CAPITOLO II. LA GENESI DELLE RUSTIQUES FIGULINES
II.3. a La Pratica al centro del dibattito
Un «semplice artigiano ben poco istruito alle lettere»366, «una persona abietta e di bassa condizione»367, ecco con che parole si autodefinisce Palissy nel 1562, nella dedica al Maresciallo di Montmorency contenuta nella Recepte véritable, sebbene egli fosse già autore di due libri ambiziosi dedicati ai “Grands”. Un’auto-definizione che, anche se in perfetta linea con la retorica della captatio benevolentiae, un topos ricorrente nella letteratura artistica dell’epoca, non deve tuttavia essere considerata un mero artificio ma far riflettere sulla condizione dell’artigiano, una figura che nell’Europa rinascimentale è in piena trasformazione. Come capire la posizione ambigua di Palissy, al tempo stesso “meccanico” e “filosofo naturale”, che si definisce quasi illetterato pur essendo uno scrittore audace e consapevole del proprio valore? Per rispondere, occorre anzitutto definire il termine “artigiano”, che comparirà di frequente nel corso del capitolo. Questa parola designa all’epoca un lavoratore urbano specializzato, detentore di un sapere che gli conferisce uno statuto più elevato rispetto al lavoratore a giornata, non qualificato e collocato sui gradini più bassi della gerarchia sociale delle città. Nel Cinquecento e fino alla fine del Seicento, in Francia – più che in Italia e in Germania – il lavoro manuale, “meccanico”, era ancora considerato “vile”, come dimostra l’uso del termine all’epoca. Nel Dictionnaire de la langue française du Seizième siècle di Edmond Huguet368, alla voce “Mécanique” sono attribuite numerose connotazioni negative: il significato è “colui che fa un lavoro manuale”, ma gli esempi letterari che vengono poi riportati mostrano come a tale attività era associato un senso spregiativo, divenendo così sinonimo di basso, povero, addirittura vile. Questa visione dell’artigiano è rimasta immutata nel secolo successivo,
366
Cf. O.C., p. 92.
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come si vede nel Dictionnaire français di Richelet369 (1680), che di “Mécanique” dà la seguente definizione: «Questo termine, parlando di determinate arti, indica ciò che è opposto a liberale e onorevole: significa basso, villano e poco degno di una persona onesta»370. Limitato da una condizione sociale mortificante – ereditata dall’antica divisione tra arti liberali e arti meccaniche – l’artigiano, Palissy, «est mal à l’aise dans sa condition d’homme mécanique alors qu’il sait lire, travailler, manier des relations de cause à effet, reconnaître la nature et les techniques»371. Ritroviamo questo disagio nell'Art de terre372, dove il personaggio chiamato Practique biasima Théorique, che considera l'arte di terra un'arte meccanica: “Giacché la chiami arte meccanica, da me non saprai nulla. […] Perché devi sapere che (…) bisogna governare il fuoco con una filosofia molto accurata”373. Tutta l’opera scritta di Palissy esprime l’aspirazione ad essere riconosciuto non come “meccanico” ma come “filosofo”. Per la sua rivendicazione della legittimità del sapere empirico, Palissy è emblematico del movimento di apertura che si avviò progressivamente in Francia durante il Rinascimento, in opposizione a quella che oggi potremmo definire “lobby del sapere”, costituita dagli universitari, esponenti della cultura scolastica, ecclesiastici e professori della Sorbona in primis. Tale insegnamento si fondava sullo studio esclusivo delle fonti scritte, prime fra tutte le Sacre Scritture e le opere di Aristotele, e sull’uso del latino come unico mezzo di trasmissione del sapere – rifiuta dunque sia la conoscenza di altre lingue, che consentirebbe l’accesso ai testi originali, sia la traduzione di opere latine in lingua volgare. Un simile atteggiamento, elitario e conservatore, fu rimesso in questione dagli ideali portati dall’umanesimo europeo, ed fu l’oggetto di numerose critiche di leterati, spesso protestanti o evangelici – basti pensare ad opere fondamentali come quelle di François Rabelais374, Margherita di Navarra375 o Clément Marot376- le cui opere furono colpiti da dalla censura. Quella della lingua, in particolare, diventò una questione centrale nel dibattito in corso a Parigi tra la
368 Cf. HUGUET 1925. Traduzione mia. 369
Cf. RICHELET 1680. Traduzione mia.
370
Cf. FEBVRE 1948, I, p. 23. Citato da ROSSI 1962 [1971], p. 13.
371 Cf. FRAGONARD 2000, p. 31. 372
Cf. O.C., pp. 479-500.
373
Idem, p. 498.
374 Sull’evangelismo nell’opera di Rabelais, si veda SCREECH 1967, LE CADET 2010. Per una sintesi delle
ricerche sull’evangelismo di Rabelais si veda l’edizione italiana di Lionello Sozzi (RABELAIS 2012).
375
Su Margherita di Navarra, sorella di Francesco I, e la sua “scrittura dello spirito” si veda FEBVRE 1944, CAZAURAN 1995, KREMP 2007, GORRIS 2003, MAGALHÃES 2011.
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Sorbona e il Collège Royal377. Durante il Cinquecento, l’università parigina aveva ancora il monopolio dell’insegnamento, diviso in quattro facoltà, Teologia, Diritto, Medicina ed Arti, che ambivano a coprire tutto l’arco delle scienze e delle conoscenze umane. Parallelamente, per volontà del re Francesco Primo nel 1530 fu creato il Collège Royal, in seguito chiamato Collège de France, un modello di scuola che si diffuse in tutta la Francia, dove i corsi erano gratuiti e aperti a tutti e comprendevano nuove materie quali l’ebraico, il greco e le matematiche. L’importanza di queste scuole è stata evidenziata da Georges Huppert, che vede in esse la manifestazione dello sviluppo di una classe media desiderosa sì di alzare il proprio livello di cultura, ma interessata anche ad insegnamenti pratici legati alla propria professione, come l’aritmetica essenziale per il commercio378.
È in questo contesto di emancipazione della borghesia che diventò possibile l’affermazione di artigiani talentuosi come Palissy, che grazie alla capacità di leggere e scrivere in volgare divennero protagonisti a pieno titolo della formazione della conoscenza. Il riconoscimento invece della propria ignoranza del latino e del greco, ribadita dal Nostro, rappresenta non tanto l’ammissione di una lacuna, bensì la condizione per l’accesso ad una conoscenza diretta della natura, non condizionata dalla lettura di trattati concettuali. Palissy si inserisce sulla scia di questi artisti, che come Leonardo da Vinci, orgoglioso del suo essere “sanza lettere”379, fecero parte del movimento di emancipazione dei lavoratori specializzati, cominciato in Italia e in Germania già nel Quattrocento grazie ad un gran fiorire di trattati tecnici380, testimonianza della volontà di utilizzare i mezzi dei letterati in un campo fino ad allora esclusivamente orale, appannaggio delle botteghe artigiane. Gli altri detentori di un sapere pratico che giocarono un ruolo fondamentale nello sviluppo delle scienze naturali sono i medici che non esitarono a rimettere in questione o a rigettare le autorità antiche. Pensiamo al precursore di questa critica alle fonti, Nicolò Leoniceno, medico ferrarese, che pubblicò un attacco contro la Storia naturale di Plinio il Vecchio, colpevole secondo
376 Su Marot e la Riforma, si veda SCREECH 1967, l’edizione critica ai Salmi di Gérard Defaux ( MAROT 1995);
DEFAUX 1996, 1997; SAUTY 2010. Rimando inoltre al recente volume a cura di WURSTEN 2010.
377
Sul Collège de France si veda FUMAROLI 1995, GADY 1999.
378 Cf. HUPPERT 1984. 379
Cf. Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, a 119 v.
380
Questo tema viene discusso nello studio di SMITH 2004, in particolare alle pp. 32-33. Si veda anche MIRANDA 2000.
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lui di aver tradito il pensiero di Dioscoride e Galeno381. Leoniceno aprì la strada ad una visione critica di testi fino ad allora considerati intoccabili, tramite lo studio filologico da una parte e il confronto con la realtà dell’altra. La trasmissione della propria esperienza nell’ambito della filosofia naturale tramite la pubblicazione di opere scritte è stata ampiamente analizzata dalla Storia della scienza, che ha dimostrato il ruolo determinante degli artigiani nella nascita e nello sviluppo delle discipline scientifiche in Età moderna382. Durante il Rinascimento era ancora dominante una concezione del sapere di matrice aristotelica, diviso in tre ambiti ben separati tra loro: le scienze teoretiche, che hanno il solo scopo di indagare le cause e che costituiscono il fine dell’anima umana; le scienze pratiche, che si realizzano mediante l’azione e il cui fine è immanente all’essere agente; le scienze poietiche, cioè le tecniche relative alla produzione di oggetti, il cui fine risiede nell’oggetto prodotto. Secondo tale concezione, quest’ultima categoria di scienze, relative alla poiesis, sarebbero una serie di sperimentazioni non comprese in un sistema deduttivo; è questa la ragione per cui non offrono le stesse certezze della teoria. Di conseguenza non potevano interferire con uno studio che mirava ad una comprensione del mondo di vocazione universale, come lo era l’insegnamento universitario. Tuttavia, anche se è solo nel Seicento che avvenne in pieno la legittimazione dell’experientia nella formazione della conoscenza, già nel Cinquecento la divulgazione di un sapere frutto dell’esperienza personale – l’ “autoptic authority“ come la definisce Pamela o’Long383 – aveva indebolito lo schema aristotelico. Acquisendo sempre più autorevolezza, il sapere empirico – che rispondeva del resto all’interesse crescente da parte dei ceti più alti per le conoscenze dei “pratici” – permise alle cosiddette arti meccaniche di diventare un elemento fondamentale della vita morale e politica384. Alcuni artigiani riuscirono a conquistare una posizione elevata, per quanto ambigua rispetto all’élite, dal momento che essi provenivano pur sempre da uno strato economico-sociale basso ma rivendicavano di essere pienamente legittimati a discutere le teorie basate sulle autorictates.
381
Si veda De Plinii, & plurium aliorum medicorum in medicina erroribus, di Giovanni Mazochio, pubblicato a Ferrara nel 1509.
382 Questo tema viene discusso in numerosi studi. Per la nostra ricerca le opere di riferimento sono ROSSI
1962 [1971]; SMITH 2000 pp. 32-33. Si veda anche O’ LONG 2001.
383
Cf. O’ LONG, 1997, pp.1-41.
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La riforma del sapere propugnata dagli artigiani consistette in un nuovo approccio allo studio della natura, basato non più sulla lettura dei trattati antichi della tradizione aristotelica, ma sullo studio diretto dei fenomeni mediante la sperimentazione. La coscienza del valore del sapere pratico si esprime nel sonetto conclusivo del secondo scritto pubblicato da Palissy, la Recepte véritable, dove irrompe un rovesciamento gerarchico tra il potente ignorante e il povero sapiente:
La grazia del Signore non è di tutti Come si vede qui nell’arte ingegnosa
Di questo gentil’operaio, che dimostra che dagli alti cieli La maledizione non è sempre tutt’una.
Poiché benché non possieda la ricchezza opportuna, Egli possiede invece tal dono prezioso, Che in quest’arte tanto divina il più ingegnoso
Deve essere stimato, nonostante sia povero. Come? mi diranno, potremo vedere
Povero e ricco uguali in sapere, O che il ricco non abbia nessuna scienza?
Non dico questo, però ti assicuro, Senza timore alcuno,
che sotto un vil’ mantello giace gran’ sapienza385.
Questo sonetto – anonimo - illustra l’audace intenzione soggiacente alla Recepte, cioè nientemeno che l’ambizione a presentarsi come insegnante e consigliere della nobiltà non solo in materia di agricoltura e di architettura militare, ma anche – a proprio rischio e pericolo – di religione, con la breve storia della nascita della chiesa riformata a Saintes. Onnipresente negli scritti di Palissy e di altri artigiani francesi è del resto la denuncia della propria condizione di povertà, che li costringe a lottare per la sopravvivenza laddove potrebbero invece dedicarsi allo studio o alla diffusione delle loro conoscenze – basti
385 Cf. O.C., pp. 81-82. La parte evidenziata in corsivo nella versione originale è : «Quoy me dira quelqu’un, &
pourroit on bien voir / Et le pauvre, & le riche egauz en leur sçavoir/ ou que le riche n’eust en soy nulle science?/ Je ne dis pas cela, mais t’ose bien vanter. / Le pauvre de cecy, sans m’en espouvanter/ Que sous un vil manteau gist bien grand’sçapience».
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pensare all’esplicito motto del suo stampatore Barthélémy Berton386: “Povreté empesche les bons esprits de parvenir”. (fig. 33) L’ultimo versetto è una ripresa quasi alla lettera di un verso di Caecilius Statius, in Fabula Incognita “Saepe est etiam sup palliolo sordido sapientia387, ripreso poi da Cicerone nelle Tusculanae disputationes, dialoghi filosofici nei quali lo scrittore cercò di dimostrare l’immortalità dell’anima, e dimostrò che la felicità non può fondarsi che sulla virtù. Questo riferimento colto potrebbe essere un’ulteriore prova dell’appartenenza di Palissy ad una cerchia di letterati locali, e potrebbe precisarne l’orientamento filosofico, probabilmente neostoico388; ci torneremo nel terzo capitolo. Contemporaneamente a Palissy e in ogni ambito del sapere, emersero autori dalle umili origini e dalla formazione “pratica” che diventarono punti di riferimento per altri artigiani, formando una nuova cultura scientifica parallela a quella teorica, universitaria389. Per quanto riguarda Palissy, è chiara la sua volontà di apparire inserito in una rete di scienziati che condividono la sua “fede” nell’esperienza e l’osservazione. Nei primi due volumi pubblicati ricorrono varie citazioni di personaggi più o meno noti, a testimoniare dell’appartenenza del ceramista ad una cerchia di amatori di scienze naturali. Questi sono esponenti della borghesia saintongeaise, amatori illuminati e collezionisti di reperti naturali, con i quali Palissy dialogava e confrontava le sue scoperte: Monsieur Guoy, Babaud, M. de Mesmes et M. Jacques sono nomi citati dal ceramista che insiste nel dimostrare l’effettiva esistenza di questa rete di studiosi, alla quale un vasaio può appartenere a patto che sia anche “filosofo naturale”. Allo stesso modo, nella sua ultima pubblicazione, i Discours, Palissy elenca gli uditori delle conferenze tenute nell’ambito di ciò che chiama la “Petite Académie” (da lui creata a Parigi nel 1570390), tutti esponenti della riforma della scienza in chiave sperimentale, ma questa volta membri dell’élite parigina. L’accademia in questione è di per sé un fenomeno inconsueto e dà prova della formazione di un canale di ricerca scientifica che si discosta da quelli ufficiali, come lo rilevò Jean Céard: “L’idée même de faire leçon est très originale et fait une concurrence
386 Berton, stampatore lionese trasferitosi alla Rochelle, è stato studiato da DROZ 1960. 387
Fabula incognita, v. 266, in RIBBECK 1898.
388
Un interessante volume pubblicato di recente da Martin Mulsow tratta di questo concetto di sapere nascosto, sconosciuto dalla storia tradizionale, coniando il nome di “sapere precario”. Cf. MULSOW 2012, passim e p. 175.
389
Si veda GILLE 1990 e VERIN 1993. Il ruolo degli artigiani nel rinnovamento dello studio della natura è stato egregiamente studiato da SMITH 2004 al cui volume rimandiamo per approfondire quest’affascinante tematica.
390
Palissy lo cita nell’elenco degli ascoltatori delle sue conferenze, assieme a diversi altri medici. Cf. O.C., pp. 436-439.
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déloyale et imprévue aux circuits normaux d’enseignement, ainsi qu’aux réunions de savants”391. L’accademia del ceramista era direttamente aperta al pubblico tramite l’affissione di cartelli che invitano alle conferenze, allo scopo dichiarato di poter confrontare le sue teorie sperimentali in materia di filosofia naturale con le opinioni dei letterati. Non avendo potuto leggere le autorictates perché ignorante del latino, egli contava sul sapere detenuto dai doctes, conoscitori dei Grecs et Latins392, per mettere in atto un confronto. Inoltre, il ceramista propone a chi voleva verificare le sue teorie di visitare la sua collezione, una raccolta di reperti esclusivamente minerali, che egli descrive alla fine dei Discours con un capitolo intitolato Coppie des escrits qui sont mis au-dessous des choses merveilleuses, que l’auteur de ce livre a préparé, & mis en ordre en son cabinet, pour prouver toutes les choses contenues en ce livre393. Tale iniziativa dimostra nuovamente quanto l’osservazione diretta fosse alla base del suo metodo e del suo insegnamento: agli interlocutori scettici egli non propose argomentazioni teoriche, bensì prove materiali di ciò che affermava, davanti alle quali secondo lui «ceux qui les verront en leurs formes naturelles, seront contrains confesser»394 la verità delle sue teorie in materia di generazione delle pietre. L’elenco dei suoi uditori rivela la presenza dominante di personaggi legati alla cerchia intellettuale del duca François d’Alençon395 e della casata di Navarra, caratterizzate da un’apertura al progresso delle scienze empiriche, nonché da una tolleranza nei confronti dei riformati, il che testimonia l’esistenza di un milieu elevato socialmente e tuttavia interessato al sapere pratico degli artigiani, al punto da frequentarne le lezioni.
Una rete di esponenti della riforma del sapere si delinea anche grazie ai riferimenti del ceramista; egli usa poco e con grande cautela i testi classici, mentre fa volentieri riferimento a testi i cui autori sono in gran parte dei pratici come lui, scienziati e artisti che scrivono in volgare e che fondano sulla loro esperienza il loro approccio alla natura e all’arte. Nell’ambito della medicina, disciplina in pieno mutamento nel ‘500 – in particolare sotto l’impulso dei chirurghi che rinnovano lo studio dell’anatomia396 –, Palissy
391
Idem, p. 434.
392 Idem, pp. 434-435 ( tutti i corsivi). 393
Idem, p. 541. Ci torneremo nell’ultimo capitolo.
394
Ibidem. Da notare l’uso del vocabolo “confesser” appartenente al lessico religioso, che testimonia del parallelismo tra scienza e fede per Palissy.
395
Su questo personaggio si veda BOUCHER 1992, p. 121-131.
396
Come testimoniò La Croix du Maine: «Bernard Palissy […] florist à Paris agé de 60 ans et plus, et fait leçons de sa science et profession». Cf. GRUDE 1584, p. 31.
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ebbe numerosi interlocutori, quali Ambroise Paré, figlio di un artigiano, diventato chirurgo del re e autore di trattati di grande rilievo397, il quale frequentava la sua accademia. Nell’ambito della filosofia naturale gli scritti del ceramista vanno collocati accanto agli studi di diverse figure anch’esse provenienti dal milieu artigianale, come il francese Pierre Belon, formatosi come erborista, autore di trattati di zoologia e di botanica che pongono al centro dello studio l’osservazione diretta svolta durante i suoi viaggi398. Si tratta di un approccio alla Natura affine a quello di Palissy, che il ceramista cita esplicitamente nel suo trattato delle pietre399. Un’altra figura che rientra in tale approccio, anche se non è citato esplicitamente, è lo svizzero Conrad Gesner400, uno dei più importanti naturalisti del ‘500, figlio di un semplice conciatore, che realizza un’opera enciclopedica compilando ma soprattutto criticando i testi classici e moderni sulla base delle sue osservazioni e sperimentazioni, principalmente nell’ambito delle scienze naturali. Nello stesso modo gli esponenti delle arti figurative (architetti e artisti) che divennero noti come trattatisti sono punti di riferimento per Palissy: l’architetto Philibert De l’Orme, figlio di un muratore, che oggi viene ricordato principalmente per i suoi scritti401, è citato e criticato da Palissy nel Traité des eaux402; l’architetto Sebastiano Serlio è citato ben tre volte nelle opere di Palissy come modello di trattatista403 – anche lui viene ricordato più per le sue opere su carta -I Sette libri dell’Architettura e lo Straordinario Libro hanno avuto una diffusione senza precedenti e un impatto determinante sull’architettura francese- che per le sue realizzazioni architettoniche404; altro nome importante è quello di Jacques Androuet du Cerceau, correligionario del ceramista, la cui
397 Su «l’existence et la vitalité d’un monde médical « empirique » parallèle à la médecine officielle», si veda
VONS 2010. Su Ambroise Paré, si veda BERRIOT SALVADORE 2004.
398
In particolare il suo trattato La nature et diversité des poissons, avec leurs pourtraictz représentez au plus près du naturel, C. Estienne, Paris, 1555. Su di lui si veda CEARD 1971, pp. 129-140.
399 Cf. O.C., p. 448. 400
Cf. DEWALD 2004.
401
Le Nouvelles Inventions pour bien bastir et a petits fraiz (1561) denotano la volontà di dare consigli pratici agli architetti, mentre l’Architecture (1567), pur essendo più teorico, è guidato dalla volontà di istruire gli ignoranti.
402
Cf. O. C., p. 257, note 9.
403 Serlio è citato tre volte nella Recepte, ogni volta assieme a Vitruvio in quanto trattatisti di riferimento: «
[…] les anciens Architectes n’ont rien fait qu’avec certaines mesures, et grandes considérations, tesmoins Vistruve, et Sebastiane, qui ont fait certains livres d’architecture. » ; « […] l’homme n’a aucune ligne directe, ni mesure certaine en toutes ses parties, quelquechose que Victruve, et Sebastiane et autres architectes ayent seu dire, et monstrer par leurs figures. » ; « Je regarday aussi les plans et figures de Victruve et Sebastiane et autres Architectes». Cf. O.C., p. 170 ; 199 ; 224.
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raccolta di disegni dei Plus excellents bastiments de France405 è una fonte essenziale per la conoscenza degli edifici rinascimentali francesi. Questi tre architetti citati dal nostro sono accomunati dall’utilizzo delle illustrazioni e dal fatto che tutti usino la lingua vernacolare – riflesso del desiderio di rendere “la teoria più pratica”, accessibile tanto ai tecnici quanto ai letterati “dilettanti” in materia. Lo stesso Palissy prevedeva delle figure per illustrare il suo trattato delle pietre406, rendendolo così simile a quello di Conrad Gesner, De omni rerum fossilium genere (Zurigo, 1565), un intento che non fu realizzato, probabilmente