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a Il rustico nell’architettura italiana e francese

CAPITOLO III. L’ESTETICA RUSTICA DELLE GROTTE UN PROCESSO DI “DECIVILIZZAZIONE”

III.1. a Il rustico nell’architettura italiana e francese

In architettura lo stile rustico sta a indicare una tipologia di edificio che si ispira alle costruzioni primordiali e ai caratteri dell’habitat naturale imitandone gli aspetti più autentici, che vengono integrati a parti semi-lavorate, di composizione comunque irregolare, allo scopo di creare un effetto a contrasto, che sia insieme raffinato e non. Il gusto per la fusione e il rovesciamento tra opera dell’uomo e opera della Natura era già presente nell’Antichità, come testimoniano importanti monumenti realizzati ai tempi dell’imperatore Claudio (10 a.C. - 54 d.C.), tra cui è possibile ricordare la Porta Maggiore a Roma (52 d.C.), costituita da una facciata principale interamente realizzata a bugnato (fig.38) che contrasta in maniera evidente con i più tipici motivi dell’architettura romana: i due fornici a tutto sesto, le monofore inserite in edicole a timpano e le semicolonne di stile corinzio. Per il loro aspetto “grezzo” e massiccio gli edifici, o parti di edifici ornati da elementi rustici hanno spesso una funzione ben determinata, che siano porte, edifici militari, pianterreno di palazzi nobili, oppure costruzioni legate all’ambito dei giardini. Nel XV sec., nelle regioni dell’Italia centrale l’estetica rustica conobbe un rinnovato interesse, dovuto però all’osservazione diretta dei reperti romani più che alla lettura degli scritti latini. In effetti, nell’opera di riferimento in materia, il De Architectura487 di Vitruvio,

484 Sulla teoria dell’architettura rustica rimando all’articolo di James S. Ackerman, ACKERMAN 1991, e alla

prima parte del volume a cura di Marcello Fagiolo (FAGIOLO 1981), in particolare i saggi di G. Morolli e A. Belluzzi. Cf.MOROLLI 1981 e BELLUZZI 1981.

485 L’Architecture et Ordonnance de la grotte rustique, B. Berton, La Rochelle, 1563. 486

Progetto descritto nella Recepte véritable, B. Berton, La Rochelle, 1563.

487

Il De Architectura, composto da dieci libri, fu scritto da Vitruvio attorno al 15 a.C., e si è diffuso nel Cinquecento grazie in primis all’edizione curata da Fra Giocondo, pubblicata a Venezia nel 1511. In Francia

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vengono teorizzati solo tre ordini canonici – il dorico, lo ionico e il corinzio –, e si accenna solo all’uso di pietre grezze, senza approfondire questo tema488. Nel Quattrocento l’estetica rustica conosce una grande diffusione in Italia senza ancora trovare nessuna teorizzazione nella trattatistica: non la troviamo trattata né in Alberti, né in Francesco di Giorgio o Filarete489. Ad ogni modo, ancor prima che lo stile rustico venisse riconosciuto dalla trattatistica del tempo, nella Firenze del Quattrocento furono costruiti importanti edifici con porzioni rustiche, primo fra tutti Palazzo Pitti, realizzato da Luca Fancelli su un progetto del 1440 c.a. (fig. 39). Le facciate disegnate dai maggiori architetti di inizio Cinquecento testimoniano della diffusione dell’architettura rustica: basti pensare ai ben noti esempi di Palazzo Caprini a Roma (Bramante, attorno al 1510), di Palazzo Pandolfini a Firenze (Raffaello, progetto del 1513-1514) o, ancora a Roma, di Palazzo Farnese (Antonio da Sangallo il Giovane, progetto del 1514 c.a.).

Nei primi decenni del secolo, irrinunciabili modelli di riferimento per l’impiego del rivestimento bugnato divennero comunque le realizzazioni mantovane di Giulio Romano: Palazzo del Te (1524-34) e la grotta detta “la Rustica”490 (1538-39), nel cortile della Cavallerizza del Palazzo Ducale. Nel Palazzo del Te l’estetica rustica diventò il linguaggio prediletto dell’insieme della struttura, dall’estesa superficie a bugne che ricopre integralmente il prospetto, al ruvido involucro che avvolge le possenti colonne poste a sorreggere il loggiato d’ingresso (fig.40). Con questo suo progetto l’architetto dei Gonzaga inaugurò perciò una vera e propria “istituzione dell’ordine rustico come sistema”491, superando negli intenti architetti e costruttori che, sino a quel momento, si erano avvalsi del bugnato quale elemento ornamentale, con cui adornare porzioni limitate di opere ed edifici492. Di qualche anno successiva è la cosiddetta “Rustica” (fig.41), una grotta integrata a uno dei lati interni del cortile della Cavallerizza anche chiamato Prato della Mostra, della quale risulta molto significativa la denominazione presente già in scritti coevi, come nell’Edificatione di Mantova (1586) di Raffaello Toscano493. Costruita la prima edizione di successo fu pubblicata nel 1547 da Jacques Gazeau, tradotta da Jean Martin, con illustrazioni di Jean Goujon.

488

Cf. PAUWELS, 2008, p. 10-12.

489 Cf. ACKERMAN 1991 pp. 498-499 che dimostra come nel Quattrocento lo stile rustico non viene

teorizzato, e lo sarà solo nel ‘500 con Serlio.

490

Sul”la Rustica” si veda HARTT 1958, p. 188-192; PAGLIARA 1989, pp. 418-423. Varie lettere tra Giulio Romano e il duca di Gonzaga, tra il 1538 e il 1539 attestano che si iniziava una nuova costruzione.

491

Cf. ZANNI 1988, p. 221-235.

492

Ibidem.

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mediante la disposizione irregolare di elementi architettonici caratterizzati da forma e dimensioni diverse, in essa Giulio Romano cercò di dar vita a un insieme in cui si impone “l’oscillazione delle proporzioni”494. L’edificio, una grotta integrata nella struttura del palazzo - quasi fosse l’esito di un’inaspettata irruzione della Natura nel contesto della corte - è un exemplum di opera “non finita” che si poneva in stretto rapporto con il paesaggio circostante: un lato della Rustica si apre a Nord verso il cortile, all’epoca progettato per essere un giardino, mentre il lato che volge a mattina guarda verso il lago. In questo caso l’appellativo “Rustica”, inteso come sostantivo, funziona quindi anche come sinonimo di grotta e indica quanto fosse profondo il legame tra la costruzione di caverne artificiali e la diffusione del gusto per l’estetica “grezza”.

Particolarmente apprezzata dai Gonzaga, la tipologia costruttiva di derivazione rustica trova un rilevante riscontro nell’architettura francese degli anni Quaranta del secolo495, quando l’ornamentazione di ispirazione naturalistica divenne uno degli elementi cardine del cosiddetto stile composito. Seppur più volte convocato da Francesco I, Giulio Romano non abbandonò la città dei Gonzaga, dove morì nel 1546. Nelle regioni d’Oltralpe, l’eco delle sue idee giunse comunque per il tramite di Francesco Primaticcio che, dopo aver lavorato al cantiere di Palazzo del Te496 come allievo del Maestro, fu accolto dal re di Francia in qualità di architetto di corte. In questo ruolo, che il Primaticcio ricoprì dal 1532 sino all’anno della sua morte, sopraggiunta nel 1570, l’artista di origini bolognesi si fece dunque per oltre trent’anni portavoce ufficiale del gusto nord-italiano nell’Esagono497. Protagonista assoluto per la diffusione europea del linguaggio rustico fu però un altro illustre bolognese, il trattatista e architetto Sebastiano Serlio498. Si riconosce come primo esempio di impiego di questo stile in Francia la celebre creazione serliana del portale del Grand Ferrare, progettato nel 1542 per il cardinale Ippolito d’Este. Soprattutto sul piano teorico, nella seconda metà del Cinquecento i Sette libri di Serlio giocarono un ruolo

494 Cf. HARTT 1958, p. 190. 495

Cf. FROMMEL 1989, pp. 345-360.

496

Su Giulio Romano e la Francia si veda BEGUIN 1991, pp. 45-74.

497 Rimando qui alla recente pubblicazione che illustra l’opera di Primaticcio archiettto. Cf.FROMMEL 2005. 498

Palissy fa riferimento a Serlio diverse volte: nella Recepte, il protagonista chiamato Demande lo cita a proposito come trattatista e teorico delle norme architettoniche: “ […] nous savons que les anciens Architectes n’ont rien fait qu’avec certaines mesures, et grandes considerations, tesmoins Victruve, et Sebastiane, qui ont fait certains livres d’architecture.”498 Sempre nella Recepte Serlio viene citato una seconda volta a proposito delle proporzioni del corpo umano preso come riferimento delle regole proporzionali architettoniche. Infine dichiara di averlo consultato quando cercava modelli per realizzare una

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capitale per l’affermazione Oltralpe della cultura architettonica nord-italiana499. Edito a Venezia nel 1537, il libro IV intitolato Regole generali di architetura sopra le cinque maniere de gli edifici500, fu tradotto in francese ad Anversa nel 1542 da Pieter Coecke501, mentre nel 1545 Jean Barbé pubblicò a Parigi i libri I e II, tradotti da Jean Martin502. Nelle Regole Generali Serlio introduce la ben nota distinzione in cinque ordini architettonici, aggiungendo ai tre di origine classica - dorico iorico e corinzio - l’ordine composito e il tuscanico, che aveva comunque trovato una sua prima formulazione già nella trattatistica vitruviana. E proprio a proposito dell’ordine tuscanico Serlio richiama l’estetica rustica:

E’ ben vero, che l’opera rustica, cioè di legature diverse grossamente abbozzata di pietre, & qualch’una ancora di queste fatta cô qualche più delicatezza per lo piacer, (…) per esser veramente l’opera toscana la più rozza, & meno ornata di tutte l’altre, a me pare, che “la Rustica” si convenga di più, & sia più conforme. ( …) E stato parer de li antichi mescolar col Rustico non pure il Dorico: ma il Ionico e l’Corintio ancora, il perché non sarà errore se a una sola maniera si farà una mescolanza rappresentando in questa parte opera di natura e parte opera di artefice: percioche le colonne fasciate dalle pietre rustiche e anche l’architrave e fregio interrotti da gli conij, dimostrano opera di natura, ma i capitelli e parte delle colonne e soi’ la cornice del frontespizio rappresentano opera di mano: la qual misura, per mio avviso, è molto grata all’occhio e rappresenta in se gran tortezza503.

Il passo riportato qui risulta di primaria importanza per la comprensione degli effetti e dei risultati che si volevano ottenere mediante l’impiego dello stile rustico: il carattere grezzo ma sobrio e l’implicito riferimento all’antichità, alla luce del quale, al fine di suscitare il diletto dello spettatore, si legittimano la commistione di diversi ordini e il confronto fra “opera di natura” e “opera di artefice”. Nel Libro Straordinario, pubblicato a Lione nel 1551, Serlio va oltre le definizioni di carattere teorico, declinando il ricorso allo stile rustico nel contesto di molteplici situazioni architettoniche o ornamentali. Questo ottavo città fortificata, senza trovare nulla. Queste dichiarazioni sono indicazioni sulla conoscenza di Palissy dei trattati dell’architetto bolognese, che per lui costituisce un riferimento allo stesso livello di Vitruvio.

499 Sul ruolo giocato da Serlio nell’architettura francese del Cinquecento rimandiamo a GUILLAUME 1989,

pp. 67-78, e alla monografia di Sabine Frommel. Cf. FROMMEL 1998.

500

Regole generali di architectura …, Venezia, Francesco Marcolini, 1537. Su Serlio trattatista si veda THOENES 1989, pp 9-18.

501

Sotto il nome di Reigles generales de l’architecture, ad Anversa, Pieter Coecke, 1542.

502

Le premier livre d’architecture… Le second livre de perspective de Sebastian Serlio…, mis en langue françoise par Jehan Martin, Paris, Jean Barbé, 1545.

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volume, non previsto nel progetto dei Sette libri - e perciò appunto “straordinario” - è interamente dedicato alla composizione delle porte e si pone quale immediato riscontro del successo riscosso dal portale rustico del Grand Ferrare a Fontainebleau504. Il trattato illustra cinquanta esempi di portoni - trenta “rustici” e venti “delicati” - ciascuno accompagnato da un’incisione e da una breve descrizione. In apertura di libro, Serlio affida alle pagine che contengono le consuete dedicatorie, al Re e al Lettore, una sorta di discolpa per essersi concesso delle licenze rispetto alla trama delle regole vitruviane. Riferendosi alla sua propria condizione l’Autore scrive: “[…] ritrovandomi di continuo in questa solitudine di Fontanableo, dove sono piu fiere, che huomini, & havendo condotto al fine una mia lunga fatica, mi cadde nel animo di voler formare in apparente disegno alcune porti al”la Rustica”, miste però con diversi ordini, cioè toscano, dorico, ionico, corinthio, & composito”505. Osservazioni queste con cui l’architetto stabilisce un nesso significativo fra i caratteri estetici dell’ordine rustico e la selva incolta che circondava il castello, contesto ambientale appunto più adatto alle bestie che agli uomini. E ancora, consapevole di aver preso le distanze dal repertorio vitruviano, Serlio si legittima ricordando il suo attuale paese di abitazione: “Ma o voi architetti fondati sopra la dottrina di Vitruvio (la quale summamente io lodo, & dalla quale io non intendo alontanarmi molto) habbiatemi per iscusato di tanti ornamenti, di tante tabelle, di tanti cartocci, volute, & di tanti superflui, & habbiate riguardo al paese, dove io sono, supplendo voi dove io havero mancato; & state sani.”506 Anche da queste colorite affermazioni emerge con chiarezza l’accostamento fra registro rustico e contesto selvaggio, da intendersi come binomio concettuale che capovolge le nozioni di civiltà e regola artistica.

In quanto “abbandono dei cinque ordini canonici, [il linguaggio rustico] viene insomma vissuto dal pensiero teorico del Cinquecento come un’avventura del libero arbitrio e, per certi versi, della fantasia”507: con la sua portata irrompe nelle costruzioni signorili e, in particolare, in quelle realizzate secondo le disposizioni dell’ordine composito, registro prediletto in Francia dalla raffinata committenza d’élite. Tra gli architetti maggiormente

503

Cf. SERLIO 1537 [1619], Libro IV, p. 126.

504

Su Serlio in Francia e questa realizzazione in particolare, si veda la monografia di Sabine Frommel, FROMMEL 1998.

505

Cf. SERLIO 1551, Dedica al Re, f° A1.

506

Idem, f° A2.

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interessati da questo stile ricorderemo Philibert De l’Orme e Androuet du Cerceau508, i cui progetti, modellati sull’esempio della trattatistica serliana, si pongono in perfetto dialogo con le creazioni di Palissy, come vedremo nel prossimo paragrafo.