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CAPITOLO III. L’ESTETICA RUSTICA DELLE GROTTE UN PROCESSO DI “DECIVILIZZAZIONE”

III.2. d I guardiani dell’antro

Palissy indica subito qual è il modello per le erme della grotta, facendo riferimento all’arte classica romana che poteva osservare direttamente, cioè quello che chiama “Palais Tutelle” (fig. 43):

Et à l’entredeux d’une chacune fenêtre, il y a un terme servant en partie de pilier et consolatoire pour porter les voûtes tenant un tel ordre (ou environ) comme certaines figures que tu vois à un antique bâtiment, qui est à Bordeaux, nommé Palais Tutelle617.

Il ceramista intende quindi richiamarsi ad una tradizione antica adattandola al gusto per il rustico e per la meraviglia essenziale nella diffusione delle grotte: fin dalle parole introduttive alla descrizione delle erme, nell’Architecture Palissy insiste sulla stranezza e la mostruosità618 che le distinguono, caratteristiche fondamentali e ricorrenti nella sua estetica. Nell’elencare le diverse tipologie è invece la varietà che stupisce: sei di loro sono descritti in modo dettagliato, e altri sono evocati in modo più sommario, comunque ciascuno diversa dall’altra. Questa ricchezza nella variazione sul tema corrisponde anche al desiderio espresso da Sambin sin dal titolo della sua raccolta, Oeuvre de la diversité des termes, e all’inventività presente nei diversi esempi già evocati: le erme sono l’occasione per l’artista di dimostrare la sua capacità di inventare, e di divertire eventuali committenti. La prima erma descritta indossa « une ceinture de peau de loup marin large de quatre doigts, laquelle est couverte d’un émail blanc moucheté de tanné, jaune, gris et de noir».619 Quest’abbigliamento sorprendente, fatto da una cintura in pelle di foca chiazzata e multicolore, serve al ceramista per sottolineare la qualità dei suoi smalti, ma anche ad evocare la stranezza e l’esotismo che ritroviamo poi nelle erme seguenti. La seconda erma è destinata secondo il narratore a provocare l’ilarità dello spettatore: “ Il me souvient qu’il y a un terme, que ne pouvois regarder sans rire, à cause de sa monstruosité »620. Questa mostruosità consiste in un abbigliamento inusuale, a proposito

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Ciò che viene chiamato “palais” da Palissy sono in realtà i Piliers de Tutèle, una struttura gallo-romana andata distrutta nel diciassettesimo secolo, che conosciamo grazie all’incisione di Claude Perrault, nella quale possiamo vedere benissimo la presenza di elementi antropomorfi, più cariatidi che ermi.

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Cf. O.C., p. 73.

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Idem, p. 70.

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del quale Palissy insiste sul naturalismo dei materiali imitati: “Et plusieurs affulements qui sont au corps dudict terme, sont si approchants du naturel, que mesmes les fustaines, & toiles rayées, apportent en soy telle forme que la naturelle.”621 La descrizione di quest’erma intende chiaramente evocare un personaggio esotico, caratterizzato da un’acconciatura simile ad un turbante -“coeffure de toile entortillée d’une mode etrange”-. Quest’ultimo è un elemento che troviamo spesso nelle raffigurazioni di erme, ad esempio in Du Cerceau, o in modo meno esplicito in Sambin, che colloca sempre un panno attorcigliato sul capo delle sue creazioni come per proteggerle dal peso che reggono.

Durante il Cinquecento in generale i supporti architettonici antropomorfi sono spesso raffigurati come personaggi esotici, come nella celeberrima Stanza dell’Incendio, dove Raffaello rappresentò un telamone egizio sul modello della villa Adriana di Tivoli, rinvenuto durante gli scavi eseguiti sotto il papato di Alessandro Borgia622(fig. 66). L’esemplare orientaleggiante, derivato comunque dall’arte antica, non è quindi qui assente, ed è anche lui associato all’idea di tempo che passa, rovinando le opere umane che vengono “mangiate dall’aria”, dove la natura riprende i suoi diritti, come lo esprime “rustiqué” che significa per Palissy coperto da muschi, erbe e pietre sul piedistallo.

Alla seconda erma dell’elenco, più rustica, non viene attribuita nessun tipo di vestito, mentre sono enfatizzate le sue difformità e ”antichità”, il suo essere coperta da muschi e varia vegetazione. Palissy insiste tuttavia per dire che ha conservato un aspetto umano e il suo piedistallo è una colonna, per cui la mano dell’uomo non è qui ancora assente. La terza è fatta di conchiglie ad imitazione di una roccia marittima, ma anch’essa mantiene una forma umana, e possiamo immaginare in questo una creatura di tipo arcimboldesco, che corrisponde bene al calco pervenutoci dell’erma coperta da conchiglie presentata nel corpus (fig.67). Non esiste a mia conoscenza nell’opera di Arcimboldo un tipo identico - fatto con conchiglie- a quello descritto dal Nostro, tuttavia è chiara qui la similarità formale che mette in scena la figura umana in fusione con la natura grazie al gioco tra artificio e natura. Sul significato dell’arte di Giuseppe Arcimboldo e l’intento artistico presente nelle sue creazioni un capitolo vastissimo potrebbe essere aperto. Com’è noto,

621 Idem,, p. 74. 622

Queste due statue erano già presenti nel 1504 ai lati del palazzo vescovile di Tivoli e furono disegnate da Giuliano da Sangallo. Ringrazio Sabine Frommel che ha esposto questo caso durante il suo corso all’EPHE nel 2012.

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l’artista milanese, dagli interessi e talenti alquanto poliedrici, ha dedicato una parte della sua vasta produzione alla declinazione di ritratti immaginari di personaggi le cui fattezze sono composte da elementi naturali o oggetti che riflettono la loro personalità. Eroi di una moderna mitologia, gioco colto ispirato ai grilli - ritratti caricaturali composti con forme animali già descritti da Plinio nella Storia Naturale -, ma soprattutto allegorie dal forte messaggio politico in onore del committente l’imperatore Rodolfo II di Habsbourg623, i ritratti arcimboldeschi continuano di sollevare affascinanti questioni interpretative624.

Se il parallelo con Palissy è tentatore e legittimo, dato l’assomiglianza dell’erma rimastaci con i ritratti di Arcimboldo, i contesti di realizzazione e i significati che adducono sono profondamente diversi. Nel caso di Palissy la Natura prende letteralmente il sopravvento sulla figura umana, che viene distrutta progressivamente e invasa da fauna e flora. Nelle creazioni di Arcimboldo invece la Natura sembra in perfetta osmosi con la figura umana in un gioco sapiente dove le forme vegetali o animali si adattano alle fattezze dell’uomo. In effetti il messaggio politico che veicolano è quello della dominazione del mondo naturale a opera del regnante, Rodolfo II, una dominazione illustrata dall’armonia tra Uomo e Natura pur nella indiscussa superiorità del primo625. Questo significato sembra ben lontano da quello sviluppato dal ceramista ugonotto, dove la figura umana – o, piuttosto, pseudo-umana - rappresentata dall’erma scompare progressivamente, sconfitta dagli attacchi del tempo e della natura. Molto simile invece è senza dubbio la fascinazione esercitata dalla natura sui due artisti, che si traduce in modo creativo e scientifico in entrambi i casi. Perfino gli animali disegnati da Arcimboldo sono in alcuni casi gli stessi che sembrano aver ossessionato il Nostro, come lo possiamo vedere nel foglio ad acquarello conservato a Vienna con una lucertola, una salamandra e un camaleonte (fig. 68).

Torniamo però alle erme dell’Architecture: dopo aver considerato le tre prime dalla forma antropomorfica che si miscela progressivamente con elementi naturali, Palissy descrive la quarta e la quinta, fatte di conchiglie e di pietre, coperte dall’edera, come “comunément

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Su Arcimboldo si vedano i cataloghi di mostre FERINO PAGDEN 2008 e 2011, e DACOSTA KAUFMANN 2009.

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Il vivo interesse suscitato dall’opera dell’artista milanese è testimoniato dalle numerose pubblicazioni e le recenti mostre di Vienna e Parigi 2007-2008, Milano 2011.

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ès vieils bastiments”.626 Sono figure che mettono in evidenza il passare del tempo tramite l’invasione dei vegetali, nelle quali l’accento viene quindi messo sul carattere antico e sulla vittoria della Natura sulla civiltà. Il passo successivo viene compiuto con la sesta la cui forma umana è quasi interamente scomparsa, dissolta dall’aria, mentre il suo colore risplende, di color turchese con venature bianche627, una caratteristica che troviamo anche in un’erma della Recepte628. Palissy conclude evocando brevemente diverse altre figure precisando solo che ciascuna si distingue in una grande diversità di pietre, metalli o altri materiali naturali. Alla lettura di queste descrizioni risulta chiaro che anche per le erme il processo di de-civilizzazione che abbiamo già analizzato è presente, e diventa ancora più esplicito che esse diventano le “guide” del percorso per il visitatore verso un maggior contatto con la natura. La loro presenza all’esterno sulla facciata della grotta si richiama alla loro funzione originaria di marcatore di limite, un limite dal grande potere evocativo se come abbiamo visto si richiama alla frontiera tra vita e morte; la loro presenza ricorrente all’interno conferisce a loro questo ruolo di guida e di indicatore del percorso verso la rusticità, riallacciandosi ancora una volta con il loro significato antico di divinità rurale.

La prima questione che si pone allora è se esiste un esempio simile, un possibile modello oppure una creazione invece ispirata a quella di Palissy. Nell’ambito delle grotte un paragone interessante può essere fatto con le erme della Bastie d’Urfé a Saint-Etienne le Molard, nei pressi di Lione, che risalgono ad un periodo precedente, tra il 1548 e il 1558 (fig. 69)629. Il castello e il suo giardino sono stati concepiti dallo stesso proprietario, Claude d'Urfé, e realizzati da artisti francesi e italiani. Claude d’Urfé, ambasciatore del re Francesco Primo -nonché nonno del famoso scrittore Honoré d’Urfé-, fece una brillante carriera diplomatica tra l’Italia, dove fu prima rappresentante della Francia durante il Concilio di Trento e poi ambasciatore alla Santa Sede, e la Francia, dove diventa a partire dal 1550 precettore dei figli del re tra cui i futuri sovrani Francesco II, Carlo IX e Enrico III. Di ritorno in Francia, l’ambasciatore intraprese di rinnovare la sua dimora del Forez ispirandosi alla sua conoscenza dell’arte italiana, e ideò una struttura comprendente una grotta interamente decorata con materiali naturali che funge da vestibolo della cappella 626 Cf. O.C., p. 75. 627 Ibidem. 628 Cf. O.C., p. 167.

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come a simboleggiare il passaggio dallo spazio profano pagano allo spazio sacro ortodosso. Lasciamo da parte per il momento la tematica del significato spirituale che verrà approfondita in un ulteriore capitolo, e soffermiamoci invece sull’aspetto formale delle erme della Bastie per confrontarle con quelle di Palissy. Le assomiglianze sono numerose : prima tra tutte, il fatto che si tratti di erme vere e proprie, e non di cariatidi o di atlanti che troviamo più frequentemente nelle grotte dell’epoca. Nel caso della Grotte des Pins di Fontainebleau (fig.70), spesso citato come fonte possibile di ispirazione per Palissy, e che giocò innegabilmente un ruolo fondamentale nella diffusione delle grotte in Francia630, i quattro guardiani dell’antro non sono proprio erme bensì corrispondono al tipo classico dei prigionieri vicini a esemplari romani famosi in Francia grazie alle copie bronzee realizzate da Vignola e Primaticcio per Francesco I tra il 1541 e il 1543. Molto simili sono gli atlanti della casa Maillard a Digione, realizzata da Hugues Sambin per il sindaco della città Jean Maillard nel 1561 (fig. 71). In questi casi la tipologia è ben diversa in quanto fa risaltare la forza e la potenza della scultura tramite l’esaltazione dell’anatomia maschile, riallacciandosi alla tradizione michelangiolesca, in particolare qella degli schiavi della tomba di Giulio II. Inoltre a Lione le erme sono coperte da materiali naturali, che le rendono mimetiche sulle pareti e le colonne con il fine di creare la sorpresa per il visitatore che le scopre, intento che troviamo esacerbato nelle invenzioni palissiane. L’importanza data alle erme alla Bastie potrebbe essere una fonte d’ispirazione per Palissy nell’Architecture e nella Recepte, senza tuttavia offrire una chiave di lettura verso una sempre maggiore rusticità come nel caso delle erme dell’Architecture. In ogni modo, possiamo affermare alla luce di quanto è stato detto sul significato delle erme in architettura durante il Cinquecento e l’estetica rustica sviluppata ad oltranza nell’antro palissiano, che esiste una vera coerenza che spinge a capire la descrizione della grotta come una vero e proprio programma che mira alla celebrazione del ritorno ad uno stato originario, primitivo, dove la Natura riprende i propri diritti.