viene trascritto dagli allievi sul proprio quaderno, segue la possibilità di “uscire alla
lavagna”. In questa pratica, sono varie le attenzioni relazionali volte a far vincere
timidezze e ritrosie. Alcuni docenti all’inizio invitano uno di quegli allievi che in-
tuiscono possa farcela (“si capisce subito chi è pronto” – IntVr1/32) o che sanno es-
sere meno inibito (“uno che so di potere un po’ ‘massacrare’...” – IntMe6/18), altri
fanno uscire liberamente chi desidera. Durante l’esecuzione dell’esercizio alla la-
vagna, alcuni docenti si spostano dalla cattedra e girano tra i banchi. L’esercizio
alla lavagna non viene caricato di ansie da valutazione, serve agli allievi per veri-
ficare se hanno capito e al docente per capire cosa e come gli allievi hanno capito
ed eventualmente per chiarire alcuni passaggi che rimangono oscuri. I docenti
seguono un criterio di gradualità, proponendo esercizi all’inizio semplici e progres-
sivamente più complessi. R. (IntMi6) propone ai suoi allievi di rifare a casa gli
esercizi visti in classe.
4.1.2. Far innanzitutto osservare e solo dopo scrivere “cosa vedono”
MR. (IntVr/3), formatrice nel CFP salesiano di Verona, ci racconta della diffi-
coltà che gli allievi hanno nell’affrontare operazioni complesse e del dispositivo
a cui ha trovato utile ricorrere: far innanzitutto osservare attentamente il testo
di un’espressione matematica e far poi scrivere le varie componenti individuate.
Vediamo qui di seguito il suo racconto:
parto da un caso semplice, un’interpretazione teorica, e poi si ritorna su un caso un po’ più difficile; poi ci sono gli esercizi, che sono la sintesi di più regole, per esempio, un’e- spressione algebrica con tutti prodotti notevoli. Loro hanno difficoltà a mettere insieme le conoscenze. Se io dico: “Sviluppami il quadrato del binomio (3a+b)2”, loro lo sanno fare; se invece do un espressione con il quadrato del binomio, il quadrato del trinomio e la differenza di due quadrati, tutto quanto insieme, non riescono a farla (IntVr3/43); una per una sanno fare tutte le operazioni, a mettere insieme le competenze hanno difficoltà, [...] nel senso che si arrendono subito, non provano neanche [...]. Allora ho studiato un modo per sbloccarli, perché loro vedono tutta l’espressione scritta alla lavagna molto lunga e dicono: “no, non ci riusciremo mai! Troppo difficile! Troppe cose insieme! Non ci ricordiamo”; [...] io scrivo l’espressione alla lavagna e dico: “Bene, giù le penne. Adesso state tranquilli e osservate cosa c’è alla lavagna. Un minuto di osservazione senza scrivere. Guardatela! Cosa vedete?”. “Un’espressione”. “Perfetto, ma, all’interno dell’espressione, cosa vedi?”. “Io vedo che c’è il quadrato di un binomio”. “Bene, al- lora, sotto, scrivo ‘quadrato di un binomio’, ‘differenza di un quadrato’, ma poi cosa vedi ancora?”, chiedo ad un altro. “C’è il cubo”. “Benissimo, scriviamo che c’è il cubo” (IntVr3/45). “Cosa vedo?”. Vedono una serie di regole, le identifico, le sottolineo, uso anche i gessi colorati, [...] e individuo, segno le regole che sono implicate, quelle che loro vedono. Dopo che hanno analizzato tutto il testo dell’espressione o del problema, dico: “Bene, ma voi il quadrato lo sapete fare?”. “Sì!”. “Allora svolgiamo il quadrato, iniziamo dal quadrato, poi a questo uniamo il cubo, che avete visto, poi uniamo questo...”. Poi faccio fare un’ulteriore sosta, sempre per l’osservazione: “Quali sono gli errori che si possono commettere svolgendo questo tipo di operazione, questo tipo di esercizio?”. Il primo errore è quello di segno – li sbagliano sempre! [...] –; il secondo tipo di errore è quello di trascrizione – errori che si commettono abitualmente, perché si ha fretta di finire; loro hanno fretta di consegnare, hanno fretta di terminare il problema –; dopo [...] c’è l’errore di calcolo, perché si è distratti: c’è chi mi scrive 3x2 = 5 e allora dico: “Scusami, basta un attimo di attenzione, no!”; poi c’è l’errore nell’applicazione della regola, però loro, in un certo senso, le regole le studiano; si tratta di metterle insieme tutte quante e di non fare quegli errori [...] banali, che sono dovuti a distrazione, a mancanza di attenzione. Faccio controllare loro passaggio per passaggio; ogni passaggio che fanno devono controllare, perché, se arrivano fino in fondo di getto, dopo, non riescono più a trovare dove sta l’errore (IntVr3/49). Scrivo l’espressione (IntVr3/51); do un minuto di osservazione (IntVr3/53); possono parlare solo dopo il primo minuto (IntVr3/61); ad esempio, vedono il quadrato del binomio? Benissimo, al- lora sottolineo o cerchio il quadrato del binomio e scrivo sotto: “quadrato del binomio”. Una difficoltà che hanno loro è che non sono abituati ad osservare (IntVr3/55). Dopo l’individuazione descrittiva delle regole (IntVr3/69), c’è un’altra sosta, che è quella degli errori: chiedo quali sono gli errori che ci possono essere (IntVr3/71); quando io sono alla lavagna e svolgo l’esercizio, loro non possono assolutamente scrivere sul quaderno; questo lavoro lo faccio fare qualche volta [...] a quelli che chiamo fuori (IntVr3/73). Però, quando lo faccio io, loro non devono ripetere (IntVr3/75), lo fac- ciamo insieme (IntVr3/77); quando vedo che c’è più gente che interviene, devo fermare i più bravi, perché altrimenti non riesco a capire qual è la difficoltà (IntVr3/79); dico: “Bene, il quadrato di un binomio. Ci sono tre termini, uno lo dice Erica, uno lo dice Serena, uno lo dice Nicolò!”; [...] in un’espressione di solito ci sono varie di possibilità di intervento; cerco di frenare i più bravini, che tenderebbero a sopraffare; (altrimenti) non riuscirei a capire dove sta la difficoltà (IntVr3/81); se abbiamo individuato che c’è prima il quadrato e dopo il cubo (IntVr3/83), dirò: –”Facciamo prima il quadrato. Bene, che segno mettiamo, fra i due?”. “Il più”. “Se mettiamo il meno, questo meno cosa ci
deve dire?”; allora chiamo un altro: “Cosa ci dice questo meno?”. “Che dobbiamo cam- biare i segni dopo”. “Bene, teniamocelo a mente. Metto la freccetta sotto il meno che mi indica in che zona mi fermo, perché c’è quel meno che mi dice che dopo devo cambiare segno. Ora prendiamo il cubo...”, e si va avanti così con il resto delle regole, a seconda di quanto è lunga l’espressione. Poi un’ulteriore sosta: “Abbiamo guardato. Ci sono degli errori?”. Qualche volta li commetto anch’io, perché, a forza di scrivere, sbaglio un segno e loro se ne accorgono subito. Ma perché se ne accorgono? Perché non stanno scrivendo, perché, se scrivessero, copierebbero; invece, così, guardano. Alcune volte lo faccio di proposito, altre invece scambio il più e il meno per la fretta di scrivere ed è bello che loro se ne accorgano; però, se ne accorgono perché non stanno scrivendo ma osservando e questo fino alla fine dell’espressione (IntVr3/85) [...]. I problemi che riscontro [...] sono con i calcoli, per mancanza di attenzione e per distrazione; è per questo che applico la tecnica che non devono assolutamente scrivere e devono guardare (IntVr3/228).