che il soggetto riuscirà a inserirsi nel mondo, tornando a scuola o lavorando.

Di seguito sono presentati una serie di Associazioni ed Enti presenti sul territorio italiano, che si preoccupano di aiutare, informare e sostenere molti soggetti con disturbi, tra cui quello legato al ritiro sociale.

Centro Studi e Terapia sulle Nuove Dipendenze e Problematiche Relazionali, Cooperativa Sociale Onlus “Hikikomori”, a Milano. Fondato nel 2012 grazie al contributo e supporto tecnico iniziale della Regione Lombardia e Camera di Commercio di Milano e da allora fortemente attivo sul territorio. Si tratta di un centro specializzato nello studio e terapia delle: dipendenza da Internet; gioco d’azzardo patologico; sindrome Hikikomori; shopping compulsivo e shopping compulsivo online; dipendenza da videogiochi; dipendenza da lavoro; dipendenza affettiva da sesso e cybersex; dipendenza da telefonino cellulare; dipendenza da trading online; dipendenza da eccessive informazioni. Inoltre, al suo interno sono svolte diverse le attività, come corsi di formazione per genitori e insegnanti ma anche rivolti a persone esterne. Propongono anche promozione, prevenzione e sensibilizzazione sul fenomeno attraverso l’organizzazione di convegni e seminari. È anche attivo un gruppo di supporto sulle dipendenze affettive e laboratori rivolti ai genitori per migliorare le competenze relazionali fra questi e i figli in reclusione o a rischio. L’attività principale è quindi lo studio, l’analisi e la terapia delle nuove dipendenze patologiche e delle problematiche relazionali.

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Il Minotauro, Istituto di analisi dei codici affettivi, a Milano. Si tratta sia di una fondazione che una cooperativa. Il presidente è Matteo Lancini, importante psicologo e psicoterapeuta, oltre che docente presso l’Università Milano-Bicocca. Questo esperto dirige anche un Master sulla prevenzione e trattamento della dipendenza da internet nell’età dell’adolescenza. Collegato all’istituto vi è un Consultorio Gratuito nato nel 2012 grazie al sostegno di Enti e Fondazioni private. Questo permette di aiutare nuclei familiari privi di risorse economiche per sostenere una spesa psicoterapeutica privata e, in generale, si occupa di prestare sostegno a lungo termine agli adolescenti e ai genitori che ne hanno bisogno, non solo attraverso psicoterapie. A guidare il gruppo che partecipa al progetto vi è Gustavo Pietropolli Charmet, uno dei più importanti psichiatri e psicoterapeuti italiani, presente addirittura all’interno del Progetto Teen Lab (che verrà specificato di seguito). Un’altro cooperatore essenziale è lo priscoterapeuta dell’adolescenza ed esperto del sostegno della figura materna nel corso delle gravi crisi adolescenziali Davide Comazzi, presente anche lui come Charmet all’interno del Progetto Teen Lab. Un altro socio riconosciuto della Cooperativa e Fondazione che fa parte della docenza e del comitato scientifico della scuola di psicoterapia il Minotauro, è il filosofo, psicoterspeuta e docente Antonio Piotti. Presente anche come collaboratore assiduo all’interno del Consultorio Gratuito, presso la quale esercita sia attività psicoterapeutica che clinica. Per lui è essenziale l’insegnamento e accettazione del fallimento non solo all’adolescente in cura ma anche alle figure genitoriali, al padre in primis che non deve sentirsi colpevole se non rispetta la figura tradizionale autoritaria che attraverso valori e regole riesce a garantire il successo dei figli. Infine, un’altro esperto consulente nonché socia fondatrice del Consultorio Gratuito della Cooperativa Minotauro, è la psicologa e psicoterapeuta Roberta Spinello fondamentale alla coordinazione sulla ricerca riguardo il ritiro sociale. Inoltre, si occupa di attività di supporto con bambini, adolescenti e genitori ed è impegnata in diversi progetti a scopo preventivo all’interno delle istituzioni scolastiche. In particolare nel corso di questi anni, ha coordinato la ricerca e raccolta del materiale clinico con storie e narrazioni dei ragazzi e genitori. Da quando ha aperto nel 2012, il Consultorio ha accolto un centinaio di adolescenti che hanno permesso di approfondire, identificare e confrontare le storie cliniche più significative con quelle di altri ragazzi seguiti in contesti clinici differenti. Permettendo di formulare ipotesi sulle varie fasi che caratterizzano processo, sviluppo ed esiti del ritiro sociale. A contattare il Consultorio sono maggiormente i genitori che cercano aiuto raccontando i loro problemi col figlio. All’interno dello staff solo alcuni psicologi si occupano di stabilire un primo contatto con i ragazzi e per far questo si recano nelle loro abitazioni, dove cercano di entrare nel loro mondo utilizzando vari strumenti: videogiochi, film, musica, libri, ecc. Questi variano in base alle peculiarità e preferenze del soggetto, emerse dalle narrazioni dei genitori. È sempre un primo passo andare nelle loro case per avvicinarli, magari giocando assieme si ha la possibilità di accedere al loro mondo. Lo stesso avatar può raccontare molto del

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giovane, dalle caratteristiche che vuole abbellire di sé o degli stati d’animo che cela dentro di sé ma esprime attraverso di esso. Questo perché le loro passioni e interessi possono offrire una buona occasione per conoscerli e relazionarsi. Attività come giocare nello mondo virtuale o leggere manga sono parti importanti della loro vita, avvicinarsi a queste permette di riuscire a penetrare all’interno del loro mondo governato dall’immaginario.

Facendogli compagnia durante le sessioni di gioco ci si può avvicinare a loro. Cercare di capire cosa significhi giocare con un determinato ruolo o avere una certa identità nello spazio virtuale oppure cosa rappresenta un dato personaggio nei manga o anime per loro, si riesce a ottenere un quadro generale della psiche del paziente, annesse paure e condizionamenti. Di vitale importanza all’interno del Consultorio sono le varie attività e laboratori creativi gestiti dagli psicologi, come corsi di fotografia, cinema e scrittura creativa. Sono stati inseriti anche i videogiochi come attività creativa all’interno degli ambulatori, per un utilizzo di gruppo o con il terapeuta. In generale, le attività svolte all’interno di questa associazione sono di due tipi: attività di ripresa dei processi di apprendimento in un contesto protetto e focalizzato su un’attività specifica e attività espressivo/ creative, svolte all’interno di un gruppo di pari con cui ci si può confrontare apertamente senza sentirsi giudicati. Le discussioni emerse possono variare dalle esperienze personali fino a quelle scolastiche o familiari. Queste attività servono a favorire l’instaurarsi della fiducia nelle proprie capacità, provando ad esprimere le proprie opinioni o idee.

Progetto Teen Lab è una comunità residenziale e centro diurno gestito dall’Associazione CAF a Milano, sostenuto dalla Fondazione Sacra famiglia. Nasce con lo scopo di aiutare le famiglie con preadolescenti e adolescenti, tra i 12 e i 18 anni, che hanno bisogno di un intervento professionale adeguato ai bisogni specifici di questa fascia d’età. Prevede inoltre una Comunità residenziale disponibile all’accoglienza di massimo 10 ragazzi con permanenza al suo interno di possibilmente due anni; e un Centro Diurno che invece può ospitare circa 15 ragazzi ogni giorno, sviluppando per ognuno di essi progetti su misura, a scopo di rafforzare potenzialità e risorse di ciascuno dei partecipanti. Questo è aperto dal lunedi al venerdi, dalle 13:30 alle 19, ed è prevista anche la possibilità di pranzare al suo interno, per chi non lo fa né a scuola né a casa. Inoltre, l’intera struttura offre un sostegno psicologico che ha l’obiettivo di far superare traumi, difficoltà familiari e consentire ai ragazzi di poter crescere con un buon bagaglio esperienziale ed emotivo. Le maggiori attività proposte sono: culturali, ricreative, di sostegno scolastico. Nel corso della settimana i ragazzi hanno la possibilità di accettare numerose proposte e vivere numerose esperienze ogni giorno diverse. Queste attività, proposte ed esperienze servono a stimolare la crescita, favorire la scoperta delle proprie capacità e la valorizzazione in ognuno le proprie risorse peculiari. Queste variano dalla radio, alla palestra, all’artigianato, alla piscina, al cinema, fino al teatro, e tante altre ancora. Tra i vari esperti che si occupano di questo progetto vale la pena citare: il professore Gustavo Pietropolli Charmet, che fa da Supervisore Clinico all’accoglienza e al sostegno di preadolescenti e adolescenti e Supervisore Scientifico delle Comunità residenziali; il psicoterapeuta Davide Comazzi che fa da Responsabile per quanto riguarda l’intervento con le famiglie.

“Condividere con lui il gioco virtuale, significava avere accesso al suo immaginario e scoprire cose molto interessanti circa, per esempio, la scelta del suo avatar che rappresentava alcune parti di sé reali e molte altre ideali. [...] Affiancarlo nel gioco consentiva di ascoltare le conversazioni che intratteneva con altri ragazzi al di là dello schermo [...]”

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Scuola in Ospedale presso l’ospedale pediatrico Regina Margherita (OIRM) di Torino, realtà sperimentale di scuola media che dall’anno scolastico 1994/95 va incontro ai ragazzi che smettono di frequentare le istituzioni scolastiche. Sperimenta una collaborazione tra un reparto di neuropsichiatria infantile e istituti scolastici. Vi è infatti un patto tra medici, insegnanti e poche associazioni esterne. Questo permette ai bambini o agli adolescenti ricoverati a neuropsichiatria o al day hospital di mantenere inalterata l’iscrizione presso gli istituti di appartenenza, le loro assenze non saranno contate e alla fine dell’anno potranno dare l’esame al suo interno oppure se abbastanza temprati nei propri plessi di provenienza e proseguire negli studi seguendo l’iter scolastico normale. Si tratta di un grande complesso ospedaliero al cui interno sono presenti insegnanti formati per lavorare con ragazzi che soffrono di disagi psicologici, tra cui ritiro sociale, depressione, ansia o problemi col cibo. Al suo interno sono presenti due aule create appositamente a ospitare chi ne ha bisogno, non sono aule nel vero senso della parola ma piuttosto delle stanze luminose con disegni sulle pareti, libri in bella vista e banchi. Le lezioni si svolgono sotto prescrizione medica, poiché a lui spetta il compito di conoscere l’animo dei giovani in cura, i loro problemi e il carico di ore d’impegno che possono sostenere. Non a caso le lezioni possono variare da un ora al quarto d’ora; se i pazienti migliorano possono tornare allo svolgimento regolare presso le scuole abbandonate in precedenza. Spesso chi soggiorna in questo complesso si protegge disegnando mostri neri chiamandoli “niente”, esseri spaventosi a cui tengono trappole oppure raccontano qualcosa di loro stessi dai treni persi o che hanno paura di perdere, all’essere visti dagli altri come “sfigati” oppure della situazione familiare non troppo favorevole con frigoriferi vuoti e genitori che non li riempiono. All’interno di queste creazioni sulla carta c’è quindi molto di più: i disegni possono raccontare molto della loro realtà soggettiva e della loro storia personale. Inizialmente erano pochi i casi di ritirati sociali, circa 3 o 6 l’anno, ma ad oggi le cifre aumentano arrivando a quasi 20 pazienti l’anno. Spesso si tratta di ragazzi ma anche ragazze che presentano gli stessi problemi, con una sensibilità e fragilità al di sopra della media. Affinché il problema non si cronicizzi anche in questa realtà sottolineano quanto sia essenziale intervenire tempestivamente. Infatti è presente al suo interno un day hospital riservato ai casi difficili. Ad oggi “La Scuola in Ospedale” è presente sul territorio italiano con ben 167 sezioni ospedaliere che vedono coinvolti 765 docenti specializzati. Come afferma il Miur questo tipo di attività è stata riconosciuta come parte integrante del programma terapeutico e apprezzata in ambito sanitario.

CasaOz è una onlus nata nel 2005 a Torino. Questa è parte attiva del progetto

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