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ombra), che possono generare intuizioni e scoperte, sia gli approcci più formali, che aiutano ad impadronirsi dei concetti necessari a tradurre il fenomeno osservato

in uno specifico linguaggio, ad inserirlo in una teoria, ad offrirgli una spiegazione.

È di questo avviso anche Walter Maraschini: «Si diventa bravi in matematica attra-

verso la difficile pratica di una combinazione di due aspetti: la sollecitazione di

esperienze che aumentino la sensibilità e la predisposizione di rigorosi percorsi

istruttivi» (Maraschini, 2008, p. 68), che aiutino ad acquisire una certa familiarità

anche con i concetti. Tra queste due dimensioni si può anzi creare una circolarità

feconda: le esperienze conducono all’astrazione e la concettualizzazione delle

astrazioni (geometriche o algebriche che siano) consente di ritornare sui fenomeni

concreti e di reinterpretarli.

5.4.2. Il metodo delle approssimazioni successive

È sempre M. (FGMat1/8-10; 126; IntRoma1), nei due brani che seguono, ad

offrirci alcuni esempi di lezione dialogata che, per successive approssimazioni,

segue l’andamento evolutivo della classe e guida verso la messa in parola, la for-

malizzazione di concetti matematici:

Quando noi proponiamo, ad esempio, di trovare un volume, chiedo ai ragazzi: “Come lo trovereste voi? Tu dimmi, non ti preoccupare se sbagli, dopo di che io faccio in confor- mità a quello che tu mi dici, e vediamo se funziona o se non funziona”. Ecco che arriva un: “Mah, io farei così...”. Io faccio il calcolo, in base a quello che il ragazzo mi dice e osservo: “Ma così ottengo un risultato che è stranissimo”. Allora lui stesso dice: “C’è qualcosa che non va!”. Interviene un altro: “Ma no, stupido, non ti sei accorto che dovevi fare così e così...!”. A parte gli epiteti che si danno tra loro, in questa maniera, uno dice: “Mah, io farei così” e un altro: “No, io farei cosà...”. Ci avviciniamo per successive ap- prossimazioni, finché arriviamo a dire: “Adesso, questo procedimento sembrerebbe fun- zionare in questo esempio; proviamo un po’ a cambiare i parametri e a vedere se fun- ziona anche in altri casi...”. Quindi, per successive approssimazioni, proprio la classe tira fuori quella che potrebbe essere la regola che funziona. È ovvio che ci sono delle volte in cui ci si arriva subito, senza sforzo, e magari altre volte in cui devo intervenire io e dire: “Siete bloccati, vi do un aiuto: perché non considerate anche questo elemento? Perché non vi concentrate sull’altezza, invece di concentrarvi sempre e solo sulla base?”. [...] Quindi, è fondamentale considerare il gruppo che si ha davanti e partire sempre, co- munque, da un esempio pratico, tirato fuori dalla loro realtà professionale; può essere, ad esempio, mi viene in mente, la parabola: “Se tu calci un pallone e sei a 20 m nel campo, e supponiamo che il pallone faccia 50 m, che tipo di percorso fa il pallone?”. “Mah, io lo tiro e va sempre dritto”. “Sì, allora immaginiamo un pallone che cade dal sistema solare; ipotizziamo che debba cadere; allora, se arriva, qual è la traiettoria? Come potremo tra- durre praticamente questa traiettoria in una figura geometrica?”. Si tratta di partire sempre da esempi che suscitino il loro interesse e la loro curiosità [...] (FGMat1/8), di ri- uscire a far lavorare il gruppo classe [...] valorizzando l’intervento di ogni allievo, che

può essere modesto, marginale, ma ha sempre il suo valore (FGMat1/10)21. [...] Per

esempio, sarebbe molto semplice dare ai ragazzi la definizione di assi cartesiani: la si dà,

21 Posso unire questo brano con quello che segue perché, pur appartenendo a due momenti

loro la scrivono, cercano di ricordarsela a memoria, molto spesso se la dimenticano. Se invece si dice: “Ditemi, secondo voi, che cos’è una coppia di assi cartesiani [...] e io, come al solito, disegnerò alla lavagna quello che voi mi dite”, uno allora comincia: “Due rette che si incrociano”, e io le disegno formando un angolo di 140°; loro dicono: “No, così non funziona!”. Allora alzerà la mano qualcun altro e dirà: “Sono perpendicolari”. “Allora teniamo ben presente i vari passaggi: avete detto ‘due rette che s’incrociano’, mi avete aggiunto che però devono formare degli angoli di 90°. Adesso vediamo un punto. Mi date le coordinate?”. “7 e 8”. E io lo disegno lì, poi dico: “Per me invece il punto 7 e 8 è questo qua!”. “Ah già, perché non ci siamo messi d’accordo su come misurare”. “Ve- dete che allora ci vuole un’unità di misura, che dobbiamo condividere”. Questo è quello che impropriamente potrei chiamare “il metodo delle approssimazioni successive”, fino ad arrivare ad un concetto, che è formalizzato: “Adesso, riuniamo tutte queste idee e ab- biamo quello che ci serve, nel linguaggio matematico”. Stessa cosa, ad esempio, per il cerchio: “Che cos’è una circonferenza?”. “L’insieme di punti che...”. E io: “Ma, il punto è fermo o si muove? Se si muove, che figura salta fuori?”. Quindi normalmente cerco di non dare la definizione all’inizio, ma di tirarla fuori dai suggerimenti che vengono da loro. Ho notato che i ragazzi tendono a memorizzare questo molto più di quanto memo- rizzino la definizione che viene loro data e che loro vedono come un elemento estraneo, praticamente calato dall’alto; mentre qui loro dicono: “Ah sì, lo aveva detto lui che si do- veva fare così, l’aveva detto l’altro!”, e rimane loro più impresso nella mente. Quindi questo metodo aiuta a tirare fuori da loro quello che può essere l’elemento di formalizza- zione di quello che hanno visto mettere in pratica (FGMat1/126);

[...] partiamo sempre da un problema pratico; dopo di che diamo la soluzione [...] ad una serie di problemi simili; [...] il passo successivo è sempre lo stesso: “Allora, adesso siete in grado di...”, oppure, meglio: “Bene, ora siamo in grado di...”, “Immaginiamo di dover trovare qualche cosa che funzioni sempre, al di là di questi esempi che abbiamo visto. Provate a dirmi che proposte avete...”, e ci sono tutti i ragazzi che provano; importante, in questo caso, è coinvolgerli [...]. Qual è la problematica che può sorgere? Ogni tanto devo “zittire”, tra virgolette, qualcuno, perché magari è un ragazzo che ha già fatto due anni di scuola superiore e quindi queste cose..., la regola, lui le sa, perché se le ricorda, e sarebbe quindi immediatamente pronto a dire la formula: “È questa la formula risolutiva ecc.”; in questa maniera, è vero che lui mi risolve il problema, ma tutti gli altri, dopo due o tre volte, non sono più coinvolti e dicono: “Tanto, risponde lui”. Per cui [...], proprio in questo caso [...], tutti partecipano, escluso lui, che so già che lo sa; poi, al limite, lo ri- prendo, alla fine, quando vedo che stiamo arrivando alla soluzione e dico: “Allora, adesso dimmi tu qual è secondo te l’errore che ha fatto il tuo compagno, che cos’è che ha sbagliato? L’errore che ha fatto, secondo te, da dove arriva?”; che ne so, [...] il primo esempio che mi viene in mente: “Ha detto che la formula del volume, alla fine, mi dava dei cm2”. “Dimmi qual è l’errore?” e lui mi fa vedere che non può esserci una misura di volume espressa semplicemente con un quadrato (IntRoma1/14). Lo valorizzo come “esperto” [...], altrimenti sarebbe veramente un escluderlo e dire: “Tu no, tu non parte- cipi!” (IntRoma1/16). Allora, in questo caso, bisogna dire: “Allora, partiamo...”. Qual è la figura che di sicuro loro conoscono? Il cubo. Se chiedo la formula per calcolare il vo- lume del cubo, praticamente il 95% degli allievi è in grado di darmela: “Adesso andiamo a vedere cosa la nostra figura ha di diverso dal cubo; vediamo se ha qualcosa di diverso”; andiamo a focalizzare l’attenzione su cosa ha di diverso e vediamo come si potrebbe tra- sformare la formula del cubo nella formula di una sfera. Quindi, anche in questo caso, ci sarà quello che dice: “Allora, per la forma del volume del cubo, sono partito dall’area della base, poi l’ho moltiplicata per l’altezza, ma era la stessa cosa e quindi è saltato fuori che era l3. E se facessimo una cosa del genere per la sfera? Partiamo dall’area del

cerchio, poi mettiamo una sfera in verticale e la moltiplichiamo per il suo diametro”, ma dico: “se sei proprio sicuro...”, allora si vede un attimino come si può arrivare. In questo caso, si tratta di partire da qualche cosa che i ragazzi già conoscono e di riuscire ad arri- varci per analogie di concetti (IntRoma1/20).

Guidando sapientemente la discussione e il flusso degli interventi e delle do-

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