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Per i nostri formatori è dunque essenziale prendere avvio da problemi autentici e rilevanti, che possano avere a che fare con la vita e l’esperienza Come afferma

Lockhart, che pure – lo abbiamo ricordato sopra – è alquanto critico nei confronti

di una matematica “utile”, un buon problema «è qualcosa che non si sa come risol-

vere. È questo che ne fa un valido enigma, e una valida opportunità. Un buon pro-

blema non rimane isolato, ma funge da trampolino per altri quesiti interessanti»

(Lockhart, 2010, p. 35). Ora, la vita e l’esperienza offrono molti problemi di questo

genere, problemi generativi, che suscitano sempre nuove domande e stimolano a

cercare. La scommessa dei nostri formatori è che, partendo da questi problemi, si

possa arrivare a porre e ad affrontare veri e propri problemi matematici, per risol-

vere i quali risulta necessario attivare processi di pensiero, formulare ipotesi, ricer-

care soluzioni. Vediamo alcuni esempi:

questa mattina ho cercato [...], visto che avevamo concluso con la teoria dei triangoli, di far fare qualche problema concreto; non era tanto legato alla meccanica ma alla realtà: come fare a misurare l’altezza degli alberi? Come si fa a misurare l’altezza delle mon- tagne? Come si fa a sapere a che distanza una barca si trovava dal faro? Erano tutti pro- blemi che si risolvevano con i triangoli, che erano facili e che hanno fatto in quattro e quattr’otto, mentre prima, per arrivare qua, avevamo fatto una serie di esercizi tutti con triangoli girati in su e giù; alla fine, se insisti, anche quelli che hanno difficoltà riescono a fare, se ti seguono – e in questo stai attenta che tutti facciano –; è un lavoro molto fati- coso, devo dire! (IntVr1/195) [...]. Ho dato loro delle figure e ho spiegato le forme; io ho un po’ rinunciato a fare problemi con il testo; anche questa mattina [...] avevo il testo ma l’ho tradotto negli schemi, però a parole l’ho detto: “Cercate di scrivere quello che sto dicendo, se volete scrivete voi un testo, perché la grossa difficoltà, nello svolgimento dei problema di matematica... (è la comprensione del testo)” (IntVr1/197); devo dire che al- cune volte hanno anche ragione, perché (certi problemi) sono scritti in modo assai ingar- bugliato; oggi ho tradotto questo per arrivare a quelli, ho fatto una serie di esercizi, questi (mostra dei fogli), che addirittura spiegavo alla lavagna senza lettere, senza niente; giro il triangolo: “Ma allora questo cosa rappresenta?”. “Così semplice?” [...] (IntVr1/199);

nella prima lezione, per introdurre l’argomento e per motivare un po’, parto da un pro- blema concreto (IntMe2/226): “Qualcuno ha idea di come dovrei fare, in geometria, a calcolare l’inclinazione di una scala, sapendo che ho 10 m di distanza dal muro e devo arrivare a 10 m di altezza?”. Allora loro incominciano a pensare e io faccio la proiezione alla lavagna; faccio notare che qualcosa dei triangoli già sanno: il teorema di Pitagora; loro vedono che quello non serve (IntMe2/228). Faccio loro notare che dovremo lavorare sugli angoli, che però quello è un problema, perché abbiamo un numero di angoli e di misure di lati che forse non va bene e allora faccio loro capire dove sta la difficoltà: a noi manca questa informazione, dobbiamo trovare un modo per arrivare a questa informa- zione. Allora incomincio la parte teorica, e questo mi facilita perché, nel momento in cui termino la parte teorica e presento il contenuto, lo strumento che possiamo utilizzare adesso, con questa cosa, riprendiamo il problema che abbiamo lasciato in sospeso e lo ri- solviamo insieme (IntMe2/230); loro dovrebbero avere interesse a risolvere il problema della scala e adesso che hanno capito qual è lo strumento, ecco che riusciranno a risol- verlo (IntMe2/232).

F. (IntVr1), dopo aver sviluppato la teoria dei triangoli, propone dei problemi

di carattere pratico che ricadono nella stessa categoria del quesito appena risolto,

sollecitando ad utilizzare e, nel caso, a modificare i metodi già utilizzati in prece-

denza. A. (IntMe2) fa in modo che il contenuto (la “parte teorica”) venga percepito

come risposta ad un problema, una domanda che effettivamente gli allievi avver-

tono come tale. Nell’esempio che segue, il formatore guida ad esplorare una situa-

zione e ad individuare i problemi che in essa si generano e che possono avere a che

fare con la matematica:

questo lavoro, che ho fatto in una seconda CFP elettro, è una parte di trigonometria che ho cercato di applicare ad un problema, [...] reale. Loro sapevano già che cos’erano il seno e il coseno di un angolo, i vari grafici; allora ho proposto questa attività, con l’o- biettivo di analizzare un problema da tanti punti di vista. [...] Ho riportato loro un’espe- rienza che avevo visto: il giorno di Pasquetta, sul Po, c’è una gara di aquiloni; allora ho raccontato loro di tutti questi aquiloni che volavano e si vedevano lontano; quindi ho fatto usare un po’ l’immaginazione [...]. Dopo ho proposto questo problema, ho detto: “Voi siete i giudici di questa gara, dovete decidere le regole, chi vince e quanto vince”. Questa è stata la consegna. “Divisi in tre quattro gruppi, lavorate!”. Subito sono rimasti spiazzati: non avevano notizie, volevano dei numeri per poter applicare le regole, invece, con questa consegna un po’ generica, non sapevano che fare. Ho dovuto insistere: “Pro- vate a partire!”. “Chi vince? Quanto vince?”. [...] Hanno iniziato a lavorare per cercare di risolvere questo problema. Ho detto: “Prima di tutto, dovete decidere le regole, quindi scrivetele in modo che siano comprensibili!”. “Vince il più lungo!”. “Intendi dire l’aqui- lone che vola più in alto?”. È importante anche l’utilizzo di un italiano comprensibile a tutti, perché di solito parlano per grugniti e non è che si capisca molto! Bene, poi si tratta di definire anche [...] cosa uno deve fare per iscriversi. “Deve avere un aquilone”. “Deve avere la possibilità di dare 5 o 10 euro per iscriversi”... Dovevano scrivere tutte le regole: “Chi vince..., quanto vince...”. Subito sparavano: “150 euro”. “Se c’è solo un iscritto, che fate? Gli date 150 euro di tasca vostra?”. Allora andare a pensare quanti sono gli iscritti, quanto si può far pagare la partecipazione alla gara, se far vincere anche qualcosina al se- condo e al terzo, se da questa gara vogliamo guadagnare qualcosa, se dobbiamo pagare quello che porta le birre [...]. Si trattava quindi di far loro valutare tutti questi aspetti per risolvere il problema. Poi c’era il problema vero e proprio: chi è che vince e come faccio

a vedere che vince. Allora davo loro dei dati; ogni concorrente poteva dire la lunghezza del filo – 100 o 150 metri – misurare l’inclinazione rispetto all’orizzontale che è di, non so, 12, 13, 15 o 20, 30 gradi; conoscendo questi dati, dovevano essere in grado di capire chi [...] era il vincitore. Allora come fare? Si sono rimessi in gruppo e hanno rifatto, valu- tato ecc. [...]; io intanto schematizzavo il problema alla lavagna: se conosco triangolo, ipotenusa, angolo, conosco tutto, posso ricavare l’altezza [...] ecc. Anche qui, cercavo di far loro capire che ci sono delle approssimazioni da fare, ad esempio il filo va conside- rato ben teso, la pendenza costante, ma questo non è detto, il filo può cambiare di pen- denza; si trattava di capire quali erano gli elementi critici del problema [...]. La valuta- zione consisteva non solo nel calcolare esattamente chi aveva fatto volare più in alto l’a- quilone, ma anche nella correttezza di tutti i passaggi che avevano fatto: la scrittura di tutte le regole, il modo di iscriversi, i criteri per la scelta del vincitore [...]. L’esperienza è durata un paio di ore; [...] e loro sono riusciti a capire che il problema del triangolo può essere applicato anche ad un contesto abbastanza reale (FGMat4/47).

M. (FGMat4/47), che insegna a Verona, mette i suoi allievi a confronto con un

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