• Non ci sono risultati.

CAPITOLO III. L’ESTETICA RUSTICA DELLE GROTTE UN PROCESSO DI “DECIVILIZZAZIONE”

III.2. a La crescente ricerca di illusionismo

Lo stile rustico del Nostro è fondato su una ricerca illusionistica spinta all’estremo, così profonda da tendere alla scomparsa totale dell’artificio. Nella grotta ogni dettaglio è concepito come imitazione di elementi, specie e materiali naturali. L’illusionismo è il filo conduttore della descrizione fin dalle prime righe del dialogo ove compaiono i “mostruosi”554 guardiani dell’antro, le erme – figure chiave che analizzeremo in modo approfondito – che sono “si près approchant de la forme humaine, qu’il n’y a homme qui ne fust estonné de les veoir”555, i cui vestimenti “resemblent le naturel, de sorte que plusieurs voyants ledict oeuvre s’en sont retournez en soustenant et opiniatrant que la toile dont lesdictz termes sont vestuz est naturelle”556. Questo topos, in cui l’arte riesce a sembrare dotata di vita, proviene dal ben noto aneddoto narrato nella Storia Naturale di Plinio sui pittori Zeusi e Parrasio557, che fu diffuso e ripetuto ad oltranza nella letteratura artistica cinquecentesca. Nell’Architecture, come nella Recepte, tale topos appare con grande ricorrenza, e potrebbe derivare da una conoscenza diretta dei testi, visto che il Nostro afferma di essere in possesso di un esemplare della Storia Naturale558. Al di là delle dichiarazioni testuali, l’ambizione di trasfigurare una materia inerte in materia apparentemente abitata da un soffio vitale si ritrova ovviamente anche nelle rustiques figulines, il suo vasellame zoomorfo che ancora oggi stupisce per il naturalismo con il quale raffigura animali e piante. Grazie a queste opere, fortunatamente pervenute ai

554 Palissy insiste sul carattere mostruoso delle sue creazioni. Ad esempio, quando Demande richiede la loro

descrizione: «tu m’avais promis de me déclarer amplement et faire entendre la monstruosité étrange des termes, que tu dis qui sont tout à l’entour de la grotte, au-dessus de la corniche.» O.C., p.73.

555 Idem, p. 63. 556

Ibidem.

557

Cf.PLINIO, Storia Naturale, Libro XXXV.

147

giorni nostri, riusciamo a immaginare l’aspetto delle grotte, la cui descrizione andiamo ora ad analizzare.

Una volta entrato all’interno della grotta, il visitatore scopre un ambiente nel quale la natura ha preso il sopravvento: le finestre, per esempio, hanno le chiusure visibili solo dall’esterno, “afin que ceux qui seront dedans la grotte ne voyent aultre chose sinon une forme de rocher cavé”559. I lati interni della grotta sono invece composti da diverse nicchie, ciascuna ornata da un “trophée ou feston”560, del quale possiamo farci un’idea visiva grazie ad alcuni frammenti di questo tipo di ghirlande, come l’esemplare oggi conservato a Ecouen (fig. 43) che non può mancare di evocare l’arte italiana quattrocentesca, a sua volta ispirata ai festoni dei sarcofaghi romani. Il confronto più diretto che viene in mente è proprio quello con l’arte dei Della Robbia, per i quali la ghirlanda vegetale era divenuta quasi un marchio di fabbrica, basti pensare ai numerosi tondi di terracotta destinati alle facciate toscane, come quelli di Giovanni della Robbia per l’Ospedale di Pistoia. (fig. 44) Il confronto tra i frammenti palissiani e le opere robbiesche illustra in modo chiaro quanto la ricerca naturalistica di Palissy sia maggiore rispetto a quella dei famosi esempi fiorentini. Nell’esemplare palissiano, la tecnica dello smalto riesce a riprodurre le numerose sfumature di colore degli esemplari reali, creando l’illusione della materia viva, non solo della plasticità della forma. Se paragonato alle ghirlande toscane, l’effetto ottenuto risulta meno schematico, meno “coloristico”, e più vicino alle tinte naturali; in questo senso si può dire che anche la tecnica, oltre al soggetto naturale rappresentato, corrisponde sempre a una profonda ricerca di rusticità. La conoscenza di motivi robbieschi viene confermata dall’esplicito riferimento fatto da Palissy a Girolamo della Robbia, conosciuto in Francia per le sue realizzazioni nei castelli di Madrid e di Cognac. Girolamo, figlio di Andrea, si reca in Francia verso la fine del 1517 su richiesta di Francesco I per decorare il suo castello di Boulogne, soprannominato appunto “Madrid”. La decorazione robbiesca, che riprende la tradizione italiana dell’uso della ceramica nell’architettura561, era celebre e fu oggetto fin da subito di attenzione da parte dei commentatori, degli architetti e degli artisti, per la sua ambizione, magnificenza e

559

Idem, p. 66.

560

Idem, p. 70.

148

originalità562. Il castello era allora il più grandioso progetto voluto dal re, dopo quello di Chambord, ma sfortunatamente solo deboli tracce del suo passato splendore sono giunte fino a noi: demolito nel 1792, Palissy ci informa in un passo dell’Architecture563 che già nel 1562, pochi anni dopo la sua realizzazione, il capolavoro di ceramica era in uno stato di avanzato deterioramento. Come nel caso dei festoni, il confronto tra i frammenti pervenutici dalle decorazioni architettoniche del castello e quelli realizzati da Palissy dimostra che, se materiale e tecnica in fondo sono simili, l’effetto e l’intento sono invece palesemente molto diversi. Prendiamo in considerazione il capitello rustico del nostro corpus, (fig.17) e quello sopravissuto proveniente dal castello di Madrid (fig.45). In entrambi i casi si procede a imitare con la ceramica l’architettura monumentale di ispirazione classica, anche se la destinazione non è la stessa, poiché il capitello di Della Robbia non era destinato a una grotta bensì probabilmente alla facciata del castello. Tuttavia è interessante notare come, nella realizzazione di Palissy, l’insistenza sugli elementi architettonici classici, descritti con una terminologia aggiornata, venga interpretata in chiave rustica, tendente a far scomparire le forme utilizzate dall’artista. Mentre l’intento di Della Robbia è quello di emulare le realizzazioni architettoniche, in particolare quelle dell’arte classica, Palissy cerca di celare l’intervento della mano umana dietro una natura invadente, riprodotta con la tecnica del calco. Qui, sempre in riferimento a Madrid, si capisce che lo status mentis, la cultura che dà luce alle creazioni palissiane si colloca in un periodo successivo. Il classicismo di Della Robbia, che riprende modelli già “passés de mode”564 in Toscana, ha grande successo in Francia negli anni Venti e Trenta del Cinquecento. Vent’anni più tardi, quando lavora Palissy, l’armonioso classicismo proposto dai fiorentini è ormai superato anche a nord delle Alpi, e il linguaggio rustico, che offre di per se stesso soluzioni che consentono perfettamente l’allontanamento dalle regole vitruviane, si impone.

Il topos dell’illusionismo prosegue poi lungo l’intera descrizione dell’interno della grotta, con il suo fulcro, un fossato lungo quanto la larghezza dell’antro e popolato da innumerevoli pesci, con sassi, muschi e erbe, tutti interamente realizzati in ceramica. Sul bordo del fossato sono invece collocate altre creature, quali tartarughe, granchi “& autres

562 Sul castello di Madrid si veda lo studio monografico di CHATENET 1987 e CHATENET 1991, 1993. Per gli

ultimi studi, si vedano BOUQUILLON 2004, MEUNIER 2011.

563

Cf. O.C., p. 78.

149

especes de poissons rares, & estranges”565, dalla bocca dei quali escono getti d’acqua che increspano la superficie del fossato. Anche in questo caso disponiamo di numerosi esemplari e forme che possono corrispondere a questa descrizione, come la Lastra decorata con lucertola, conchiglie, sassi e muschi (fig. 28). Le onde provocate dal getto d’acqua che esce dalla bocca degli animali mira a dare l’illusione che i pesci si muovano all’interno della vasca. Grazie ai getti d'acqua l'immagine dei pesci trema, dando l'illusione della vita - procedimento che troviamo già utilizzato nell'Hypnerotomachia Poliphili, fonte di ispirazione per il Nostro, come vedremo adesso. L'illusione creata da Palissy è quindi totale: orna le pareti della grotta dalle sue rustiques figulines, di cui abbiamo visto il grande naturalismo, e grazie all'acqua della fontana intende dar loro vita e movimento. Il gioco dell'acqua vale anche per le rustiques situate sulle pareti, che una volta bagnate risultano più lucidi e più viventi ancora. Ci troviamo di fronte ad un altro topos ricorrente, presente anche nella Recepte véritable, nonché in altre descrizioni di grotte e fontane dell’epoca, in particolare nel Polifilo. Palissy introduce la Recepte affermando che il suo giardino è molto diverso dalle invenzioni descritte nel testo di Francesco Colonna, perché non si tratta di un sogno o di una fantasia irrealizzabile, bensì di un progetto concretamente attuabile. Nonostante questa volontà di netta differenziazione, numerose similitudini esistono tra i due autori per ciò che attiene la ricerca di illusionismo e l’ispirazione architettonica, il che ha portato Frank Lestringant, lo studioso che ha analizzato le corrispondenze esistenti tra i due testi566, a parlare di un «aveu par prétérition567». La versione dell’opera di Colonna conosciuta da Palissy è molto probabilmente quella della traduzione francese a cura di Jean Martin, pubblicata da Jacques Kerver nel 1546, un’edizione nella quale era valorizzato l’aspetto architettonico, come dimostra la prefazione al volume, nella quale Jean Martin elenca le descrizioni di edifici presenti nel libro. In effetti è la descrizione delle fontane incontrate da Polifilo che sembra aver ispirato il Nostro, in particolare per quanto riguarda l’illusione del movimento dato dagli zampilli d’acqua. Palissy riprende quasi alla lettera un passo nel quale Polifilo si meraviglia delle sculture di pesci che ornano i bagni, che sembrano muoversi con il movimento dell’acqua: “[…] vous eussiez jugé ces poissons se mouvoir et frayer tout au long des sièges où ils étaient pourtraits au vif, savoir est carpes, brochets,

565

All’epoca il termine «poisson» designava in modo indiscriminato gli animali acquatici. Cf. O.C., p. 65.

150

anguilles […] et infinis autres, qui semblaient remuer au mouvement de l’eau, tant approchait l’œuvre de la nature.”568 Il grande successo riscontrato dall’opera di Colonna, in Italia come in Francia, si è tradotto nelle creazioni che popolano numerosi giardini cinquecenteschi, ispirando fontane, padiglioni e arte topiaria. In Francia, la sua diffusione fu così grande che nel 1549 l’Entrée trionfale del re Enrico II di Francia, orchestrata da Jean Martin, riproduceva in scultura le illustrazioni dell’edizione del 1546569. Se le somiglianze sono palesi, mi sembra tuttavia fondamentale prestare attenzione alla dichiarazione di Palissy di volersi distaccare da tale modello perché ritenuto irrealizzabile. Il ceramista voleva proporre invece un progetto concreto, dai costi limitati, utile a chi lo avrebbe commissionato, allontanandosi completamente dall’invenzione allegorica di Francesco Colonna. Che Palissy si sia ispirato a quest’ultimo è innegabile, tuttavia gli intenti sono radicalmente diversi e rivelano due status mentis inconciliabili. Tratterò di ciò nel capitolo dedicato seguente al progetto di giardino.

Seppur presente nel Polifilo, nella grotta palissiana il topos dell’illusionismo si fa parola d’ordine. Lo troviamo presente in tutti gli elementi dell’architettura, mediante l’imitazione precisa di forme e specie naturali: la terrazza al bordo della vasca imita una roccia marittima, dalla superficie scabrosa come quelle delle scogliere “faict par bosses, & concavitez”; le finestre e tutti gli altri elementi architettonici sono irregolari, storti, rustici; gli animali traggono in inganno chi li vede; l’architrave e la cornice imitano la roccia, e il fregio imita il diaspro570. Ma l”invasione” delle Natura non si ferma all’illusionismo.

L’elemento più interessante dell’illusionismo ricercato da Palissy è la presenza di un crescendo nell’imitazione della natura, di un acuirsi cioè della rusticità negli elementi: non si tratta solo di descrivere la varietà delle specie rappresentate, ma anche di perseguire nella descrizione un andamento verso una rusticità sempre maggiore571. Il crescendo comincia con la descrizione delle nicchie interne. Palissy descrive ciascuna di esse a seconda del materiale che imita: se le prime saranno fatte ad imitazione di pietre dure o preziose come agata porfido diaspri o marmi, quelle successive saranno invece imitazione di sassi levigati, conchiglie, roccia con muschio. Infine l’ultima menzionata sarà “rustica

567

Ibidem.

568

Cf. COLONNA [1546] 1994, p. 83. Sul Polifilo esiste una bibliografia notevole, per la quale rimando a quella stilata da Gilles Polizzi nelle sua edizione della versione francese. Cf. Idem, pp.XIL- XLIV.

569

«C’est l’ordre qui a esté tenu à la nouvelle et joyeuse entrée, que […] Henry deuzième […] a faicte […] le seizieme jour de juin MDXLIX», Paris, J. Roffet, 1549.

151

come se fosse stata mangiata dall’aria”572. Le colonne seguono lo stesso ordine verso una sempre maggior rusticità: due sono fatte con conchiglie, due “mangiate dall’aria”, altre sono rusticate “comme a grands coups de marteau”573, altre ancora imitano il diaspro dai diversi colori; le ultime ad essere descritte sono “minees” et “semées de cailloux et coquilles et certains jettons de lierre”574 e tutte hanno la parte superiore ornata con muschi e erbe. Pur senza darne una descrizione più approfondita, Palissy precisa che anche i piedistalli saranno fatti in questo modo. Si dilunga invece sulle erme, descrivendo ciascuna in modo dettagliato: la prima è vestita con panni che imitano il vero tessuto, assomiglia ad un essere umano e ha il viso “mangiato dall’aria”. La seconda, completamente storta, è a sua volta “mangiata dall’aria in ragione della sua antichità”, ma conserva ancora un’apparenza antropomorfa. La terza è fatta interamente di conchiglie, come lo sarebbe una roccia marittima. La quarta è “rustiqué étrangement” e somiglia alla pietra di “grisons” cioè di gres. Infine viene descritta un’erma molto simile all’esemplare di cui possediamo un calco (fig. 14). I colori usati intendono riprodurre le sfumature del diaspro, gli occhi sono fatti con conchiglie, ed è coperta dall’edera che le conferisce un’apparenza più antica. L’ultima ad essere descritta “avoit quasi perdu la plus part de sa forme”575, è lucida e color turchese con delle venature bianche a imitazione del marmo. Le ultime erme descritte sono quindi caratterizzate dalla loro antichità e soprattutto dalla perdita di ogni forma o parvenza umana, indirizzando in questo modo il percorso del visitatore nell’antro verso una perdita dei propri punti di riferimento culturali, un vero e proprio processo di de-civilizzazione.

In effetti se prendiamo in considerazione il modo di descrivere i diversi elementi fondanti della creazione palissiana (nicchie, colonne, erme) vediamo delinearsi in modo molto preciso un ordine che va dalla raffinatezza dei materiali imitati (pietre preziose) verso materiali più umili (sassi, conchiglie), per finire in forme che si dissolvono, corrose dall’”aria” cioè dal passaggio del tempo. Nella Recepte si sviluppa lo stesso processo estetico e narrativo: il primo “cabinet”, che non è altro che una grotta, ha la forma di una roccia, con al suo interno sedili separati da una colonna, posta su un piedistallo e sormontata da capitelli, architrave e cornice. Sul fregio sono scolpiti versetti biblici,

571 Questo aspetto era stato notato da Anne- Marie Lecoq a proposito del giardino. Cf. LECOQ 1991, p. 70. 572

Cf. O.C., p. 71.

573

Idem, p. 72.

152

mentre l’interno è ornato da serpenti e lucertole, animali tipici della produzione rustica. Questa costruzione, che non deve avere “aucune forme de bâtiment”576, possiede una volta sulla quale degli alberi sono piantati al fine di confondersi meglio con la Natura circostante. L’aspetto del secondo gabinetto è molto simile, con un accrescere delle smorfie fatte dalle erme che popolano il suo interno. Il terzo padiglione riprende la stessa tipologia, per l’autore insiste sulla sua maggiore rusticità, “come se fosse stato tagliato con grandi colpi di martello”. Il quarto è simile a una cava: Palissy spiega che deve assomigliare alle pareti rocciose dalle quali sono estratte le pietree perciò non ha “aucune apparence ni forme d’art d’insculpture, ni labeur de main d’homme : et seront les vostes tortues de telle sorte, qu’elles auront quelque apparence de vouloir tomber»577. In quest’ultima grotta, come nell’insieme degli elementi descritti, la naturalezza si sdoppia in un effetto di antichità, di rovine, di scomparsa progressiva dell’opera stessa che tocca l’apice proprio quando Palissy, evocando le strutture vegetali presenti nel suo progetto di giardino nella Recepte, espone la sua concezione dell’architettura.