• Non ci sono risultati.

c I “termes” in architettura: dall’Antichità al Rinascimento

CAPITOLO III. L’ESTETICA RUSTICA DELLE GROTTE UN PROCESSO DI “DECIVILIZZAZIONE”

III.2. c I “termes” in architettura: dall’Antichità al Rinascimento

Oltre alla varietas dei materiali imitati e degli animali rappresentati - sempre le stesse specie di quelle che ornano il vasellame-, un elemento è particolarmente ricorrente nelle invenzioni palissiane: sia la grotta dell’Architecture che i gabinetti della Recepte sono popolati da strani esseri, figure arcaiche appartenenti ad una civiltà perduta sulle quali, dato l‘importante ruolo conferito loro dal ceramista, è fondamentale interrogarsi in modo

593

Sull’arte romanica in Saintonge si veda NANTEUIL 1960 ; CROZET 1971; LACOSTE 1998.

157

approfondito. Prima di tutto è utile chiarire un problema lessicale che si pone nel passaggio dalla lingua originale all’analisi che svolgo in italiano. Nel testo di Palissy le figure che mi attingo a trattare sono designate in modo esclusivo con la parola “terme”, senza l’uso di altri vocaboli che potrebbe portare ad una confusione sull’esatto tipo architettonico al quale Palissy si riferisce. Tale parola non ha un equivalente esatto in lingua italiana, il termine più vicino essendo “erma” che ha tuttavia un’etimologia diversa da “terme”, differenza che implica anche diverse sfaccettature nei loro significati595. Ho già usato in precedenza e userò nel corso di questo capitolo la parola erma essendo cosciente di tale differenza, tenendo invece “terme” quando il senso del testo lo richiederà. Nell’opera scritta di Palissy le erme sono i primi elementi architettonici ad essere menzionati, fin dalle prime righe dedicate alla facciata esterna nell’Architecture, testo nel quale essi avranno un posto di maggior importanza. Di queste figure ci sono pervenuti frammenti interi che permettono una ricostituzione materiale, rendendo possibile un confronto tra testo e opera. La parola terme proviene dal nome del dio romano Termine, in origine semplice epiteto di Giove, che divenne in seguito una divinità indipendente che vegliava sui confini dei poderi e delle strade, come Hermès nella mitologia greca. La leggenda riportata da Dionigi di Alicarnasso596 narra che quando fu costruito il tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio le numerose divinità delle cappelle che si trovavano sul luogo scelto accettarono di ritirarsi, per lasciare il posto al dio supremo. Solamente Termine si rifiutò di partire e si dovette includere la sua cappella all'interno del tempio. Poiché era stato persino in grado di opporsi all'autorità di Giove, alcuni auguri predissero che i confini dello stato romano non sarebbero mai receduti. Plutarco scrive inoltre che Termine era l’unica divinità romana che rifiutava i sacrifici cruenti e accettava in dono solo foglie e petali di fiori per ornare i suoi simulacri597. Nei Fasti Ovidio riporta la leggenda e ci insegna che il dio era festeggiato il 23 febbraio - giorno del passaggio all’anno nuovo- dalla popolazione contadina, per la quale simboleggiava il limite invalicabile tra un campo e un altro. Nella descrizione delle cerimonie legate al culto del dio, Ovidio evoca un atmosfera rustica contadina, che dimostra già in origine l’associazione tra il dio e il modo contadino, la rusticità. Il carattere

595 Erma deriva dalla divinità Hermes, e corrisponde in francese al sostantivo hermes che in architettura

designa sempre una figura molto vicina a quella del terme. Tuttavia l’etimologia dei due non è la stessa.

596

Dionigi di Alicarnasso, Ρωμαικης Αρχαιολογιας (trasl. Rhomaikes Archaiologias), Antichità romane, I, 72.

158

fermo, inflessibile, ne fanno sia il guardiano simbolico delle frontiere dello spazio e del tempo, colui che delimita la soglia tra vita e morte, che un simbolo di integrità, di fede inamovibile. Nel testo di Ovidio il dio è inoltre visto come un garante di pace, perché delimita in modo inflessibile il territorio assegnato a ciascuno.

La figura mitica con i suoi ricchi significati venne poi ripreso dagli umanisti per personificare tali virtù, e raffigurato in arte come un busto d’uomo appoggiato su un blocco di pietra, chiamato terme in francese, erma in italiano. Nel lessico architettonico francese si distingue quindi il terme collocato su un blocco di pietra, dall’hermès il cui corpo è rinchiuso in un fodero, mentre in italiano erma designa le due rappresentazioni senza distinzione, riferendosi alla mitologia greca nella quale à Hermès che ricopre il ruolo di guardiano delle strade, dei campi e dei crocevia. La differenza architettonica tra hermès e terme, se è chiara oggi per uno studioso di architettura, sembra non lo fosse perfettamente invece per gli architetti e gli artisti del Cinquecento. In effetti se consideriamo il celebre repertorio di modelli di riferimento dedicato ai termes di Hugues Sambin598 (1572) costatiamo che corrispondono più a degli hermès che a dei termes. Invece il termine usato per tutti è quello che deriva dalla divinità romana, per cui è proprio questa etimologia che ritengo indispensabile per capire il significato che potevano rivestire tali figure nell’immaginario di Palissy e dei suoi contemporanei. Alle erme erano associati diversi significati: nell’Antichità erano usate come marcatori di distanza; simboleggiavano i limiti dei campi, ma anche quelli dell’impero, e per estensione la morte, in quanto termine della vita599. Durante il Rinascimento il motivo ha riscontrato un notevole successo, ed è stato assai frequentemente usato in architettura, nonché nei frontespizi illustrati e negli emblemi di colti personaggi, a cominciare da Erasmo, affezionato a tal punto a questa figura da sceglierla come proprio emblema600. Nel caso dell’umanista, la fermezza del dio rivestiva un significato morale, cioè la fermezza d’animo, l’integrità di fronte alla corruzione che denunciava con tanta forza. Questo valore dato alla figura mitologica viene confermato dal motto scelto dall’umanista per accompagnare l’emblema, “Cedo nulli”, cioè “Non cedo niente a nessuno”.601 Quando viene usato negli emblema il significato è esplicitato dal motto – anche se spesso

598 Hugues Sambin, Œuvre de la diversité des termes dont on use en architecture, Dijon, 1572. 599

Si veda l’articolo di Jean Guillaume sull’uso dell’erma nei libri di Emblemata. Cf. GUILLAUME 1981.

600

Idem.

159

appositamente ambiguo – che ci permette di capire il valore simbolico della figura. In ambito architettonico questa comprensione diventa più difficile, non essendoci sempre iscrizioni didascaliche, e conviene considerare il luogo dove venivano collocate e la loro funzione per poterci interrogare sul valore rivestito. Anche quando fungeva da ornamento nei monumenti, l’erma conservava il suo significato originario di limite, come lo dimostra il fatto che veniva spesso collocata sui portali e le facciate, cioè alla frontiera tra l’esterno e l’interno, creando un effetto di monumentale solennità, nonché un richiamo colto alla tradizione antica602. Alla funzione di marcatore di limite, si è aggiunta quella di sostegno all’architrave, tramite una specie di fusione tra atlanti, cariatidi e l’erma o terme antico. Certo si può ipotizzare che il largo uso che se ne fece durante il Rinascimento in architettura, ma anche nelle arti figurative abbia generato una relativa perdita del significato originario; tuttavia alcune testimonianze ci fanno pensare che invece il loro valore simbolico fosse ben presente nella mente degli architetti603. Lo dimostra il sonetto della dedica all’opera di Hugues Sambin, Œuvre de la diversite des termes ( 1572) che ricorda la leggenda mitologica e il carattere irremovibile del dio:

Lorsque le Roi Tarquin chassait les anciens Dieux Du mont Tarpéien, et voulait seulement Que trois des plus grands Dieux fussent superbement :

Adorés des Romains, et posés en leurs lieux. Le Dieu Terme étant là, de sa gloire envieux, Ne voulut point bouger, et fit divinement Connaître par effet d’un augure excellent, Qu’il ne céderait point voire au prince des Cieux.

Ainsi, mon cher Sambin, la perle de notre âge, Il est facile à voir, que le divin ouvrage Des Termes que tu fais, en tel honneur sera : Qu’il ne cédera point aux ouvrages sa gloire, Lesquels anciennement et de notre mémoire,

602 Al proposito dei portali come marcatori di limite, e del loro ornamento si veda l’interessante articolo di

ECK 2009, p. 21-30.

603

Su questo tema interessanti riflessioni sono quelle di E. Wind e E. Panofsky nel Journal of the Warburg and Courtauld Institutes. Cf. WIND 1938 p. 66-69 e PANOFSKY 1969, pp. 214-19.

160

Ont jamais été faits et jamais on fera.604

Questo sonetto dimostra che il significato mitico dell’ornamento architettonico fosse conosciuto da chi lo usava nelle proprie creazioni durante il Cinquecento, grazie alla conoscenza della leggenda e della sua interpretazione moraleggiante. Se consideriamo adesso il frontespizio dell’opera di Sambin (fig.52), osserviamo un’architettura ornata da due erme monumentali, e al centro lo stemma di Léonor Chabot, Grand Ecuyer de France, a chi è dedicata la raccolta, ornato da ghirlande e retto da due uomini selvaggi. Questi due personaggi incarnano lo stato rustico dell’uomo primitivo, quando non era ancora distaccato dalla natura: in effetti le erme si prestano particolarmente bene ad ornare l’ordine rustico proprio per la loro natura ibrida, semi-antropomorfica semi-minerale. Sambin dedica la prima parte della raccolta all’ordine tuscanico, con tre tipi di erme femminili e maschili, che seguono un crescendo verso una raffinatezza sempre maggiore, seguendo in questo i precetti vitruviani degli ordini, dal più robusto (il dorico) al più leggiadro (il corinzio). Le illustrazioni di Sambin fanno proprio eco alle descrizioni di Palissy, e anche alle sue realizzazioni a noi pervenute. Le prime erme della raccolta sono le più rustiche (fig.53): hanno la parte bassa del corpo fatto di pietra grezza, non hanno nessun ornamento e sono invece invase da ciuffi di erbe spontanee, nonché di animali rampanti: nel caso della donna, proprio gli stessi prediletti da Palissy. Il primo e il secondo tipo di erma tuscanica (fig. 53 e 54) hanno somiglianze con quelle di Palissy: il primo perché è fatto di roccia grezza, invaso da piante e animali, proprio come l’erma descritta nell’Architecture :

[…]toute sa façon et corporance est tortue, bossue, mangée de l’air, & chargée de mousse, à cause de sa vieillesse & antichité. Et sur lesdictes mousses, ou parmi icelles il y a certaines plantes, & diverses especes d’herbes, qui ont creu sur le corps, & figure dudict terme à cause de sa grande antiquité.Ce-neantmoins ledici terme tient encores quelque forme assez apparente du corps humain, voire jusques aux bosses & rides de la poictrine, & autres touches, qui communement apparoissent en l’humaine nature. Ce-neantmoins le pied est formé& inscupé en forme de pied de colonne.605

604

Sonnet à l’autheur par Etienne Tabourot advocat au Parlement de Dijon, in SAMBIN 1572, p.5.

161

Invece la seconda erma tuscanica femminile di Sambin ha tratti simili alla forma ritrovata nell’atelier di Palissy ( fig. 54 e 15), come si vede paragonando le due figure. In entrambi casi l’erma è coperta da un drappeggio all’antica molto aderente, sul quale Palissy insiste nel testo perché la perfetta resa del tessuto costituisce una sfida illusionistica che si vanta di superare: “Car les accoustrements, et linges desquels ils sont coiffez, et vestuz resemblent le naturel, de sorte que plusieurs voyants ledict oeuvre s’en sont retournez en soustenant et opiniatrant que la toile dont lesdictz termes sont vestuz est naturelle.”606 Esistono quindi similitudini tra le erme immaginate dai due autori, tuttavia come nel caso delle costruzioni vegetali, Palissy si afferma in qualche modo al rovescio rispetto all’andamento vitruviano delle erme di Sambin, per proporre un percorso nel quale le erme divengono sempre più rustiche, dove la forma umana tende a scomparire. L’affinità tra erma e rusticità si ritrova espressa in modo “bestiale” trent’anni dopo nell’opera di Joseph Boillot, i Nouveaux pourtraicts et figures de termes interamente zoomorfi e di una novità assoluta per il Duca di Nevers607 (fig. 55 e 56). In questo caso l’elemento umoristico è fondamentale, nonché la capacità dell’artista di inventare una grande varietà di tipologie, con l’intento di divertire il proprio committente.

Le erme sono poco presenti nella teoria architettonica classica – Vitruvio menziona solo nel Libro I le cariatidi e gli atlanti dei quali dice che sono delle rappresentazioni di schiavi o di prigionieri asserviti dal peso che reggono – Vignola e Palladio le ignorano. Nella pratica invece le incontriamo spesso, in Italia sulle facciate e negli interni di architetture private a partire dagli anni Trenta del ‘500, in Francia prima nella cerchia della scuola di Fontainebleau, poi diffuse in tutto il territorio lungo il secolo. Sono elementi decorativi che troviamo nelle architetture reali e in quelle effimere, come le famose entrate che scandivano le cerimonie ufficiali: ad esempio l’arco di trionfo edificato alla porta di Saint- Denis nel 1549 per l’entrata ufficiale di Enrico II608, che presenta caratteristiche formali similari a quelle di Palissy, proprie dell’ordine tuscanico rustico, con le pareti crepate sul punto di sgretolarsi e le erbe che ci spuntano selvaggiamente (fig. 57).

Serlio ne dà alcuni esempi nel Quarto Libro, a proposito dei cammini, mentre nel Libro Straordinario le declina come ornamenti dei portali, forse proprio ispirato all’ambiente francese che ne faceva largo uso, e perché la loro funzione si prestava proprio a questo

606

Cf. O.C., p. 63.

162

tipo di architettura. Jacques Androuet du Cerceau ne fa uno dei suoi ornamenti prediletti come lo dimostrano le incisioni dedicatovi - ancora prima della raccolta di Sambin- e l’uso frequente nelle sue realizzazioni architettoniche. Già nel Quinque et vigniti exempla arcuum, pubblicato ad Orléans nel 1549, Du Cerceau ne fa uso, e soprattutto l’architetto dedica dodici incisioni a varianti di erme, pubblicate sotto il titolo Termes et cariatides da Heinrich von Geymuller nel 1887 (fig.58 e 59). Le erme furono molto apprezzate anche in Europa Settentrionale, nelle incisioni di Hans Vredeman de Vries, Wendel Dietterlin609 o John Shute610 dove queste figure esprimeranno in pieno il gusto per la licenza e il “furore creativo” (fig. 60 e 61) caratteristico della fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 nei paesi centroeuropei. Le erme sono in effetti spesso l’occasione per dare sfogo alla licenza artistica, e lo vediamo nelle raccolte di incisioni già citate di Jacques Androuet du Cerceau, nel repertorio di Hugues Sambin611 o di Joseph Boillot. La diffusione del motivo delle erme è quindi un largo fenomeno, e non solo in architettura; accanto ai monumentali esemplari di pietra e alle incisioni su carta, le troviamo di frequente in oggetti d’arte tali le sculture ornamentali di mobili612 o il vasellame (fig. 62-63). Sambin stesso, oltre al suo “manifesto” del 1572 interamente dedicatovi, ne ha fatto un largo uso nelle sue creazioni, come nello splendido armadio ligneo conservato a Ecouen ( fig. 64) o quello attribuitogli al Getty Museum (fig.65).613 Il motivo dell’erma costituisce dunque un interessante caso di migrazione delle forme da un medium artistico all’altro, motivo prediletto in numerosi armadi, i cosiddetti “cabinets” la cui funzione era quella di destar meraviglia più che di avere un uso funzionale, allo stesso modo delle rustiques figulines palissiane614, e trasformendosi in manico delle posate delle ricche tavole615. Lo stesso Palissy usa la figura non solo nei suoi progetti architettonici, ma anche come ornamento di vasellame come ne testimoniano gli esemplari ritrovati durante gli scavi delle Tuileries. Si può ipotizzare

608 Cf.MARTIN 1549. 609

La prima edizione del suo volume intitolato de V. Seulen. Das erste Buch, Stuttgart, s.n., 1593 e Architectvra: From Außtheilung, Symmetria vnd proportion of Fünff Seulen, and all darauß volgender art work of windows, Caminen ..., Nuremberg, 1598. Architectura und Austheilung

610

John Shute, The first and chief groundes of architecture, Gregg Press, 1563.

611

Œuvre de la diversitez des termes, Lyon, J. Durant, 1572.

612 Sui cabinets di Sambin si rinvia al catalogo della mostra del 2001: ERLANDE BRANDENBURG 2001. 613

Sull’attività di Sambin artigiano e i mobili attribuitigli si veda l’interessante catalogo di mostra GUILLAUME 1989 e ERLANDE- BRANDEBURG 2001.

614 Su questi mobili si veda l’articolo di approfondimento di Alain Prévet, pubblicato nella Tribune de l’art il 7

giugno 2010. Cf. PREVET 2010.

615

Bellissimi esemplari erano visibili di recente alla mostra dedicata all’oreficeria di Ecouen. Cf. La France des fondeurs, art et usages du bronze aux XVIe XVIIe siècles, Paris, RMN, 2010.

163

che tali pezzi fossero destinati alla grotta di Caterina dei Medici, testimoniando di un gusto cortese per tali figure, forse guidato dallo stesso gusto della regina per l’architettura616. Rispetto alle numerosi fonti iconografiche che attestano della diffusione del motivo dell’erma, non si può non sottolineare di nuovo la mancanza totale di incisioni o disegni che avrebbero potuto illustrare il progetto di Palissy. Se alle descrizioni teoriche avesse aggiunto dei disegni, i suo testi avrebbero forse giocato un ruolo importante nella diffusione di modelli di erme per grotte e giardini. Interrogandoci su questa particolarità “iconoclasta”, analizzeremo intanto il testo, confrontandolo con altri esemplari conosciuti.

616

Sulla passione di Caterina per l’architettura si veda CHATENET 2002; BRESC-BAUTIER 2008; DROGUET 2008; FROMMEL 2008a.

164