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CAPITOLO II. LA GENESI DELLE RUSTIQUES FIGULINES

II.3. c L’esperienza dell’arte

Palissy non acquisì le conoscenze relative alla pratica della ceramica né grazie ad un apprendistato presso la bottega di un maestro vasaio, né per trasmissione filiale, com’era invece consuetudine all’epoca nei diversi ambiti dell’artigianato. Egli dichiara di non aver fatto alcun apprendistato in quel campo, e di aver preso l’iniziativa di cominciare l’attività di ceramista abbastanza tardi, attorno agli anni Quaranta del Cinquecento, imparando da solo “il mestiere” grazie ad un metodo empirico e alle sue conoscenze tecniche acquisite

430

Ibidem.

431

Cf. O.C., p. 249.

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quando esercitava la professione di pittore su vetro. Anche se fino ad ora non sono stati trovati documenti relativi alla sua prima attività, essa è testimoniata da riferimenti continui, presenti tanto nella Recepte quanto nei Discours, che dimostrano l’ottima conoscenza sia dell’uso dei colori per ornare i vetri, sia delle proprietà dei materiali (a tale proposito è importante ricordare la sua teoria del sale434).

Questa padronanza delle proprietà dei materiali indispensabili all’arte vetraria è del resto il presupposto imprescindibile della sua scelta dell’arte ceramica, e si colloca alla base delle sue ricerche in materia di filosofia naturale. Palissy insiste sul carattere redditizio435 e nobile436 di questa professione quando scrive: “Il loro status è nobile e gli uomini che vi si dedicano sono nobili: ma diversi sono i gentiluomini che preferirebbero essere plebei e avere abbastanza per pagare i sussidi dei principi”437. Tale affermazione si riferisce alla peculiarità dello status del pittore su vetro: all’epoca, alcuni di questi pittori venivano chiamati “gentilhommes verriers” proprio perché erano nobili ai quali venne concesso di praticare l’arte vetraria senza tuttavia perdere il loro titolo. Godevano di uno statuto privilegiato nella gerarchia dei lavoratori grazie ad una decisione risalente a Carlo VII438, e di conseguenza occupavano una posizione socialmente invidiabile che si rispecchiava in tutta la professione.

Nel primo statuto della corporazione dei vetrai di Parigi -risalendo agli statuti della città del 1467- che raggruppava i mestieri in 61 compagnie, i “peintres verriers” o «voirriers» facevano parte della trentacinquesima, insieme ai pittori, ai ricamatori e ai fabbricanti di indumenti religiosi439. Ora, se pensiamo alla struttura gerarchica propria della società dell’Ancien Régime, lasciare una professione di tale pregio per intraprenderne un’altra per la quale tra l’altro non si è stati neppure formati sembra un percorso assolutamente

433 Cf. « Du Mitridat, ou Thériaque »,in idem, pp. 379- 384. 434

Nel dialogo tra Demande e Responce a proposito del sale si veda ad esempio O. C., pp. 114-115. Nei Discours i riferimenti sono numerosi : a proposito del salicor p. 456, a proposito dei colori dei vetri p. 459 ecc. Sulla teoria del sale in generale si veda FELLER 2007.

435

“Or quand j'étais en de telles commissions j'étais très bien payé, aussi ai-je entretenu longtemps la vitrerie, jusqu'à ce que j'aie été assuré pouvoir vivre de l'art de terre.” O.C., p. 484.

436 Sullo statuto dei vetrai nell'alto Medioevo e nel Rinascimento, in particolare nella regione del Sud-Ovest

della Francia, si veda SAINT-SAUD 1940.

437

Cf. O.C., p. 480. “L'estat en est noble et les hommes qui y besognent sont nobles: mais plusieurs sont gentilhommes pour exercer cet art, qui voudraient être roturiers et avoir de quoi payer les subsides des princes”.

438

Si veda BROWN 1992, LEPROUX 1988.

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inconsueto che non corrisponde affatto ai codici sociali, secondo i quali l’artigiano deve fare i conti con la propria corporazione di appartenenza440.

In realtà questo cambio di professione è possibile proprio perché il mestiere di vasaio non afferisce ad alcuna corporazione, come dimostra le Livre des mestiers d’Etienne Boileau: “Comment devenir potier? Quiconques veut estre potier de terre à Paris, estre le puet, pour que il ait de coi et il faire le sache”441. Prova della singolarità della scelta di Palissy di cambiare lavoro è l’incomprensione che questa genera tra i suoi conoscenti, i quali lo disprezzano quando egli viene a trovarsi in una condizione di miseria perché «Il luy appartient bien de mourir de faim, par ce qu’il delaisse son mestier»442.

A questo punto è doveroso interrogarci sullo statuto conferito alla professione di vasaio. Paradossalmente, benché i manufatti dell’ “arte di terra” siano tra i più studiati dall’archeologia, proprio per il gran numero di reperti pervenutici, i dati relativi al mestiere di vasaio sono scarsi, e di conseguenza la conoscenza della professione in Età moderna rimane ancora poco studiata443. Gli studi esistenti fanno emergere che il posto occupato dai vasai nella gerarchia sociale durante i Quattro e Cinquecento godeva di scarsa considerazione come fa notare la storica Danièle-Alexandre Bidon: “Le potier, bas- placé dans l’échelle sociale, fabriquait surtout des pots de faible valeur, déjà largement concurrencés, à la fin du Moyen-âge, par bien d’autres matériaux : le bois ou l’osier depuis toujours, les métaux depuis le XVIe siècle dans toutes les classes sociales, le verre aux temps modernes surtout en milieu rural”444. Inoltre il lavoro di vasaio rimase un lavoro saltuario più che una vera specializzazione: “Même dans les villages spécialisés surtout connus pour la Saintonge, l’artisanat céramique reste, dans une certaine mesure, un travail d’appoint, peut-être parce que saisonnier : la production s’arrête en hiver»445. In effetti il vasaio è spesso anche un lavoratore agricolo, come testimonia la nozione di “potier-paysan”, cioè la combinazione per un solo uomo di questi due lavori a seconda del periodo dell’anno, molto diffusa in epoca medievale446. La concezione della “terra” non solo come medium dei manufatti ma anche come terreno da coltivare è uno dei temi che

440 Sulla vita sociale degli artigiani francesi in età moderna si veda HAUSER [1899] 1982. 441

Tratto da BOILEAU 1777, pubblicato in LESPINASSE e BONNARDOT 1879, p. 151.

442

Cf. O.C., p. 490. Corsivo mio.

443 Si veda l’articolo di BIDON 1986. 444

Idem, p. 91.

445

Idem, p. 73.

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emerge dagli scritti di Palissy come vedremo a proposito del progetto di giardino della Recepte véritable.

Questo duplice status di vasaio/contadino può spiegare la posizione socialmente inferiore del vasaio rispetto al pittore su vetro, testimoniata per esempio dalle famose incisioni di Jost Amman nell’opera enciclopedica Panoplia Omnium Liberalium Mechanicarum et Seden-tariarum Artium Genera Continens447. Queste incisioni raffigurano i diversi costumi propri dei mestieri della società, e costituiscono una fonte preziosa per capire le modalità di lavoro e la struttura gerarchica della società. Se confrontiamo il pittore su vetro (fig. 34) col ceramista (fig. 35), percepiamo chiaramente la differenza di prestigio sociale. Il secondo è collocato verso la fine dell’elenco dei mestieri, mentre il pittore su vetro, il “glasmaler”, è collocato poco dopo il pittore. Nelle raffigurazioni, vediamo il pittore su vetro in veste di gentiluomo, in uno studio dove ci sono anche dei libri, e la didascalia che accompagna l’immagine riflette la stima di cui gode: «Mi chiamano pittore su vetro/ posso fondere nei vetri / delle opere d'arte. / Faccio magnifiche persone / donne e uomini nobili / ritratte assieme ai loro figli / e le insegne e gli scudi della loro casata / così che si possa riconoscere con essi / da dove proviene questa famiglia»448.

Al contrario, il ceramista non era considerato un creatore ma un meccanico, vicino al mondo rustico dei contadini; così lo raffigura l’incisione che lo mostra davanti ad un tornio, circondato da manufatti destinati all’uso quotidiano; sullo sfondo, una finestra aperta su un paesaggio popolato da contadini. La didascalia dell’incisione insiste sul carattere manuale del lavoro e sull’uso comune delle realizzazioni del vasaio: “L'argilla pigio con il mio piede / mescolato con capelli / poi devo buttare un mucchio sul disco / che devo far girare con i piedi. / Faccio brocche / pentole / piastrelle di coccio / li smalto e li coloro / poi li brucio nel fuoco / Corebus mi diede l'arte come contributo”449.

Data questa differenza di statuto tra le due professioni, e l’ambizione del ceramista di essere considerato un “filosofo”, la sua scelta di rinunciare alla prima professione per praticare l’arte di terra desta perplessità. Perché scegliere di abbandonare un mestiere redditizio e ben considerato nella gerarchia delle professioni per iniziarne un altro meno

447

Cf. AMMAN 1568.

448

„Einen Glaßmaler heist man mich/ In die Glässer kan schmelzen ich/ Bildwerck / mach herrliche Person/ Adelich Frauwen unde Mann/ Sampt iren Kindern abgebild/ Und ires gschlechts Wappen und Schilt/ Daß man erkennen kan darbey/ Wann diß Geschlecht herkommen sey“. Cf. AMMAN 1568. Traduzione di Sandra Hofer.

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apprezzato e che non conosce affatto? Abbiamo visto all’inizio di questo capitolo quanto il contesto spirituale avesse potuto giocare un ruolo nella scelta di abbandonare la pittura su vetro dedicata a tematiche sacra. Un altro fattore spiega non tanto la scelta dell’arte ceramica, ma la scelta di cominciare un mestiere in modo autodidatta. Il ceramista ha dedicato uno spazio rilevante dei suoi scritti alla sua attività artistica: la sua prima pubblicazione, del 1562, intitolata Architecture et Ordonnance de la grotte rustique450, è dedicata alla descrizione della grotta di ceramica che sta realizzando su commissione del connestabile Anne de Montmorency, e costituisce la descrizione più estesa di grotta rinascimentale a noi nota; nel 1563, nella Recepte véritable, dedica una parte rilevante dell’opera al progetto di un giardino dedicato al diletto e alla meditazione spirituale451; infine, nel 1580 i Discours Admirables contano un intero trattato sulla sua esperienza di ceramista, il Traité de l’Art de Terre.

In quest’ultimo scritto, Palissy insistette sulla differenza tra un lavoro manuale sprovvisto di riflessione e di consapevolezza e un lavoro manuale svolto con una mentalità analitica, che egli chiama “filosofia”, termine peraltro di ambigua accezione nel suo lessico poiché lo usa sia in senso negativo quando parla dei filosofi esponenti della tradizione teorica, sia in senso estremamente positivo se riferito ad un sapere frutto della conoscenza pratica, come nel caso della qualifica di “filosofo naturale”. La nozione di sperimentazione personale nonché delle difficoltà incontrate durante il processo creativo si pone al centro della sua valutazione dell’arte: in effetti la fama di Palissy, il vero e proprio mito che si è creato attorno alla sua figura, non è legato solo ai manufatti in quanto tali, bensì al racconto della loro genesi, narrata nell’Arte di terra come una travagliata ricerca dello smalto connotata da misticismo e da riferimenti biblici.

Il lungo passo narra la sua conversione professionale e la realizzazione delle prime opere, e la ricerca dello smalto bianco perfetto, cioè la reinvenzione solitaria di una tecnica che in realtà era già in uso, la maiolica452. Questa ricerca durò più di dieci anni, fu percorsa da ostacoli, e il racconto fa apparire il nostro quale vero martire disposto al sacrificio di sé pur di raggiungere la perfezione dell’arte. Ben lungi dal vergognarsi della sua professione di vasaio, Palissy rivendica la sua scelta e ne trae un orgoglio molto più vivo di quello che

450 Cf. Architecture et ordonnance de la grotte rustique de Monseigneur le Duc de Montmorancy, Pair et Connestable de France, La Rochelle, Barthélémy Berton, 1563.

451

Cf. Récepte véritable, par laquelle tous les hommes de la France pourront apprendre à multiplier et augmenter leurs thrésors, La Rochelle, Barthélémy Berton, 1563.

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gli suscitava il lavoro di vetraio, per il quale non sembra avere sperimentato tecniche particolari. Benché solo relativamente affidabile vista la sua natura inevitabilmente soggettiva, tale racconto è fondamentale per capire la ricerca artistica del nostro453. Questa narrazione dell’“ispirazione”, o rivelazione estetica, per quanto possa essere avvicinata ad altre narrazioni biografiche di artisti affermati – pensiamo in particolare all’orefice di corte Benvenuto Cellini454 –, si adatta ben poco ad un artigiano modesto quale doveva essere Palissy al momento del racconto.

Una chiave di lettura di tale testimonianza risiede secondo me proprio nell’insistenza con cui egli afferma con orgoglio il fatto di essere un autodidatta, rivendicando il successo di aver scoperto da solo la tecnica dello smalto e della cottura, a forza di sperimentazioni, di errori e di correzioni. Il racconto dimostra la messa in pratica dell’etica epistemologica di Palissy, quella della sperimentazione come base di ogni conoscenza, anche se a duro prezzo, come si evince dalla drammatica descrizione delle sue fatiche. La scelta di cambiare professione lo portò in effetti a cominciare da zero l'apprendistato, attraverso una ricerca accanita che gli provocò miseria materiale, morale e fisica.

La dimensione drammatica, sviluppata in crescendo, evoca in modo molto chiaro le fatiche fisiche del ceramista che lo portano quasi alla morte:

Tutti questi errori mi hanno causato così tanto lavoro e tanta tristezza dello spirito che prima di aver reso tutti i miei smalti fondibili ad una stessa temperatura di fuoco ho pensato che sarei arrivato alla porta del sepolcro: […] nell’arco di più di dieci anni mi sono trovato ad essere così provato che non c'era più alcuna forma né apparenza di rilievo sulle braccia e le gambe. Le mie gambe erano tutte dritte455

La necessità di superare gli ostacoli morali – lo scoraggiamento e le critiche – nonché quelli fisici, generati dalla ricerca personale, viene ribadita dal protagonista Praticque che

452

Cf. PERRIN 2004.

453 Si veda la citazione del passo all’inizio di questo capitolo. 454

Cf. CELLINI (1728) 2007. Su Cellini si veda in particolare il recente studio di COLE 2002.

455

Cf. O. C., p. 495: “Toutes ces fautes m'ont causé un tel labeur et tristesse d'esprit, qu'au paravant que j'aye eu rendu mes esmaux fusibles à un mesme degré de feu, j'ay cuidé entrer jusques à la porte du sepulchre: […] je me suis trouvé en l'espace de plus de dix ans si fort escoulé en ma personne qu'il n'y avoit aucune forme ny apparence de bosse aux bras ny aux jambes: ains estoyent mesdites jambes étaient toutes d'une venue”.

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rifiuta di svelare il segreto della realizzazione dello smalto finalmente scoperto, argomentando così la sua posizione:

Quando avrò impiegato mille rame di carta per scriverti tutti gli incidenti che mi sono avvenuti cercando quest'arte, stai certo che anche se hai uno spirito buono ti succederà di fare ancora un migliaio di errori, i quali non possono essere spiegati con le lettere, e anche qualora tu li avessi per iscritto, non li crederesti prima che la pratica ti abbia dato mille afflizioni456.

Nella mente di Palissy, è proprio il lavoro di sperimentazione manuale, la conoscenza dei materiali e delle loro reazioni, nonché la fatica sperimentata, che vale come criterio per dimostrare il carattere intellettuale della sua arte e la sua appartenenza alle arti liberali, alla “filosofia” per usare le sue stesse parole. Questa distinzione tra le arti potrebbe sembrare simile alla rivendicazione nata nel Quattrocento di alcuni artisti italiani di vedere la loro attività giungere alla qualifica di arte liberale; tuttavia il ceramista assume una posizione ambigua è distinta nel definire la sua arte. Certo la fatica fisica estrema, il superamento di sé stesso generato dalla pratica di un’arte o di una scienza, è un topos presente in altri scritti autobiografici dell’epoca. Marie-Madeleine Fragonard evocò al riguardo possibili confronti: tra gli artisti Benvenuto Cellini e Michelangelo, tra gli scienziati Girolamo Cardano e Paracelso457, ma anche autori più vicini al nostro come Denis Zécaire e Bernard Le Trevisan, autori di due trattati sui metalli nel 1567.458. Il racconto della genesi dell’opera è secondo Michel Jeanneret caratteristica dalla teoria dell’arte umanistica ispirata al neoplatonismo fiorentino: «Una teoria dell’arte privilegiata, tra gli umanisti, valorizza la messinscena della genesi dell’opera. A partire del cerchio neoplatonico di Firenze, poi presto attraverso tutta l’Europa letterata, la riflessione estetica prende le sembianze di una psicologia della creazione ; l’interesse si concentra sulla persona dell’artista e del momento magico in cui inventa il suo disegno. È l’irruzione dell’uomo nell’opera e dell’irrazionale nella tecnica. »459

456

Cf. O. C., p. 485.

457 Cf. l’introduzione delle O.C. 458

De la vraye Philosophie naturelle des métaux de Denis Zécaire e il Traité sur le même subgect di Bernard Le Trévisan furono pubblicati insieme ad Anversa nel 1567. Cf O.C., nota p. 485.

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Questa considerazione vale per la maggior parte della teoria dell’arte dell’epoca, che tende a ridimensionare le reali proporzioni del lavoro manuale e a enfatizzare la parte giocata dall’intelletto, proprio nell’ottica di rivendicare uno statuto liberale per l’artista. Lo vediamo nella trattatistica rinascimentale, da Alberti460 a Vasari461 per citare solo loro, che ancorano la dignità e il valore dell’artista alla sua capacità di progettare, di “disegnare” l’opera, cosa ben diversa dal semplice copiare dell’uomo meccanico, tipica secondo tale concezione della tradizione medievale. Essi determinano il formarsi di una teoria dell’arte basata su criteri di valutazione delle opere che saranno validi poi per tutta la critica e l’arte occidentale successive. Questi criteri o qualità, elencati da Vasari nel Proemio della terza parte delle Vite, sono “i cinque aggiunti che io nominai e discorrer succintamente donde sia nato quel vero buono”, cioè “la regola nell’architettura” ossia il seguire il canone vitruviano, “il disegno” ossia “lo imitare il più bello della natura in tutte le figure”, “la maniera” ossia “l’avere messo in uso il frequente ritrarre le cose più belle”, l’”invenzione” cioè la capacità a comporre le scene appartenenti alla “pittura di storia”, che viene posta al vertice della gerarchia dei soggetti da Vasari, in quanto rappresenta narrazioni tratte dai testi sacri o dalle fonti antiche. Infine il teorico aretino insiste sulla “grazia”462, cioè la bellezza e l’armonia dell’immagine, raggiunta dagli artisti eccellenti. Tali criteri, che servirono a Vasari per giudicare il valore dell’opera e per affermare lo statuto di arti liberali per la pittura, la scultura e l’architettura, sono ben diversi dagli argomenti usati da Palissy per difendere il suo atto creativo. Il paragone è legittimo perché al pari di un pittore, il ceramista considera fermamente che la sua attività sia frutto dell’intelletto, per cui potremmo aspettarci un ragionamento simile a quella di Vasari per rivendicare uno status liberale. Invece Palissy non si avvale dell’uso del disegno quale criterio determinante, e sembra invece relegarlo ad un ruolo secondario, per non dire che lo rigetta completamente, come vedremo più avanti. Palissy si considera “inventeur” e “filosofo” non perché disegna, progetta teoricamente, ma proprio perché la sua arte è frutto di conoscenze basate sull’esperienza pratica. E’ la propria capacità a conoscere le materie e le loro reazioni, e quindi a dedurne un metodo, una tecnica che permetta di padroneggiarle che costituisce per lui il vero valore dell’arte. In questo senso

460 Cf. ALBERTI, De re edificatoria ( 1485); De Pictura (1435 ca) ; De statua (1462 ca). 461

VASARI 1568. Sull’emancipazione dell’artista nel Rinascimento si veda in particolare KEMPERS 1992, KANTOROWICZ 1995, WOODS MARSDEN 1998, AMES LEWIS 2002.

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si distacca anche dalla visione proposta da Leonardo da Vinci, che per la sua attività poliedrica e in particolare per l’attenzione che rivolge allo studio della natura si presta anche lui ad un confronto con l’approccio palissiano. Nei suoi scritti sulla pittura trattati dal Codex Urbinas Latinus 1270, anche il genio toscano affermò l’importanza della pratica come parte imprescindibile della filosofia naturale e dell’arte. In effetti, alla domanda se “la pittura è scienzia o no”463, egli afferma che “quelle scienzie sieno vane e piene d’errori le quali non sonno nate dall’esperienzia, madre d’ogni certezza”464. Tuttavia, se egli celebrò l’importanza dell’esperienza, contrariamente a Palissy non esaltò la fatica, anche fisica, del creatore, dimostrando invece di disprezzarla: a proposito della scultura egli scrive “La scultura non è scienzia, ma è arte mechanichissima, perché genera sudore e