il meccanico parte da un problema: “devo costruire un pezzo che corrisponda a quella determinata esigenza del mio cliente”; il cliente magari non ne sa nulla di meccanica; devo essere io, completamente autonomo, a gestire e a rispondere alla sua esigenza. Questo come viene fatto? Insegniamo loro – cosa che nelle scuole non si fa più volen- tieri – a risolvere problemi. I problemini che si fanno alle medie, che a volte, e adesso sempre più spesso, vengono proprio glissati, perché si cerca di correre alla fine di questi programmi ministeriali che sono sempre incalzanti. Noi prendiamo quei problemini, ov- viamente diamo loro una veste applicativa all’interno di un ambiente meccanico e inse- gniamo loro a ragionare, a partire da una questione: “devo cavarmela con questo pro- blema”. Costruisco allora una sorta di albero logico, che mi permette poi di costruirmi la soluzione e raggiungo la soluzione, posto il fatto che l’albero può essere diverso da persona a persona [...] (IntMe3/30); si parla di albero perché ricorda molto i diagrammi di flusso dell’informatica (IntMe3/32); per loro, c’è sempre una cosa di quel tipo, anche per aiutarli ad approcciarsi all’elemento informatico che si applica in meccanica, che c’è all’interno di una macchina a controllo numerico e che [...] va almeno compreso, ca- pito (IntMe3/34). [...] Ad un ragazzo del CFP, molto pratico, con una mentalità molto concreta (IntMe3/44), non posso [...] dare una sorta di prontuario di soluzione del pro- blema: “Per risolvere un problema, bisogna fare A B C...”; il ragazzo del CFP difficil- mente accoglie questa [...] che per loro è una forzatura mentale (IntMe3/46). Quando devo affrontare un problema e devo insegnare loro a risolverlo, partiamo per esempio da un dato problema, do loro la richiesta, facciamo un brainstorming su come ciascuno di loro si approccerebbe al problema (IntMe3/48). In questo, sono supportata anche dal professore di lettere, che insegna ai ragazzi l’analisi del testo (IntMe3/54), cosa per noi fondamentale, perché mi permette di definire qual è la richiesta fondamentale, distin- guendola da tutte le frasi subordinate che generalmente danno solo il dato (IntMe3/ 56). Una volta capito che ciascuno di loro ha ben chiaro dove vogliamo arrivare (IntMe3/60), do loro del tempo per elaborare una soluzione, anche rozza, che, secondo loro, potrebbe funzionare per quella determinata richiesta. Selezioniamo le due o tre soluzioni più (IntMe3/62) opportune, perché poi alcune sono dei tentativi vani (IntMe3/64). Ne prendiamo due o tre, quelle che nella mia mente potrebbero funzio- nare, e cominciamo ad analizzare tutte le difficoltà di ciascuna soluzione. Per esempio, la soluzione di un ragazzo può analizzare direttamente la richiesta, senza prendersi cura dei dati; noi allora tiriamo fuori il problema, analizzando direttamente la richiesta, senza tenere conto di quello che ho; mi porta alla soluzione? No. Allora si scarta quell’idea e si prende quella di un altro ragazzo, che magari aveva ben definito i dati, dato loro il posto giusto, però si era un po’ perso nel tentativo di soluzione; allora dico: “Se so i dati, ma non ho ben chiaro dove voglio arrivare, ci arrivo?”. “Probabilmente no. Scar- tiamo!”. E questo fino a quando non troviamo la via di soluzione più vicina al modo ideale di raggiungere il risultato. Presa quella ipotesi di soluzione, cominciamo ad ana- lizzare tutti i vari passaggi, tenendo conto che ciascun passaggio deve essere al posto giusto (IntMe3/66). Perché ovviamente, se mi manca quel lato o non ho ancora analiz- zato quel problema, che ne so, convertito da cm a m, non posso andare avanti. Si co- struisce la soluzione, si fa il calcolo e si trova il risultato. Trovato poi il risultato, si vede se concretamente può essere accettabile, perché se, analizzando un’area di mattonelle da stendere, io alla fine trovo km, che ne so, o m3, qualcosa non ha funzionato, forse perché parliamo di un’area, e poi perché, parlando di mattonelle, forse il km non è l’unità di misura corretta (IntMe3/68);
un esempio [...], realizzato in collaborazione con il collega che si occupa di officina meccanica, è [...] la realizzazione di oggetti manuali, tipo [...] piccoli solidi, partendo dal foglio di carta, per fare in modo che i ragazzi possano maneggiare, visualizzare con-
cretamente le unità di misura. Oppure, [...] si può far loro misurare, dopo una serie di domande a cui i ragazzi avevano risposto, domande del tipo: “Quanto è lungo il nostro cortile? 1 km? 20 km? 10 m? Con che cosa lo misureresti? Con il tachimetro, con il contachilometri della macchina, con il righello?”. Di fronte a risposte veramente di- verse, sparate, si può provare a dire: “Visto che, secondo te, il cortile è lungo 2 m, io ti dico che le misure nell’ordine dei metri [...] si possono misurare anche con i righelli; al- lora scendi in cortile e misuralo con il righello”. Il ragazzo, dopo aver fatto quattro mi- sure, mi dice: “Prof, io non arriverò mai alla fine!”. Allora si può provare a far visualiz- zare loro, partendo dalle cose che possono realizzare manualmente, le grandezze, perché molto spesso hanno dimostrato di avere delle grosse difficoltà a capire oppure, come in questo caso, fargliele associare a delle cose che per loro sono ben note (FGMat4/146). Molti, dovendo misurare con il righello un cortile che è lungo quanto un campo da calcio, dicevano: “Non ce la faccio! Non ce la farò mai, ci metto troppo tempo!”. Il pen- siero che nasceva in loro era: “Mi serve qualcosa di più adatto, mi serve qualcosa di più lungo”. Quindi l’intuizione di dire: “Questa non è l’unità di misura giusta! Mi serve qualcosa di più lungo” era una cosa che nasceva da loro. Oppure, poteva funzionare il confronto con delle misure a loro note: “Il nostro cortile è grande quanto un campo da calcio”, quindi 100 m, perché loro sanno quanto è lungo un campo da calcio, lo hanno imparato sentendolo allo stadio o leggendolo da qualche parte. Con questo collega ab- biamo puntato molto, sempre con i ragazzi del primo anno, a fare in modo che fossero loro a scoprire le cose e a trovare delle soluzioni [...] come risposte a difficoltà perce- pite, ad una esigenza che a loro faceva venir naturale rispondere con un “mi serve questo, mi serve quest’altro, questo non va bene, questo non basta”. Facendo così, si po- nevano il problema di trovare qualcosa che invece fosse idoneo e adatto al compito che veniva loro assegnato. Questo ha fatto sì che nascessero [...] domande e poi anche il confronto su che cosa utilizzare, su che cosa andava bene come strumento di misura, sul perché alcuni strumenti andavano bene per certe misure e altri erano più adatti per certe altre misure; questo è servito perché loro capissero da una parte i concetti di misura, di grandezza [...] e dall’altra che non dovevano per forza sapere tutto, ma che potevano anche scoprire, andare avanti per domande successive. Quindi, davanti ad una cosa che si presenta come un problema, penso un attimo e mi accorgo che i miei strumenti sono limitati e cerco nuovi strumenti. Vado avanti un altro po’, poi si presenterà un nuovo problema e ragionerò sugli strumenti che ho utilizzato, sul mio percorso e sceglierò nuovi strumenti o chiederò nuovi strumenti a qualcuno e andrò avanti. Questo è stato fatto anche in abbinamento all’attività di officina, perché anche lì il procedimento che si adotta è [...] quello di andare avanti passo passo; a loro vengono spiegati i vari pezzi della lavorazione e, quando arrivano alla fine di una lavorazione, molto spesso sono loro stessi a dire che, con lo strumento che hanno a disposizione, non riescono a fare la lavorazione successiva che viene loro richiesta; allora pensano allo strumento che devono montare sul tornio per poter fare il passo successivo. [...] Abbiamo provato ad abbinare lo stesso procedimento a questo aspetto della matematica, le unità di misura e le grandezze (FGMat4/148).