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rienza pratica, ma di guidare verso percorsi di formalizzazione, che aiutino a dare chiarezza e sistematicità a quanto intuito:

(si tratta di) non limitarsi alla sfera pratica, ma di cercare di fare il passettino in più, di- cendo: “Bene, questo è il discorso pratico, come possiamo teorizzare, dando una forma coerente e chiara a quello che abbiamo visto in maniera intuitiva?” (FGMat1/10). Sulla questione delle equazioni, ad esempio, mi interessa riuscire a capire bene [...] che cosa sia un’operazione inversa: “Se fai un passo in avanti e poi un passo indietro, dove sei arri- vato?”. “Esattamente al punto di partenza”. “Quindi qual è l’operazione che ti permette di fare un passettino avanti e quella che ti permette di ritornare al punto di partenza?”. Ecco il concetto di operazione inversa; dopodiché si ottimizzano le applicazioni, perché non tutte sono equazioni di primo grado. Anche in questo caso, vorrei riuscire a dare qualcosa in più, senza fermarmi all’equazione più semplice, quella di primo grado, ma arrivando ai livelli successivi, coinvolgendo le potenze e le operazioni inverse (FGMat1/12);

il concetto di operazione inversa resta un momento importante, perché è essenziale arri- vare ad avere la descrizione di un percorso e riuscire a capire che i percorsi normalmente si possono percorrere nei due sensi. Quindi riuscire a capire qual è la serie di operazioni, di passaggi, che mi permette di tornare alle condizioni iniziali è una cosa fondamentale in tantissimi campi; nel nostro caso, si tratta di applicare questo principio al campo mate- matico. Parto sempre dall’esempio più semplice di tutti: “Allora, tu che ti sei spostato fino all’angolo...”, parto sempre dall’esperienza... (IntRoma1/22), [...] dall’esempio: “Tu che sei andato fino all’angolo, riesci a ritornare?”. “Certo, mi giro e faccio i passi al con- trario”. Allora dico: [...]: “Un oggetto che cade lo posso tirare di nuovo su? Se mescolo due sostanze, posso poi di nuovo separarle?”. E aggiungo: “L’esperienza pratica di tutti i giorni ci pone un sacco di problematiche, in cui la cosa può essere vista in un senso o nel senso inverso. Anche nel campo matematico esiste questa cosa; quindi impariamo a co- noscere quali sono le cose che ci permettono di ritornare sui nostri passi, dopo un proce- dimento matematico”. [...] Al di là di fare le singole operazioni, che non sono così diffi- cili, perché, quando chiedo: “qual è l’operazione inversa del più?”, anche un ragazzo di prima ci arriva in 30 secondi [...], dico: “ad esempio, adesso conosciamo – andiamo con le nostre formule geometriche – il volume della nostra sfera; quali saranno le operazioni che ci permettono di ritornare al dato iniziale? Proviamo un attimo a vederle”; si tratta di fare un iter. Oppure: “Noi abbiamo calcolato l’interesse su un certo capitale, conosciamo qual è stato l’interesse e conosciamo qual è stato il capitale finale; riusciamo a conoscere il capitale iniziale che avevamo?”. Chiedo loro sempre di formalizzare, anche sotto forma di scrittura, i vari passaggi, in un senso, e, a fianco, nel senso inverso (IntRoma1/24).

20Abbiamo già incontrato, in apertura a questo paragrafo, un brano di M., tratto dal FGMat4.

I brani che seguono sono tratti sia dagli interventi di M. all’interno di un FG (FGMat1) e in occasione di un successivo approfondimento in forma di intervista (IntRom1).

Per esempio, partiamo dal caso del capitale di interesse ottenuto alla fine di un anno; un ragazzo mi dirà: “Ho un capitale iniziale di x lire”; secondo passaggio: “Mi hanno proposto di impiegarlo all’interesse del 4%”; terzo passaggio: “Mi ha fruttato x”; quarto passaggio: “Alla fine dell’anno, ho x soldi”. Io dico: “Adesso scrivimi cosa devi fare per riuscire di nuovo ad arrivare al capitale iniziale; quindi, di fianco ad ogni riga, dimmi qual è il passo inverso, che mi permette di tornare indietro”. Questo mi consente di avere, in qualsiasi formula, in qualsiasi conoscenza, la formalizzazione dei passaggi; si tratta delle fasi risolutive del problema e delle fasi risolutive del problema inverso (IntRoma1/26) [...]. La matematica d’uso è un insieme di intuizioni [...] e l’approccio al problema è un aspetto molto personale dell’allievo. Io mi sono stupito [...] una volta in cui ho fatto l’esperimento con una classe proponendo loro la trigonometria dal punto di vista formale e dal punto di vista pratico; tengo presente che era una classe terza, quindi da tre anni avevano me, che ho una mia logica di sviluppo; sono stato molto stupito, quando, di fronte ad un approccio pratico alla trigonometria, gli allievi mi hanno detto: “noi preferiamo l’approccio formale, passo dopo passo” (IntRoma1/50). Allora, normal- mente, quando si parla di trigonometria, si parla della circonferenza trigonometrica e si vanno a definire le funzioni trigonometriche, le loro proprietà; l’obiettivo finale è l’appli- cazione delle proprietà trigonometriche e della funzione trigonometrica ai casi pratici; praticamente, l’obiettivo finale è la soluzione del triangolo rettangolo. Molto spesso, [...] i colleghi di laboratorio partono dal triangolo rettangolo che loro applicano nei calcoli pratici, per andare a ritroso e andare a definire le funzioni trigonometriche (Int- Roma1/52). Ad esempio, io ho [...] un bastone piantato per terra che crea una certa ombra; questa ombra, in realtà, è funzione dell’angolo e si può definire come seno o come coseno, a seconda di quello che vogliamo fare. In questo caso, noi definiamo il seno come rapporto tra il valore del cateto e l’ipotenusa; questa è una definizione; mentre noi, dal punto di vista trigonometrico, definiamo come seno la funzione che esprime la proiezione dell’arco che forma ecc. ecc.; quindi si può fare il tutto in un modo molto più teorico. [...] Se dici loro: “Andiamo a vedere questa proiezione”, in realtà costruiamo la circonferenza trigonometrica su un triangolo rettangolo; io sono rimasto molto stupito, quando i ragazzi mi hanno detto: “Noi preferiamo il passaggio dalla definizione della funzione per vederne l’applicazione alla fine, invece che partire dal problema dell’ombra e andare al contrario”. L’unica spiegazione che ho potuto darmi è che erano ragazzi che erano stati con me due anni e mezzo, e quindi, purtroppo – posso dire purtroppo o per fortuna – erano abituati a formalizzare sempre il problema e quindi a vedere la soluzione non come un’intuizione, ma come un insieme di conoscenze acquisite che possono essere applicate a quel problema. [...] La cosa mi ha fatto interrogare: “Sono forse io che li sto condizionando? Oppure quello che si dice spesso, che, se non hanno il problema pratico davanti, i ragazzi non riescono ad estrarre il concetto..., non funziona?”. E, in questo mo- mento, ho ancora un dubbio che ogni tanto mi pongo: “Allora, quello che spesso viene detto – che si ha una forte incapacità di astrazione da parte dei nostri ragazzi – sarà poi vero? Oppure è semplicemente una mancanza di abitudine ad usare queste facoltà, queste proprietà? (IntRoma1/54).

M. (IntRoma1) ha più volte sperimentato il valore dei procedimenti induttivi, a

partire dall’esperienza sensibile, dal caso, dall’oggetto concreto; ci ricorda che tal-

volta gli allievi stessi chiedono di procedere anche in un senso diverso, più dedut-

tivo. Probabilmente, si tratta di modulare entrambi questi percorsi, anzi di guidare a

percorrere, in un senso e nell’altro, strade differenti. Sono necessarie sia le espe-

rienze o gli esempi concreti (in questo caso il bastone piantato per terra, con la sua

ombra), che possono generare intuizioni e scoperte, sia gli approcci più formali,

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